Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez III, 1 ottobre 2004, (Ud. 06/07/2004) Sentenza n. 38666
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Penale, sez III, 1
ottobre 2004, (Ud. 06/07/2004) sentenza n.
38666
Pres. Dell'Anno P. - Est. Grillo C. . - Imp. D'Agostino ed altro - P.M. D'Angelo G. (Conf.)
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D'AGOSTINO RANIERO, nato a Pago Veiano il 17/6/1962;
FERRARO FRANCESCO, nato a Minervino di Lecce il 4/10/1959;
avverso la sentenza n. 1799 del 9-11/4/2003 pronunciata dalla Corte di Appello
di Milano.
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed i ricorsi;
- udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Carlo M.
GRILLO;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott.
D'ANGELO G., con le quali chiede il rigetto dei ricorsi;
- udito il difensore, avv. L. Lucia, che insiste per l'accoglimento degli
stessi.
la Corte osserva:
FATTO E DIRITTO
La Corte di Appello di Milano, con la sentenza indicata in premessa, confermava
integralmente la sentenza 20/12/2002 del Tribunale di Milano, in composizione
monocratica, con la quale D'Agostino Raniero e Ferraro Francesco erano stati
condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 4 di arresto ed euro
520,00 di ammenda ciascuno in ordine al reato di cui agli artt. 110 c.p., 118
lett. a) in relazione all'art. 23 D.L.vo n. 490/1999, commesso in epoca
anteriore e prossima al 3/3/2000, per concorso in demolizione di reperti di
interesse archeologico in assenza della prescritta autorizzazione e malgrado
l'invito a non procedere ad alcuna attività edilizia e ad avvisare
tempestivamente la competente Soprintendenza in caso di individuazione dei
suddetti resti archeologici nel corso dei lavori.
Ricorrono per Cassazione gli imputati, con due distinti atti di impugnazione di
identico contenuto, deducendo: 1) inosservanza di norme processuali stabilite a
pena di nullità (art. 606, comma 1 lett. 'c', c.p.p.), con riferimento all'art.
522 c.p.p., in quanto nella contestazione viene ad essi addebitato di "aver
demolito" (condotta commissiva), mentre nella sentenza viene affermata la loro
responsabilità per aver "permesso che gli operai demolissero" (condotta
emissiva), per cui la condotta contestata è difforme dal fatto accertato in
sentenza; 2) manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1 lett.
'e', c.p.p.) per individuazione del dolo riferito a fatto non più oggetto di
imputazione, nonché contraddittorietà della motivazione in ordine
all'individuazione dell'elemento soggettivo del reato, in quanto la Corte
distrettuale ritiene sussistente il dolo, traendo tale convinzione da un fatto
(la prosecuzione dei lavori nonostante l'ordine di sospensione) per il quale è
stata pronunciata assoluzione da parte del Tribunale;
inoltre la sentenza impugnata afferma che ricorrono sia il dolo che la colpa,
elementi psicologici concettualmente incompatibili tra loro; 3) mancanza o
manifesta illogicità della sentenza (art. 606, comma 1 lett. 'e', c.p.p.) per
mancata pronuncia in ordine a specifici motivi indicati nell'atto di appello,
come la correttezza in astratto dell'imputazione, nonché inosservanza o erronea
applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. 'b', c.p.p.), non
potendosi richiedere l'autorizzazione ex art. 23 D.L.vo n. 490/1999 in relazione
ad un bene (muro romano) non ancora conosciuto, per cui il fatto contestato non
costituisce reato; invero la detta norma non prevede la necessità di
approvazione di progetti di opere in siti "ad alto rischio archeologico", ma
solo in presenza di beni culturali indicati all'art. 2, essendo altrimenti
sufficiente il costante controllo della Soprintendenza, come in concreto vi è
stato nel caso di specie.
All'odierna udienza il P.G. e la difesa concludono come riportato in epigrafe.
I ricorsi sono infondati.
La prima doglianza, di natura processuale, ripete analoga censura proposta in
appello, alla quale la Corte distrettuale fornisce risposta corretta ed adeguata
che, condividendola il Collegio, per brevità si richiama.
Anche alla seconda censura la gravata decisione fornisce intrinseca risposta,
ritenendola infondata. I giudici del merito, infatti, hanno evidenziato il
diverso atteggiamento psicologico degli imputati, connotato all'inizio da
semplice colpa (quando, nel corso dei lavori, hanno scoperto i resti del muro
romano ed operando in modo incauto li hanno danneggiati), e successivamente da
vero e proprio dolo (quando hanno violato l'ordine di sospensione dei lavori
impartito dalle competenti autorità). Pertanto non v'è stato alcun vizio
motivazionale, non essendo stata ritenuta la condotta degli agenti
contemporaneamente colposa e dolosa, come denunziano i ricorrenti. Parimenti
infondata è l'ultima doglianza, con cui in sostanza i prevenuti sostengono la
legittimità del loro comportamento, in quanto non sapevano che si sarebbero
trovati al cospetto di un bene culturale quando intrapresero i lavori di
realizzazione di box auto con sottomurazioni in cemento armato, e dunque non
potevano chiedere le autorizzazioni del caso.
Posto che pacificamente le mura romane in questione rientrano tra i beni
culturali tutelati dalla legge (art. 2, comma 1 lett. 'a', D.L.vo n. 490/1999 ed
ora art. 10 D.L.vo n. 41/2004) e che i prevenuti, rinvenendole, non solo non ne
denunciarono la presenza all'autorità competente ma proseguirono i lavori
demolendole parzialmente, anche dopo il fermo imposto dalla Soprintendenza, è
fuor di dubbio la loro penale responsabilità.
C'è solo da stabilire se hanno commesso il reato per il quale sono stati
condannati ovvero quello previsto dagli artt. 87 e 124 D.L.vo n. 490/1999, ora
artt. 90 e 175 D.L.vo n. 41/2004, riguardante l'omessa denunzia e adozione di
cautele nel caso di scoperta fortuita di beni culturali. Ritiene il Collegio che
i due reati possano concorrere e non siano tra loro incompatibili, avendo
diversa oggettività giuridica. Infatti la contravvenzione prevista dal vecchio
art. 23 mira ad impedire l'esecuzione di opere di qualunque genere che
interessino beni culturali, se non previa approvazione dei relativi progetti;
quella di cui al vecchio art. 87, prescinde invece dall'esecuzione di lavori,
imponendo agli scopritori di beni culturali solo di denunciare il ritrovamento e
di provvedere alla conservazione provvisoria del bene.
Nel caso in esame la condotta ascritta ai prevenuti realizza entrambe le ipotesi
contravvenzionali. Una volta scoperte le mura romane, essi avrebbero dovuto
denunciare il ritrovamento e provvedere alla loro conservazione (art. 87);
inoltre, prima di eseguire opere che in qualche modo interessavano dette mura,
dovevano ottenere l'approvazione del relativo progetto (art. 23).
Pertanto correttamente si sarebbe dovuto procedere nei loro confronti per
entrambe le fattispecie criminose, ma i giudici del merito non si sono posti il
problema, ne' il P.M. ha impugnato la decisione in esame, per cui, per il
divieto della reformatio in peius, non è possibile intervenire sull'impugnata
decisione, favorevole agli imputati. Ovviamente la doglianza relativa alla
sussistenza del reato ad essi ascritto è infondata.
Per completezza si aggiunge che vi è assoluta continuità normativa,
relativamente alla fattispecie in esame, tra gli artt. 23 e 118 del D.L.vo n.
490/1999 e gli artt. 21 e 169 del Codice dei beni culturali del 2004.
P.Q.M.
la Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2004.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2004
Beni ambientali e culturali - Patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale (cose d'antichità e d'arte) - Reato di esecuzione di opere su beni culturali senza autorizzazione - Reato di omessa denuncia del rinvenimento di beni culturali - Concorso - Possibilità - Fondamento. In tema di tutela dei beni culturali, il reato di cui agli artt. 87 e 124 del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, omessa denuncia e temporanea conservazione in caso di fortuita scoperta di beni culturali (ora sostituiti dagli artt. 90 e 175 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 41) può concorrere con il reato di cui all'art. 118 del citato decreto n. 490 (ora 169 del decreto n. 41/2004), esecuzione di opere su beni culturali in difetto di autorizzazione, atteso che i reati in questione hanno una diversa oggettività giuridica, tendendo il secondo ad impedire l'esecuzione di opere di qualunque genere che interessino beni culturali se non con una preventiva valutazione ed autorizzazione, mentre il primo prescinde dalla esecuzione di lavori, imponendo agli scopritori di beni culturali la loro denuncia e conservazione medio tempore. Pres. Dell'Anno P. - Est. Grillo C. - Imp. D'Agostino ed altro - P.M. D'Angelo G. (Conf.) (Rigetta, App. Milano, 9 Aprile 2003) CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez III, 1 ottobre 2004, (Ud. 06/07/2004) sentenza n. 38666
Beni ambientali e culturali - Beni culturali tutelati - Mura romane - Qualifica dell'interesse storico e etnoantropologico anche senza espressa dichiarazione - Sussiste. Le mura romane, precedentemente rientranti tra i beni culturali tutelati ex art. 2 del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, stante il loro interesse storico e etnoantropologico, vanno qualificati quali beni culturali senza necessità della dichiarazione ora prevista dall'art. 13 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 41, attesa la loro riconducibilità ai beni individuati dall'art.1, comma primo, del citato decreto n. 41. Pres. Dell'Anno P. - Est. Grillo C. - Imp. D'Agostino ed altro - P.M. D'Angelo G. (Conf.) (Rigetta, App. Milano, 9 Aprile 2003) CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez III, 1 ottobre 2004, (Ud. 06/07/2004) sentenza n. 38666
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