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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 febbraio 2004, sentenza n. 397

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


sul ricorso in appello n. 658 del 2001 proposto dalla Regione Basilicata, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mirella Viggiani e Maria Carmela Santoro ed elettivamente domiciliata presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata, in Roma, via Nizza n. 56;
contro
il sig. Raffaele Ruggiero, rappresentato e difeso dall’avv. M. Montefusco e con lo stesso elettivamente domiciliato presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, Piazza Capo di Ferro n. 13;
per l'annullamento
della sentenza n. 617 del 10 novembre 1999, resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale del sig. Ruggiero;
Visti gli atti tutti della causa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Relatore alla pubblica udienza del 15 luglio 2003 il Consigliere Dedi Rulli; nessuno presente per le parti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


F A T T O


Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata il sig. Ruggiero impugnava la determinazione dirigenziale del Dipartimento Assetto del Territorio della Regione Basilicata con la quale gli era stata inflitta l’indennità risarcitoria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 per opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo ambientale.


Il Tribunale adito, dopo aver precisato che la controversia rientra nella giuridizione esclusiva del giudice amministrativo, accoglieva il gravame ritenendo fondato il primo motivo di ricorso con il quale l’originaria ricorrente assumeva che il diritto di fare applicazione dell’art. 15 della L. n. 1497 del 1939 era ormai prescritto essendo decorso un quinquennio dalla cessazione dell’illecito ambientale, decorrente dal momento in cui l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo aveva epresso parere favorevole al mantenimento dell’opera abusivamente realizzata.


Con atto notificato in data 22 dicembre 2000, la Regione Basilicata ha impugnato la predetta decisione deducendo la “violazione dei principi che regolano l’esercizio delle funzioni amministrative; illegittima ed erronea applicazione della L. n. 689/81; insussistenza dei presupposti”.


Afferma, al riguardo, ed in particolare in relazione alla fattispecie di cui al ricordato art. 15 della legge del 1939, che il potere dell’autorità amministrativa di irrogare la sanzione pecuniaria in alternativa a quella della riduzione in pristino dello stato dei luoghi non risulta sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione volti a limitare nel tempo l’adozione delle dette misure sanzionatorie, così che dovrebbe essere fatta applicazione del principio generale in base al quale, in mancanza di espresse previsioni legislative, la potestà pubblica può essere esercitata in ogni tempo. Richiama in proposito alcune pronunzie di questo Consiglio che hanno deciso analoghe controversie nel senso prospettato precisando che gli illeciti amministrativi in materia paesistica ed urbanistica-edilizia hanno carattere permanente con la conseguenza che la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della legge n. 689/81 inizia a decorrere solo dal giorno in cui è cessata la permanenza.


Né può ricollegarsi, come ha fatto il giudice di primo grado (senza peraltro indicare in base a quali elementi sarebbe pervenuto a detta soluzione) siffatto momento al rilascio, in favore dell’originario ricorrente, del parere favorevole al mantenimento della costruzione abusiva atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo nel momento in cui è stato assolto l’obbligo di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, obbligo mai adempiuto dall’interessato.


Conclude, quindi, chiedendo l’annullamento della decisione impugnata.


Per resistere al giudizio si è costituito il sig. Ruggiero il quale, con atto notificato in data 16 febbraio 2001, ha proposto ricorso incidentale con cui, dopo aver ribadito la correttezza della decisione resa dal giudice di primo grado, ripropone le censure già prospettate in primo grado e non esaminate perché dichiarate assorbite in ragione della fondatezza del motivo di gravame riconosciuto meritevole di accoglimento ed in particolare:


a) “Illegittimità costituzionale” sul rilievo che, nella delega delle competenze alle Regioni contenuta nel D.P.R. n. 616/77, non viene indicata l’indennità prevista dalla legge n. 1497/39, così che la normativa regionale di cui si è fatta applicazione deve ritenersi in contrasto con gli artt. 117, 118 e 23 della Cost. per aver imposto una prestazione patrimoniale in forza di un potere legislativo mai posseduto né in via originaria, né in via delegata;


b) “Violazione di legge” per contrasto insanabile fra l’art. 15 della legge del 1939 e l’art. 10 della legge regionale n. 50/93 per la parte in cui la Regione ha previsto dei minimi inderogabili non previsti dalla legge dello Stato; tra i motivi non esaminati dal giudice di primo grado ripropone:


c) “Incompetenza assoluta, Eccesso di potere, Violazione di legge” per mancato avviso dell’avvio del procedimento previsto dall’art. 7 della legge n. 241/90, che gli avrebbe consentito di essere presente alla predetta fase procedimentale;


d) “eccezione di prescrizione accolta dal giudice di prima istanza sottoposta a gravame-controricorso”atteso che l’interpretazione della decisione della VI° Sezione di Stato n.3184 del 2 giugno 2000, che la difesa della Regione Basilica richiama a fondamento del proprio appello, non è quella sostenuta dall’Ente locale ma deve essere intesa nel senso che il parere favorevole al mantenimento della costruzione abusiva che indica la scelta che l’Amministrazione ha inteso fare (non procedere alla demolizione) ed è da questo momento che deve ritenersi decorrere il termine di prescrzione, come ha correttamente precisato il Tribunale adito.


Conclude, dunque, per la riezione dell’appello e la conferma della decisione impugnata.


Alla pubblica udienza del 15 luglio 2003, non essendo presente nessuno per le parti, la controversia è passata in decisione.


D I R I T T O


1. Con la decisione portata all’esame del Collegio il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato avverso la determinazione regionale di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, ritenendo prescritto il credito vantato dall’Amministrazione per effetto dell’art. 28 della L. 24 novembre 1981 n. 689 ed assorbendo gli altri motivi prospettati.


La Regione Basilicata, nell’appello proposto, contesta le tesi argomentative e le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado e richiama, a sostegno del richiesto annullamento, le più recenti pronunzie di questo Consiglio che hanno esaminato i vari profili relativi alla interpretazione della disciplina in materia.


2. Le questioni che vengono in rilievo in relazione all’odierna controversia - e che saranno in seguito esaminate - non sono sconosciute al Collegio che, in relazione alla fattispecie in esame, ritiene di poter condividere, sia pure con alcune ulteriori precisazioni rese necessarie dalla peculiarità della fattispecie ora in esame, l’impostazione seguita e le conclusioni alle quali sono pervenute la quinta e questa stessa Sezione nell’esame di controversie aventi contenuto analogo (cfr. Sez. IV°, n. 6279 del 12 novembre 2002; Sez. V,° n. 614 dell’8 giugno 1994, n. 3184 del 2 giugno 2000 e n. 5373 del 9 ottobre 2000).


I principi enucleati in quelle decisioni possono riassumersi nelle seguenti considerazioni:


a) l’art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di risarcimento del danno;


b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale purchè sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 28 febbraio 1985;


c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche in caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996, norma di natura chiaramente interpretativa;


d) applicabilità, per espresso dettato legislativo, dell’art. 28, primo comma, della L. n. 689 del 24 novembre 1981 il quale espressamente dispone che il “diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, sia pure con i temperamenti necessari attesa la particolare natura dell’illecito sanzionato dal ricordato art. 15.


La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della commissione della violazione, infatti, trova in astratto applicazione anche in materia di illeciti amministrativi puniti con la pena pecuniaria di cui alla normativa di tutela urbanistica-edilizia e di tutela del paesaggio (Cass., 1° Sez. civ. n. 6967 del 25 luglio 1997).


3. Occorre, a questo punto, individuare il dies a quo dal quale inizia a decorrere il quinquennio prescrizionale.


In proposito il giudice di primo grado, dopo aver precisato che il comportamento sanzionato dall’art. 15 della ricordata legge n. 1457 del 1939 ha carattere di illecito permanente, individua detto momento in quello in cui l’Autorità preposta alla tutela del vincolo ha espresso parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva realizzata, facendo così venir meno l’antigiuridicità del fatto.


Siffatte conclusioni, peraltro immotivate, non possono essere condivise.


Ed infatti, se è vero, come affermato in sentenza, che l’illecito in questione ha natura permanente, è altrettanto vero che lo stesso è caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, così che se l’Amministrazione si determina con un provvedimento repressivo (demolizione ovvero irrogazione della sanzione pecuniaria), non è “emanato un atto a distanza di tempo” dalla commissione dell’abuso, ma si sanziona una situazione antigiuridica ancora contra jus, atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo quando è stato assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi (ovvero sia stata pagata, inla prevista sanzione pecuniaria).


Non è esatto assumere a parametro di riferimento, come ha fatto il giudice di primo grado, l’intervenuto parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzate posto in essere dalla Commissione regionale per la tutela del paesaggio e dall’Assessore al Dipartimento assetto del territorio in relazione al provvedimento rilascio della concessione edilizia in sanatoria.


Siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenere privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al contrario, il provvedimento sanzionatorio impugnato trova la sua disciplina in una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge di sanatoria, disciplina che delinea un autonomo procedimento in cui intervengono altre Amministrazioni in quanto titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, nonchè alla repressione di eventuali abusi.


Come conferma della correttezza di quanto fin qui precisato si pone anche l’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente.


Infatti oblazione ed indennità risarcitoria hanno finalità diverse, perché diversi sono i profili su cui vanno ad incidere, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra con le ulteriori conseguenze connesse alle dette differenze, compresa quella di cui ora si discute.


4. La fondatezza dell’appello principale impone al Collegio l’esame dei motivi del ricorso di primo grado che il Tribunale Amministrativo Regionale ha dichiarato assorbiti.


E’, infatti, fondata ed assorbente la riproposta doglianza (punto c del fatto) relativa alla violazione dell’art. 7 della L. n. 241/90 per mancato avviso dell’avvio del procedimento finalizzato alla irrogazione della sanzione in argomento.


Non vi sono, infatti, ragioni per escludere l’applicabilibilità della norma generale sul procedimento amministrativo di cui all’art.7 della legge n.241/1990 che prevede la comunicazione dell’inizio del procedimento, con le modalità del successivo art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; siffatto onere è escluso nella sola ipotesi di esigenze di particolare celerità di cui va, comunque, dato atto (e nel caso insussistenti atteso che il nulla osta paesaggistico risale al 1994).


La norma stessa è inoltre applicabile anche agli vincolati (fra le tante, C.d.S., Sez. V°, 23/2/2000 n.948) in quanto la partecipazione del privato agli accertamenti che precedono siffatto genere di atti può far emergere circostanze ed elementi tali da indurre la P.A. a recedere dall’emanazione del provvedimento finale ovvero a modificarne il contenuto.


Sul punto si è dunque precisato che detta fase procedimentale potrebbe diventare superflua solo quando l’adozione del provvedimento finale sia doverosa per l’amministrazione (oltre che vincolata), quando i presupposti fattuali risultino assolutamente incontestati dalle parti, quando il quadro normativo di riferimento non presenti margini di incertezza sufficientemente apprezzabili, oppure nel caso in cui l’eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell’obbligo formale di comunicazione, non privi l’Amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).


E nella specie vanno considerati anche il lungo tempo trascorso dal momento iniziale dell’illecito e la complessità del procedimento, nel corso del quale è anche prevista una perizia per la valutazione del danno; e non vi è dubbio, quindi, che la partecipazione del destinatario della sanzione al relativo procedimento avrebbe potuto, in ipotesi, inserire nella valutazione fatta dall’Amministrazione elementi tali da determinare un suo diverso contenuto, quanto meno sotto il profilo del quantum.


La fondatezza del motivo appena esaminato conduce all’accoglimento del ricorso di primo grado ed all’annullamento della determinazione regionale impugnata in quella sede.


5. In conclusione l’appello proposto dalla Regione Basilicata va accolto per quanto precisato in motivazione; va accolto il ricorso incidentale per il riproposto motivo del gravame di primo grado; la decisione impugnata deve, quindi, essere riformata secondo le precisazioni appena illustrate con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado per la ritenuta fondatezza di una censura dichiarata assorbita dal giudice di primo grado e riproposta in sede di appello (il caso non rientra quindi nella fattispecie di cui all’art. 384, secondo comma, c.p.c.).


Sussistono motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, così dispone:
- accoglie, per quanto di ragione, l’appello proposto dalla Regione Basilicata;
- accoglie il motivo riproposto e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata come da motivazione, accoglie il ricorso proposto in primo grado.
Spese dei due gradi compensate.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 15 luglio 2003, in camera di consiglio, con l'intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta Presidente
Giuseppe Barbagallo Consigliere
Costantino Salvatore Consigliere
Dedi Rulli Consigliere, estensore
Antonino Anastasi Consigliere


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
04/02/2004
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Beni culturali e ambientali – Vincolo paesaggistico - Abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici - Condonabilità degli abusi - Parere favorevole dell’autorità competente - Risarcimento del danno – Sanzione - Prescrizione (nel termine di cinque anni). L’art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di risarcimento del danno. La condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale è possibile solo se sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente, ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47 del 28 febbraio 1985. E' applicabile la sanzione di cui al predetto art. 15 anche in caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996, norma di natura chiaramente interpretativa. E' applicabile, per espresso dettato legislativo, dell’art. 28, primo comma, della L. n. 689 del 24 novembre 1981 il quale espressamente dispone che il “diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, sia pure con i temperamenti necessari attesa la particolare natura dell’illecito sanzionato dal ricordato art. 15.(cfr. Sez. IV°, n. 6279 del 12 novembre 2002; Sez. V,° n. 614 dell’8 giugno 1994, n. 3184 del 2 giugno 2000 e n. 5373 del 9 ottobre 2000). La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della commissione della violazione, infatti, trova in astratto applicazione anche in materia di illeciti amministrativi puniti con la pena pecuniaria di cui alla normativa di tutela urbanistica-edilizia e di tutela del paesaggio (Cass., 1° Sez. civ. n. 6967 del 25 luglio 1997). Pres. Trotta - Est. Rulli - Regione Basilicata (avv.ti Viggiani e Santoro) c. Ruggiero (Avv. Montefusco) (Annulla - T.A.R. per la Basilicata, sentenza n. 617 del 10 novembre 1999). Conforme: CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 4 febbraio 2004, sentenze nn. 396 - 395. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 febbraio 2004, sentenza n. 397

 

2) Edilizia e urbanistica - Beni culturali e ambientali – Vincolo paesaggistico - Concessione edilizia in sanatoria - Provvedimento sanzionatorio - Versamento dell’oblazione ed indennità risarcitoria. Non è esatto assumere a parametro di riferimento, l’intervenuto parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzate posto in essere dalla Commissione regionale per la tutela del paesaggio e dall’Assessore al Dipartimento assetto del territorio in relazione al provvedimento rilascio della concessione edilizia in sanatoria. Siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenere privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al contrario, il provvedimento sanzionatorio impugnato trova la sua disciplina in una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge di sanatoria, disciplina che delinea un autonomo procedimento in cui intervengono altre Amministrazioni in quanto titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, nonchè alla repressione di eventuali abusi. Come conferma della correttezza di quanto fin qui precisato si pone anche l’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente. Infatti oblazione ed indennità risarcitoria hanno finalità diverse, perché diversi sono i profili su cui vanno ad incidere, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra con le ulteriori conseguenze connesse alle dette differenze, compresa quella di cui ora si discute. Pres. Trotta - Est. Rulli - Regione Basilicata (avv.ti Viggiani e Santoro) c. Ruggiero (Avv. Montefusco) (Annulla - T.A.R. per la Basilicata, sentenza n. 617 del 10 novembre 1999). Conforme: CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 4 febbraio 2004, sentenze nn. 396 - 395. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 febbraio 2004, sentenza n. 397

 

3) P.A. - Comunicazione dell’inizio del procedimento - Obbligo formale di comunicazione - Legge n.241/1990 - Partecipazione del privato agli accertamenti. E' applicabile a norma generale sul procedimento amministrativo di cui all’art.7 della legge n.241/1990 che prevede la comunicazione dell’inizio del procedimento, con le modalità del successivo art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; siffatto onere è escluso nella sola ipotesi di esigenze di particolare celerità di cui va, comunque, dato atto. La norma stessa è inoltre applicabile anche agli vincolati (fra le tante, C.d.S., Sez. V°, 23/2/2000 n.948) in quanto la partecipazione del privato agli accertamenti che precedono siffatto genere di atti può far emergere circostanze ed elementi tali da indurre la P.A. a recedere dall’emanazione del provvedimento finale ovvero a modificarne il contenuto. Detta fase procedimentale potrebbe diventare superflua solo quando l’adozione del provvedimento finale sia doverosa per l’amministrazione (oltre che vincolata), quando i presupposti fattuali risultino assolutamente incontestati dalle parti, quando il quadro normativo di riferimento non presenti margini di incertezza sufficientemente apprezzabili, oppure nel caso in cui l’eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell’obbligo formale di comunicazione, non privi l’Amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici). Pres. Trotta - Est. Rulli - Regione Basilicata (avv.ti Viggiani e Santoro) c. Ruggiero (Avv. Montefusco) (Annulla - T.A.R. per la Basilicata, sentenza n. 617 del 10 novembre 1999). Conforme: CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 4 febbraio 2004, sentenze nn. 396 - 395. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 febbraio 2004, sentenza n. 397

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