Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 2 marzo 2004 (Ud. 11.02.2004), sentenza n. 9544
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III del 2 marzo 2004, (ud. 11/02/2004), sentenza n. 9544
Pres.Rizzo A. – Est.Grillo C. - Pm Izzo G. – Imp. Rainaldi ed altro.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:Udienza pubblica
Dott. RIZZO Aldo - Presidente
1. Dott. ZUMBO Antonio - Consigliere
2. Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere
3. Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
4. Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
- RAINALDI GIORGIO, nato a Poggio
Picenze il 10/6/1937, e DE MATTEIS ETTORE, nato a L'Aquila il 21/2/1976;
avverso la sentenza n. 619/01 del 15-19/10/2001, pronunciata dal Tribunale di
L'Aquila;
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
- udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Carlo M.
Grillo;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale G. Izzo,
con cui chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
- udito il difensore, avv. A. Carbonara, che insiste per l'accoglimento dello
stesso;
La Corte osserva:
FATTO
Con la decisione indicata in premessa, il Tribunale di L'Aquila, in composizione monocratica, condannava Rainaldi Giorgio, socio accomandatario e direttore tecnico della "Vibrocementi L'Aquila s.a.s. di Rainaldi Ezio & C.", e De Matteis Ettore, operaio dipendente di tale ditta, alla pena di L. 4.000.000 di ammenda ciascuno in ordine al reato di cui all'art. 51, comma 1^, lett. a), D. L.vo n. 22/1997, ed il primo anche in relazione alle fattispecie previste dai successivi commi 2^ e 5^. In particolare, il Rainaldi veniva riconosciuto colpevole di abbandono incontrollato e miscelazione di rifiuti non pericolosi prodotti dall'azienda, che scaricava in una grande buca aperta nel piazzale dello stabilimento;
il De Matteis, di avere smaltito "mediante abbruciamento" rifiuti non pericolosi, in mancanza di autorizzazione.
Avverso detta decisione propongono ricorso gli imputati, con un unico atto di
gravame, deducendo, in primis, violazione dell'art. 606, lett. b), c.p.p. per
inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla
normativa di cui al D. L.vo n. 22/1997, ed in particolare per erronea
applicazione dell'art. 51, comma 1^, in relazione agli artt. 50 e 6, lett. m),
del decreto stesso. Secondo i ricorrenti, il Tribunale aveva travisato le
emergenze dibattimentali, avendo queste evidenziato che, nella menzionata buca,
erano stati solo provvisoriamente accumulati rifiuti misti di costruzione e
demolizione, provenienti dai lavori di rifacimento del piazzale esterno
dell'azienda e della palazzina destinata ad uffici, in attesa di essere
trasferiti altrove, come in effetti era poi avvenuto (il 24/5/2000) ad opera
della ditta Zugaro, per cui non sussisteva l'abbandono di rifiuti. Inoltre
rilevano gli imputati che le contravvenzioni previste dall'art. 51 del decreto
Ronchi sono "reati propri", giacché il destinatario dei precetti può solo essere
l'esercente di un' attività di gestione di rifiuti prodotti da terzi, come si
evince dal titoletto della norma; in particolare, con riferimento alla
previsione del secondo comma, il destinatario è il titolare di impresa che
svolga detta attività, e non di una qualsiasi impresa che produca o detenga
rifiuti, come la Fibrocementi. Pertanto il Rainaldi poteva essere riconosciuto
colpevole al massimo della violazione amministrativa prevista dall'art. 50 D.
L.vo n. 22/1997, ma non di quella penale di cui all'articolo successivo. Nel
caso di specie, peraltro, doveva ritenersi sussistente il "deposito temporaneo",
di cui all'art. 6 lett. m) del decreto, ricorrendone tutte le condizioni di
legge. Relativamente all'imputato De Matteis, la violazione di legge è
altrettanto evidente, si afferma nel ricorso, sia perché il predetto - per le
esposte ragioni - non poteva essere destinatario della norma sopra esaminata,
sia perché egli si era limitato, una sola volta, a dare fuoco a rifiuti non
pericolosi prodotti dall'azienda. Con una seconda doglianza i ricorrenti
lamentano la violazione dell'art. 606, lett. e), c.p.p. per carenza e manifesta
illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato,
emergendo dalle risultanze processuali e documentali che la ditta Vibrocementi
conferiva regolarmente i rifiuti ad altra ditta autorizzata, per il trasporto
alla discarica, per cui non aveva alcun interesse ad interrarli.
All'odierna udienza dibattimentale, il P.G. e la difesa concludono come
riportato in premessa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Quasi tutte le doglianze proposte, invero, si concretano in una serie di censure
alla valutazione delle prove effettuata dal giudice del merito, motivata
adeguatamente, logicamente e correttamente. Ricordato che l'attuale codice di
rito prevede come motivo di ricorso per Cassazione, attinente alla motivazione
della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità
di essa (quando detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento), e
non anche la sua insufficienza, reputa il Collegio che, nel caso in esame, non
ricorra alcuna di tali ipotesi, avendo il Tribunale spiegato, in maniera
adeguata, logica e corretta le ragioni del proprio convincimento.
In particolare, per quanto attiene al giudizio di penale responsabilità
dell'imputato, è d'uopo ribadire che l'indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa
volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è
avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione
quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali.
Alla luce di tale consolidato principio di diritto, deve osservarsi che il
giudice del merito ha specificamente, congruamente e correttamente illustrato le
ragioni per le quali ha ritenuto sussistere la colpevolezza degli imputati in
ordine al reato ad essi ascritto, individuando una serie di elementi probatori
della responsabilità di ciascuno, a fronte delle argomentazioni addotte dalla
difesa. Così è stato accertato che i rifiuti accumulati nella buca, peraltro di
notevoli dimensioni (sette metri di profondità), non consistevano solo - come
riferito in ricorso - in detriti e materiale da demolizione, bensì anche in
rifiuti plastici, cavi elettrici, secchi vuoti, legno da imballaggio ed altro; è
risultato, inoltre, che la buca in questione era "in via di ritombamento", il
che smentisce categoricamente la tesi del "deposito temporaneo", sostenuta dagli
imputati, anche se si volesse ammettere la ricorrenza delle condizioni stabilite
dall'art. 6 lett. m) del decreto Ronchi. Quindi, lungi dall'essere
manifestamente illogica, la motivazione dell'impugnata sentenza in punto
responsabilità è invece assolutamente adeguata e corretta, donde
l'inammissibilità in sede di legittimità delle dette censure.
Per quanto concerne, poi, l'unico punto "in diritto" del ricorso, e cioè la non ipotizzabilità delle contravvenzioni previste dall'art. 51 nei confronti di chi non eserciti attività di gestione di rifiuti altrui, ritiene il Collegio non corretta l'interpretazione prospettata: le imprese o gli enti di cui tratta il secondo comma dell'art. 51 non sono soltanto quelle che effettuano una delle attività indicate nel primo comma (raccolta trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), bensì qualsiasi impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 c.c., o ente, sia con personalità giuridica che operante di fatto. Ciò lo si deduce, ad avviso del Collegio, aldilà di interpretazioni formali delle singole disposizioni, dalla ratio del decreto Ronchi (simile a quella del D.P.R. n. 915/1982), tendente all'obiettivo di massima protezione ambientale (art. 2), e dunque ad impedire ogni rischio di inquinamento derivante da attività idonee a produrre rifiuti con una certa continuità, escluse perciò solo quelle del privato, che si limiti a smaltire i propri rifiuti al di fuori di qualsiasi intento economico.
Peraltro questa Corte ha anche recentemente affermato (Cass. Sez. 3^, 14 maggio
2002, n. 21925, Saba) che il reato di cui all'art. 51 D. L.vo n. 22/1997
(attività di gestione di rifiuti non autorizzata) non ha natura di reato
proprio, la cui commissione sia possibile solo da soggetti esercenti
professionalmente la detta attività, ma costituisce un'ipotesi di reato comune,
che può essere commesso da "chiunque". Quindi anche le imprese e gli enti, di
cui, al secondo comma del detto articolo, non sono solo quelli che esercitano
professionalmente attività di gestione dei rifiuti, ma tutti, e ciò lo si ricava
anche dalla originaria formulazione di tale comma (ante modifica, ad opera della
legge n. 426/1998), che - nella prima parte (rimasta) - fa riferimento
genericamente ad imprese ed enti, mentre - nella seconda (soppressa) - indicava
le imprese ed enti "che effettuano attività di gestione dei rifiuti", in tal
modo restringendo la generica categoria presa in considerazione precedentemente.
Per quanto concerne la posizione del De Matteis, non può dubitarsi che
l'attività da lui posta in essere, e peraltro pacificamente ammessa, sia
consistita nello smaltimento, tramite bruciatura, di rifiuti vari; ciò basta per
ritenere concretata la contestata violazione del primo comma dell'art. 51. Del
resto sul punto la gravata sentenza è supportata da adeguata motivazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e
condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio
2004.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2004
Rifiuti - Gestione dei rifiuti - Deposito incontrollato - Reato di cui all'art. 51, comma secondo, del decreto n. 22 del 1997 - Soggetti attivi - Individuazione. Il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui all'art. 51, comma secondo, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, è ipotizzabile non soltanto in capo alle imprese o agli enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo del citato art. 51 (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), ma a qualsiasi impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 cod. civ., o ente, con personalità giuridica o operante di fatto, atteso che il precedente riferimento alla attività di gestione dei rifiuti originariamente previsto dal comma in questione risulta soppresso con legge 9 dicembre 1998 n. 426. Pres.Rizzo A. – Est.Grillo C. - Pm Izzo G. – Imp. Rainaldi ed altro (Parz. Diff.). (Rigetta, Trib.L'Aquila, 15 ottobre 2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 2 marzo 2004 (ud. 11/02/2004 n. 00228) Rv. 227570 sentenza n. 9544
Rifiuti -
Attività di gestione di rifiuti
non autorizzata - Reato di cui all'art. 51 D. L.vo n. 22/1997 - Natura -
Applicazione. In tema di rifiuti il reato di cui all'art. 51 D. L.vo n.
22/1997 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata) non ha natura di reato
proprio, la cui commissione sia possibile solo da soggetti esercenti
professionalmente detta attività, ma costituisce un'ipotesi di reato comune, che
può essere commesso da "chiunque" (Cass. Sez. 3^, 14 maggio 2002, n. 21925, Saba).
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del
2
marzo 2004 (ud.
11/02/2004)
sentenza n. 9544
Rifiuti - Bruciatura di rifiuti vari - Attività di gestione di rifiuti non
autorizzata - Art. 51 D. L.vo n. 22/1997 - Sussiste. Integra la violazione
del primo comma dell'art. 51, Decreto Legislativo n. 22/1997, l'attività
consistente nello smaltimento, tramite bruciatura, di rifiuti vari. CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III del 2
marzo 2004 (ud.
11/02/2004)
sentenza n. 9544
Procedure e varie - Sindacato
demandato alla Corte di Cassazione - Fondamento e limiti. Il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione è limitato - per espressa volontà del
legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui
vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare
l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una
"rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa
valutazione delle risultanze processuali.CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del
2
marzo 2004 (ud.
11/02/2004)
sentenza n. 9544
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza