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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 20 gennaio 2004, sentenza n. 153

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002 ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n. 10648 del 2002 proposto dal COMUNE di QUADRELLE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco De Beaumont, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Via Baccarini, n. 32,
contro
Maria Tedeschi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Barra e prof. Franco Gaetano Scoca ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Paisiello n. 55, presso lo studio del secondo,
per l'annullamento
della sentenza n. 3732 in data 25 giugno 2002 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quinta;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellata Tedeschi;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 109 del 14 gennaio 2003, con la quale è stata accolta la domanda di sospensione della sentenza appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il cons. Corrado Allegretta;
Uditi alla pubblica udienza del 1 luglio 2003 l’avv. De Beaumont e, su delega dell’avv. Scoca, l’avv. Colagrande;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO


L’appellata, quale proprietaria di aree comprese nel piano di zona adottato ai sensi dell’art. 28 della L. 14 maggio 1981 n. 219 per la ricostruzione delle abitazioni già distrutte dal terremoto e non ricostruibili in sito, impugnava con ricorso n. 5027/1992 le deliberazioni del 16.12.1991 nn. 79 e 80 con le quali il Comune aveva stabilito di destinare alcuni di quei suoli alla realizzazione di alloggi da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari e delle cooperative edilizie; con ricorso n. 5025/1992 il decreto sindacale 17.3.1992 n. 2 di occupazione d'urgenza delle aree e con ricorso n. 8462/1995 il decreto di espropriazione definitiva 23.5.1995 n. 1988.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quinta, ha accolto i tre ricorsi con la sentenza meglio indicata in epigrafe, che il Comune di Quadrelle appella, chiedendone l’annullamento, con ogni conseguenza di legge e vittoria di spese e competenze di causa.


Si è costituita in giudizio la Tedeschi, la quale ha controdedotto al gravame, concludendo per la sua reiezione perché infondato; con ogni conseguente determinazione anche in ordine a spese e competenze di giudizio.


Accolta la domanda di sospensione della sentenza appellata con ordinanza n. 109 del 14 gennaio 2003, la causa è stata trattata all’udienza pubblica del 1 luglio 2003, nella quale, sentiti i difensori presenti, il Collegio si è riservata la decisione.


DIRITTO


Per la migliore comprensione della controversia, occorre premettere alcuni cenni in fatto.


Il Comune di Quadrelle, avendo constatato il sovradimensionamento del piano di zona per la ricostruzione degli edifici distrutti dal terremoto del 1980 e non ricostruibili in sito di cui all'art. 28 L. 14 maggio 1981 n. 219, adottato con deliberazione consiliare 11 aprile 1988 n 160 ed approvato con D.P.G.R. 3 agosto 1989, stabiliva di destinare alla realizzazione di alloggi da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari e delle cooperative edilizie alcune delle aree comprese nel piano.


A tanto provvedeva con le deliberazioni consiliari del 16 dicembre 1991 nn. 79 e 80 e, sulla base di queste, disponeva l’occupazione d'urgenza di suoli di proprietà dell’appellata con il decreto sindacale 17 marzo 1992 n. 2, dei quali pronunciava, poi, l’espropriazione definitiva con il decreto sindacale n. 1988 del 23 maggio 1995. Avverso questi atti l’interessata ha proposto i tre ricorsi accolti con la sentenza oggetto dell’appello in esame.


L’appello è infondato.


Con il primo ed il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, il Comune appellante sostiene che il ricorso (n. 5027/92), proposto contro le citate deliberazioni nn. 79 e 80 del 1991, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per mancata impugnazione del presupposto piano di zona, in cui le aree di cui si tratta erano già comprese.


L’assunto non può essere condiviso.


Il piano di cui all'art. 28 L. 14 maggio 1981 n. 219, nel testo anteriore a quello introdotto dall’art. 34 comma 3 lett. a) del D.P.R. 30 marzo 1990 n. 76, pur denominato “piano di zona”, si distingue dal piano per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.) disciplinato dalla menzionata L. 167 del 1962 e dalla successiva L. 22 ottobre 1971 n. 865.


Per accennare alle differenze più salienti, basta considerare che il primo è volto all’acquisizione dei suoli indispensabili per la ricostruzione dei fabbricati residenziali danneggiati dal sisma e non ricostruibili in sito, a beneficio, quindi, dei privati proprietari di quei fabbricati; il secondo, ha per oggetto le aree occorrenti per l’attuazione dei programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica, a favore dei soggetti in possesso dei requisiti prescritti per conseguire le abitazioni costruite in esecuzione di tali programmi. Con le naturali conseguenze sul dimensionamento dei due strumenti stabilito dal legislatore. Il p.e.e.p., infatti, deve essere commisurato ad una superficie compresa tra il 40% ed il 70% di quella necessaria a soddisfare il complessivo fabbisogno di edilizia abitativa per un decennio, oltre che alla superficie occorrente per l’esecuzione delle “opere e servizi complementari urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico” (art. 1 L. n. 167/1962 cit.). Il piano di zona post-sismico, di cui il ricordato art. 28 L. n. 219/1981 richiede soltanto che sia “redatto ai sensi della L. 18 aprile 1962 n. 167”, va invece “dimensionato sulla base del fabbisogno di aree urbanizzate per la realizzazione di edifici residenziali distrutti e non ricostruibili in sito”.


La natura di mezzo eccezionale disposto per fronteggiare una situazione straordinaria, anche in variante al piano urbanistico generale, fa del secondo uno strumento sostanzialmente diverso dal primo e, pertanto, con questo non fungibile ai fini della localizzazione di programmi di edilizia sovvenzionata, come operata con le deliberazioni impugnate.


La riprova, del resto, è nello stesso art. 2 della L.R. Campania 18 gennaio 1983 n. 15, in dichiarata applicazione della quale detti atti sono stati adottati. Questa disposizione, invero, consente l’individuazione di “aree occorrenti agli insediamenti di edilizia sovvenzionata” di cui alla L. 5 agosto 1978 n. 457 “in zone destinate ad edilizia economica e popolare ai sensi dello strumento urbanistico vigente o adottato a norma della legge 18 aprile 1962 n. 167”, vale a dire nell’ambito di un vero e proprio p.e.e.p..


Al contrario, nella specie, con le deliberazioni impugnate il Comune, sul presupposto del riconosciuto e dichiarato sovradimensionamento del piano post-sismico, provvede ad apportarvi la variante, erroneamente qualificata “interna”, consistente nella riduzione dell’estensione destinata ai fini tipici del piano e nel mutamento della destinazione delle aree risultanti in esubero, tra cui quelle di proprietà della ricorrente originaria.


Si aggiunga che l’art. 5 della citata legge regionale attribuisce ai provvedimenti di individuazione delle aree, da essa contemplati, efficacia di “dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere”. Onde, nel caso in esame, è da riscontrare l’ulteriore effetto della rinnovazione di un vincolo di destinazione pubblica coercibile mediante espropriazione sui suoli che la stessa Amministrazione ha riconosciuto non più necessari alla realizzazione delle finalità del piano in cui erano ricompresi.


Siamo di fronte, quindi, ad atti dotati di nuova ed autonoma portata lesiva degli interessi della ricorrente di primo grado e, come tali, autonomamente impugnabili.


I motivi di censura in esame vanno, pertanto, respinti.


Il Comune ricorrente si duole, con il secondo mezzo, della non rilevata tardività del ricorso n. 5027/1992 avverso le deliberazioni n. 79 e n. 80. L’atto introduttivo del giudizio, si fa rilevare, è stato notificato il 18 maggio 1992, mentre le deliberazioni indicate sono state pubblicate per quindici giorni dal 27 dicembre 1991 al giorno 11 gennaio 1992 ed hanno ottenuto il visto dell'organo regionale di controllo il 16 gennaio 1992, onde il termine ultimo per l'impugnazione scadeva il 14 marzo 1992. Di tali date, ad avviso dell’appellante, bisognava tenere conto ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione per la sig.ra Tedeschi, posto che questa non era intestataria catastale dei terreni e, non essendo prevista la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di cui all'art. 8 comma 5 L. n. 167/1962 (non essendovi stata variante al p.r.g. vigente), il termine per ricorrere decorreva, nella specie, dalla pubblicazione degli atti nell'albo pretorio o dal visto dell'organo tutorio.


Anche questa censura va disattesa.


Che l’appellata fosse intestataria catastale risulta, infatti, dal successivo decreto di occupazione d’urgenza n. 2 del 17 marzo 1992, nel quale detta qualità è espressamente riconosciuta. Ad essa, quindi, le deliberazioni impugnate andavano comunque notificate direttamente, quanto meno in considerazione degli effetti vincolativi che in suo danno ne derivavano. Nella specie, pertanto, il termine per ricorrere decorreva dalla ricevuta notificazione individuale.


Neppure può condividersi l’ulteriore eccezione d’inammissibilità dell’originario ricorso per omessa notificazione all’I.A.C.P. quale controinteressato, enunciata nel terzo motivo d’appello, atteso che con la menzionata deliberazione n. 79 del 1991 non si opera ancora l’assegnazione delle aree in questione in favore dell’Istituto, ma soltanto il loro mutamento di destinazione, con gli effetti di cui si è già detto.


Sostiene, ancora, il Comune ricorrente, nel quinto mezzo di censura, che il giudice di primo grado ha errato nel ritenere fondata la censura di violazione degli artt. da 2 a 6 della L. n. 167/1962. Queste disposizioni e l'ordinaria procedura di formazione del p.e.e.p. non potevano trovare nuovamente applicazione, dato che l'area interessata era già compresa nel piano di zona del 1989 "redatto ai sensi della L. 18 aprile 1962, n. 167" e le deliberazioni n. 79 e n. 80 del 1991 non costituivano variante rispetto a questo, sancendo soltanto una differente ripartizione dei suoli all’interno del piano, non incidendo sul dimensionamento globale delle aree vincolate e non comportando modifiche al perimetro. Pertanto, non era necessario, secondo l’appellante, seguire la procedura prevista per l'adozione dei piani per l’edilizia economica e popolare.


La sentenza gravata, inoltre, avrebbe errato ad escludere l'utilizzazione ai fini dell'edilizia residenziale pubblica dei suoli compresi nello strumento qualificato piano di zona ai sensi dell'art. 28 L. n. 219/1981. L'art. 34 comma 3 lett. a) del D.P.R. 30 marzo 1990, n. 76, afferma il Comune ricorrente, ha precisato che il piano di zona che i Comuni terremotati sono obbligati ad adottare o confermare è “dimensionato anche" - e non dunque esclusivamente - "sulla base del fabbisogno di aree urbanizzate per la realizzazione di edifici residenziali distrutti e non ricostruibili in sito". Le aree comprese in quel piano di zona, pertanto, ben possono essere utilizzate anche per fini residenziali diversi dalla ricostruzione.


Entrambi i profili di censura riferiti non hanno pregio.


Il piano di zona, poi modificato con le ripetute deliberazioni n. 79 e n. 80 del 1991, risulta adottato con provvedimento consiliare 11 aprile 1988 n 160 ed approvato con decreto 3 agosto 1989 e, dunque, quando ancora non era stata introdotta la novella normativa invocata dall’appellante. Deve presumersi, in conseguenza, che il Comune lo abbia dimensionato, come prescriveva la disciplina all’epoca vigente, alle sole esigenze ricostruttive. Né viene data prova del contrario.


In conclusione, quanto alle censure concernenti la parte della sentenza impugnata attinente al ricorso di primo grado (n. 5027/1992) volto all’annullamento delle deliberazioni n. 79 e n. 80 del 1991, l’appello va respinto.


Confermata in tal modo l’illegittimità delle ora dette deliberazioni, si sottrae ad ogni rilievo anche la parte della sentenza di primo grado nella quale è sancita l’illegittimità in via derivata dei decreti di occupazione d’urgenza e di espropriazione definitiva, i quali hanno come loro unico presupposto quelle deliberazioni e la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza ad esse conseguente.


L’appello va, pertanto, respinto nella sua interezza.


Spese e competenze del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe.


Condanna il Comune di Quadrelle al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nella misura di € 4000,00 (quattromila/00) in favore dell'appellata Tedeschi.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio del 1° luglio 2003 con l'intervento dei Signori:
Emidio Frascione - Presidente
Corrado Allegretta - Consigliere rel. est.
Goffredo Zaccardi - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Aniello Cerreto - Consigliere



L’ESTENSORE                        IL PRESIDENTE                       IL SEGRETARIO                      IL DIRIGENTE
F.to Corrado Allegretta             F.to Emidio Frascione                F.to Antonietta Fancello            F.to Antonio Natale


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20 Gennaio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Urbanistica e edilizia - Piano di zona post-sismico - Piano per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.) - Differenze - Dimensionamento dei due strumenti - Programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica - L. n. 167/1962 - Opere e servizi complementari urbani e sociali, aree a verde pubblico - Variante al piano urbanistico generale - Mezzo eccezionale. Il piano di cui all'art. 28 L. 14 maggio 1981 n. 219, nel testo anteriore a quello introdotto dall’art. 34 comma 3 lett. a) del D.P.R. 30 marzo 1990 n. 76, pur denominato “piano di zona”, si distingue dal piano per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.) disciplinato dalla menzionata L. 167 del 1962 e dalla successiva L. 22 ottobre 1971 n. 865. Per accennare alle differenze più salienti, basta considerare che il primo è volto all’acquisizione dei suoli indispensabili per la ricostruzione dei fabbricati residenziali danneggiati dal sisma e non ricostruibili in sito, a beneficio, quindi, dei privati proprietari di quei fabbricati; il secondo, ha per oggetto le aree occorrenti per l’attuazione dei programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica, a favore dei soggetti in possesso dei requisiti prescritti per conseguire le abitazioni costruite in esecuzione di tali programmi. Con le naturali conseguenze sul dimensionamento dei due strumenti stabilito dal legislatore. Il p.e.e.p., infatti, deve essere commisurato ad una superficie compresa tra il 40% ed il 70% di quella necessaria a soddisfare il complessivo fabbisogno di edilizia abitativa per un decennio, oltre che alla superficie occorrente per l’esecuzione delle “opere e servizi complementari urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico” (art. 1 L. n. 167/1962 cit.). Il piano di zona post-sismico, di cui il ricordato art. 28 L. n. 219/1981 richiede soltanto che sia “redatto ai sensi della L. 18 aprile 1962 n. 167”, va invece “dimensionato sulla base del fabbisogno di aree urbanizzate per la realizzazione di edifici residenziali distrutti e non ricostruibili in sito”. La natura di mezzo eccezionale disposto per fronteggiare una situazione straordinaria, anche in variante al piano urbanistico generale, fa del secondo uno strumento sostanzialmente diverso dal primo e, pertanto, con questo non fungibile ai fini della localizzazione di programmi di edilizia sovvenzionata, come operata con le deliberazioni impugnate. Pres. Frascione - Est. Allegretta - COMUNE di QUADRELLE (avv. De Beaumont) - c. Tedeschi (avv.ti Barra e Scoca) - (Conferma Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quinta sentenza n. 3732 in data 25 giugno 2002) Consiglio di Stato, sezione V, 20 gennaio 2004, sentenza n. 153

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