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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 26 gennaio 2004 (Ud. 14 luglio 2003), Sentenza n. 2579

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Cassazione Sez. III del 26 gennaio 2004 (Ud. 14 luglio 2003 n. 01504), sentenza n. 2579
Pres.Savignano G. Est. Franco A.  P.M. Geraci V. (Conf.) Imp. P.M. in proc.Tollon ed altri
 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE

 


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 14/07/2003
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - N. 1504
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 14924/2003
ha pronunciato la seguente:
 

SENTENZA


sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia;
avverso la sentenza emessa il 30 gennaio 2003 dal giudice del Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, nei confronti di Tollon Renzo, Tollon Marica e Foscaro Angelo;
udita nella pubblica udienza del 14 luglio 2003 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Geraci Vincenzo, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore avv. Michele Imperio, che ha concluso per il rigetto del ricorso e, in via subordinata, per l'estinzione del reato per sopravvenuta concessione di sanatoria.
 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 

Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, assolse Tollon Renzo, Tollon Marica e Foscaro Angelo dalla imputazione di cui all'art. 20, lett. b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, applicò a Tollon Marica e Foscaro Angelo la pena concordata tra le parti in ordine al reato di cui all'art. 480 cod. pen. e dichiarò la propria incompatibilità con l'imputato Tollon Renzo relativamente al capo b) della imputazione. Per quanto in particolare concerne limitatamente di cui al capo a) osservò il giudice: a) che non vi è alcuna continuità normativa tra la disciplina della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quella di cui al d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380; b) che invero con la nuova disciplina è cambiato il tipo di condotta richiesto per l'integrazione del reato, che ora è costituita dalla mancata dichiarazione di inizio attività e non dal mancato rilascio della concessione edilizia; c) che infatti, per la realizzazione dell'intervento edilizio in questione, è ora sufficiente la semplice denunzia di inizio attività ed è ora punita la mancata presentazione di tale denunzia, sicché l'imputato non può essere sanzionato per un fatto (mancanza di concessione edilizia) che per la legge posteriore non costituisce più reato.


Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia propone ricorso per Cassazione - limitatamente al capo della sentenza impugnata in cui si perviene alla assoluzione degli imputati per il reato contestato con il capo A) - deducendo l'erroneità della sentenza impugnata ed osservando che le opere in questione rientrano tra quelle che richiedono ancora il permesso di costruire e che, in ogni caso, la scelta del permesso di costruire o della denunzia di inizio attività non incide sul regime sanzionatorio che rimane comunque collegato alla tipologia dell'intervento e non al titolo abilitativo utilizzato in concreto.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Il ricorso è fondato.


Preliminarmente va osservato che il giudice a quo ha sostanzialmente accolto la tesi -che comunque è stata riproposta dagli imputati con la memoria difensiva - secondo cui sarebbe intervenuta l'abrogazione dell'art. 20 legge 28 febbraio 1985, n. 47, per effetto dell'entrata in vigore, a far data dal 1 gennaio 2002, del d.p.R. 380 del 2001 (che all'art. 136 ha espressamente disposto l'abrogazione, tra l'altro, della disposizione in esame), il quale, pur essendone stato successivamente disposto il differimento dell'efficacia, è comunque rimasto in vigore per nove giorni con conseguente irretrattabilità dell'effetto abrogativo da esso prodotto.


A questo proposito è sufficiente ricordare che questa Suprema Corte ha ripetutamente e costantemente ritenuto priva di qualsiasi fondamento la suddetta tesi ed affermato che non si è verificato alcun vuoto normativo e che in particolare l'art. 20 legge 28 febbraio 1985, n. 47, ha continuato ad essere pienamente vigente ed operante perché per effetto dell'art. 5 6/5 del decreto legge 23 novembre 2001, n. 411, introdotto dalla legge di conversione 31 dicembre 2001, n. 463, si è verificata una proroga retroattiva dell'entrata in vigore del testo unico sull'edilizia approvato con d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380 (nel senso che a seguito di questa disposizione quella di cui all'art. 138 del testo unico, la quale stabiliva che "le disposizioni del presente testo unico entrano in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2002" debba ora essere letta nel modo seguente "le disposizioni del presente testo unico entrano in vigore a decorrere dal 30 giugno 2002 ora, dal 30 giugno 2003" oppure, quanto meno, una sospensione dell'efficacia del medesimo testo unico con conseguente reviviscenza con effetto ex nunc delle precedenti norme abrogate dall'art. 136 dello stesso testo unico 6 giugno 2001, n. 380 (v. Sez. 3^, 3 dicembre 2002, D'Ospina; 15 marzo 2002, Catalano; 20 settembre 2002, Ameli; 28 gennaio 2003, De Masi, ecc).


La questione è comunque ormai superata perché nel frattempo, il 30 giugno 2003, è entrato in vigore il testo unico approvato con d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.


L'assunto della sentenza impugnata secondo cui non vi sarebbe continuità normativa tra la disciplina di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quella di cui al nuovo testo unico è chiaramente infondata. Innanzitutto, invero, deve osservarsi che se davvero fosse così, ossia se davvero non vi fosse continuità normativa tra la vecchia e la nuova disciplina, si prospetterebbe un serio dubbio di legittimità costituzionale per eccesso di delega del d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, dal momento che il legislatore delegato aveva soltanto il potere di unificare ed armonizzare in un testo unico le precedenti disposizioni in materia di edilizia e non anche il potere di modificare sostanzialmente la vecchia disciplina ed, in particolare, il potere di depenalizzare le ipotesi di reato concernenti le costruzioni edilizie abusive. Anche alla stregua di una doverosa interpretazione adeguatrice, pertanto, la disciplina di cui al testo unico deve essere intesa nel senso che vi è una piena continuità normativa con la disciplina precedente trasfusa nel testo unico stesso, ed in particolare che vi è piena continuità normativa per quanto concerne le ipotesi di reati edilizi già previsti dall'art. 20 legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed ora dall'art. 44 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.


D'altra parte - anche a prescindere dalla questione se per gli interventi edilizi abusivi realizzati nel caso di specie occorra, secondo la nuova normativa, il permesso di costruire o sia sufficiente anche la sola denunzia di inizio attività - del tutto esattamente il procuratore della Repubblica ricorrente osserva che, alla stregua della normativa di cui al testo unico, la scelta del soggetto - quando gli è consentita - di ricorrere al permesso di costruire o alla denunzia di inizio attività non incide sul regime sanzionatorio che rimane in ogni caso lo stesso e collegato alla tipologia dell'intervento e non al titolo abilitativo utilizzato in concreto.


Nel caso di specie, in particolare, l'intervento edilizio abusivo realizzato dagli imputati, senza concessione edilizia o in totale difformità dalla concessione di cui erano in possesso, è consistito nello innalzamento della falda di copertura di un fabbricato con conseguente ricavo di nuovi volumi (vano sottotetto con fori finestre ed accesso mediante scale in cemento armato). Si tratta quindi di interventi che, anche alla luce dell'art. 10 del d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, richiedono in via generale il permesso di costruire. L'unica novità è che, ai sensi dell'art. 22, terzo comma, del medesimo testo unico, vi è facoltà per il soggetto di realizzare l'intervento mediante semplice denunzia di inizio attività in alternativa al permesso di costruire. Ma tale facoltà non significa - come erroneamente ritiene il giudice a quo - che per tali tipi di interventi non sia più richiesto il permesso di costruire e che questo sia stato sostituito dalla dichiarazione di inizio attività, ma significa soltanto che vi è appunto una facoltà di ricorrere alla denunzia di inizio attività, fermo restando che quando in concreto il soggetto non si sia avvalso di tale facoltà e non abbia presentato la denunzia di inizio attività - come è ovviamente accaduto nel caso di specie - si tratta pur sempre di un intervento edilizio abusivo realizzato senza il necessario permesso di costruire e quindi soggetto alle sanzioni penali che l'art. 44, lett. b), del testo unico prevede per gli interventi realizzati in totale difformità o in assenza del permesso di costruire.


Il comportamento tenuto nel caso concreto dagli imputati (realizzazione di opere senza il permesso di costruire o la concessione edilizia o in totale difformità dagli stessi), quindi, continua, come è ovvio, a costituire reato anche secondo la nuova normativa ne' può ritenersi che si tratti di un comportamento diverso o di un comportamento che ora non costituisce più reato solo perché è data la facoltà di ricorrere, in alternativa al permesso di costruire, alla denunzia di inizio attività.


Ciò, del resto, è pienamente confermato dal comma 2^ bis dell'art. 44 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380 (modificato dal d.l. 20 giugno 2002, n. 122, convertito con la legge 1 agosto 2002, n. 185) il quale prescrive che le disposizioni contenute nel detto art. 44 si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denunzia di inizio attività ai sensi dell'art. 22, terzo comma, eseguiti in assenza o in totale difformità della stessa. Il che appunto sta a significare - come esattamente rilevato dal ricorrente - che il fatto che l'art. 22, terzo comma, preveda la facoltà, in alcuni casi, di ricorrere alla denunzia di inizio attività in alternativa al permesso di costruire, non incide sul trattamento sanzionatorio che rimane lo stesso per il caso che il soggetto non abbia richiesto ne' il permesso di costruire ne' abbia presentato la denunzia di inizio attività. È perciò sostanzialmente esatta l'osservazione del ricorrente secondo cui la facoltà di scelta non incide sul regime sanzionatorio che rimane comunque collegato alla tipologia dell'intervento e non al titolo abilitativo utilizzabile in concreto.


La richiesta sollevata dagli imputati in via subordinata di dichiarare estinto il reato per intervenuta concessione edilizia in sanatoria non può essere accolta sia perché non è accertato che la concessione edilizia del 9/9/1999 si riferisca alle opere abusive in questione sia comunque perché la efficacia della detta concessione edilizia in sanatoria è sospensivamente condizionata alla eliminazione della scala interna in modo tale da rendere non praticabile il sottotetto e non risulta che tale condizione si sia verificata.


La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata - limitatamente al capo con il quale gli imputati sono stati assolti dal reato di cui all'art. 20, lett. b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, contestato al capo a) - con rinvio - trattandosi di ricorso proposto per saltum - alla corte d'appello di Venezia.


PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


annulla la sentenza impugnata - limitatamente al capo con il quale gli imputati sono stati assolti dal reato di cui all'art. 20, lett. b), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, contestato al capo a) - con rinvio alla corte d'appello di Venezia.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2003.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2004


 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

Edilizia e urbanistica - "Superdia" e permesso di costruire – Costruzione edilizia - Realizzabile con denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire - Omessa presentazione della d.i.a - Abusività dell'intervento - Sanzionabilità - Reato di cui all'art. 44 lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001 - Sussistenza. In tema di costruzioni edilizie, la realizzabilità dell'intervento con denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire, ai sensi del comma terzo dell'art. 22 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), non esclude la sanzionabilità in caso di omessa dichiarazione di inizio attività, atteso che in tale ipotesi si configura un intervento edilizio abusivo, e come tale sanzionato ex art. 44 lett. b) del citato d.P.R. Pres. Savignano G.  Est.  Franco A. P.M. Geraci V. (Conf.) Imp. P.M. in proc.Tollon ed altri. (Annulla in parte con rinvio, Trib.Venezia, 30 gennaio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 26 gennaio 2004 (Ud. 14 luglio 2003 n. 01504 ) Rv. 227391, sentenza n. 2579

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