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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO sez. V, 12 luglio 2004, (ud. 6 aprile 2004), sentenza n. 5039

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Quinta Sezione ANNO 1997 ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n. 7562 del 1997 proposto dal sig. S. G. , rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Panuccio e prof. Federico Sorrentino ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Via Sistina n. 121;


CONTRO


Il sig. F.V., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni S.G ed elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie n. 1, presso il sig. Antonino Spinoso;
e nei confronti
del Comune di Reggio Calabria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mario De Tommasi ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Monteverdi n. 16, presso l’avv. G. Consolo;
per l’annullamento e la riforma
della sentenza n. 284 del 9 maggio 1997 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sez. di Reggio Calabria;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del sig. F.V. e del Comune di Reggio Calabria;
Vista la decisione n. 1853 del giorno 8 aprile 2003 che dichiara interrotto il processo;
Visto l’atto di riassunzione del giudizio dei sigg. Assunta Marino ved. S.G, Giuseppe S.G e Antonino S.G, in qualità di eredi legittimi di S.G, rappresentati e difesi dagli avv.ti Alberto Panuccio e prof. Federico Sorrentino ed elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio del secondo, Lungotevere delle Navi n. 30;
Viste le memorie difensive depositate dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il consigliere Corrado Allegretta;
Uditi alla pubblica udienza del 6 aprile 2004 gli avv.ti Sorrentino, Panuccio, S.G e l’avv. Ruggieri per delega dell’avv. De Tommasi ;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO


Con la sentenza appellata veniva annullata, in accoglimento del ricorso proposto dal sig. F.V., la concessione edilizia n. 163 del 4 dicembre 1996 rilasciata dal Comune di Reggio Calabria al sig. S.G, relativa alla costruzione di un fabbricato di quattro piani.


Avverso tale decisione proponeva appello il sig. S.G, censurando la correttezza del giudizio di illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado, assunto dal T.A.R. a fondamento della statuizione di annullamento, di cui invocava la riforma, con rigetto del ricorso originario e condanna dell’appellato al pagamento delle spese e competenze del doppio grado di giudizio.


Si costituiva il Comune di Reggio Calabria, difendendo la legittimità del proprio operato, aderendo ai motivi dedotti a sostegno del ricorso e concludendo per l’annullamento della sentenza appellata.


Resisteva l’appellato sig. S.G, contestando la fondatezza degli argomenti addotti a sostegno dell’appello avversario, del quale chiedeva la reiezione.


Il giudizio, dichiarato interrotto con decisione n. 1853 del giorno 8 aprile 2003 per decesso del sig. S.G, era riassunto dagli eredi sigg. A. M. ved. S.G, G. S.G e A.S.G, con atto notificato nei giorni 8 e 9 ottobre 2003;
Le parti illustravano ulteriormente le loro tesi mediante il deposito di memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 6 aprile 2004, sentiti i difensori presenti, il Collegio si è riservata la decisione.


DIRITTO


L’appello è infondato.


Si controverte della concessione edilizia n. 163 rilasciata all'appellante in data 4 dicembre 1996 per la costruzione di un fabbricato da realizzare sul suolo di sua proprietà, riportato nel catasto urbano al foglio 101, particelle 481, 605 e 489.


Il Tribunale amministrativo, con la sentenza impugnata, ha annullato la concessione edilizia, perché illegittima sotto vari profili.


Con il primo motivo d’appello si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che, ai fini del calcolo della volumetria edificabile sull’area d’intervento, avrebbe dovuto tenersi conto di alcune preesistenze.


Il ricorrente di primo grado, infatti, aveva denunciato l'omessa valutazione (determinata anche dall'inesatta rappresentazione della realtà dei luoghi negli atti progettuali), ai fini del computo dei volumi ammissibili, della volumetria di altre preesistenti costruzioni di proprietà dello stesso appellante, costituite da un edificio a cinque piani assentito con nulla osta n. 4049 del 13 maggio 1965 e dai suoi successivi ampliamenti abusivi; un edificio abusivo a quattro piani, in corso di condono, insistente sulla particella 481 e collegato, tramite terrazze abusive, con il precedente; una costruzione abusiva di circa 30 mq (oggetto di sequestro e di procedimento penale), insistente sulla particella 489; garages abusivi insistenti sulla particella 481, già oggetto di domanda di condono e poi demoliti.


In proposito l'appellante - pur non mettendo in discussione il principio richiamato nella sentenza appellata, secondo il quale “gli indici di fabbricabilità già utilizzati per l'edificazione su un'area non possono essere sfruttati per l'edificazione di nuovi fabbricati” - deduce l’erroneità della decisione sostenendo che, in mancanza di un atto di asservimento o di concessione rilasciata per un progetto che individui l'area libera da asservire all'edificazione, nel caso di fabbricato, originariamente abusivo e poi legittimato per effetto della sanatoria edilizia (cosiddetto condono) di cui alla legge 28 febbraio 1985 n. 47 e seguenti, l'asservimento non deriva automaticamente dal fatto della costruzione. In tale ipotesi, sostiene l'appellante, la sanatoria è ottenuta per la costruzione così come rappresentata nella domanda e come realizzata di fatto, senza l'automatico asservimento di terreno, che non sia indicato negli atti ed elaborati tecnici relativi alla richiesta del condono in altro atto che lo vincoli alla costruzione. L'oggetto della sanatoria è individuato dalla descrizione delle opere per le quali si chiede la sanatoria, prescritta dall'articolo 35, comma 3, L. n. 47 del 1985, cosicché, se la domanda e la descrizione si riferiscono soltanto alla costruzione, senza includere aree esterne ad essa, è escluso l'asservimento di aree al di fuori del perimetro della costruzione. Nel caso di specie, essendo decorsi più di 24 mesi dalla presentazione della domanda, con il rispetto di tutte le altre prescrizioni, la domanda s’intende accolta e l'accoglimento, insiste l'appellante, è conforme alla domanda che non include area libera esterna al perimetro del fabbricato abusivo.


In ogni caso, il Tribunale avrebbe omesso di valutare che la nuova costruzione oggetto della concessione edilizia impugnata è compatibile con le superfici libere esistenti di proprietà di esso appellante, essendo rispettato il rapporto superficie - cubatura.


Sarebbe errato, in particolare, tenere conto del manufatto abusivo esistente sulla particella 489, perché si tratta di tettoia precaria senza muri di chiusura e di tamponamento, non considerabile come costruzione, da demolire nel corso dei lavori di costruzione e prima del completamento dell'opera. Peraltro, neppure se la tettoia dovesse essere considerata costruzione computabile ai fini del volume, risulterebbero superati i rapporti ammissibili superficie - cubatura. Lo stesso dicasi dei garage oggetto di domanda di condono e spontaneamente demoliti, trattandosi, in realtà di installazione precaria in legno, che, una volta demolita, ha lasciato il suolo su cui insisteva libero e pertanto utilizzabile a beneficio della nuova costruzione.


Da nessun elemento risulterebbe, infine, che il Comune non abbia effettuato una completa valutazione di tutta la cubatura esistente e della superficie utilizzabile. La concessione edilizia non deve motivare espressamente sulla verifica della compatibilità del volume progettato con la superficie disponibile, essendo necessario soltanto che tale compatibilità esista.


La censura è, nel suo complesso, infondata.


Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28 gennaio 1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.


Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione.


Principio, peraltro, sancito nel caso di specie dall’art. 9, primo comma, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, che, con riguardo a tutti gli indici edilizi, così dispone: “l’utilizzazione degli indici edilizi che disciplinano l’edificazione in una determinata area esclude ogni richiesta successiva di altre concessioni edilizie sull’area - ad eccezione delle ricostruzioni - indipendentemente da qualsiasi frazionamento o passaggio di proprietà”.


La tesi sostenuta dall’appellante, della irrilevanza delle costruzioni per le quali sia stata avanzata domanda di condono edilizio senza espresso asservimento di superficie, si rivela, quindi, del tutto priva di fondamento, dato che, in applicazione del principio ora detto, quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell’area discende ope legis dalla sua utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento negoziale (cfr. Cons. Stato, 23 marzo 2004 n. 1525). Cosicché l’eventuale sanatoria per condono della costruzione precedente non esclude, a carico della superficie ulteriore rispetto a quella di sedime, il vincolo della quantità necessaria ad esprimere la cubatura realizzata.


Nella specie, peraltro, neppure può affermarsi, come fa l’appellante, che le opere da lui abusivamente realizzate abbiano conseguito la sanatoria per condono. Il mero decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda di condono, infatti, non è sufficiente per integrare l’ipotesi normativa di silenzio assenso, occorrendo, altresì, la sussistenza degli ulteriori presupposti indicati dall’art. 35, comma 17, L. 28 febbraio 1985 n. 47, come modificato dall'art. 4, D.L. 12 gennaio 1988 n. 2, convertito in L. 13 marzo 1988 n. 68.


In realtà, che la concessione edilizia impugnata sia stata rilasciata senza la valutazione delle preesistenze comportanti utilizzazione di superficie risulta in atti, dall’audizione del tecnico comunale. La sentenza appellata, quindi, appare conforme ai principi fin qui esposti quando accoglie il relativo motivo di doglianza, dedotto dall’originario ricorrente sotto il profilo del difetto d’istruttoria e di travisamento dei fatti.


Né vale addurre, in contrario, che la concessione edilizia non richiede un’espressa motivazione circa la verifica della compatibilità del volume progettato con la superficie disponibile, essendo necessario soltanto che, come a dire dell’appellante accadrebbe nel caso di specie, tale compatibilità esista. Detto accertamento, invero, nei casi dubbi qual è quello in esame caratterizzato da successivi, e non sempre regolari, interventi nella stessa area, dovrà in primo luogo risultare dagli atti istruttori e preliminari del procedimento di cui la concessione edilizia costituisce l’atto terminale.


Il primo motivo d’appello, in conseguenza, va respinto.


Quanto meno sotto lo stesso profilo non merita consenso neppure il secondo, con il quale si deduce l'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 19 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale.


A norma di questa disposizione, “quando le preesistenze non consentono possibilità diverse possono, sentita la Commissione edilizia ed al fine di conseguire una soluzione igienicamente ed esteticamente più idonea, essere consentite costruzioni sul confine di proprietà purché nel rispetto degli indici di piano”.


Si tratta di norma che attribuisce, non al privato, secondo suo interesse e convenienza, ma all’Amministrazione la potestà di consentire l’edificazione sul confine di proprietà, in deroga alle distanze prescritte tra fabbricati. Potestà, tuttavia, il cui esercizio è subordinato alla sussistenza di presupposti oggettivi e di una formalità procedimentale puntualmente indicati dalla norma. I primi, che richiedono in ogni caso apprezzamenti di carattere tecnico-discrezionale, sono l’impossibilità di soluzioni diverse in relazione alle costruzioni preesistenti rispetto alle quali le distanze dovrebbero essere rispettate e l’interesse pubblico a conseguire una soluzione igienicamente ed esteticamente più idonea; la seconda, si concreta nel parere della commissione edilizia espresso con specifica attinenza alla possibilità della deroga. Di entrambi deve darsi conto negli atti del procedimento con adeguata motivazione ed esplicitazione delle valutazioni poste dall’Amministrazione a base della determinazione di consentire la deroga.


Di tutto questo, invece, non v’è alcuna traccia in atti, dai quali emerge, quanto meno, un’ingiustificata superficialità nella conduzione della pratica edilizia in questione.


Il giudizio d’illegittimità dell’impugnata concessione edilizia, che ne consegue, con l’obbligo per il Comune di riesaminare con la dovuta cura la complessiva situazione dell’area di cui si tratta, rende superfluo per difetto d’interesse l’esame delle ulteriori censure dedotte con il ricorso in appello, concernenti del resto particolari profili della costruzione contestata (e.g. il rispetto degli standards) pur sempre ridondanti sulla volumetria realizzabile e, pertanto, suscettibili di essere adeguatamente valutati soltanto all’esito della più accurata istruzione della pratica che l’ottemperanza al giudicato richiede.


Per le considerazioni tutte che precedono ed in conclusione, l’appello deve ritenersi infondato e va respinto.


Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti in causa spese e competenze del secondo grado di giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe.
Compensa tra le parti spese e competenze del secondo grado di giudizio.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio del 6 aprile 2004 con l'intervento dei Signori:
Agostino Elefante - Presidente
Raffaele Carboni - Consigliere
Rosalia Bellavia - Consigliere
Corrado Allegretta - Consigliere rel. est.
Cesare Lamberti - Consigliere


L’ESTENSORE                           IL PRESIDENTE                        IL SEGRETARIO                         IL DIRIGENTE
F.to Corrado Allegretta                 F.to Agostino Elefante                F.to Agatina Vilardo                     F.to Antonio Natale

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12 luglio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Urbanistica e edilizia - Il diritto di edificare – Limiti – Indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici (Corte Cost. n. 5 del 1980), tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge (cfr. art. 4, u.c., L. 28 gennaio 1977 n. 10) e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata. Pres. Elefante - Est. Allegretta – (conferma TAR Regionale della Calabria, Sez. di Reggio Calabria sentenza n. 284/1997). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 12 luglio 2004, (ud. 6 aprile 2004), sentenza n. 5039

2) Urbanistica e edilizia - Area edificatoria - Permesso di costruire - Superficie libera - Cubatura del fabbricato preesistente - Sanatoria per condono della costruzione precedente – Limiti. Residui l’ulteriore volumetria Un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione. (In specie, la tesi sostenuta, della irrilevanza delle costruzioni per le quali sia stata avanzata domanda di condono edilizio senza espresso asservimento di superficie, si rivela, del tutto priva di fondamento, dato che, in applicazione del principio ora detto, quando la normativa urbanistica impone limiti di volumetria, il vincolo dell’area discende ope legis dalla sua utilizzazione, senza la necessità di apposito strumento negoziale (cfr. Cons. Stato, 23 marzo 2004 n. 1525). Cosicché l’eventuale sanatoria per condono della costruzione precedente non esclude, a carico della superficie ulteriore rispetto a quella di sedime, il vincolo della quantità necessaria ad esprimere la cubatura realizzata. Infine, il mero decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda di condono, infatti, non è sufficiente per integrare l’ipotesi normativa di silenzio assenso, occorrendo, altresì, la sussistenza degli ulteriori presupposti indicati dall’art. 35, comma 17, L. 28 febbraio 1985 n. 47, come modificato dall'art. 4, D.L. 12 gennaio 1988 n. 2, convertito in L. 13 marzo 1988 n. 68). Pres. Elefante - Est. Allegretta – (conferma TAR Regionale della Calabria, Sez. di Reggio Calabria sentenza n. 284/1997). CONSIGLIO DI STATO sez. V, 12 luglio 2004, (ud. 6 aprile 2004), sentenza n. 5039

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