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CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004 (Ud. 27.11.2003), Sentenza n. 979
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Penale Sez. III del 20 gennaio 2004, (ud. 27 novembre 2003),
sentenza n. 979
Pres. Savignano – Est. Fiale A.- Pm. D'Angelo G. (Diff.)– Imp. Nappo
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.: Udienza pubblica
- Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 27/11/2003
- Dott. RAIMONDI Raffaele - Consigliere - SENTENZA
- Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 1973
- Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
- Dott. FIALE Aldo - Consigliere -
N. 37401/2003
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da NAPPO Vincenzo, nato a Poggiomarino il 23/7/1945;
avverso la sentenza 12/6/2003 della Corte di Appello di Napoli;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. D'ANGELO Giovanni;
che ha concluso per la sospensione del processo ai sensi dell'art. 32 del D.L.
n. 269/2003.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 12.6.2003 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza
13.12.2002 del Tribunale monocratico di Torre Annunziata, che aveva affermato la
responsabilità penale di Nappo Vincenzo in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, con ampliamento
di volumetria, un fabbricato in cemento armato, in difformità totale dalla
concessione edilizia, che prevedeva l'esecuzione di opere esclusivamente in
muratura - acc. in Poggiomarino, il 2.4.1999);
- agli artt. 2, 4, 13 e 14 legge n. 1086/1971;
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo
della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena
complessiva di mesi uno di arresto ed euro 4.000,00 di ammenda, ordinando la
demolizione delle opere abusive e concedendo il beneficio della sospensione
condizionale subordinato all'effettiva esecuzione dell'ordine medesimo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Nappo, il quale - sotto il profilo del vizio della motivazione - ha eccepito che:
- "nel caso di specie non è applicabile l'art. 20 L. 47/85, lett. C, in quanto
le difformità realizzate sono del tipo non essenziali e perfettamente sanabili
in virtù dell'art. 13 L. 47/85 ed inoltre la zona interessata non è soggetta ad
alcun vincolo ed è prevista l'edificabilità in quanto la predetta è riportata
nel P.R.G. in zona B1";
-- "non si è contravvenuto agli artt. 2, 4, 13 e 14 L. 1086/1971, in quanto il
fabbricato da ristrutturare era in muratura e solo nel corso dei lavori è
sopravvenuta la necessità di eseguire delle opere in c.a., le quali sono oggetto
di dichiarazione al Genio Civile di Napoli ma possono essere tranquillamente
sanate anche in corso di espletamento".
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiché manifestamente
infondato. Ed invero:
- l'imputato è stato condannato per la contravvenzione di cui alla lett. b) non
c) dell'art. 20 della legge n. 47/1985 e non risulta presentata alcuna istanza
di accertamento di conformità ex artt. 13 e 22 della stessa legge;
- l'esecuzione di lavori in conglomerato cementizio armato, pur se si fosse
effettivamente resa necessaria in corso d'opera, doveva essere comunque
effettuata - ai sensi della legge n. 1086/1971 - in base a progetto esecutivo e
previa rituale denuncia, nonché diretta da un tecnico competente.
2. L'inammissibilità del ricorso - la cui declaratoria deve considerarsi
pregiudiziale - non consente la sospensione del procedimento, ex art. 44 della
legge n. 47/1985, in relazione alla possibilità di sanatoria (c.d. condono
edilizio) riconosciuta dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con
modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326 che espressamente richiama (commi
25 e 28), per quanto in esso non previsto, i capi IV e V della stessa legge n.
47/1985 e l'art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724. Appare opportuno ricordare,
in proposito, che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema:
- con la sentenza 26.2.1976, n. 2553, ric. Delle Donne, hanno affermato il
principio secondo cui, in caso di inammissibilità genetica dell'impugnazione
resta preclusa la possibilità di valutare l'eventuale applicabilità di
disposizioni sopravvenute più favorevoli al reo;
- con la sentenza 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca, hanno ricostruito
l'inammissibilità dell'impugnazione come categoria unitaria, riconoscendo la
regola della prevalenza della declaratoria di ogni causa di inammissibilità
prevista dalla legge su quelle di non punibilità. In particolare, secondo tale
pronuncia, il rapporto ammissibilità-fondatezza, come delineato dalla legge,
"non ammette l'introduzione di zone grigie, cosicché la manifesta infondatezza,
collocata nell'alveo dell'inammissibilità, resta in quest'ambito definita da
dati di ordine qualitativo che ne provocano l'assimilazione - sul piano della
struttura e della funzione - agli altri casi di inammissibilità previsti dalla
legge". La chiave di lettura, per stabilire i limiti dei poteri di cognizione da
parte del giudice dell'impugnazione inammissibile, è stata individuata nell'art.
673 c.p.p., con riferimento alle specifiche ipotesi della sopravvenuta "abolito
criminis" e della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma
incriminatrice, cui viene riconosciuta l'eccezionale possibilità di incidere "in
executivis" sul provvedimento pure contrassegnato dalla formazione del giudicato
formale (nel caso di sopravvenuta morte dell'imputato, inoltre, deve essere
dichiarata l'estinzione del reato a norma dell'art. 150 c.p.p., poiché, venuta
meno la componente soggettiva del rapporto processuale, quest'ultimo va
considerato risolto);
- con la sentenza 11.9.2001, n. 33542, ric. Cavalera, hanno ribadito la
prevalenza della declaratoria dell'inammissibilità del ricorso su quella di
non-punibilità prevista nell'art. 129 c.p.p.. 3. Tenuto conto della sentenza
13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie,
non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità",
alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616
c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata nella misura
di euro 500,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli arti 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento
della somma di euro 500,00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2004
Edilizia e urbanistica - Condono edilizio e ricorso in cassazione – Violazioni edilizie - Giudizio di cassazione - Inammissibilità del ricorso - Di cui alla legge n. 326 del 2003 - Sospensione del procedimento - Non applicabilità di disposizioni sopravvenute più favorevoli - Esclusione. Nel giudizio di cassazione per violazioni edilizie la inammissibilità del ricorso non consente, in pendenza dei termini per la proposizione del c.d. condono edilizio, la sospensione del procedimento ex art. 44 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, richiamato dall'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003 n. 326, atteso che in caso di inammissibilità genetica dell'impugnazione resta preclusa la applicabilità di disposizioni sopravvenute più favorevoli quale l'estinzione del reato per intervenuta sanatoria. Pres. Savignano G.– Est. Fiale A.- Pm D'Angelo G. (Diff.) – Imp. Nappo. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 20 gennaio 2004, (ud. 27 novembre 2003) Rv. 227950 sentenza n. 979
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