Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO: 2003 ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 2642 del 2003, proposto dal comune di
Ostuni, rappresentato e difeso dagli avv. Cecilia Zaccaria e Vito Petrarota, ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Alberto Angeletti, in Roma,
via Giuseppe Pisanelli, n. 2,
contro
Consorzio Santa Caterina, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriella De Giorgi
Cezzi e Loredana Capone ed elettivamente domiciliato con esse presso il cav.
Luigi Gardin, in Roma, via Mantegazza, n. 24,
i sigg. Tanzariello Vincenzo, Marzio Pietro, Marzio Ottavio, Perrino Concetta,
Marzio Roberto, Semeraro Vito, Velardi Giuseppe, non costituiti,
e nei confronti
dell’impresa edile Ayroldi Angelo, con sede in Ostuni, n. c.,
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della PugliaLecce, Sezione
I, n. 8512/2002, pubblicata il 19 dicembre 2002 e notificata il 6 febbraio 2003.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte suindicata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 12 dicembre 2003, il consigliere
Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avvocati Petrarota e Capone.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. Il ricorso in appello n. 2642 del 2003 è proposto dal Comune di Ostuni. È
stato notificato all’impresa Ayroldi il 7 marzo 2003 ed alle altre parti
indicate in epigrafe per posta, inviata il 7 marzo e ricevuta il 12 marzo 2003;
è stato depositato il 28 marzo.
2. È chiesta la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale
della Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sez. I, n. 8512/02, pubblicata il 19
dicembre 2002 e notificata il 6 febbraio 2003.
Con tale decisione è stato accolto il ricorso del Consorzio intimato e di altre
parti private per l’annullamento della deliberazione della Giunta municipale n.
335 del 23 novembre 2000, recante approvazione del progetto preliminare per la
realizzazione di un’<area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti>
in “contrada S. Caterina”.
3. Il Comune propone cinque censure a sostegno della legittimità del
provvedimento annullato e per dedurre l’inammissibilità del ricorso di primo
grado.
Con memoria depositata il 21 novembre 2003, replica alle controdeduzioni della
parte costituita ed illustra le censure esposte nell’appello.
4. Il Consorzio di S. Caterina si è costituito con controricorso depositato il
15 aprile 2003. Ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in appello e, in
subordine, la sua infondatezza.
Ha prodotto memoria conclusiva il 28 novembre 2003.
5. Nella camera di consiglio del 15 aprile 2003 è stata decisa l’istanza di
sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
6. All’udienza pubblica del 12 dicembre 2003, dopo la discussione, il ricorso è
stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il provvedimento, deliberato dalla Giunta municipale di Ostuni – n. 335 del
23 novembre 2000 – e impugnato in prime cure, reca approvazione del progetto
preliminare di “realizzazione di un’area ecologica per la raccolta differenziata
dei rifiuti”.
L’intervento prevede “la realizzazione … di tutti i manufatti necessari ad
attrezzare l’area” per viabilità, parcheggi, urbanizzazioni secondarie, verde di
rispetto. L’area è di proprietà del Comune.
2. Il Consorzio resistente oppone l’inammissibilità del ricorso in appello per
non essere stato notificato presso il domicilio del procuratore che ha curato la
notificazione della sentenza. Questa sarebbe perciò passata in giudicato nei
riguardi del Consorzio.
L’eccezione non ha pregio, in quanto l’appello è stato tempestivamente
notificato anche alle singole persone ricorrenti in primo grado e vittoriose in
quella fase. Si tratterebbe, perciò, unicamente di ordinare l’integrazione del
contraddittorio, mediante nuova notificazione al Consorzio.
Tuttavia, il fatto che quest’ultimo si sia ormai costituito in giudizio rende inutile l’ordine di integrazione e consente la pronuncia nel merito, essendo presenti o essendo state intimate tutte le parti necessarie.
3. Obbietta ancora il Consorzio che il ricorso in appello è stato depositato
tardivamente, oltre il termine di quindici giorni stabilito, per effetto del
dimezzamento disposto dall’art. 23 bis della l. 6 dicembre 1971, n. 1034. Il
ricorso è stato notificato il 7 marzo 2003, ma è stato depositato il 28 marzo.
Osserva, in contrario, il Comune che l’opera è prevista in area di sua
proprietà, sicché non si deve far luogo a procedure espropriative. Questa
circostanza escluderebbe l’applicabilità del meccanismo acceleratorio dei
giudizi. Cita, in proposito, la decisione di questa Sezione n. 4532 del 26
giugno 2001.
L’eccezione del Consorzio appare fondata, ma le osservazioni del Comune inducono
il collegio a riconoscere, nella specie, l’errore scusabile.
Anche se si guarda alla data in cui le parti controinteressate hanno ricevuto,
per posta, l’avviso del deposito dell’atto nella casa comunale, ex art. 140
c.p.c., e cioè anche se si guarda alla data del 12 marzo 2003, il deposito del
ricorso, eseguito il 28 marzo, risulta eseguito il sedicesimo giorno, e dunque
tardivamente.
Lo scopo della disposizione acceleratoria di cui all’art. 23 bis della l. n.
1034 del 1971 si mostra più ampio di quello delle norme precedentemente vigenti
e, in particolare, dell’art. 19 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, conv. in l. 23
maggio 1997, n. 135.
In quest’ultima disposizione la riduzione dei termini processuali concerneva le
procedure connesse con le opere pubbliche o di pubblica utilità: progettazione,
aggiudicazione, affidamento, esecuzione, atti di occupazione o espropriativi.
Il sistema introdotto con l’art. 23bis ha comportato, con l’esplicita
abrogazione del citato art. 19, la definizione di un rito speciale, con analoga,
ma non identica dimidiazione dei termini processuali. È sufficiente, a tal fine,
confrontare il comma 2 dell’art. 23bis con il comma 3 dell’art. 19. Questo rito
non riguarda soltanto le opere pubbliche o di pubblica utilità, ma anche i
servizi pubblici, le forniture, gli atti delle autorità amministrative
indipendenti, i provvedimenti inerenti alla privatizzazione o dismissione di
imprese o beni pubblici, gli atti relativi a costituzione o soppressione di
società o di altri organismi di cui all’art. 22 della l. 8 giugno 1990, n. 142
(v. ora il T.U. n. 267 del 2000), ed altri ancora.
Non si tratta, perciò, di termini ridotti per l’esigenza di concludere
celermente i soli procedimenti espropriativi, ma per scopo acceleratorio di
qualsiasi procedimento giurisdizionale riconducibile fra quelli delle materie
elencate, che, in via generale, il legislatore ha giudicato meritevoli di
spedita definizione (salvi, s’intende, i non pochi poteri delle parti idonei a
determinare tempi più lunghi di conclusione dei giudizi).
Il provvedimento del quale si discute riguarda la realizzazione di un’opera
pubblica, indipendentemente dalle sue dimensioni e dalla sua destinazione. È,
perciò, da ricomprendere fra quelli menzionati nell’art. 23bis, comma 1, lett.
b), relativi all’esecuzione delle opere pubbliche. Ne segue che ad esso si
applica la regola della dimidiazione dei termini processuali, nella quale ricade
anche quello per il deposito del ricorso in appello.
Non si può, tuttavia, ignorare, come si è anticipato, che il precedente
giurisprudenziale, invocato dal Comune appellante, abbia potuto suscitare dubbi,
data l’identità di situazioni contemplate. E cioè la proprietà dell’area nella
quale costruire l’opera, con eliminazione della fase espropriativa, normalmente
ricorrente nell’esecuzione di opere pubbliche. Ciò può aver determinato un
errato convincimento della parte appellante, al quale, per effetto della
pronunzia menzionata, può essere riconosciuta scusabilità.
4. A sua volta, il Comune lamenta la tardività del ricorso introduttivo,
notificato nel 2002, mesi dopo la data di pubblicazione del provvedimento
impugnato (24 novembre – 9 dicembre 2000). Lamenta anche il difetto di interesse
ad impugnare.
Il primo giudice ha respinto l’eccezione, perché la posizione specifica dei
ricorrenti, “proprietari dei beni costituenti il comprensorio industriale in
località Santa Caterina” e stipulatori di una convenzione con il Comune circa la
destinazione dell’area ad esso ceduta, ne faceva affermare la legittimazione ad
impugnare e l’esigenza di una comunicazione individuale delle deliberazioni
comunali che comportavano la destinazione ad area ecologica del fondo ceduto.
4.1. Appare da condividere l’affermazione della legittimazione ad impugnare,
poiché i ricorrenti ed il Consorzio desumono il loro interesse differenziato sia
dalla convenzione stipulata, ed inerente alla destinazione del fondo ceduto ad
un’opera di urbanizzazione secondaria, sia dal possibile deprezzamento delle
loro proprietà per l’esecuzione di un’opera non conforme a legge.
4.2. Non si mostra persuasiva, invece, l’ulteriore conseguenza derivatane dal
T.A.R. Invero, dopo la cessione dell’area attraverso la convenzione, esibita in
giudizio, l’interesse differenziato dei lottizzanti si potrebbe soltanto
concentrare sull’adempimento di quell’obbligazione. Ciò non sembra che comporti
la necessità che il Comune dia comunicazione diretta, e per di più a tutti i
componenti del Consorzio ed a questo medesimo, di tutte le deliberazioni che
assuma relativamente a quel fondo. In particolare, non si può affermare che
l’Amministrazione fosse tenuta a dare comunicazione individuale della
deliberazione impugnata, vale a dire della determinazione con la quale si è
accinta ad utilizzare l’area conformemente all’obbligo assunto. Se di
adempimento di un’obbligazione si trattasse, soccorrerebbero i mezzi apprestati
dall’ordinamento appunto per ottenere siffatta prestazione. Ma quando si tratta,
come nella specie può riconoscersi, di una scelta discrezionale
dell’Amministrazione fra le molteplici destinazioni d’uso ipotizzabili per opere
di urbanizzazione secondaria, allora la posizione dei cedenti l’area non si
mostra differenziata da quella di un qualsiasi altro cittadino residente nel
Comune o nell’area di piano. Per costoro la conoscenza dei provvedimenti assunti
dall’Amministrazione si presume acquisita, secondo la legge, dal momento della
compiuta pubblicazione.
4.3. Anche per questa situazione, tuttavia, il collegio reputa giustificato il
riconoscimento dell’errore scusabile, in considerazione dei margini di
incertezza connessi con la soluzione della questione sopra affrontata, avuto
riguardo, in particolare, alla posizione dei ricorrenti originari di cedenti
l’area sulla quale è stato deliberato il compimento dell’opera contestata.
5. La soluzione delle questioni preliminari rende necessario, ora, stabilire che
cosa sia l’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti,
relativamente alla quale hanno proposto le loro censure i ricorrenti in primo
grado.
Il primo giudice ha seguito questo percorso argomentativo:
il d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22,
all’art. 6 distingue la gestione dei rifiuti in raccolta, trasporto, recupero e
smaltimento;
a sua volta, la raccolta semplice è distinta da quella “differenziata”, che è
idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee;
le operazioni di smaltimento sono specificamente indicate nell’allegato B al
decreto legislativo e consistono essenzialmente nella attività di deposito. Il
deposito temporaneo è però disciplinato in un’ipotesi a parte (art. 6, comma 1,
lett. m);
il recupero consiste nelle operazioni di cui all’allegato C;
nessuna delle disposizioni prevede o definisce espressamente l’area ecologica;
dalla relazione al progetto esecutivo, esibita dal Comune, si desume che
l’impianto in contestazione è una struttura mista con funzioni di raggruppamento
e di deposito preliminare, estranee al concetto normativo di raccolta, o “in
altri termini … un impianto di smaltimento o, meglio, di recupero, considerata
la natura dei rifuti trattati”.
6. L’esame della normativa da applicare è stato esattamente condotto. Non si
mostra, invece, condivisibile la definizione che il primo giudice ha dato
all’area in discussione.
6.1. L’art. 6 del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, definisce come “gestione dei
rifiuti” il trattamento di essi nei momenti della raccolta, del trasporto, del
recupero e dello smaltimento. Si tratta, come è agevole intuire, di fasi
successive di un processo, che si inizia, appunto, con il prelievo, la cernita
ed il raggruppamento dei rifiuti per il susseguente loro trasporto: comma 1,
lett. e, della norma in esame.
Se è vero che nella normativa vigente non appare la formula, né, quindi, la
definizione di “area ecologica”, utilizzata dal Comune appellante, è altresì
vero: a) tanto che una formula sufficientemente simile (isola ecologica) è
utilizzata nell’art. 9, comma 3, del d.p.r. 27 aprile 1999, n. 158, per
designare i luoghi dove è “attivata” la raccolta differenziata dei rifiuti che
può dar adito ad agevolazioni tariffarie; b) quanto che se ne dà sufficiente
descrizione nel provvedimento impugnato, considerato che riguarda
l’apprestamento di un’area per la raccolta differenziata dei rifiuti; c) quanto
che il citato art. 6 del d. lgs. n. 22/1997, alla lettera e) del comma 1,
inscrive la fase della raccolta differenziata in quella della raccolta in
generale, e dunque prima che si dia luogo al trasporto, ma altresì, e
principalmente, prima che si proceda allo smaltimento o al recupero dei rifiuti.
6.2. Ora il primo giudice ha visto, nell’area in esame, lo svolgimento di una
funzione di “deposito temporaneo” dei rifiuti, in attesa della loro spedizione
ai “centri di recupero”, di funzioni di raggruppamento o di “deposito
preliminare”, ma anche un impianto di smaltimento “o, meglio, di recupero,
considerata la natura dei rifiuti trattati”.
Le funzioni sono state desunte dalla relazione al progetto esecutivo esibita dal
Comune, nella quale, come il T.A.R. ha sottolineato, con operazione logica da
condividere, sono stati indicati questi elementi rilevanti:
che i rifiuti raccolti nell’area sarebbero stati poi spediti ai centri di
recupero;
che ciò avrebbe consentito di ottenere il contributo ambientale fissato dal
CONAI;
che il conferimento riguardava pneumatici, olii, nonché altri “rifiuti urbani
pericolosi”;
che l’area sarebbe stata dotata di cassonetti a volume variabile e di una botte
“scarrabile”.
6.3. Nessuna delle caratteristiche ora descritte giustifica però la conclusione
che sia stato progettato che nell’area si possano svolgere attività che
attengono alla fase di smaltimento o di recupero, e che perciò essa sia
riconducibile fra gli impianti a questi due ultimi scopi destinati.
Lo smaltimento, secondo lo stesso art. 6 citato, consta delle operazioni
elencate nell’allegato B al decreto legislativo. Sono tutte operazioni che
concernono il trattamento finale o conclusivo dei rifiuti (v. le voci dalla D 1
alla D 14). Il deposito preliminare, poi, contemplato nella voce D 15, è
definito come quello che si colloca, in sequenza temporale, “prima delle
operazioni di cui ai punti” precedenti. E, perciò, dopo la fase del trasporto,
che, nel caso in esame, vale a dire della raccolta differenziata, non vi è stata
ancora.
Il recupero, sempre secondo la stessa norma, consiste in una delle attività
elencate nell’allegato C. Sono tutte operazioni che si traducono in una nuova
utilizzazione dei rifiuti o nella loro rigenerazione o nel loro “riciclo”: si
vedano anche le definizioni che sono date nell’art. 4 del decreto legislativo.
Il senso della relazione riportato dallo stesso T.A.R. non consente di affermare
che la raccolta e la separazione dei rifiuti, previste nell’area “ecologica” in
discussione, si atteggi come attività di recupero dei rifiuti stessi, quale è
definita dal testo normativo.
7. Ne segue che si mostra fondata la tesi principale dell’appello, con la quale
si sostiene che si è di fronte, unicamente, ad attività di raccolta, con
pesatura e raggruppamento (o separazione) dei vari tipi di rifiuto conferiti dai
cittadini.
8. Ne deriva che non può essere condiviso, perciò, l’accoglimento del secondo
motivo del ricorso introduttivo (il primo motivo è stato respinto), circa la
necessità di seguire la procedura di valutazione di impatto ambientale,
prescritta per gli impianti di smaltimento e di recupero. Né è da condividere
l’accoglimento del terzo e quarto motivo, sull’affermazione della competenza
della giunta regionale o della Amministrazione provinciale, in materia,
rispettivamente, di impianti di “stoccaggio” o per lo smaltimento o recupero di
rifiuti non pericolosi, poiché quello in esame non è riconducibile fra quelli
indicati.
9. Altra critica rivolge il Comune alla parte della sentenza, con la quale è
stata accolta la tesi del difetto di istruttoria circa la scelta dell’area.
Anche questo mezzo è fondato. Nel provvedimento si fa menzione esplicita del
fatto che si tratta di un’area più confacente di quella in precedenza
individuata (interessata da un vincolo paesaggistico e dalla vicinanza ad una
zona archeologica), sita ad un chilometro dal centro abitato, di proprietà
comunale, destinata ad opere di urbanizzazione “nell’ambito di un piano di zona
per l’edilizia artigiana”.
La descrizione dell’area dà compiuta garanzia dello svolgimento di
un’istruttoria adeguata circa l’attitudine del luogo prescelto alla collocazione
di un’opera di urbanizzazione secondaria. Non poteva essere che questa
l’istruttoria che andava fatta dal Comune.
10. Nell’esame del sesto motivo di ricorso il primo giudice ha riconosciuto il
carattere di opera di urbanizzazione secondaria all’intervento in questione,
respingendo un’esplicita doglianza dei ricorrenti. Sul punto non è stato
proposta alcuna impugnazione, sicché, anche per questa considerazione il
precedente motivo del ricorso di primo grado andava disatteso.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha però riconosciuto fondato anche il
predetto sesto motivo, rilevando che dalla convenzione di lottizzazione, di cui
s’è detto sopra, e dalla cessione dell’area, parte della quale veniva destinata
alla contestata raccolta, derivava per l’amministrazione comunale la necessità
di realizzare opere di urbanizzazione dirette al servizio del quartiere.
L’impianto di smaltimento o di riciclaggio appare sicuramente estraneo, secondo
il primo giudice, all’intenzione delle parti.
Osserva il Comune, per criticare le conclusioni ora riferite, che si tratta di
un’area in zona “D”, ossia a destinazione artigianale (come è precisato nella
deliberazione impugnata); che le dotazioni minime di spazi per opere di
urbanizzazione sono stabilite nella misura del 10 per cento dell’intera
superficie, e questa misura è stata ampiamente superata con le già avvenute
destinazioni a parcheggi pubblici e a verde di rispetto. Si trattava, quindi, di
un’area libera per altre opere di urbanizzazione, da destinare ad una
collettività più ampia di quella stanziata nel comprensorio. L’art. 7 della
convenzione, inoltre, con la cessione dell’area non imprimeva alcuna particolare
destinazione.
La censura si mostra fondata.
Come si è già detto, non è da discutere il carattere di opera di urbanizzazione
secondaria.
Ora, anche a trascurare la diversa caratteristica dell’area come sarà
trasformata dal progetto contestato (destinata alla raccolta differenziata, non
già allo smaltimento o al recupero dei rifiuti), l’esame dell’art. 7 della
convenzione giustifica il dissenso dalle riportate conclusioni.
La destinazione necessaria e sufficiente del fondo è quella della realizzazione
di un’opera di urbanizzazione secondaria.
Questa deve servire, per definizione, la collettività, non i singoli.
Anche i parcheggi o il verde già realizzati non possono essere considerati come
destinati all’utilità delle sole persone residenti od operanti nella zona in cui
sono situati, ma come opere che recano vantaggi, anche se meno direttamente, a
tutta la comunità insediata nei dintorni o nel territorio comunale in generale.
Ed è poi da considerare che si tratta di una zona a destinazione produttiva,
come è ancora precisato nell’art. 1 della convenzione del 2 aprile 1992, sicché
la destinazione residenziale, fatta valere in qualche modo dai ricorrenti in
primo grado ed implicitamente accolta dal T.A.R., appare quella di una
componente minoritaria dell’insediamento.
Dato questo quadro composito, diventa ancor meno persuasiva la rilevata
necessità, a pena di illegittimità, che l’opera serva unicamente il quartiere
interessato dal piano di zona. La destinazione ad un servizio generale, quale è
quello della raccolta differenziata di rifiuti, ridonda anche a vantaggio dei
proprietari e dei residenti nella zona. In tal modo il Comune ha soddisfatto
l’impegno assunto all’atto della stipulazione della convenzione.
11. Alla stregua delle considerazioni fatte, la sentenza impugnata deve essere
riformata e, per l’effetto, deve essere respinto, perché infondato, il ricorso
introduttivo.
Vi sono ragioni per compensare le spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie
l’appello e, per l’effetto, respinge il ricorso introduttivo.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), nella camera di consiglio del 12 dicembre 2003, con l'intervento dei
Signori:
Emidio Frascione Presidente
Giuseppe Farina, rel. est. Consigliere
Marco Lipari Consigliere
Aniello Cerreto Consigliere
Gerardo Mastrandrea Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
f.to Giuseppe
Farina f.to Emidio
Frascionef.to Rosi Graziano
F.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17 febbraio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Rifiuti – “Area ecologica” – Definizione – Operazioni di deposito temporaneo, smaltimento e recupero – Non rientra – Attività di raccolta – Rientra – Art. 6 D. Lgs. 22/1997 – Distinte fasi della “gestione dei rifiuti – Realizzazione dell’area ecologica – V.I.A. – Necessità – Esclusione. Un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti, può essere definita come una struttura con funzioni di raccolta, con pesatura e raggruppamento (o separazione) dei vari tipi di rifiuto conferiti dai cittadini. Non può invece essere considerata area in cui vengano svolte attività di “deposito preliminare”, smaltimento o recupero. Tanto si deduce dalle disposizioni di cui al D. Lgs. 22/1997. L’art. 6, definisce come “gestione dei rifiuti” il trattamento di essi nei momenti della raccolta, del trasporto, del recupero e dello smaltimento. Si tratta di fasi successive di un processo, che si inizia con il prelievo, la cernita ed il raggruppamento dei rifiuti per il susseguente loro trasporto (comma 1, lett. e). Se è vero che nella normativa vigente non appare la formula, né la definizione di “area ecologica”, è altresì vero che una formula sufficientemente simile (isola ecologica) è utilizzata nell’art. 9, comma 3, del d.p.r. 27 aprile 1999, n. 158, per designare i luoghi dove è “attivata” la raccolta differenziata dei rifiuti e che l’art. 6 del d. lgs. n. 22/1997 inscrive la fase della raccolta differenziata in quella della raccolta in generale, e dunque prima che si dia luogo al trasporto e prima che si proceda allo smaltimento o al recupero dei rifiuti. Lo smaltimento, secondo lo stesso art. 6, consta delle operazioni elencate nell’allegato B al decreto legislativo. Sono tutte operazioni che concernono il trattamento finale o conclusivo dei rifiuti (v. le voci dalla D 1 alla D 14). Il deposito preliminare, poi, contemplato nella voce D 15, è definito come quello che si colloca, in sequenza temporale, “prima delle operazioni di cui ai punti” precedenti: e, perciò, dopo la fase del trasporto. Il recupero, sempre secondo la stessa norma, consiste in una delle attività elencate nell’allegato C. Sono tutte operazioni che si traducono in una nuova utilizzazione dei rifiuti o nella loro rigenerazione o nel loro “riciclo”: si vedano anche le definizioni che sono date nell’art. 4 del decreto legislativo. Tutto ciò non consente di affermare che la raccolta e la separazione dei rifiuti, previste nell’area “ecologica”, si atteggi come attività di recupero dei rifiuti stessi, quale è definita dal testo normativo. Ne deriva che, per la realizzazione di un’area ecologica, non è necessario seguire la procedura di valutazione di impatto ambientale, prescritta per gli impianti di smaltimento e di recupero. Pres. Frascione, Est. Farina – Comune di Ostuni (Avv.ti Zaccaria e Petrarota) c. Consorzio Santa Caterina (Avv.ti De Giorgi Cezzi e Capone) e altri (n.c.) – (Annulla T.A.R. PUGLIA, Lecce, n. 8512/2002) CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 17 febbraio 2004, n. 609
2) V.I.A. – Opere assoggettate a V.I.A. – Area ecologica – Esclusione – Definizione – Attività di raccolta, non di recupero o smaltimento dei rifiuti. Un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti, può essere definita come una struttura con funzioni di raccolta dei vari tipi di rifiuto conferiti dai cittadini e non di deposito preliminare, smaltimento o recupero. L’attività di raccolta dei rifiuti si colloca, infatti, in sequenza temporale, anteriormente al trasporto e alle successive fasi di recupero o smaltimento, per le quali soltanto è prescritta la procedura di valutazione di impatto ambientale. Pres. Frascione, Est. Farina – Comune di Ostuni (Avv.ti Zaccaria e Petrarota) c. Consorzio Santa Caterina (Avv.ti De Giorgi Cezzi e Capone) e altri (n.c.) – (Annulla T.A.R. PUGLIA, Lecce, n. 8512/2002) CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 17 febbraio 2004, n. 609
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