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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Quinta Sezione ANNO 2003 ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto dal comune di LIGNANO SABBIADORO, in persona
del sindaco Silvano Delzotto, difeso dall’avvocato Giovanni Battista Verbari e
domiciliato in Roma, viale Angelico 38, presso lo studio dell’avvocato Vincenzo
Sinopoli;
contro
la PROVINCIA DI UDINE, costituitasi in giudizio in persona del presidente,
professore Marzio Strassoldo, difesa dall’avvocato Massimo Raffa e domiciliata
in Roma, via Lucrezio Caro 62, presso lo studio dell’avvocato Sabina Ciccotti;
per l’annullamento
della sentenza 22 marzo 2003 n. 105, con la quale il tribunale amministrativo
regionale per il Friuli-Venezia Giulia ha respinto il ricorso contro il
provvedimento della provincia di Udine 27 aprile 2000 n. 35841/2000/U.O.C.
40722/ac, che ha vietato al comune di Lignano Sabbiadoro, l’attività di recupero
di rifiuti in via Pantanel.
Visto il ricorso in appello, notificato l’11 e depositato il 18 aprile 2003;
visto il controricorso della provincia di Udine, depositato il 12 febbraio 2004;
vista la propria ordinanza 13 maggio 2003 n. 1849, con la quale è stata sospesa
l’esecutività della sentenza impugnata;
visti gli atti tutti della causa;
relatore, all’udienza del 27 febbraio 2004, il consigliere Raffaele Carboni, e
uditi altresì gli avvocati Verbari e Sabina Ciccotti, quest’ultima in
sostituzione dell’avvocato Raffa;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Il comune di Lignano Sabbiadoro con nota 12 novembre 1999 n. 47768 comunicò alla
provincia di Udine, per gli effetti di cui all’articolo 33 del decreto
legislativo 5 luglio 1997 n. 22, che, decorsi novanta giorni, avrebbe iniziato
l’attività di recupero dei rifiuti urbani speciali e assimilabili nell’impianto
sito in via Pantanel del comune stesso. In precedenza il progetto di recupero, o
compostaggio, era stato oggetto di intese amministrative tra gli enti
interessati: la regione Friuli-Venezia Giulia aveva assegnato un finanziamento,
consigliando al comune di iniziare speditamente l’attività, il comune aveva
predisposto il progetto di ristrutturazione e riattivazione dell’impianto, che
la regione aveva approvato, e aveva dichiarato, come richiesto dalla legge,
l’inesistenza di altri finanziamenti, e infine la regione aveva confermato al
comune che l’attivazione dell’impianto era soggetto alla procedura
autorizzatoria semplificata di cui agli articoli 31 e 33 del decreto legislativo
citato, ossia di denuncia d’inizio d’attività.
La provincia con la nota del 27 aprile 2000 indicata in epigrafe ha comunicato,
conformemente al parere espresso dal comitato tecnico consultivo, di non
ritenere efficace la comunicazione, in quanto l’attività sarebbe stata svolta in
un impianto in ordine al quale un altro soggetto, la società in accomandita
semplice Zaccheo Ambiente, aveva già fatto denuncia d’inizio d’attività ed era
stato iscritto al n. 115 del registro provinciale dei soggetti che effettuano
operazioni di recupero di rifiuti; senza che fossero stati chiariti i rapporti
tra le due attività (del comune e della società Zaccheo Ambiente).
Il comune con ricorso al tribunale amministrativo regionale per il
Friuli-Venezia Giulia notificato il 2 giugno 2000 ha impugnato il provvedimento.
Premesso che la società Zaccheo Ambiente era semplicemente il soggetto che
svolgeva l’attività per conto del comune, e che la sua attività, manuale,
sarebbe cessata quando appunto il comune avesse iniziato la propria (con mezzi
meccanici), ha dedotto, rubricate come unico motivo di violazione degli articoli
31 e 33 sopra citati e di contraddittorietà e carenza di motivazione, doglianze
che si possono riassumere come segue. 1) Il diniego d’autorizzazione era stato
emanato dopo il termine perentorio di novanta giorni previsto dall’articolo 33
del decreto legislativo n. 22 del 1997. 2) L’atto della provincia, da
qualificare come annullamento (dell’autorizzazione tacita già formatasi) in
conseguenza del precedente rilievo, era privo dei presupposti e della
motivazione che si richiede per gli atti con cui la pubblica amministrazione
procede ad annullamento di propri atti illegittimi. 3) Le disposizioni di legge
sopra citate non prevedono, fra i motivi per cui l’autorizzazione tacita può
essere negata (o annullata), il fatto che più di un soggetto operi nello stesso
impianto. 4) In ogni caso, la provincia non aveva esperito nessuna istruttoria
per chiarire i rapporti tra i due soggetti.
Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha
respinto il ricorso con la motivazione che, poiché l’articolo 33 prevede che,
essendo previsto che la provincia possa vietare, oltre che l’inizio
dell’attività, anche la prosecuzione della stessa, il provvedimento di diniego
può essere emesso anche oltre i novanta giorni dall’inizio dell’attività. Ha
aggiunto che il divieto era legittimo perché, anche se l’articolo 33 non vieta
l’esercizio dell’attività da parte di più soggetti, le indicazioni previste dai
commi 2 e 3 dell’articolo 31 (cioè le indicazioni che devono essere contenute
nella denunzia d’inizio di attività) devono essere fatte tenendo conto
dell’esistenza di una pluralità di soggetti.
Appella il comune di Lignano Sabbiadoro criticando la motivazione e riproponendo
le censure.
La provincia, costituitasi in giudizio per resistere all’appello, sostiene che
il termine dei novanta giorni riguarda l’espletamento dell’istruttoria, e non
già l’emanazione dell’eventuale provvedimento di divieto d’inizio dell’attività;
il quale anzi, proprio per l’anzidetta ragione, non può essere emesso se non
dopo i novanta giorni.
DIRITTO
L’articolo 33 del decreto legislativo 5 luglio 1997 n. 22, contenente attuazione
di direttiva CEE in materia di smaltimento di rifiuti, e integralmente
trascritto nella motivazione della sentenza impugnata, prevede una procedura
semplificata, mediante denunzia d’inizio d’attività, di autorizzazione allo
smaltimento dei rifiuti. Il comma 1 dispone che l’attività possa essere
intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione d’inizio di attività alla
provincia territorialmente competente, il comma 3 prevede che entro quel termine
la provincia verifichi d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti
per l’esercizio dell’attività, e il comma 4 prevede che, accertato il mancato
rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia
disponga il divieto d’inizio dell’attività. È chiaro dall’insieme delle tre
norme, benché nessuna delle anzidette disposizioni lo dica espressamente, che si
tratta di una procedura per silenzio assenso e che il divieto deve intervenire
entro il termine di novanta giorni, altrimenti tutta la procedura mancherebbe di
senso. Peraltro il presupposto perché s’instauri efficacemente la procedura e si
formi il silenzio-assenso è che il sito, in cui s’intende effettuare l’attività
di smaltimento, sia a disposizione del richiedente, e che non si tratti
d’impianto per l’uso del quale è già stato autorizzato altro soggetto.
Correttamente perciò la provincia ha deciso, non già di vietare l’attività o di
annullare un’autorizzazione formatasi tacitamente, bensì che la comunicazione
era inefficace (ossia improduttiva di effetti), l’impianto essendo già
utilizzato per operazioni di recupero di rifiuti dalla la società Zaccheo
Ambiente. Quanto alle spiegazioni fornite dal comune appellante circa i rapporti
con la Zaccheo Ambiente (che sarebbe un’incaricata del comune e la cui attività
dovrebbe cessare al subentrare del comune), esse sarebbero dovuto essere
allegate e documentate all’atto della denuncia d’attività, o in ogni caso
rappresentate alla provincia in sede amministrativa, né può addebitasi alla
provincia di non essersi fatto carico di un’istruttoria su fatti che non le
erano stati rappresentati; tanto meno esse possono essere esaminate in questa
sede.
L’appello, in conclusione, è infondato e va respinto, e la sentenza dev’essere
confermata per la diversa motivazione che precede. Il Collegio ritiene peraltro
equo, tenuto conto della novità della questione, compensare le spese di giudizio
del grado.
Per questi motivi
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale. Sezione quinta, respinge
l’appello indicato in epigrafe e compensa le spese di giudizio.
Così deciso in Roma il 27 febbraio 2004 dal collegio costituito dai signori:
Agostino Elefante presidente
Raffaele Carboni componente, estensore
Rosalia Maria Pietronilla Bellavia componente
Goffredo Zaccardi componente
Claudio Marchitiello componente
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
f.to Raffaele Carboni
F.to Agostino Elefante
f.to Agatina Maria Vilardo
f.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 4 MAGGIO 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Rifiuti - Smaltimento di rifiuti - Attività di recupero dei rifiuti urbani speciali e assimilabili - Procedura semplificata - Sussistenza dei presupposti e dei requisiti per l’esercizio dell’attività – Necessità - Silenzio-assenso - Presupposti - Art. 33, D.Lgs. n. 22/1997 – Fattispecie: comunicazione inefficace (ossia improduttiva di effetti). L’articolo 33 del decreto legislativo 5 luglio 1997 n. 22, contenente attuazione di direttiva CEE in materia di smaltimento di rifiuti, prevede una procedura semplificata, mediante denunzia d’inizio d’attività, di autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti. Il comma 1 dispone che l’attività possa essere intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione d’inizio di attività alla provincia territorialmente competente, il comma 3 prevede che entro quel termine la provincia verifichi d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti per l’esercizio dell’attività, e il comma 4 prevede che, accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia disponga il divieto d’inizio dell’attività. È chiaro dall’insieme delle tre norme, benché nessuna delle anzidette disposizioni lo dica espressamente, che si tratta di una procedura per silenzio assenso e che il divieto deve intervenire entro il termine di novanta giorni, altrimenti tutta la procedura mancherebbe di senso. Peraltro il presupposto perché s’instauri efficacemente la procedura e si formi il silenzio-assenso è che il sito, in cui s’intende effettuare l’attività di smaltimento, sia a disposizione del richiedente, e che non si tratti d’impianto per l’uso del quale è già stato autorizzato altro soggetto. Nella specie, correttamente la provincia ha deciso, non già di vietare l’attività o di annullare un’autorizzazione formatasi tacitamente, bensì che la comunicazione era inefficace (ossia improduttiva di effetti), l’impianto essendo già utilizzato per operazioni di recupero di rifiuti dalla la società Z. A.. Quanto alle spiegazioni fornite dal comune appellante circa i rapporti con la Z. A. (che sarebbe un’incaricata del comune e la cui attività dovrebbe cessare al subentrare del comune), esse sarebbero dovuto essere allegate e documentate all’atto della denuncia d’attività, o in ogni caso rappresentate alla provincia in sede amministrativa, né può addebitasi alla provincia di non essersi fatto carico di un’istruttoria su fatti che non le erano stati rappresentati; tanto meno esse possono essere esaminate in questa sede. Pres. Elefante - Est. Carboni - Comune di LIGNANO SABBIADORO (avv. Verbari) c. PROVINCIA DI UDINE (avv. Raffa) (Conferma T.a.r. Friuli-Venezia Giulia sentenza 22 marzo 2003 n. 105). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 4 MAGGIO 2004 (ud. 27 febbraio 2004), sentenza n. 2707
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