Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 1996 ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto dai signori Sante SCATTO e Maria
BORTOLATO, residenti in Venezia-Chirignago, difesi dagli avvocati Franco
Zambelli e Luigi Manzi domiciliati presso il secondo in Roma, via Federico
Confalonieri 5;
contro
dal comune di VENEZIA, costituitosi in giudizio in persona del sindaco,
professor Massimo Cacciari, difeso dagli avvocati Giulio Gidoni, M.M. Morino e
Nicolò Paoletti e domiciliato presso il terzo in Roma, via Barnaba Tortolini 34;
per l’annullamento
della sentenza 13 ottobre 1995 n. 1192, notificata il 25 novembre 1995, con la
quale il tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, ha
respinto il ricorso contro la determinazione degli oneri urbanistici
quantificati nella concessione edilizia 17 dicembre 1992 n. 91/75349, rilasciata
agli attuali appellanti dal comune di Venezia.
Visto il ricorso in appello, notificato il 24 e depositato il 31 gennaio 1996;
visto il controricorso del comune di Venezia, depositato il 23 febbraio 1996;
viste le memorie difensive presentate, dagli appellanti il 6 giugno 2002 e l’8
novembre 2003 e dall’amministrazione resistente il 4 marzo 1996;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, all’udienza del 25 novembre 2003, il consigliere Raffaele Carboni, e
uditi altresì gli avvocati Manzi e Paoletti;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
I signori Scatto e Bortolato sono stati espropriati dalla società delle
autostrade di Venezia e Padova della loro casa d’abitazione in
Venezia-Chirignago, che poi è stata demolita per allargare la sede autostradale.
Con la concessione edilizia sopra indicata essi sono stati autorizzati a
costruire un’altra casa d’abitazione in zona classificata come agricola dal
piano regolatore comunale. Nell’atto di concessione sono stati quantificati i
relativi oneri in complessive lire 29.607.177, di cui lire 14.294.575 per oneri
di urbanizzazione primaria, 9.306.202 per oneri di urbanizzazione secondaria e
7.006.400 per contributo commisurato al costo di costruzione.
I predetti signori con ricorso al tribunale amministrativo regionale per il
Veneto notificato il 19 gennaio 1993 hanno negato che fossero dovuti oneri di
concessione. Con il primo motivo hanno sostenuto che l’imposizione violava gli
articoli 7 della legge regionale del Veneto 5 marzo 1985 n. 24 sulla tutela ed
edificabilità delle zone agricole («Nel caso di esproprio di un edificio per la
realizzazione o ampliamento di strade e per la realizzazione di opere pubbliche
in genere, e nei casi di demolizione e ricostruzione è consentita la
ricostruzione con il mantenimento delle destinazioni d’uso, nei limiti di cui al
primo comma dell’art. 4, in area agricola adiacente anche inferiore alla
superficie minima di cui all’art. 2») e 27, comma quindicesimo, della legge
regionale 27 giugno 1985 n. 61, contenente norme per l’assetto e l’uso del
territorio («Nel caso di esproprio di edificio per la realizzazione di strade o
loro ampliamenti e di opere pubbliche in genere, e nei casi di demolizione e
ricostruzione per inderogabili motivi statici o di tutela della pubblica
incolumità, può essere consentita la ricostruzione di egual volume in area
adiacente, purché non destinata a spazi pubblici, anche inferiore alla
superficie minima di legge»), perché tali disposizioni, secondo i ricorrenti,
implicano la gratuità della concessione per la ricostruzione. Con il secondo
motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’articolo 9 della legge 28
gennaio 1977 n. 10, in relazione ai casi di gratuità previsti dagli alinea “d”,
“e” e “g”, e con il terzo motivo hanno dedotto il difetto di motivazione, stante
anche l’entità notevole della somma in relazione al modestia del volume.
Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha
respinto il ricorso osservando preliminarmente che la procedura espropriativa
non si era conclusa con un decreto d’espropriazione, bensì con un accordo di
cessione bonaria, e che la nuova casa non era in Chirignago, bensì della diversa
località denominata Zelarino; e statuendo poi che le norme di legge regionale
invocate si limitano a consentire la concessione edilizia, mentre le norme
sull’esenzione dal contributo, che non prevedono il caso in esame, sono
tassative e non estensibili.
Appellano i signori Scatto e Bortolato i quali con il primo motivo d’appello
censurano come non rilevanti le affermazioni preliminari della motivazione, che
essi ritengono non conferenti, dal momento che la concessione è stata rilasciata
in applicazione delle norme di legge regionale di cui si è detto. Secondo gli
appellanti l’accordo di cessione bonaria conclude pur sempre il procedimento
d’espropriazione, e quanto alla “adiacenza”, di cui alle disposizioni, esso va
inteso in relazione alle concrete disponibilità di terreno; tra l’altro gli
appellanti, che non sono imprenditori agricoli, mai avrebbero potuto edificare
in zona agricola se non in sostituzione della casa espropriata. Con altri tre
motivi gli appellanti ripropongono, in sostanza, i primi due motivi del ricorso
di primo grado, censurando la motivazione di rigetto, e con il quinto motivo si
dolgono della condanna alle spese di giudizio.
L’amministrazione comunale si è costituita eccependo la novità e inammissibilità
del terzo motivo d’appello (con il quale gli appellanti fanno presente che la
ricostruzione non apporta nuovo carico urbanistico al territorio), producendo
una mappa a sostegno del fatto che la nuova abitazione è distante dalla
precedente, e negando la ricorrenza delle ipotesi di esenzione di cui
all’articolo 9 della legge n. 10 del 1977.
Nella memoria del 6 giugno 2002 gli appellanti hanno rappresentato, in punto di
fatto, che l’impegno al rilascio della concessione edilizia faceva parte delle
trattative con l’amministrazione civica che hanno portato alla cessione bonaria,
e che il volume della nuova casa è inferiore a quello della casa demolita (800
mc contro 1100 mc). L’amministrazione resistente, nella memoria del 6 novembre,
ribadisce che la nuova casa non è nelle vicinanze della precedente, e sostiene
che, con ciò, vien meno la tesi che la riedificazione della casa non abbia
aumentato il carico urbanistico.
DIRITTO
Il Collegio è chiamato a stabilire se la concessione edilizia, rilasciata per
costruire, nel territorio del medesimo comune, una casa d’abitazione in
sostituzione di una casa di cui il concessionario è stato espropriato e che à
stata demolita, sia soggetta agli oneri urbanistici previsti dalla legge 28
gennaio 1977 n. 28 sull’edificazione dei suoli. Al riguardo il Collegio conviene
con gli appellanti che non ha nessuna importanza il fatto che la procedura
espropriativa si sia conclusa con decreto d’espropriazione o, come nel caso in
esame, con accordo per cessione bonaria, e aggiunge che, quando si ritenga che
la concessione debba essere gratuita, non sarebbe ragionevole subordinare la
gratuità al fatto che l’espropriando abbia rifiutato la definizione consensuale
della procedura espropriativa. Non ha neppure importanza che la nuova casa fosse
su terreno “adiacente” alla vecchia abitazione, come prevedono le disposizioni
di legge regionale che autorizzano la nuova costruzione anche in deroga alle
destinazioni di zona, nè come si debba interpretare il requisito dell’adiacenza:
non è contestato, ed anzi è implicitamente ammesso dal comune che la concessione
è stata rilasciata per costruire una casa d’abitazione in sostituzione di quella
espropriata e demolita (conformemente, dicono gli appellanti non smentiti,
all’impegno assunto dal comune durante le trattative per la cessione bonaria),
per di più in zona agricola dove gli appellanti non avrebbero potuto costruire
se non in virtù delle disposizioni di legge regionale relative al caso
d’espropriazione di edifici; e perciò la circostanza della maggiore o minore
vicinanza al precedente luogo d’abitazione attiene, semmai, alla legittimità
della concessione - che nessuno ha impugnato - e non ha attinenza, invece, con
la questione se la concessione debba essere onerosa o gratuita. Infine, per
sgombrare il campo dalle questioni esulanti dal quesito principale, è infondata
l’eccezione d’inammissibilità e novità del terzo motivo d’appello, che contiene
semplicemente un’illustrazione ulteriore della tesi della gratuità sostenuta
dagli appellanti.
Venendo alla questione principale, la legge 28 gennaio 1977 n. 28 sull’edificabilità
dei suoli, dopo avere all’articolo 1 enunciato la regola che «Ogni attività
comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale
partecipa agli oneri ad essa relativi» (agli oneri, s’intende, che le nuove
costruzioni fanno gravare sulla collettività), e avere istituito all’articolo 3
il contributo per la concessione edilizia, commisurato all’incidenza delle spese
di urbanizzazione nonché al costo di costruzione e meglio specificato poi negli
articoli 5 e 6, nell’articolo 9 elenca i casi di concessione gratuita. Alcuni
dei casi di gratuità, come gli interventi di restauro, manutenzione, risanamento
conservativo, le ristrutturazioni senza nuovi volumi, le opere interne e gli
ampliamenti di modesta entità, sono espressione di un principio, ricavabile del
resto già dall’articolo 1 e costituente l’applicazione inversa della regola ivi
enunciata, della gratuità della concessione per opere che non comportino nessun
nuovo carico urbanistico per il comune. Questo Consiglio ha già fatto
applicazione del principio in sede consultiva con il parere n. 240 del 31 marzo
1982 della seconda sezione, ritenendo applicabile l’esenzione di cui all’alinea
“g”, relativo alle opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità al caso,
non espressamente previsto, della ricostruzione delle case distrutte; sul
rilievo appunto che l’onerosità della concessione trova la sua ragion d’essere
come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa, con vantaggio del
concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale
presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia
distrutto. Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di costruzione in
sostituzione di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un’opera
pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello
stesso comune.
L’appello, in conclusione, è fondato e va accolto. Le spese di giudizio vengono
liquidate in € 1500 per ciascuno dei due gradi. In considerazione della novità
della questione, il Collegio ritiene però equo compensarle per la metà.
Per questi motivi
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, accoglie
l’appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza
impugnata, dichiara non dovuti gli oneri urbanistici sulla concessione edilizia
17 dicembre 1992 n. 91/75349. Liquida le spese di giudizio in tremila euro e le
compensa fra le parti per metà, e di conseguenza condanna il comune di Venezia
al pagamento di millecinquecento euro a favore solidale degli appellanti.
Ordina al comune di Venezia di dare esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma il 25 novembre 2003 dal collegio costituito dai signori:
Emidio Frascione presidente
Raffaele Carboni componente, estensore
Corrado Allegretta componente
Paolo Buonvino componente
Goffredo Zaccardi componente
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
f.to Raffaele Carboni
f.to Emidio Frascione
f.to Gaetano Navarra
f.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23 gennaio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Urbanistica e edilizia – Ricostruzione di case distrutte a seguito di espropriazione per la realizzazione di un’opera pubblica – Applicazione analogica della lettera g) dell’art. 9 L. 28/1977 (opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità) – Oneri concessori – Non sono dovuti. L’esenzione dagli oneri di urbanizzazione, di cui all’alinea “g”, dell’art. 9 , L. 28 gennaio 1977 n. 28, relativo alle opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità, deve ritenersi applicabile al caso della ricostruzione delle case distrutte; sul rilievo che l’onerosità della concessione trova la sua ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa, con vantaggio del concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia distrutto. Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un’opera pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso comune. Pres. Frascioni, Est.Carbone – Scatto e altro (Avv.ti Zimbelli e Manzi) c. Comune di Venezia (Avv.ti Gidoni, Marino e Paoletti) - (Riforma T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 ottobre 1995, n.1192) CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 23 gennaio 2004, n. 174
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