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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 23 gennaio 2004, n. 174

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 1996 ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello proposto dai signori Sante SCATTO e Maria BORTOLATO, residenti in Venezia-Chirignago, difesi dagli avvocati Franco Zambelli e Luigi Manzi domiciliati presso il secondo in Roma, via Federico Confalonieri 5;
contro
dal comune di VENEZIA, costituitosi in giudizio in persona del sindaco, professor Massimo Cacciari, difeso dagli avvocati Giulio Gidoni, M.M. Morino e Nicolò Paoletti e domiciliato presso il terzo in Roma, via Barnaba Tortolini 34;
per l’annullamento
della sentenza 13 ottobre 1995 n. 1192, notificata il 25 novembre 1995, con la quale il tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, ha respinto il ricorso contro la determinazione degli oneri urbanistici quantificati nella concessione edilizia 17 dicembre 1992 n. 91/75349, rilasciata agli attuali appellanti dal comune di Venezia.
Visto il ricorso in appello, notificato il 24 e depositato il 31 gennaio 1996;
visto il controricorso del comune di Venezia, depositato il 23 febbraio 1996;
viste le memorie difensive presentate, dagli appellanti il 6 giugno 2002 e l’8 novembre 2003 e dall’amministrazione resistente il 4 marzo 1996;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, all’udienza del 25 novembre 2003, il consigliere Raffaele Carboni, e uditi altresì gli avvocati Manzi e Paoletti;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO


I signori Scatto e Bortolato sono stati espropriati dalla società delle autostrade di Venezia e Padova della loro casa d’abitazione in Venezia-Chirignago, che poi è stata demolita per allargare la sede autostradale. Con la concessione edilizia sopra indicata essi sono stati autorizzati a costruire un’altra casa d’abitazione in zona classificata come agricola dal piano regolatore comunale. Nell’atto di concessione sono stati quantificati i relativi oneri in complessive lire 29.607.177, di cui lire 14.294.575 per oneri di urbanizzazione primaria, 9.306.202 per oneri di urbanizzazione secondaria e 7.006.400 per contributo commisurato al costo di costruzione.


I predetti signori con ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Veneto notificato il 19 gennaio 1993 hanno negato che fossero dovuti oneri di concessione. Con il primo motivo hanno sostenuto che l’imposizione violava gli articoli 7 della legge regionale del Veneto 5 marzo 1985 n. 24 sulla tutela ed edificabilità delle zone agricole («Nel caso di esproprio di un edificio per la realizzazione o ampliamento di strade e per la realizzazione di opere pubbliche in genere, e nei casi di demolizione e ricostruzione è consentita la ricostruzione con il mantenimento delle destinazioni d’uso, nei limiti di cui al primo comma dell’art. 4, in area agricola adiacente anche inferiore alla superficie minima di cui all’art. 2») e 27, comma quindicesimo, della legge regionale 27 giugno 1985 n. 61, contenente norme per l’assetto e l’uso del territorio («Nel caso di esproprio di edificio per la realizzazione di strade o loro ampliamenti e di opere pubbliche in genere, e nei casi di demolizione e ricostruzione per inderogabili motivi statici o di tutela della pubblica incolumità, può essere consentita la ricostruzione di egual volume in area adiacente, purché non destinata a spazi pubblici, anche inferiore alla superficie minima di legge»), perché tali disposizioni, secondo i ricorrenti, implicano la gratuità della concessione per la ricostruzione. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’articolo 9 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, in relazione ai casi di gratuità previsti dagli alinea “d”, “e” e “g”, e con il terzo motivo hanno dedotto il difetto di motivazione, stante anche l’entità notevole della somma in relazione al modestia del volume.


Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso osservando preliminarmente che la procedura espropriativa non si era conclusa con un decreto d’espropriazione, bensì con un accordo di cessione bonaria, e che la nuova casa non era in Chirignago, bensì della diversa località denominata Zelarino; e statuendo poi che le norme di legge regionale invocate si limitano a consentire la concessione edilizia, mentre le norme sull’esenzione dal contributo, che non prevedono il caso in esame, sono tassative e non estensibili.


Appellano i signori Scatto e Bortolato i quali con il primo motivo d’appello censurano come non rilevanti le affermazioni preliminari della motivazione, che essi ritengono non conferenti, dal momento che la concessione è stata rilasciata in applicazione delle norme di legge regionale di cui si è detto. Secondo gli appellanti l’accordo di cessione bonaria conclude pur sempre il procedimento d’espropriazione, e quanto alla “adiacenza”, di cui alle disposizioni, esso va inteso in relazione alle concrete disponibilità di terreno; tra l’altro gli appellanti, che non sono imprenditori agricoli, mai avrebbero potuto edificare in zona agricola se non in sostituzione della casa espropriata. Con altri tre motivi gli appellanti ripropongono, in sostanza, i primi due motivi del ricorso di primo grado, censurando la motivazione di rigetto, e con il quinto motivo si dolgono della condanna alle spese di giudizio.


L’amministrazione comunale si è costituita eccependo la novità e inammissibilità del terzo motivo d’appello (con il quale gli appellanti fanno presente che la ricostruzione non apporta nuovo carico urbanistico al territorio), producendo una mappa a sostegno del fatto che la nuova abitazione è distante dalla precedente, e negando la ricorrenza delle ipotesi di esenzione di cui all’articolo 9 della legge n. 10 del 1977.


Nella memoria del 6 giugno 2002 gli appellanti hanno rappresentato, in punto di fatto, che l’impegno al rilascio della concessione edilizia faceva parte delle trattative con l’amministrazione civica che hanno portato alla cessione bonaria, e che il volume della nuova casa è inferiore a quello della casa demolita (800 mc contro 1100 mc). L’amministrazione resistente, nella memoria del 6 novembre, ribadisce che la nuova casa non è nelle vicinanze della precedente, e sostiene che, con ciò, vien meno la tesi che la riedificazione della casa non abbia aumentato il carico urbanistico.


DIRITTO


Il Collegio è chiamato a stabilire se la concessione edilizia, rilasciata per costruire, nel territorio del medesimo comune, una casa d’abitazione in sostituzione di una casa di cui il concessionario è stato espropriato e che à stata demolita, sia soggetta agli oneri urbanistici previsti dalla legge 28 gennaio 1977 n. 28 sull’edificazione dei suoli. Al riguardo il Collegio conviene con gli appellanti che non ha nessuna importanza il fatto che la procedura espropriativa si sia conclusa con decreto d’espropriazione o, come nel caso in esame, con accordo per cessione bonaria, e aggiunge che, quando si ritenga che la concessione debba essere gratuita, non sarebbe ragionevole subordinare la gratuità al fatto che l’espropriando abbia rifiutato la definizione consensuale della procedura espropriativa. Non ha neppure importanza che la nuova casa fosse su terreno “adiacente” alla vecchia abitazione, come prevedono le disposizioni di legge regionale che autorizzano la nuova costruzione anche in deroga alle destinazioni di zona, nè come si debba interpretare il requisito dell’adiacenza: non è contestato, ed anzi è implicitamente ammesso dal comune che la concessione è stata rilasciata per costruire una casa d’abitazione in sostituzione di quella espropriata e demolita (conformemente, dicono gli appellanti non smentiti, all’impegno assunto dal comune durante le trattative per la cessione bonaria), per di più in zona agricola dove gli appellanti non avrebbero potuto costruire se non in virtù delle disposizioni di legge regionale relative al caso d’espropriazione di edifici; e perciò la circostanza della maggiore o minore vicinanza al precedente luogo d’abitazione attiene, semmai, alla legittimità della concessione - che nessuno ha impugnato - e non ha attinenza, invece, con la questione se la concessione debba essere onerosa o gratuita. Infine, per sgombrare il campo dalle questioni esulanti dal quesito principale, è infondata l’eccezione d’inammissibilità e novità del terzo motivo d’appello, che contiene semplicemente un’illustrazione ulteriore della tesi della gratuità sostenuta dagli appellanti.


Venendo alla questione principale, la legge 28 gennaio 1977 n. 28 sull’edificabilità dei suoli, dopo avere all’articolo 1 enunciato la regola che «Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi» (agli oneri, s’intende, che le nuove costruzioni fanno gravare sulla collettività), e avere istituito all’articolo 3 il contributo per la concessione edilizia, commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione e meglio specificato poi negli articoli 5 e 6, nell’articolo 9 elenca i casi di concessione gratuita. Alcuni dei casi di gratuità, come gli interventi di restauro, manutenzione, risanamento conservativo, le ristrutturazioni senza nuovi volumi, le opere interne e gli ampliamenti di modesta entità, sono espressione di un principio, ricavabile del resto già dall’articolo 1 e costituente l’applicazione inversa della regola ivi enunciata, della gratuità della concessione per opere che non comportino nessun nuovo carico urbanistico per il comune. Questo Consiglio ha già fatto applicazione del principio in sede consultiva con il parere n. 240 del 31 marzo 1982 della seconda sezione, ritenendo applicabile l’esenzione di cui all’alinea “g”, relativo alle opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità al caso, non espressamente previsto, della ricostruzione delle case distrutte; sul rilievo appunto che l’onerosità della concessione trova la sua ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa, con vantaggio del concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia distrutto. Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un’opera pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso comune.


L’appello, in conclusione, è fondato e va accolto. Le spese di giudizio vengono liquidate in € 1500 per ciascuno dei due gradi. In considerazione della novità della questione, il Collegio ritiene però equo compensarle per la metà.


Per questi motivi


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, accoglie l’appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara non dovuti gli oneri urbanistici sulla concessione edilizia 17 dicembre 1992 n. 91/75349. Liquida le spese di giudizio in tremila euro e le compensa fra le parti per metà, e di conseguenza condanna il comune di Venezia al pagamento di millecinquecento euro a favore solidale degli appellanti.


Ordina al comune di Venezia di dare esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma il 25 novembre 2003 dal collegio costituito dai signori:
Emidio Frascione presidente
Raffaele Carboni componente, estensore
Corrado Allegretta componente
Paolo Buonvino componente
Goffredo Zaccardi componente



L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE                            IL SEGRETARIO                              IL DIRIGENTE
f.to Raffaele Carboni              f.to Emidio Frascione                      f.to Gaetano Navarra                         f.to Antonio Natale

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23 gennaio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Urbanistica e edilizia – Ricostruzione di case distrutte a seguito di espropriazione per la realizzazione di un’opera pubblica – Applicazione analogica della lettera g) dell’art. 9 L. 28/1977 (opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità) – Oneri concessori – Non sono dovuti. L’esenzione dagli oneri di urbanizzazione, di cui all’alinea “g”, dell’art. 9 , L. 28 gennaio 1977 n. 28, relativo alle opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità, deve ritenersi applicabile al caso della ricostruzione delle case distrutte; sul rilievo che l’onerosità della concessione trova la sua ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa, con vantaggio del concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia distrutto. Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un’opera pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso comune. Pres. Frascioni, Est.Carbone – Scatto e altro (Avv.ti Zimbelli e Manzi) c. Comune di Venezia (Avv.ti Gidoni, Marino e Paoletti) - (Riforma T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 ottobre 1995, n.1192) CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 23 gennaio 2004, n. 174

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