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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 17 febbraio 2004, Sentenza n. 609

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO: 2003 ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n.r.g. 2642 del 2003, proposto dal comune di Ostuni, rappresentato e difeso dagli avv. Cecilia Zaccaria e Vito Petrarota, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Alberto Angeletti, in Roma, via Giuseppe Pisanelli, n. 2,
contro
Consorzio Santa Caterina, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriella De Giorgi Cezzi e Loredana Capone ed elettivamente domiciliato con esse presso il cav. Luigi Gardin, in Roma, via Mantegazza, n. 24,
i sigg. Tanzariello Vincenzo, Marzio Pietro, Marzio Ottavio, Perrino Concetta, Marzio Roberto, Semeraro Vito, Velardi Giuseppe, non costituiti,
e nei confronti
dell’impresa edile Ayroldi Angelo, con sede in Ostuni, n. c.,
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della PugliaLecce, Sezione I, n. 8512/2002, pubblicata il 19 dicembre 2002 e notificata il 6 febbraio 2003.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte suindicata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 12 dicembre 2003, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avvocati Petrarota e Capone.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO


1. Il ricorso in appello n. 2642 del 2003 è proposto dal Comune di Ostuni. È stato notificato all’impresa Ayroldi il 7 marzo 2003 ed alle altre parti indicate in epigrafe per posta, inviata il 7 marzo e ricevuta il 12 marzo 2003; è stato depositato il 28 marzo.


2. È chiesta la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sez. I, n. 8512/02, pubblicata il 19 dicembre 2002 e notificata il 6 febbraio 2003.


Con tale decisione è stato accolto il ricorso del Consorzio intimato e di altre parti private per l’annullamento della deliberazione della Giunta municipale n. 335 del 23 novembre 2000, recante approvazione del progetto preliminare per la realizzazione di un’<area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti> in “contrada S. Caterina”.


3. Il Comune propone cinque censure a sostegno della legittimità del provvedimento annullato e per dedurre l’inammissibilità del ricorso di primo grado.


Con memoria depositata il 21 novembre 2003, replica alle controdeduzioni della parte costituita ed illustra le censure esposte nell’appello.


4. Il Consorzio di S. Caterina si è costituito con controricorso depositato il 15 aprile 2003. Ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in appello e, in subordine, la sua infondatezza.


Ha prodotto memoria conclusiva il 28 novembre 2003.


5. Nella camera di consiglio del 15 aprile 2003 è stata decisa l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.


6. All’udienza pubblica del 12 dicembre 2003, dopo la discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO


1. Il provvedimento, deliberato dalla Giunta municipale di Ostuni – n. 335 del 23 novembre 2000 – e impugnato in prime cure, reca approvazione del progetto preliminare di “realizzazione di un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti”.


L’intervento prevede “la realizzazione … di tutti i manufatti necessari ad attrezzare l’area” per viabilità, parcheggi, urbanizzazioni secondarie, verde di rispetto. L’area è di proprietà del Comune.


2. Il Consorzio resistente oppone l’inammissibilità del ricorso in appello per non essere stato notificato presso il domicilio del procuratore che ha curato la notificazione della sentenza. Questa sarebbe perciò passata in giudicato nei riguardi del Consorzio.


L’eccezione non ha pregio, in quanto l’appello è stato tempestivamente notificato anche alle singole persone ricorrenti in primo grado e vittoriose in quella fase. Si tratterebbe, perciò, unicamente di ordinare l’integrazione del contraddittorio, mediante nuova notificazione al Consorzio.

 

Tuttavia, il fatto che quest’ultimo si sia ormai costituito in giudizio rende inutile l’ordine di integrazione e consente la pronuncia nel merito, essendo presenti o essendo state intimate tutte le parti necessarie.


3. Obbietta ancora il Consorzio che il ricorso in appello è stato depositato tardivamente, oltre il termine di quindici giorni stabilito, per effetto del dimezzamento disposto dall’art. 23 bis della l. 6 dicembre 1971, n. 1034. Il ricorso è stato notificato il 7 marzo 2003, ma è stato depositato il 28 marzo.


Osserva, in contrario, il Comune che l’opera è prevista in area di sua proprietà, sicché non si deve far luogo a procedure espropriative. Questa circostanza escluderebbe l’applicabilità del meccanismo acceleratorio dei giudizi. Cita, in proposito, la decisione di questa Sezione n. 4532 del 26 giugno 2001.


L’eccezione del Consorzio appare fondata, ma le osservazioni del Comune inducono il collegio a riconoscere, nella specie, l’errore scusabile.


Anche se si guarda alla data in cui le parti controinteressate hanno ricevuto, per posta, l’avviso del deposito dell’atto nella casa comunale, ex art. 140 c.p.c., e cioè anche se si guarda alla data del 12 marzo 2003, il deposito del ricorso, eseguito il 28 marzo, risulta eseguito il sedicesimo giorno, e dunque tardivamente.


Lo scopo della disposizione acceleratoria di cui all’art. 23 bis della l. n. 1034 del 1971 si mostra più ampio di quello delle norme precedentemente vigenti e, in particolare, dell’art. 19 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, conv. in l. 23 maggio 1997, n. 135.


In quest’ultima disposizione la riduzione dei termini processuali concerneva le procedure connesse con le opere pubbliche o di pubblica utilità: progettazione, aggiudicazione, affidamento, esecuzione, atti di occupazione o espropriativi.


Il sistema introdotto con l’art. 23bis ha comportato, con l’esplicita abrogazione del citato art. 19, la definizione di un rito speciale, con analoga, ma non identica dimidiazione dei termini processuali. È sufficiente, a tal fine, confrontare il comma 2 dell’art. 23bis con il comma 3 dell’art. 19. Questo rito non riguarda soltanto le opere pubbliche o di pubblica utilità, ma anche i servizi pubblici, le forniture, gli atti delle autorità amministrative indipendenti, i provvedimenti inerenti alla privatizzazione o dismissione di imprese o beni pubblici, gli atti relativi a costituzione o soppressione di società o di altri organismi di cui all’art. 22 della l. 8 giugno 1990, n. 142 (v. ora il T.U. n. 267 del 2000), ed altri ancora.


Non si tratta, perciò, di termini ridotti per l’esigenza di concludere celermente i soli procedimenti espropriativi, ma per scopo acceleratorio di qualsiasi procedimento giurisdizionale riconducibile fra quelli delle materie elencate, che, in via generale, il legislatore ha giudicato meritevoli di spedita definizione (salvi, s’intende, i non pochi poteri delle parti idonei a determinare tempi più lunghi di conclusione dei giudizi).


Il provvedimento del quale si discute riguarda la realizzazione di un’opera pubblica, indipendentemente dalle sue dimensioni e dalla sua destinazione. È, perciò, da ricomprendere fra quelli menzionati nell’art. 23bis, comma 1, lett. b), relativi all’esecuzione delle opere pubbliche. Ne segue che ad esso si applica la regola della dimidiazione dei termini processuali, nella quale ricade anche quello per il deposito del ricorso in appello.


Non si può, tuttavia, ignorare, come si è anticipato, che il precedente giurisprudenziale, invocato dal Comune appellante, abbia potuto suscitare dubbi, data l’identità di situazioni contemplate. E cioè la proprietà dell’area nella quale costruire l’opera, con eliminazione della fase espropriativa, normalmente ricorrente nell’esecuzione di opere pubbliche. Ciò può aver determinato un errato convincimento della parte appellante, al quale, per effetto della pronunzia menzionata, può essere riconosciuta scusabilità.


4. A sua volta, il Comune lamenta la tardività del ricorso introduttivo, notificato nel 2002, mesi dopo la data di pubblicazione del provvedimento impugnato (24 novembre – 9 dicembre 2000). Lamenta anche il difetto di interesse ad impugnare.


Il primo giudice ha respinto l’eccezione, perché la posizione specifica dei ricorrenti, “proprietari dei beni costituenti il comprensorio industriale in località Santa Caterina” e stipulatori di una convenzione con il Comune circa la destinazione dell’area ad esso ceduta, ne faceva affermare la legittimazione ad impugnare e l’esigenza di una comunicazione individuale delle deliberazioni comunali che comportavano la destinazione ad area ecologica del fondo ceduto.


4.1. Appare da condividere l’affermazione della legittimazione ad impugnare, poiché i ricorrenti ed il Consorzio desumono il loro interesse differenziato sia dalla convenzione stipulata, ed inerente alla destinazione del fondo ceduto ad un’opera di urbanizzazione secondaria, sia dal possibile deprezzamento delle loro proprietà per l’esecuzione di un’opera non conforme a legge.


4.2. Non si mostra persuasiva, invece, l’ulteriore conseguenza derivatane dal T.A.R. Invero, dopo la cessione dell’area attraverso la convenzione, esibita in giudizio, l’interesse differenziato dei lottizzanti si potrebbe soltanto concentrare sull’adempimento di quell’obbligazione. Ciò non sembra che comporti la necessità che il Comune dia comunicazione diretta, e per di più a tutti i componenti del Consorzio ed a questo medesimo, di tutte le deliberazioni che assuma relativamente a quel fondo. In particolare, non si può affermare che l’Amministrazione fosse tenuta a dare comunicazione individuale della deliberazione impugnata, vale a dire della determinazione con la quale si è accinta ad utilizzare l’area conformemente all’obbligo assunto. Se di adempimento di un’obbligazione si trattasse, soccorrerebbero i mezzi apprestati dall’ordinamento appunto per ottenere siffatta prestazione. Ma quando si tratta, come nella specie può riconoscersi, di una scelta discrezionale dell’Amministrazione fra le molteplici destinazioni d’uso ipotizzabili per opere di urbanizzazione secondaria, allora la posizione dei cedenti l’area non si mostra differenziata da quella di un qualsiasi altro cittadino residente nel Comune o nell’area di piano. Per costoro la conoscenza dei provvedimenti assunti dall’Amministrazione si presume acquisita, secondo la legge, dal momento della compiuta pubblicazione.


4.3. Anche per questa situazione, tuttavia, il collegio reputa giustificato il riconoscimento dell’errore scusabile, in considerazione dei margini di incertezza connessi con la soluzione della questione sopra affrontata, avuto riguardo, in particolare, alla posizione dei ricorrenti originari di cedenti l’area sulla quale è stato deliberato il compimento dell’opera contestata.


5. La soluzione delle questioni preliminari rende necessario, ora, stabilire che cosa sia l’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti, relativamente alla quale hanno proposto le loro censure i ricorrenti in primo grado.


Il primo giudice ha seguito questo percorso argomentativo:

il d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, all’art. 6 distingue la gestione dei rifiuti in raccolta, trasporto, recupero e smaltimento;
a sua volta, la raccolta semplice è distinta da quella “differenziata”, che è idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee;
le operazioni di smaltimento sono specificamente indicate nell’allegato B al decreto legislativo e consistono essenzialmente nella attività di deposito. Il deposito temporaneo è però disciplinato in un’ipotesi a parte (art. 6, comma 1, lett. m);
il recupero consiste nelle operazioni di cui all’allegato C;
nessuna delle disposizioni prevede o definisce espressamente l’area ecologica;
dalla relazione al progetto esecutivo, esibita dal Comune, si desume che l’impianto in contestazione è una struttura mista con funzioni di raggruppamento e di deposito preliminare, estranee al concetto normativo di raccolta, o “in altri termini … un impianto di smaltimento o, meglio, di recupero, considerata la natura dei rifuti trattati”.


6. L’esame della normativa da applicare è stato esattamente condotto. Non si mostra, invece, condivisibile la definizione che il primo giudice ha dato all’area in discussione.


6.1. L’art. 6 del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, definisce come “gestione dei rifiuti” il trattamento di essi nei momenti della raccolta, del trasporto, del recupero e dello smaltimento. Si tratta, come è agevole intuire, di fasi successive di un processo, che si inizia, appunto, con il prelievo, la cernita ed il raggruppamento dei rifiuti per il susseguente loro trasporto: comma 1, lett. e, della norma in esame.


Se è vero che nella normativa vigente non appare la formula, né, quindi, la definizione di “area ecologica”, utilizzata dal Comune appellante, è altresì vero: a) tanto che una formula sufficientemente simile (isola ecologica) è utilizzata nell’art. 9, comma 3, del d.p.r. 27 aprile 1999, n. 158, per designare i luoghi dove è “attivata” la raccolta differenziata dei rifiuti che può dar adito ad agevolazioni tariffarie; b) quanto che se ne dà sufficiente descrizione nel provvedimento impugnato, considerato che riguarda l’apprestamento di un’area per la raccolta differenziata dei rifiuti; c) quanto che il citato art. 6 del d. lgs. n. 22/1997, alla lettera e) del comma 1, inscrive la fase della raccolta differenziata in quella della raccolta in generale, e dunque prima che si dia luogo al trasporto, ma altresì, e principalmente, prima che si proceda allo smaltimento o al recupero dei rifiuti.


6.2. Ora il primo giudice ha visto, nell’area in esame, lo svolgimento di una funzione di “deposito temporaneo” dei rifiuti, in attesa della loro spedizione ai “centri di recupero”, di funzioni di raggruppamento o di “deposito preliminare”, ma anche un impianto di smaltimento “o, meglio, di recupero, considerata la natura dei rifiuti trattati”.


Le funzioni sono state desunte dalla relazione al progetto esecutivo esibita dal Comune, nella quale, come il T.A.R. ha sottolineato, con operazione logica da condividere, sono stati indicati questi elementi rilevanti:
che i rifiuti raccolti nell’area sarebbero stati poi spediti ai centri di recupero;
che ciò avrebbe consentito di ottenere il contributo ambientale fissato dal CONAI;
che il conferimento riguardava pneumatici, olii, nonché altri “rifiuti urbani pericolosi”;
che l’area sarebbe stata dotata di cassonetti a volume variabile e di una botte “scarrabile”.


6.3. Nessuna delle caratteristiche ora descritte giustifica però la conclusione che sia stato progettato che nell’area si possano svolgere attività che attengono alla fase di smaltimento o di recupero, e che perciò essa sia riconducibile fra gli impianti a questi due ultimi scopi destinati.


Lo smaltimento, secondo lo stesso art. 6 citato, consta delle operazioni elencate nell’allegato B al decreto legislativo. Sono tutte operazioni che concernono il trattamento finale o conclusivo dei rifiuti (v. le voci dalla D 1 alla D 14). Il deposito preliminare, poi, contemplato nella voce D 15, è definito come quello che si colloca, in sequenza temporale, “prima delle operazioni di cui ai punti” precedenti. E, perciò, dopo la fase del trasporto, che, nel caso in esame, vale a dire della raccolta differenziata, non vi è stata ancora.


Il recupero, sempre secondo la stessa norma, consiste in una delle attività elencate nell’allegato C. Sono tutte operazioni che si traducono in una nuova utilizzazione dei rifiuti o nella loro rigenerazione o nel loro “riciclo”: si vedano anche le definizioni che sono date nell’art. 4 del decreto legislativo. Il senso della relazione riportato dallo stesso T.A.R. non consente di affermare che la raccolta e la separazione dei rifiuti, previste nell’area “ecologica” in discussione, si atteggi come attività di recupero dei rifiuti stessi, quale è definita dal testo normativo.


7. Ne segue che si mostra fondata la tesi principale dell’appello, con la quale si sostiene che si è di fronte, unicamente, ad attività di raccolta, con pesatura e raggruppamento (o separazione) dei vari tipi di rifiuto conferiti dai cittadini.


8. Ne deriva che non può essere condiviso, perciò, l’accoglimento del secondo motivo del ricorso introduttivo (il primo motivo è stato respinto), circa la necessità di seguire la procedura di valutazione di impatto ambientale, prescritta per gli impianti di smaltimento e di recupero. Né è da condividere l’accoglimento del terzo e quarto motivo, sull’affermazione della competenza della giunta regionale o della Amministrazione provinciale, in materia, rispettivamente, di impianti di “stoccaggio” o per lo smaltimento o recupero di rifiuti non pericolosi, poiché quello in esame non è riconducibile fra quelli indicati.


9. Altra critica rivolge il Comune alla parte della sentenza, con la quale è stata accolta la tesi del difetto di istruttoria circa la scelta dell’area.


Anche questo mezzo è fondato. Nel provvedimento si fa menzione esplicita del fatto che si tratta di un’area più confacente di quella in precedenza individuata (interessata da un vincolo paesaggistico e dalla vicinanza ad una zona archeologica), sita ad un chilometro dal centro abitato, di proprietà comunale, destinata ad opere di urbanizzazione “nell’ambito di un piano di zona per l’edilizia artigiana”.


La descrizione dell’area dà compiuta garanzia dello svolgimento di un’istruttoria adeguata circa l’attitudine del luogo prescelto alla collocazione di un’opera di urbanizzazione secondaria. Non poteva essere che questa l’istruttoria che andava fatta dal Comune.


10. Nell’esame del sesto motivo di ricorso il primo giudice ha riconosciuto il carattere di opera di urbanizzazione secondaria all’intervento in questione, respingendo un’esplicita doglianza dei ricorrenti. Sul punto non è stato proposta alcuna impugnazione, sicché, anche per questa considerazione il precedente motivo del ricorso di primo grado andava disatteso.


Il Tribunale Amministrativo Regionale ha però riconosciuto fondato anche il predetto sesto motivo, rilevando che dalla convenzione di lottizzazione, di cui s’è detto sopra, e dalla cessione dell’area, parte della quale veniva destinata alla contestata raccolta, derivava per l’amministrazione comunale la necessità di realizzare opere di urbanizzazione dirette al servizio del quartiere. L’impianto di smaltimento o di riciclaggio appare sicuramente estraneo, secondo il primo giudice, all’intenzione delle parti.


Osserva il Comune, per criticare le conclusioni ora riferite, che si tratta di un’area in zona “D”, ossia a destinazione artigianale (come è precisato nella deliberazione impugnata); che le dotazioni minime di spazi per opere di urbanizzazione sono stabilite nella misura del 10 per cento dell’intera superficie, e questa misura è stata ampiamente superata con le già avvenute destinazioni a parcheggi pubblici e a verde di rispetto. Si trattava, quindi, di un’area libera per altre opere di urbanizzazione, da destinare ad una collettività più ampia di quella stanziata nel comprensorio. L’art. 7 della convenzione, inoltre, con la cessione dell’area non imprimeva alcuna particolare destinazione.


La censura si mostra fondata.


Come si è già detto, non è da discutere il carattere di opera di urbanizzazione secondaria.


Ora, anche a trascurare la diversa caratteristica dell’area come sarà trasformata dal progetto contestato (destinata alla raccolta differenziata, non già allo smaltimento o al recupero dei rifiuti), l’esame dell’art. 7 della convenzione giustifica il dissenso dalle riportate conclusioni.


La destinazione necessaria e sufficiente del fondo è quella della realizzazione di un’opera di urbanizzazione secondaria.


Questa deve servire, per definizione, la collettività, non i singoli.


Anche i parcheggi o il verde già realizzati non possono essere considerati come destinati all’utilità delle sole persone residenti od operanti nella zona in cui sono situati, ma come opere che recano vantaggi, anche se meno direttamente, a tutta la comunità insediata nei dintorni o nel territorio comunale in generale.


Ed è poi da considerare che si tratta di una zona a destinazione produttiva, come è ancora precisato nell’art. 1 della convenzione del 2 aprile 1992, sicché la destinazione residenziale, fatta valere in qualche modo dai ricorrenti in primo grado ed implicitamente accolta dal T.A.R., appare quella di una componente minoritaria dell’insediamento.


Dato questo quadro composito, diventa ancor meno persuasiva la rilevata necessità, a pena di illegittimità, che l’opera serva unicamente il quartiere interessato dal piano di zona. La destinazione ad un servizio generale, quale è quello della raccolta differenziata di rifiuti, ridonda anche a vantaggio dei proprietari e dei residenti nella zona. In tal modo il Comune ha soddisfatto l’impegno assunto all’atto della stipulazione della convenzione.


11. Alla stregua delle considerazioni fatte, la sentenza impugnata deve essere riformata e, per l’effetto, deve essere respinto, perché infondato, il ricorso introduttivo.


Vi sono ragioni per compensare le spese dei due gradi di giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, per l’effetto, respinge il ricorso introduttivo.
Spese compensate.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 12 dicembre 2003, con l'intervento dei Signori:
Emidio Frascione Presidente
Giuseppe Farina, rel. est. Consigliere
Marco Lipari Consigliere
Aniello Cerreto Consigliere
Gerardo Mastrandrea Consigliere



L'ESTENSORE                          IL PRESIDENTE                               IL SEGRETARIO                                       IL DIRIGENTE
f.to Giuseppe                             Farina f.to Emidio                              Frascionef.to Rosi Graziano                       F.to Antonio Natale

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17 febbraio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Rifiuti – “Area ecologica” – Definizione – Operazioni di deposito temporaneo, smaltimento e recupero – Non rientra – Attività di raccolta – Rientra – Art. 6 D. Lgs. 22/1997 – Distinte fasi della “gestione dei rifiuti – Realizzazione dell’area ecologica – V.I.A. – Necessità – Esclusione. Un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti, può essere definita come una struttura con funzioni di raccolta, con pesatura e raggruppamento (o separazione) dei vari tipi di rifiuto conferiti dai cittadini. Non può invece essere considerata area in cui vengano svolte attività di “deposito preliminare”, smaltimento o recupero. Tanto si deduce dalle disposizioni di cui al D. Lgs. 22/1997. L’art. 6, definisce come “gestione dei rifiuti” il trattamento di essi nei momenti della raccolta, del trasporto, del recupero e dello smaltimento. Si tratta di fasi successive di un processo, che si inizia con il prelievo, la cernita ed il raggruppamento dei rifiuti per il susseguente loro trasporto (comma 1, lett. e). Se è vero che nella normativa vigente non appare la formula, né la definizione di “area ecologica”, è altresì vero che una formula sufficientemente simile (isola ecologica) è utilizzata nell’art. 9, comma 3, del d.p.r. 27 aprile 1999, n. 158, per designare i luoghi dove è “attivata” la raccolta differenziata dei rifiuti e che l’art. 6 del d. lgs. n. 22/1997 inscrive la fase della raccolta differenziata in quella della raccolta in generale, e dunque prima che si dia luogo al trasporto e prima che si proceda allo smaltimento o al recupero dei rifiuti. Lo smaltimento, secondo lo stesso art. 6, consta delle operazioni elencate nell’allegato B al decreto legislativo. Sono tutte operazioni che concernono il trattamento finale o conclusivo dei rifiuti (v. le voci dalla D 1 alla D 14). Il deposito preliminare, poi, contemplato nella voce D 15, è definito come quello che si colloca, in sequenza temporale, “prima delle operazioni di cui ai punti” precedenti: e, perciò, dopo la fase del trasporto. Il recupero, sempre secondo la stessa norma, consiste in una delle attività elencate nell’allegato C. Sono tutte operazioni che si traducono in una nuova utilizzazione dei rifiuti o nella loro rigenerazione o nel loro “riciclo”: si vedano anche le definizioni che sono date nell’art. 4 del decreto legislativo. Tutto ciò non consente di affermare che la raccolta e la separazione dei rifiuti, previste nell’area “ecologica”, si atteggi come attività di recupero dei rifiuti stessi, quale è definita dal testo normativo. Ne deriva che, per la realizzazione di un’area ecologica, non è necessario seguire la procedura di valutazione di impatto ambientale, prescritta per gli impianti di smaltimento e di recupero. Pres. Frascione, Est. Farina – Comune di Ostuni (Avv.ti Zaccaria e Petrarota) c. Consorzio Santa Caterina (Avv.ti De Giorgi Cezzi e Capone) e altri (n.c.) – (Annulla T.A.R. PUGLIA, Lecce, n. 8512/2002)  CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 17 febbraio 2004, n. 609

 

2) V.I.A. – Opere assoggettate a V.I.A. – Area ecologica – Esclusione – Definizione – Attività di raccolta, non di recupero o smaltimento dei rifiuti. Un’area ecologica per la raccolta differenziata dei rifiuti, può essere definita come una struttura con funzioni di raccolta dei vari tipi di rifiuto conferiti dai cittadini e non di deposito preliminare, smaltimento o recupero. L’attività di raccolta dei rifiuti si colloca, infatti, in sequenza temporale, anteriormente al trasporto e alle successive fasi di recupero o smaltimento, per le quali soltanto è prescritta la procedura di valutazione di impatto ambientale. Pres. Frascione, Est. Farina – Comune di Ostuni (Avv.ti Zaccaria e Petrarota) c. Consorzio Santa Caterina (Avv.ti De Giorgi Cezzi e Capone) e altri (n.c.) – (Annulla T.A.R. PUGLIA, Lecce, n. 8512/2002)  CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 17 febbraio 2004, n. 609

 

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