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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002 ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10648 del 2002 proposto dal COMUNE di QUADRELLE,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall’avv. Francesco De Beaumont, presso il quale è elettivamente domiciliato in
Roma, Via Baccarini, n. 32,
contro
Maria Tedeschi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Barra e prof. Franco
Gaetano Scoca ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Paisiello n. 55, presso
lo studio del secondo,
per l'annullamento
della sentenza n. 3732 in data 25 giugno 2002 pronunciata tra le parti dal
Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quinta;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellata Tedeschi;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 109 del 14 gennaio 2003, con la quale è stata accolta la
domanda di sospensione della sentenza appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il cons. Corrado Allegretta;
Uditi alla pubblica udienza del 1 luglio 2003 l’avv. De Beaumont e, su delega
dell’avv. Scoca, l’avv. Colagrande;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
L’appellata, quale proprietaria di aree comprese nel piano di zona adottato ai
sensi dell’art. 28 della L. 14 maggio 1981 n. 219 per la ricostruzione delle
abitazioni già distrutte dal terremoto e non ricostruibili in sito, impugnava
con ricorso n. 5027/1992 le deliberazioni del 16.12.1991 nn. 79 e 80 con le
quali il Comune aveva stabilito di destinare alcuni di quei suoli alla
realizzazione di alloggi da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari e delle
cooperative edilizie; con ricorso n. 5025/1992 il decreto sindacale 17.3.1992 n.
2 di occupazione d'urgenza delle aree e con ricorso n. 8462/1995 il decreto di
espropriazione definitiva 23.5.1995 n. 1988.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quinta,
ha accolto i tre ricorsi con la sentenza meglio indicata in epigrafe, che il
Comune di Quadrelle appella, chiedendone l’annullamento, con ogni conseguenza di
legge e vittoria di spese e competenze di causa.
Si è costituita in giudizio la Tedeschi, la quale ha controdedotto al gravame,
concludendo per la sua reiezione perché infondato; con ogni conseguente
determinazione anche in ordine a spese e competenze di giudizio.
Accolta la domanda di sospensione della sentenza appellata con ordinanza n. 109
del 14 gennaio 2003, la causa è stata trattata all’udienza pubblica del 1 luglio
2003, nella quale, sentiti i difensori presenti, il Collegio si è riservata la
decisione.
DIRITTO
Per la migliore comprensione della controversia, occorre premettere alcuni cenni
in fatto.
Il Comune di Quadrelle, avendo constatato il sovradimensionamento del piano di
zona per la ricostruzione degli edifici distrutti dal terremoto del 1980 e non
ricostruibili in sito di cui all'art. 28 L. 14 maggio 1981 n. 219, adottato con
deliberazione consiliare 11 aprile 1988 n 160 ed approvato con D.P.G.R. 3 agosto
1989, stabiliva di destinare alla realizzazione di alloggi da parte
dell’Istituto Autonomo Case Popolari e delle cooperative edilizie alcune delle
aree comprese nel piano.
A tanto provvedeva con le deliberazioni consiliari del 16 dicembre 1991 nn. 79 e
80 e, sulla base di queste, disponeva l’occupazione d'urgenza di suoli di
proprietà dell’appellata con il decreto sindacale 17 marzo 1992 n. 2, dei quali
pronunciava, poi, l’espropriazione definitiva con il decreto sindacale n. 1988
del 23 maggio 1995. Avverso questi atti l’interessata ha proposto i tre ricorsi
accolti con la sentenza oggetto dell’appello in esame.
L’appello è infondato.
Con il primo ed il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, il
Comune appellante sostiene che il ricorso (n. 5027/92), proposto contro le
citate deliberazioni nn. 79 e 80 del 1991, avrebbe dovuto essere dichiarato
inammissibile per mancata impugnazione del presupposto piano di zona, in cui le
aree di cui si tratta erano già comprese.
L’assunto non può essere condiviso.
Il piano di cui all'art. 28 L. 14 maggio 1981 n. 219, nel testo anteriore a
quello introdotto dall’art. 34 comma 3 lett. a) del D.P.R. 30 marzo 1990 n. 76,
pur denominato “piano di zona”, si distingue dal piano per l’edilizia economica
e popolare (p.e.e.p.) disciplinato dalla menzionata L. 167 del 1962 e dalla
successiva L. 22 ottobre 1971 n. 865.
Per accennare alle differenze più salienti, basta considerare che il primo è
volto all’acquisizione dei suoli indispensabili per la ricostruzione dei
fabbricati residenziali danneggiati dal sisma e non ricostruibili in sito, a
beneficio, quindi, dei privati proprietari di quei fabbricati; il secondo, ha
per oggetto le aree occorrenti per l’attuazione dei programmi costruttivi di
edilizia residenziale pubblica, a favore dei soggetti in possesso dei requisiti
prescritti per conseguire le abitazioni costruite in esecuzione di tali
programmi. Con le naturali conseguenze sul dimensionamento dei due strumenti
stabilito dal legislatore. Il p.e.e.p., infatti, deve essere commisurato ad una
superficie compresa tra il 40% ed il 70% di quella necessaria a soddisfare il
complessivo fabbisogno di edilizia abitativa per un decennio, oltre che alla
superficie occorrente per l’esecuzione delle “opere e servizi complementari
urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico” (art. 1 L. n. 167/1962
cit.). Il piano di zona post-sismico, di cui il ricordato art. 28 L. n. 219/1981
richiede soltanto che sia “redatto ai sensi della L. 18 aprile 1962 n. 167”, va
invece “dimensionato sulla base del fabbisogno di aree urbanizzate per la
realizzazione di edifici residenziali distrutti e non ricostruibili in sito”.
La natura di mezzo eccezionale disposto per fronteggiare una situazione
straordinaria, anche in variante al piano urbanistico generale, fa del secondo
uno strumento sostanzialmente diverso dal primo e, pertanto, con questo non
fungibile ai fini della localizzazione di programmi di edilizia sovvenzionata,
come operata con le deliberazioni impugnate.
La riprova, del resto, è nello stesso art. 2 della L.R. Campania 18 gennaio 1983
n. 15, in dichiarata applicazione della quale detti atti sono stati adottati.
Questa disposizione, invero, consente l’individuazione di “aree occorrenti agli
insediamenti di edilizia sovvenzionata” di cui alla L. 5 agosto 1978 n. 457 “in
zone destinate ad edilizia economica e popolare ai sensi dello strumento
urbanistico vigente o adottato a norma della legge 18 aprile 1962 n. 167”, vale
a dire nell’ambito di un vero e proprio p.e.e.p..
Al contrario, nella specie, con le deliberazioni impugnate il Comune, sul
presupposto del riconosciuto e dichiarato sovradimensionamento del piano
post-sismico, provvede ad apportarvi la variante, erroneamente qualificata
“interna”, consistente nella riduzione dell’estensione destinata ai fini tipici
del piano e nel mutamento della destinazione delle aree risultanti in esubero,
tra cui quelle di proprietà della ricorrente originaria.
Si aggiunga che l’art. 5 della citata legge regionale attribuisce ai
provvedimenti di individuazione delle aree, da essa contemplati, efficacia di
“dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere”.
Onde, nel caso in esame, è da riscontrare l’ulteriore effetto della rinnovazione
di un vincolo di destinazione pubblica coercibile mediante espropriazione sui
suoli che la stessa Amministrazione ha riconosciuto non più necessari alla
realizzazione delle finalità del piano in cui erano ricompresi.
Siamo di fronte, quindi, ad atti dotati di nuova ed autonoma portata lesiva
degli interessi della ricorrente di primo grado e, come tali, autonomamente
impugnabili.
I motivi di censura in esame vanno, pertanto, respinti.
Il Comune ricorrente si duole, con il secondo mezzo, della non rilevata
tardività del ricorso n. 5027/1992 avverso le deliberazioni n. 79 e n. 80.
L’atto introduttivo del giudizio, si fa rilevare, è stato notificato il 18
maggio 1992, mentre le deliberazioni indicate sono state pubblicate per quindici
giorni dal 27 dicembre 1991 al giorno 11 gennaio 1992 ed hanno ottenuto il visto
dell'organo regionale di controllo il 16 gennaio 1992, onde il termine ultimo
per l'impugnazione scadeva il 14 marzo 1992. Di tali date, ad avviso
dell’appellante, bisognava tenere conto ai fini della decorrenza del termine
d’impugnazione per la sig.ra Tedeschi, posto che questa non era intestataria
catastale dei terreni e, non essendo prevista la pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale di cui all'art. 8 comma 5 L. n. 167/1962 (non essendovi stata variante
al p.r.g. vigente), il termine per ricorrere decorreva, nella specie, dalla
pubblicazione degli atti nell'albo pretorio o dal visto dell'organo tutorio.
Anche questa censura va disattesa.
Che l’appellata fosse intestataria catastale risulta, infatti, dal successivo
decreto di occupazione d’urgenza n. 2 del 17 marzo 1992, nel quale detta qualità
è espressamente riconosciuta. Ad essa, quindi, le deliberazioni impugnate
andavano comunque notificate direttamente, quanto meno in considerazione degli
effetti vincolativi che in suo danno ne derivavano. Nella specie, pertanto, il
termine per ricorrere decorreva dalla ricevuta notificazione individuale.
Neppure può condividersi l’ulteriore eccezione d’inammissibilità dell’originario
ricorso per omessa notificazione all’I.A.C.P. quale controinteressato, enunciata
nel terzo motivo d’appello, atteso che con la menzionata deliberazione n. 79 del
1991 non si opera ancora l’assegnazione delle aree in questione in favore
dell’Istituto, ma soltanto il loro mutamento di destinazione, con gli effetti di
cui si è già detto.
Sostiene, ancora, il Comune ricorrente, nel quinto mezzo di censura, che il
giudice di primo grado ha errato nel ritenere fondata la censura di violazione
degli artt. da 2 a 6 della L. n. 167/1962. Queste disposizioni e l'ordinaria
procedura di formazione del p.e.e.p. non potevano trovare nuovamente
applicazione, dato che l'area interessata era già compresa nel piano di zona del
1989 "redatto ai sensi della L. 18 aprile 1962, n. 167" e le deliberazioni n. 79
e n. 80 del 1991 non costituivano variante rispetto a questo, sancendo soltanto
una differente ripartizione dei suoli all’interno del piano, non incidendo sul
dimensionamento globale delle aree vincolate e non comportando modifiche al
perimetro. Pertanto, non era necessario, secondo l’appellante, seguire la
procedura prevista per l'adozione dei piani per l’edilizia economica e popolare.
La sentenza gravata, inoltre, avrebbe errato ad escludere l'utilizzazione ai
fini dell'edilizia residenziale pubblica dei suoli compresi nello strumento
qualificato piano di zona ai sensi dell'art. 28 L. n. 219/1981. L'art. 34 comma
3 lett. a) del D.P.R. 30 marzo 1990, n. 76, afferma il Comune ricorrente, ha
precisato che il piano di zona che i Comuni terremotati sono obbligati ad
adottare o confermare è “dimensionato anche" - e non dunque esclusivamente -
"sulla base del fabbisogno di aree urbanizzate per la realizzazione di edifici
residenziali distrutti e non ricostruibili in sito". Le aree comprese in quel
piano di zona, pertanto, ben possono essere utilizzate anche per fini
residenziali diversi dalla ricostruzione.
Entrambi i profili di censura riferiti non hanno pregio.
Il piano di zona, poi modificato con le ripetute deliberazioni n. 79 e n. 80 del
1991, risulta adottato con provvedimento consiliare 11 aprile 1988 n 160 ed
approvato con decreto 3 agosto 1989 e, dunque, quando ancora non era stata
introdotta la novella normativa invocata dall’appellante. Deve presumersi, in
conseguenza, che il Comune lo abbia dimensionato, come prescriveva la disciplina
all’epoca vigente, alle sole esigenze ricostruttive. Né viene data prova del
contrario.
In conclusione, quanto alle censure concernenti la parte della sentenza
impugnata attinente al ricorso di primo grado (n. 5027/1992) volto
all’annullamento delle deliberazioni n. 79 e n. 80 del 1991, l’appello va
respinto.
Confermata in tal modo l’illegittimità delle ora dette deliberazioni, si sottrae
ad ogni rilievo anche la parte della sentenza di primo grado nella quale è
sancita l’illegittimità in via derivata dei decreti di occupazione d’urgenza e
di espropriazione definitiva, i quali hanno come loro unico presupposto quelle
deliberazioni e la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza
ad esse conseguente.
L’appello va, pertanto, respinto nella sua interezza.
Spese e competenze del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge
l’appello in epigrafe.
Condanna il Comune di Quadrelle al pagamento delle spese del presente grado di
giudizio nella misura di € 4000,00 (quattromila/00) in favore dell'appellata
Tedeschi.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, nella camera di consiglio del 1° luglio 2003 con l'intervento dei
Signori:
Emidio Frascione - Presidente
Corrado Allegretta - Consigliere rel. est.
Goffredo Zaccardi - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Aniello Cerreto - Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
F.to Corrado Allegretta
F.to Emidio Frascione
F.to Antonietta Fancello
F.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20 Gennaio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Urbanistica e edilizia - Piano di zona post-sismico - Piano per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.) - Differenze - Dimensionamento dei due strumenti - Programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica - L. n. 167/1962 - Opere e servizi complementari urbani e sociali, aree a verde pubblico - Variante al piano urbanistico generale - Mezzo eccezionale. Il piano di cui all'art. 28 L. 14 maggio 1981 n. 219, nel testo anteriore a quello introdotto dall’art. 34 comma 3 lett. a) del D.P.R. 30 marzo 1990 n. 76, pur denominato “piano di zona”, si distingue dal piano per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.) disciplinato dalla menzionata L. 167 del 1962 e dalla successiva L. 22 ottobre 1971 n. 865. Per accennare alle differenze più salienti, basta considerare che il primo è volto all’acquisizione dei suoli indispensabili per la ricostruzione dei fabbricati residenziali danneggiati dal sisma e non ricostruibili in sito, a beneficio, quindi, dei privati proprietari di quei fabbricati; il secondo, ha per oggetto le aree occorrenti per l’attuazione dei programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica, a favore dei soggetti in possesso dei requisiti prescritti per conseguire le abitazioni costruite in esecuzione di tali programmi. Con le naturali conseguenze sul dimensionamento dei due strumenti stabilito dal legislatore. Il p.e.e.p., infatti, deve essere commisurato ad una superficie compresa tra il 40% ed il 70% di quella necessaria a soddisfare il complessivo fabbisogno di edilizia abitativa per un decennio, oltre che alla superficie occorrente per l’esecuzione delle “opere e servizi complementari urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico” (art. 1 L. n. 167/1962 cit.). Il piano di zona post-sismico, di cui il ricordato art. 28 L. n. 219/1981 richiede soltanto che sia “redatto ai sensi della L. 18 aprile 1962 n. 167”, va invece “dimensionato sulla base del fabbisogno di aree urbanizzate per la realizzazione di edifici residenziali distrutti e non ricostruibili in sito”. La natura di mezzo eccezionale disposto per fronteggiare una situazione straordinaria, anche in variante al piano urbanistico generale, fa del secondo uno strumento sostanzialmente diverso dal primo e, pertanto, con questo non fungibile ai fini della localizzazione di programmi di edilizia sovvenzionata, come operata con le deliberazioni impugnate. Pres. Frascione - Est. Allegretta - COMUNE di QUADRELLE (avv. De Beaumont) - c. Tedeschi (avv.ti Barra e Scoca) - (Conferma Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Quinta sentenza n. 3732 in data 25 giugno 2002) Consiglio di Stato, sezione V, 20 gennaio 2004, sentenza n. 153
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