Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la
seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello iscritto al NRG 11679 dell’anno 2003 proposto
da:COMUNE DI MILANO rappresentato e difeso da: Avv. MARIA RITA SURANO Avv.
RAFFAELE IZZO con domicilio eletto in Roma VIA CICERONE 28 presso RAFFAELE IZZO
contro
MIOZZI PATRIZIA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C.
BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO
STENDARDI ESTERINA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv.
FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO
MARZANO WILLE ANNE MARIE rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO
Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso
ARTURO MARZANO MUSUMARRA ANTONINO rappresentato e difeso da: Avv.
ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA
SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO WISER FLAVIO non costituitosi; DAMIANI MARIA
LUISA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con
domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO VELLA ALBERTO
rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con
domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO BESOSTRI FELICE
C. rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO con domicilio eletto in Roma
VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO
e nei confronti di
REGIONE LOMBARDIA non costituitosi;
A.E.M. SPA non costituitosi;
AZIENDA OSPEDALIERA “OSPEDALE NIGUARDA CA' GRANDA” non costituitosi;
per l’annullamento
della sentenza del TAR LOMBARDIA - MILANO:Sezione II 4513/2003,
e sul ricorso in appello iscritto al NRG 12125 dell’anno 2003 proposto
da: AEM SPA rappresentato e difeso da: Avv. FRANCO GIUSEPPE FERRARI Avv. LUIGI
MANZI con domicilio eletto in Roma VIA F. CONFALONIERI, 5 presso LUIGI MANZI
contro
REGIONE LOMBARDIA non costituitosi;
COMUNE DI MILANO non costituitosi;
AZ. OSPED. OSPEDALE NIGUARDA CA' GRANDA non costituitosi;
MIOZZI PATRIZIA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C.
BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO
STENDARDI ESTERINA non costituitosi; WISER FLAVIO non costituitosi; MUSUMARRA
ANTONINO non costituitosi; WILLE ANNE MARIE non costituitosi; DAMIANI MARIA
LUISA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C.
BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO
VELLA ALBERTO rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE
C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO
BESOSTRI FELICE C. rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO
con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO
per l’annullamento
della sentenza del TAR LOMBARDIA - MILANO:Sezione II 4513/2003,
Relatore alla pubblica udienza del 6 aprile 2004 il consigliere Carlo Deodato;
Uditi gli avvocati Maria Rita Surano, Luigi Manzi, Ferrari Franco Giuseppe e
Felice C. Besostri;
Visto il dispositivo di sentenza 252/04;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza appellata venivano accolti due ricorsi (riuniti) proposti da
diversi cittadini, residenti nelle vicinanze del luogo di realizzazione
dell’opera, contro le delibere del Comune di Milano di approvazione del progetto
definitivo e di quello esecutivo aventi ad oggetto la realizzazione di una
strada di collegamento tra Viale Fermi e Via Imperatore, giudicate illegittime,
e, quindi, annullate, in quanto non precedute dalla valutazione di impatto
ambientale, ritenuta necessaria.
Avverso tale decisione proponevano rituale appello, con due distinti ricorsi, il
Comune di Milano e l’AEM S.p.A. (quest’ultima quale società incaricata di
realizzare l’impianto di illuminazione della strada), riproponendo le eccezioni
pregiudiziali di inammissibilità del ricorso in primo grado, già disattese dal
T.A.R., contestando nel merito la correttezza del giudizio di illegittimità
delle delibere di approvazione dei progetti dell’opera in questione e
concludendo per l’annullamento della sentenza impugnata.
Si costituivano i Sigg.ri Patrizia Miozzi, Maria Luisa Damiani, Alberto Vella,
Felice C. Besostri (in entrambi i ricorsi), Esterina Stendardi, Annemarie Wille
e Antonino Musumarra (nel solo ricorso n.11679/03), contestando la fondatezza
delle censure dedotte a sostegno degli appelli e domandandone la reiezione.
Non si costituivano, invece, in entrambi i ricorsi, le altre parti appellate.
Alla pubblica udienza del 6 aprile 2004 il ricorso veniva trattenuto in
decisione.
DIRITTO
1.- L’identità della sentenza impugnata con i due appelli indicati in epigrafe
impone la riunione e la trattazione congiunta dei relativi ricorsi.
2.- Come già rilevato in fatto, il Tribunale Milanese, giudicando ritualmente
introdotti i ricorsi proposti dai cittadini residenti nella zona interessata
dalla realizzazione dell’infrastruttura contestata, ha ritenuto le delibere
impugnate viziate dall’omessa acquisizione della valutazione di impatto
ambientale.
Tale conclusione è stata raggiunta dai primi giudici in esito ad una complessa
ed articolata analisi della ratio della direttiva CEE n.85/337 del 27 giugno
1995, alla conseguente disapplicazione del d.P.R. 12 aprile 1996, o, comunque,
ad una sua interpretazione conforme al citato atto comunitario, ed
all’apprezzamento delle caratteristiche oggettive della strada che imponevano,
secondo le argomentazioni svolte nella decisione gravata, la verifica delle
implicazioni ambientali della realizzazione dell’opera, con le modalità
prescritte dalla direttiva (giudicata direttamente applicabile nell’ordinamento
interno).
2.1- Gli appellanti ripropongono, in via pregiudiziale, le eccezioni di
inammissibilità del ricorso in primo grado, già disattese dal T.A.R., criticano,
nel merito, la correttezza del convincimento, assunto a fondamento della
decisione gravata, della necessità dell’acquisizione della v.i.a. per
l’approvazione dei progetti dell’opera in contestazione ed invocano, quindi,
l’annullamento della decisione appellata e la conseguente reiezione dei ricorsi
di primo grado (o la declaratoria della loro ammissibilità).
2.2- Gli appellati (originari ricorrenti) contestano la fondatezza delle
eccezioni pregiudiziali, difendono, nel merito, la correttezza del giudizio di
illegittimità reso in primo grado, ribadiscono la necessità della soggezione del
progetto alla procedura di v.i.a. e concludono per la reiezione degli appelli.
2.3- Si premette che la sostanziale identità delle questioni di diritto
introdotte con i relativi ricorsi (nonostante le trascurabili differenze
registrabili tra le relative prospettazioni difensive) ne consente una disamina
congiunta.
3.- Ordine logico impone il preliminare esame delle eccezioni di rito riproposte
dagli appellanti.
Si rileva, al riguardo, che l’infondatezza nel merito dei ricorsi di primo
grado, per come appresso argomentata, esime il Collegio dalla verifica della
loro rituale introduzione e che, comunque, la natura della posizione soggettiva
azionata: interesse all’osservanza delle regole procedimentali prescritte a
tutela dell’ambiente e la documentata vicinitas della situazione abitativa dei
ricorrenti alla zona interessata dall’opera impediscono di qualificare la
situazione degli istanti come interesse diffuso, imponendone, di contro, la
classificazione come qualificato e differenziato, e ne legittimano senz’altro la
tutela giurisdizionale per mezzo dell’impugnazione delle delibere approvative
dei progetti di un’opera asseritamente pregiudizievole per le condizioni
ambientali di vita degli interessati.
4.- Nel merito le parti controvertono in ordine alla necessità del rispetto
della procedura di v.i.a. per l’approvazione del progetto in contestazione e, in
particolare, in ordine all’ascrivibilità della strada in questione al novero
delle opere pubbliche che esigono l’osservanza di quell’adempimento
procedimentale.
5.- La soluzione delle questioni controverse postula una preliminare
ricognizione della normativa di riferimento, onde ricavarne i parametri di
giudizio della legalità dell’approvazione del progetto contestato.
5.1- La direttiva comunitaria n.85/337, come modificata dalla direttiva
97/11/CE, disciplina, all’art.4, l’istituto della valutazione di impatto
ambientale, distinguendo i progetti, elencati nell’allegato I, che vi devono
essere sottoposti da quelli, elencati nell’allegato II, per i quali viene
demandata agli Stati membri la determinazione dei criteri e dei presupposti che
rendono obbligatorio il rispetto della relativa procedura.
La direttiva si compone, dunque, di due tipi di prescrizioni: una,
immediatamente precettiva e vincolante, che impone l’acquisizione della v.i.a.
per i progetti indicati nel I allegato, senza che al legislatore nazionale
residui alcun margine di apprezzamento in ordine ai presupposti costituivi del
relativo obbligo; l’altra, contenuta nel comma 2 dell’art.4, che si limita a
riservare alla valutazione discrezionale degli Stati membri la determinazione
delle caratteristiche delle opere elencate nell’allegato II che impongono la
soggezione dei relativi progetti alla procedura di v.i.a..
Dall’esame dei predetti allegati si ricava che le opere viarie diverse dalle
autostrade risultano classificate tra quelle per le quali compete al legislatore
nazionale la regolamentazione dei presupposti della v.i.a. e che, quindi, per
l’opera in questione non risulta configurabile un’efficacia diretta ed immediata
della direttiva.
5.2- Il legislatore italiano ha provveduto a dare attuazione alla citata
direttiva, individuando, all’art.1 del d.P.R. 12 aprile 1996 (emanato in
esecuzione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n.146), le
strade di scorrimento in aree urbane a quattro o più corsie con lunghezza
superiore a 1.500 metri (o a 750 se ricadenti in aree naturali protette) tra le
opere i cui progetti devono essere sottoposti alla procedura di v.i.a..
Come si vede, l’atto normativo interno di recepimento non risulta direttamente
confliggente con la direttiva, rivelandosi, anzi, del tutto coerente con la
previsione comunitaria che riserva agli Stati membri la determinazione dei
presupposti della procedura di v.i.a. per le tipologie di opere alle quali va
ascritte quella in contestazione.
5.3- Ne consegue che il giudizio sull’obbligatorietà della v.i.a. va formulato
in applicazione del citato regime giuridico nazionale dell’istituto e non anche
in attuazione della direttiva comunitaria.
L’applicazione diretta delle direttive comunitarie negli ordinamenti degli Stati
membri postula, infatti, che sia inutilmente scaduto il termine per il loro
recepimento e che l’atto europeo contenga prescrizioni dettagliate e, come tali,
applicabili senza bisogno di ulteriore intermediazione normativa (cfr. ex multis
Corte di Giustizia, 4 marzo 1999, causa C-423/97) ovvero che una disposizione
nazionale (successiva) risulti contrastante con i principi enunciati nella
direttiva (anteriore) e che la prima vada, quindi, disapplicata al fine di
assicurare l’attuazione della seconda, in ragione della preminenza del diritto
comunitario nell’ipotesi di conflitto con atti nazionali difformi (Corte Cost, 8
giugno 1984, n.170).
Nella fattispecie in esame risultano inconfigurabili entrambe tali situazioni:
la direttiva è stata recepita e risulta, in ogni caso, priva, nella parte
considerata, di prescrizioni precise ed incondizionate; l’atto nazionale
attuativo si rivela carente di profili di contrasto con i principi nella stessa
contenuti (anche tenuto conto dell’ampia discrezionalità riservata ai
legislatori nazionali nell’individuazione dei progetti soggetti alla procedura
di v.i.a.).
6.- Esclusa, quindi, la diretta applicabilità della direttiva 85/337, l’unico
paradigma normativo di valutazione della legittimità dell’attività
amministrativa contestata resta il d.P.R. 12 aprile 1996.
6.1- Il presente giudizio si risolve, di conseguenza, nella verifica dell’ascrivibilità
dell’opera in questione tra quelle che, secondo la normativa di riferimento,
esigono l’acquisizione della v.i.a. e, pertanto, nella sua classificabilità come
strada di scorrimento.
6.2- La catalogazione dell’opera risulta complicata dalle circostanze che il
Comune di Milano l’ha formalmente qualificata come “strada interquartiere”, che
tale tipologia di strada non è, tuttavia, contemplata nella classificazione
contenuta nell’art.2 d.lgs. 30 aprile 1992, n.285 (codice della strada) e che
risulta, invece, prevista nella direttiva del Ministro dei Lavori Pubblici (oggi
delle Infrastrutture e dei Trasporti) del 12 aprile 1995, avente ad oggetto le
istruzioni per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del
traffico.
6.3- Si tratta, quindi, di ricostruire la natura dei rapporti tra i suddetti
atti, normativi ed amministrativi, e di assegnare a ciascuno la corrispondente
valenza sostanziale, con l’avvertenza che la classificazione risultante da tale
opera ermeneutica non può essere disattesa dal giudice amministrativo sulla base
di apprezzamenti sostanzialistici (non praticabili, a fronte di catalogazioni
costitutive formali) e di valutazioni tecniche (riservate, in quanto tali,
all’amministrazione titolare della relativa competenza).
6.4- Nell’ambito di tale indagine riveste carattere logicamente antecedente la
questione, per molti aspetti decisiva, dell’ammissibilità nel nostro ordinamento
delle strade interquartiere e del valore della corrispondente classificazione
comunale.
Deve, al riguardo, osservarsi che la catalogazione delle strade contenute nel
d.lgs. n. 285/92 non può reputarsi tassativa, in difetto di qualsivoglia
elemento positivo che ne indichi il carattere esaustivo, e che risulta, quindi,
legittima la previsione di ulteriori tipologie di strade, purchè contenuta in
atti aventi natura normativa.
Orbene, l’art.36 del d.lgs. n.285/92, che prescrive, per alcuni Comuni,
l’obbligo di adozione del piano urbano del traffico, sancisce espressamente al
comma 6, quale relativa regola di azione, il rispetto delle direttive emanate
dal Ministero dei Lavori pubblici - così contestualmente investito della potestà
di disciplinare la redazione dei piani di traffico veicolare.
Il Ministero ha esercitato tale potere con l’emanazione della direttiva del 12
aprile 1995 che, nelle premesse, chiarisce che le relative istruzioni sono
indirizzate ai Comuni e che le stesse, per la fase di redazione del PUT, “hanno
valenza di prescrizioni”.
A tale atto ministeriale, ancorchè denominato direttiva e privo dei caratteri
formali del regolamento, va, tuttavia, riconosciuta valenza normativa, in quanto
contenente una disciplina generale ed astratta dell’esercizio della competenza
dei Comuni nella redazione del PUT, dotato di portata innovativa
dell’ordinamento giuridico nonché emanato nell’esercizio di un potere attribuito
da una norma di rango primario (idonea, in quanto tale, ad assegnare al
Ministero la relativa potestà regolamentare, anche se priva di tale
qualificazione formale).
La direttiva, di contro, risulta, per le medesime ragioni, priva di natura
meramente amministrativa, in quanto finalizzata a regolamentare in via generale
l’esercizio di funzioni amministrative e sprovvista dei caratteri particolari e
tipicamente provvedimentali che caratterizzano indefettibilmente queste ultime.
Così riconosciuto il carattere normativo della citata direttiva ministeriale, si
deve rilevare che la stessa contempla espressamente, al punto 1.2 dell’allegato,
le strade interquartiere, definendole come vie intermedie tra quelle di
scorrimento e quelle di quartiere, fra quelle che i Comuni di più vaste
dimensioni hanno la facoltà di prevedere nel PUT.
6.5- La riscontrata valenza normativa della direttiva ministeriale implica due
corollari: le strade interquartiere sono contemplate nel nostro ordinamento come
tipologia autonoma e distinta da quelle di scorrimento; i Comuni hanno il potere
di prevedere quel tipo di strade nel regolamento viario e nel conseguente PUT
(anche tenuto conto che la direttiva non risulta impugnata dagli originari
ricorrenti).
Ne consegue, innanzitutto, che la classificazione della strada in questione come
interquartiere nel PUT di Milano si rivela coerente con la normativa primaria di
riferimento e con le pertinenti competenze pianificatorie del Comune.
Non solo, ma a tale catalogazione va riconosciuta valenza costituita del regime
giuridico della strada, nel senso che il codice della strada e la relativa
direttiva ministeriale si limitano a prevedere, in astratto, le caratteristiche
strutturali e funzionali delle strade, mentre la classificazione in concreto
dell’opera viaria risulta riservata dalla normativa primaria (e, segnatamente,
dagli artt.13 e 36 d.lgs. n.285/92) all’iniziativa provvedimentale dell’ente
proprietario.
Ciò non significa che quest’ultimo possa catalogare l’opera arbitrariamente ed
in attuazione di parametri difformi da quelli stabiliti dalla normativa
primaria, ma che la classificazione comunale può essere disattesa, o, meglio,
annullata, solo in esito ad un giudizio di legittimità governato dalle regole
che presidiano la valutazione giurisdizionale degli atti amministrativi e non
anche sulla base di un apprezzamento sostanzialistico che prescinda del tutto
dalla considerazione della sua valenza provvedimentale e dall’analisi dei
relativi margini di discrezionalità riservati all’ente proprietario (come ha
erroneamente fatto il T.A.R.).
6.6- Occorre, in proposito, avvertire che i margini del sindacato di legittimità
della controversa classificazione risultano piuttosto ristretti, sia in quanto
la disciplina normativa di riferimento si rivela priva di parametri di
riferimento precisi ed univoci: il decreto del Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti in data 5 novembre 2001, recante norme funzionali e geometriche
per la costruzione delle strade, riporta una serie di caratteristiche
costitutive prive della necessaria puntualità (diversi elementi strutturali
vengono indicati con riferimento alle dimensioni minime e massime e risultano,
in parte, coincidenti tra le strade urbane di quartiere e quelle di scorrimento)
e le definizioni contenute nel codice della strada risultano carenti ed
incomplete, in quanto riferite solo ad alcuni aspetti delle strade, sia in
quanto l’individuazione degli ulteriori caratteri costituivi delle strade
risulta rimessa alla potestà regolamentare dei Comuni, che la esercitano proprio
con il regolamento viario e con il conseguente piano urbano del traffico.
6.7- Sulla base di tali premesse, si rileva che, anche prescindendo dalla
controversa questione della rituale impugnazione della delibera approvativa del
PUT (che si rivela, a ben vedere, irricevibile per tardività), non consta che il
Comune di Milano abbia scorrettamente esercitato la sua potestà valutativa
tecnico-discrezionale (chè di questo si tratta, quando si verte sulla
legittimità della catalogazione di una strada) e risulta, anzi, che la
contestata classificazione è stata deliberata in coerenza con le prescrizioni
contenute nella direttiva ministeriale del 12 aprile 1995 e nel decreto
ministeriale in data 5 novembre 2001, nei limiti in cui risultano utilizzabili
nel presente giudizio, e con il presupposto regolamento viario.
A ben vedere, infatti, la strada in questione, per come progettata, risulta
priva di banchine pavimentate (previste dall’art.2 d.lgs. n.285/1992 come uno
dei caratteri essenziali delle strade di scorrimento), presenta un limite
massimo di velocità di 50 km/h (evidentemente significativo della sua
destinazione a flussi di traffico veicolare più contenuti di quelli propri delle
strade di scorrimento, anche tenuto conto che il PUT di Milano contempla, per
queste ultime, un limite massimo di 70 km/h) e risulta vietata agli automezzi
superiori a 35 q. (con ulteriore riscontro della sua finalizzazione ad una
viabilità locale, diversa da quella tipica delle arterie di scorrimento).
6.8- Tenuto, pertanto, conto che gli altri elementi strutturali non risultano
decisivi della natura della strada (rivelandosi, per lo più, coincidenti o
sovrapponibili, secondo la stessa normativa regolamentare di riferimento) e che
la valutazione concludente di quest’ultima compete all’attività pianificatoria e
classificatoria del Comune, connotata, come già rilevato, da un ampio spazio di
discrezionalità tecnica, deve concludersi per la correttezza della catalogazione
dell’opera viaria in questione come “strada interquartiere” e, quindi, per la
sua estraneità al novero delle infrastrutture i cui progetti devono essere
preceduti dalla valutazione di impatto ambientale.
Con ulteriore argomentazione, riconosciuta fondata dal T.A.R., gli originari
ricorrenti hanno denunciato l’illegittimità delle delibere impugnate anche in
quanto riferite ad un’opera inserita nel più ampio progetto di realizzazione di
una strada lunga 11 km (denominata “strada interquartiere nord”) e, come tale,
sicuramente soggetta alla procedura di v.i.a. (in quanto compresa tra quelle
elencate nell’allegato I della citata direttiva comunitaria).
Gli appellanti criticano la correttezza della valutazione compiuta dai primi
giudici in merito all’effettiva lunghezza della strada, sostenendo la mancanza
di qualsiasi provvedimento comunale che autorizzi la conclusione che l’opera in
questione costituisce un limitato segmento di un’unitaria arteria di
collegamento lunga oltre 10 km e già progettata dal Comune.
7.1- L’assunto è fondato.
7.2- Gli elementi allegati dagli originari ricorrenti a dimostrazione della
programmazione della “strada interquartiere nord”, del suo carattere unitario e
dell’intento elusivo sotteso alla sua realizzazione frazionata si rivelano,
infatti, del tutto insufficienti ed inidonei a documentare, con il dovuto
rigore, che la strada in contestazione si inserisce nel progetto di una via di
collegamento delle dimensioni riferite.
7.3- La mera ideazione di quella strada nelle linee guida di un piano di
riqualificazione urbana elaborato da un professionista privato all’uopo
incaricato, l’approvazione del progetto di un ulteriore tratto della presunta
arteria di collegamento e la sua previsione nel piano territoriale di
coordinamento provinciale non valgono, in particolare, ad attestare l’avvenuta
deliberazione da parte del Comune della realizzazione di quell’opera, che, sola,
potrebbe consentire l’accertamento del carattere unitario dell’opera e, quindi,
della soggezione del relativo progetto alla procedura di v.i.a..
7.4- Anche sotto tale profilo, quindi, va esclusa la necessità della valutazione
delle implicazioni ambientali dell’opera in questione e, di conseguenza, della
sussistenza della violazione riscontrata in prima istanza.
8.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, l’accoglimento
degli appelli e, in riforma della decisione appellata, la reiezione dei ricorsi
di primo grado.
9.- La complessità delle questioni controverse giustifica la compensazione tra
tutte le parti delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi indicati in epigrafe, li accoglie e, in riforma della
decisione appellata, respinge il ricorso di primo grado; dichiara compensate le
spese di entrambi i gradi di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 aprile 2004, dal Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei
signori:
PAOLO SALVATORE - Presidente
ANTONINO ANASTASI - Consigliere
VITO POLI - Consigliere
ANNA LEONI - Consigliere
CARLO DEODATO - Consigliere est.
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
Il Dirigente
Carlo Deodato
Paolo Salvatore
Giuseppe Testa
Dott. Antonio Serrao
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/05/2004
(art. 55, L. 27.4.1982, 186)
1) Valutazione di Impatto Ambientale – P.U.T. – Catalogazione di un’opera viaria quale “strada interquartierale” – Acquisizione della V.I.A. – Esclusione. Nell’ambito della redazione del Piano Urbano del Traffico, l’attività pianificatoria e classificatoria del Comune è connotata da un ampio spazio di discrezionalità tecnica, che rende legittima la previsione e la catalogazione di un’opera viaria quale “strada interquartierale” (contemplata dalla direttiva ministeriale del 12 aprile 1995), atteso che la classificazione delle strade operata dal d.lgs. n. 285/92 non può reputarsi tassativa. Detta catalogazione esclude l’ascrivibilità dell’opera in questione tra quelle che, ai sensi della direttiva comunitaria n.85/337, come modificata dalla direttiva 97/11/CE e del d.P.R. 12 aprile 1996 (emanato in esecuzione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n.146), esigono l’acquisizione della v.i.a. (“strade di scorrimento” in aree urbane a quattro o più corsie con lunghezza superiore a 1.500 metri o a 750 se ricadenti in aree naturali protette). Pres. Salvatore, Est. Deodato – Comune di Milano (Avv.ti Surano e Izzo) c. Mozzi (Avv.ti Marzano e Besosti) e altri riunito a AEM s.p.a (Avv.ti Ferrari e Manzi) c. Regione Lombardia (n.c.) e altri – riforma TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 4513/2003 - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 10 maggio 20, n. 2883
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza