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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenza n. 5196

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
 

D E C I S I O N E


sul ricorso in appello n.2620 del 2004 proposto dall’ANAS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla via dei Portoghesi n.12,
CONTRO
Impresa S. di F.G., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Guido Cerruti e dall’avv. Raffaele Izzo, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, al Viale Liegi 34,
per l’annullamento
della sentenza n. 9838 del 2003 con la quale il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione III, ha annullato il provvedimento di esclusione dalla gara per l’appalto relativo alla fornitura e posa in opera di segnaletica orizzontale e verticale disposta dall’ANAS per ritenuta situazione di collegamento sostanziale con altra impresa partecipante alla gara medesima.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della appellata che ha anche spiegato appello incidentale;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla udienza pubblica del 22 giugno 2004, il Dott. Sergio De Felice;
Uditi l’Avvocato dello Stato Linda e l’avv. Raffaele Izzo;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


F A T T O


Il ricorrente in primo grado ha impugnato l’atto di esclusione dalla gara per l’appalto di fornitura e posa in opera di segnaletica orizzontale e verticale.


L’atto di esclusione veniva motivato dalla stazione appaltante per il ritenuto collegamento con altra impresa partecipante alla gara (società S.  di F. P.), in violazione dell’art. 10 comma 1 bis L.109/1994.


Il collegamento tra imprese veniva ritenuto sussistente sulla base dei seguenti elementi indiziari: le imprese avevano effettuato la spedizione del plico nello stesso giorno, dal medesimo ufficio e con le stesse modalità; le imprese avevano costituito cauzione provvisoria a mezzo polizze fideiussorie rilasciate dalla stessa compagnia di assicurazione, medesima agenzia-dipendenza, contrassegnate da numerazione progressiva stretta, identità di data di emissione e legalizzazione delle firme, nonché valide per le medesime gare; tra le imprese presunte collegate vi è identità o contiguità di sedi, ubicate tutte in un immobile in Catanzaro via degli Svevi 120/f, che i concorrenti dichiarano di utilizzare in porzioni immobiliari distinte; sono ravvisabili rapporti parentali tra i due titolari di impresa (F.  G. e F.  P.).


Con la sentenza impugnata il giudice di prime cure ha accolto le censure di cui al ricorso, ritenendo che laddove non sussista il controllo o collegamento tra società, come descritto dalle ipotesi tassative di cui all’art. 2359 c.c., richiamato dal comma 1 bis dell’art. 10 L.109/94, occorra verificare comunque in concreto la esistenza di tale collegamento al fine di individuare se le offerte delle diverse imprese siano da collegarsi ad un unico centro decisionale; essendo mancato, nella specie, tale concreto accertamento, sono state accolte le censure proposte avverso la esclusione, annullata quindi giurisdizionalmente.


Avverso la sentenza di primo grado ricorre in appello l’appaltante ANAS, deducendo la ingiustizia della sentenza, chiedendo l’annullamento della stessa, con conseguente rigetto del ricorso proposto in primo grado.


Secondo la tesi sostenuta nell’atto di appello, in sostanza, il collegamento plausibile, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, ad un unico centro decisionale della pluralità di offerte, sarebbe di per sé idoneo a giustificare la esclusione, in quanto tale collegamento lederebbe l’interesse alla trasparenza e correttezza della gara, in ossequio anche al principio della concorrenza.


Né risultano minimamente contestati i rilievi relativi agli indizi di collegamento tra le imprese ritenute collegate tra loro dalla stazione appaltante.


La impresa ricorrente in primo grado si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’appello principale, e proponendo altresì appello incidentale in relazione alla mancata statuizione (omessa pronuncia) del giudice di primo grado sulla richiesta di risarcimento del danno, in forma specifica o generica, derivante dall’illegittimità dell’atto di esclusione annullato.


Infatti, la impresa avrebbe subito danni patrimoniali a seguito della annotazione nel casellario informatico, che le avrebbe impedito la partecipazione per un anno alle gare di appalto.


Alla udienza pubblica del 22 giugno 2004 la causa è stata trattenuta in decisione.


D I R I T T O


1.La questione da risolvere consiste nel verificare in quali casi la stazione appaltante possa ritenere integrato il presupposto del collegamento tra imprese (che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 c.c., secondo la espressione dell’art. 10 comma 1 bis L.109/94), che preclude, ai sensi di legge, la partecipazione alla gara, e legittima dunque la esclusione.


L’art. 10 comma 1 bis L.109/94 stabilisce che non possono partecipare le imprese che si trovino in una delle situazioni di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c..


Deve sottolinearsi la equivalenza tra la nozione interna di imprese controllate e quella di fonte comunitaria di imprese collegate (ultima parte dell’art. 2359 c.c.).


L’art. 2359 stabilisce che sono società controllate le società: 1) in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria e 3) le società che sono sotto la influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.


Sono collegate le società sulle quali un’altra società esercita una influenza notevole (che si presume in caso di titolarità del quinto delle azioni).


La ratio della legge in materia di lavori pubblici consiste nell’evitare il turbamento nello svolgimento della gara, derivante da situazioni di influenza dominante tra più imprese, che possano influire sulle offerte delle concorrenti, sulla loro media, e sulla conseguente soglia di anomalia, con connessa violazione dei principi di segretezza dell’offerta, della par condicio e della trasparenza; non può pertanto ritenersi che tale divieto di partecipazione (che determina la esclusione) si applichi solo alle società, perché è evidente che la struttura di impresa non societaria costituirebbe soltanto lo strumento per frodare la legge.


Il rispetto dei fondamentali principi della par condicio e della segretezza delle offerte, posti a garanzia della regolarità della procedura concorsuale, nell’interesse sia della pubblica amministrazione che dei partecipanti, postula necessariamente che fra i concorrenti ad una gara non venga in rilievo una relazione idonea a consentire un flusso formativo (delle offerte), e informativo in merito alla fissazione dell’offerta, ovvero agli elementi valutativi ad essa sottostanti; in presenza di significativi indizi sintomatici, il rischio di una intesa preventiva si traduce in una seria e ragionevole presunzione che le offerte dei diversi concorrenti siano riconducibili al medesimo centro decisionale.


Risulta evidente dal combinato disposto delle norme che la legge ha esteso a tutte le imprese, sia individuali che collettive, a prescindere dalla forma che in concreto rivestano, la disciplina, chiaramente dettata per le società, di cui all’art. 2359 c.c..


D’altronde è evidente la diversità di genesi e di ratio delle due disposizioni. L’articolo del codice civile tende a tutelare determinati valori nella materia societaria (quali per esempio, il pericolo di “annacquamento” del capitale sociale tra società controllate o collegate che abbiano partecipazioni reciproche o che acquistino azioni l’una dell’altra) o a disciplinare particolari aspetti (come l’esercizio del diritto di voto).


L’art. 10 comma 1 bis si riferisce, innanzitutto, già letteralmente, non alle sole società, ma alle imprese tutte, intese quali potenziali partecipanti, seppure richiamando l’art. 2359 c.c., ai fini della individuazione del controllo o collegamento.


D’altronde è noto che non ogni impresa (sia individuale ma anche collettiva) è anche società, e che la società non è sempre impresa (non è impresa la società occasionale o la societas unius negotii).


Per la normativa particolare in tema di lavori pubblici il bene da tutelare è il rispetto delle regole della concorrenza e la necessità di evitare meccanismi distorsivi delle stesse (la c.d. turbata libertà degli incanti).


Il fine ultimo è pertanto quello di rimuovere il rischio di procedure inquinate da accordi che possano influenzare le offerte, con pregiudizio dell’interesse pubblico al miglior risultato possibile, se garantito da una concorrenza piena, e quindi di una vera parità di condizione fra i vari offerenti, che, sola, può garantire non solo la vera concorrenza e trasparenza (interesse degli imprenditori di settore) ma anche la possibilità della migliore offerta, e conseguentemente la esecuzione ottimale dell’opera pubblica.


Nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, enunciati dall’art.97 Cost., la procedura di scelta dell’altro contraente si impernia fondamentalmente sui postulati di trasparenza e imparzialità, che, a loro volta, si concretizzano nel principio della par condicio di tutti i concorrenti realizzata attraverso la previa predisposizione del bando di gara e quindi del principio della concorsualità, segretezza, completezza, serietà, autenticità, compiutezza delle offerte formulate rispetto alle prescrizioni della lex specialis e nella previa predisposizione da parte dell’amministrazione appaltante dei criteri di valutazione delle offerte.


In considerazione della finalità pubblicistica (di ordine pubblico economico) alla quale sono preordinati i suddetti principi, che può sintetizzarsi come esigenza alla individuazione del “giusto contraente”, al loro rispetto non è tenuta solo la stazione appaltante, ma anche coloro che intendono partecipare alla gara, sui quali incombe l’obbligo di presentare offerte che, al di là del loro profilo tecnico-economico (specifico oggetto della valutazione di merito da parte della stazione appaltante), devono avere le caratteristiche della compiutezza, completezza, serietà, indipendenza, segretezza, le quali soltanto assicurano quel gioco della libera concorrenza e del libero confronto attraverso cui può giungersi ad individuare il miglior contraente possibile (in tal senso C. Stato, IV; 923/2002).


Rimandando all’art. 2359 c.c., la L.109/94 fa rilevare il fatto che, in virtù di incroci di partecipazioni, di collegamenti tra amministratori, di patti parasociali, o per altre situazioni di influenza notevole, si rilevi la esistenza di un unico centro decisionale, corrispondente a quello che, con la maggioranza dei voti, si avvera nelle società controllate o collegate (in tal senso C. Stato, V, 1 luglio 2002, n.3601).


Le forme e le misure di possesso di azioni, di quote o partecipazioni in genere, la esistenza di patti parasociali, la collocazione di soggetti negli organi di amministrazione possono essere le più varie.


Quello che assume rilievo, ai fini della partecipazione alle gare, è che non vi sia riferibilità ad una medesima persona, ad un medesimo gruppo di persone o ad una medesima società, delle decisioni formalmente attribuibili ad entità diverse.


Laddove la situazione di collegamento non sia acclarata a mezzo di elementi oggettivi (vincoli contrattuali parasociali, coincidenza tra organi esecutivi, partecipazioni incrociate), essa può essere tuttavia desunta da elementi indiziari, e pur tuttavia oggettivi e concordanti, numerosi, univoci e peraltro neanche contestati in fatto (nella specie, coincidenza del giorno di spedizione del plico, dal medesimo ufficio postale e con le medesime modalità, coincidenza della medesima compagnia per la polizza fideiussoria, medesima agenzia, stretta numerazione progressiva, identità di data di emissione e legalizzazione di firme, contiguità di sedi tra impresa al medesimo numero civico della stessa via, parentela tra imprenditori individuali).


Pertanto, l’art. 10 comma 1 bis fissa con certezza una ipotesi tipica di esclusione, ovvero la situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c., e si tratta di una presunzione juris et de jure di conoscibilità dell’offerta della controllata da parte della controllante, che non può essere confutata neppure fornendo la prova che la controllata ha formulato la propria offerta in totale autonomia, in quanto ai sensi dell’art. 4 D.Lgs.406/1991 le società controllate (nel senso comunitario di “collegate” ) non sono considerate soggetto terzo rispetto alle controllanti, e quindi non sono legittimate a presentate altra offerta nella medesima gara.


La presunzione di cui all’art. 10 comma 1 bis (di rimando all’art. 2359 c.c.) non può escludere che possano esistere altre ipotesi di collegamento o controllo societario atti ad alterare le gare di appalto ed è pertanto pienamente legittimo un controllo in tal senso dell’amministrazione appaltante.


Al di fuori della suddetta ipotesi di presunzione assoluta, spetta all’ente aggiudicatore, ed eventualmente al giudice amministrativo investito della questione, accertare la sussistenza di situazioni di intreccio tra gli elementi amministrativo, dei rappresentanti o tout court, tra gli imprenditori, tali da consentire la reciproca conoscibilità delle offerte e dunque da imporre la esclusione delle offerte.


Facendo applicazione dell’istituto della presunzione semplice (art. 2729 c.c.), che si fonda su indizi gravi, precisi e concordanti, la stazione appaltante (e poi il giudice) adotta un procedimento logico in base al quale si desume la esistenza di un fatto ignoto o non del tutto provato (la esistenza di un unico centro decisionale), da fatti noti e non contestati (pluralità di coincidenze quantomeno sospette, su descritte), nel presupposto della regolarità nella successione di fatti appartenenti alla medesima serie e tipo.


D’altronde è evidente che, come nel meccanismo degli strumenti idonei a frodare la legge, la norma imperativa a tutela della concorrenza nella specie, in mancanza di situazioni acclarate di controllo, non viene direttamente lesa, ma piuttosto elusa, sicchè la stazione appaltante ( e poi il giudice) non può che fare applicazione di deduzioni logiche alle quali, tuttavia, non può sottrarsi (né l’una né l’altro), se non a costo di fare recedere quelle esigenze di tutela al cui presidio le norme imperative, anti-distorsive della concorrenza, sono poste.


Si tratta quindi di accertare di volta in volta con riguardo alle concrete modalità di svolgimento della gara, proprio perché, come già evidenziato, il bene giuridico protetto dalla norma è la sostanziale correttezza della serie procedimentale finalizzata alla scelta del contraente.


Diversamente da quanto ritenuto dai giudici di primo grado, ad avviso della Sezione, gli elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, sono stati accertati dall’amministrazione in concreto e sono tali da far ritenere integrata una effettiva situazione di controllo sostanziale.


2.La appellata impresa, ricorrente in primo grado, ha proposto appello definito incidentale, in relazione alla mancata pronuncia sulla domanda risarcitoria, per i danni subiti a seguito della esclusione.


Il Collegio deve preliminarmente osservare che nella specie si tratta di appello incidentale in senso improprio, in quanto derivante da una soccombenza sostanziale, e non solo formale, in relazione alla richiesta risarcitoria.


Esso appello non nasce, infatti, come conseguenza della impugnazione altrui, ma è sorretto da un autonomo interesse ad appellare; tuttavia, essendo proposto successivamente a quello altrui, va proposto in via incidentale, ai sensi dell’art. 333 c.p.c..


Nella specie, inoltre, la impugnazione incidentale è condizionato non già all’accoglimento, ma al contrario al rigetto (con conferma dell’accoglimento in primo grado) dell’appello principale, sulla domanda relativa alla illegittimità del provvedimento amministrativo, per il noto e condivisibile principio della c.d. “pregiudizialità”.


3.Infatti, in relazione all’appello incidentale del ricorrente in primo grado, appellato a seguito dell’appello principale, deve osservarsi che la riforma della sentenza di primo grado, con l’effetto della reiezione del ricorso proposto in primo grado, già determina ex se la inammissibilità della azione risarcitoria, che richiede il presupposto del preventivo o congiunto esperimento positivo della azione di illegittimità avverso l’atto che fa parte della fattispecie di illecito (“L’azione di risarcimento di un <<danno da provvedimento amministrativo illegittimo>> può essere proposta solo a condizione che sia stato impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia stato coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari” (Ad. Plenaria Consiglio di Stato, n.4/2003).


4.In ogni caso il Collegio osserva che la tutela demolitoria che il ricorrente in primo grado aveva ottenuto con l’annullamento giurisdizionale, conteneva in sé una intrinseca satisfattorietà, ed era intrinsecamente ripristinatoria, sicché la domanda risarcitoria, tra l’altro da proporsi secondo le regole del processo dispositivo, aveva funzione sussidiaria e residuale.


Se il soggetto leso ottiene la tutela nella forma più specifica possibile a mezzo dell’annullamento dell’atto illegittimo, caso mai a seguito di provvedimento cautelare già favorevole, o con sentenza di merito immediata ai sensi dell’art. 9 L.205/2000, ma anche con sentenza seguita a pubblica udienza, ma a non eccessiva distanza dall’asserito illecito, come nella specie, potrebbe non esservi materia per ulteriore risarcimento in forma specifica o generica.


L’effetto ripristinatorio derivante dall’annullamento giurisdizionale dell’atto illegittimo, costituisce già una riparazione nella maniera più specifica, e pertanto satisfattiva in tutto o in parte, a seconda delle circostanze, sia dal punto di vista materiale che giuridico, rispetto alla situazione di illiceità caratterizzata dalla situazione di illegittimità dell’atto imputabile alla pubblica amministrazione.


In caso di autoesecutività della sentenza (demolitoria della esclusione da una gara) e operata con sentenza di merito, l’azione di risarcimento del danno avrebbe soltanto la funzione sussidiaria di reintegrazione delle situazioni lese, ma solo nella ipotesi che fossero dimostrati tutti gli elementi costitutivi dell’illecito e quindi i danni imputabili, medio tempore verificatisi, e non considerati restaurati dall’annullamento immediato dell’atto.


Esiste una differenza ontologica tra riparazione o reintegrazione specifica, operata dall’autore dell’illecito (ai sensi dell’art. 2058 c.c. richiamato dall’art. 35 D.Lgs.80/98) e la ripristinazione effettuata attraverso l’annullamento giurisdizionale dell’atto illegittimo, di cui è autore il giudice amministrativo, cui spetta la potestà demolitoria dell’atto.


Si vuole cioè dire che la tutela demolitoria costituisce anche essa la primaria possibilità di riparazione in forma specifica, tra l’altro operata anche al fine del ripristino della legalità della attività amministrativa, oltre che nell’interesse del ricorrente, anche se tale riparazione, operata direttamente ad opera del giudice, deve distinguersi dalla riparazione operata sotto il controllo giudiziale e su condanna del giudice (la condanna ad un facere contemplata dal rimedio dell’art. 2058 c.c.), in quanto esiste una distinzione che passa tra la sentenza di condanna e quella costitutiva, rectius, estintiva-demolitoria.


Nella specie, pertanto, essendo l’annullamento della esclusione dalla gara immediatamente satisfattivo e ripristinatorio della situazione lesa (l’interesse a partecipare alla gara), e non essendo dimostrati ulteriori danni patrimoniali medio tempore verificatisi a causa della esclusione, la domanda risarcitoria sarebbe stata rigettata, in quanto infondata, anche nella ipotesi di rigetto, e non di accoglimento, dell’atto di appello principale.


Le considerazioni che precedono impongono l’accoglimento dell’appello principale, con conseguente rigetto del ricorso proposto in primo grado, e il rigetto dell’appello incidentale.


La condanna alle spese segue il principio della soccombenza per il doppio grado.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dall’ANAS nei confronti della sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione III, n. 9838 del 2003, così provvede:
accoglie l’appello principale e per l’effetto annulla la sentenza impugnata, con conseguente rigetto del ricorso proposto in primo grado; rigetta l’appello incidentale.


Condanna l’appellato al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi euro mille per il doppio grado, in ragione del contenzioso complessivo tra le parti.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 22 giugno 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione quarta, riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti signori Magistrati:
Gaetano Trotta Presidente
Filippo Patroni Griffi Consigliere
Aldo Scola Consigliere
Carlo Deodato Consigliere
Sergio De Felice Consigliere, estensore


L’ESTENSORE                              IL PRESIDENTE                                 IL SEGRETARIO                                    Il Dirigente
Sergio De Felice                            Gaetano Trotta                                    Maria Cecilia Vitolla                                Giuseppe Testa

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
19 luglio 2004
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Appalti - La ratio della legge in materia di lavori pubblici – Garanzie - Rispetto dei fondamentali principi della par condicio e della segretezza delle offerte - art. 2359 c.c.. La ratio della legge in materia di lavori pubblici consiste nell’evitare il turbamento nello svolgimento della gara, derivante da situazioni di influenza dominante tra più imprese, che possano influire sulle offerte delle concorrenti, sulla loro media, e sulla conseguente soglia di anomalia, con connessa violazione dei principi di segretezza dell’offerta, della par condicio e della trasparenza; non può pertanto ritenersi che tale divieto di partecipazione (che determina la esclusione) si applichi solo alle società, perché è evidente che la struttura di impresa non societaria costituirebbe soltanto lo strumento per frodare la legge. Il rispetto dei fondamentali principi della par condicio e della segretezza delle offerte, posti a garanzia della regolarità della procedura concorsuale, nell’interesse sia della pubblica amministrazione che dei partecipanti, postula necessariamente che fra i concorrenti ad una gara non venga in rilievo una relazione idonea a consentire un flusso formativo (delle offerte), e informativo in merito alla fissazione dell’offerta, ovvero agli elementi valutativi ad essa sottostanti; in presenza di significativi indizi sintomatici, il rischio di una intesa preventiva si traduce in una seria e ragionevole presunzione che le offerte dei diversi concorrenti siano riconducibili al medesimo centro decisionale. Risulta evidente dal combinato disposto delle norme che la legge ha esteso a tutte le imprese, sia individuali che collettive, a prescindere dalla forma che in concreto rivestano, la disciplina, chiaramente dettata per le società, di cui all’art. 2359 c.c.. Conf.: CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenze nn. 5195; 5194; 5193; 5192; 5191; 5190; 5189; 5188; 5187; 5186; 5185. CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenza n. 5196

2) Appalti - Finalità pubblicistica (di ordine pubblico economico) - Individuazione del “giusto contraente” - Profilo tecnico-economico - Incroci di partecipazioni - Art. 2359 c.c. - L. n. 109/94. In considerazione della finalità pubblicistica (di ordine pubblico economico) alla quale sono preordinati i suddetti principi, che può sintetizzarsi come esigenza alla individuazione del “giusto contraente”, al loro rispetto non è tenuta solo la stazione appaltante, ma anche coloro che intendono partecipare alla gara, sui quali incombe l’obbligo di presentare offerte che, al di là del loro profilo tecnico-economico (specifico oggetto della valutazione di merito da parte della stazione appaltante), devono avere le caratteristiche della compiutezza, completezza, serietà, indipendenza, segretezza, le quali soltanto assicurano quel gioco della libera concorrenza e del libero confronto attraverso cui può giungersi ad individuare il miglior contraente possibile (in tal senso C. Stato, IV; 923/2002). Rimandando all’art. 2359 c.c., la L.109/94 fa rilevare il fatto che, in virtù di incroci di partecipazioni, di collegamenti tra amministratori, di patti parasociali, o per altre situazioni di influenza notevole, si rilevi la esistenza di un unico centro decisionale, corrispondente a quello che, con la maggioranza dei voti, si avvera nelle società controllate o collegate (in tal senso C. Stato, V, 1 luglio 2002, n.3601). Conf.: CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenze nn. 5195; 5194; 5193; 5192; 5191; 5190; 5189; 5188; 5187; 5186; 5185. CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenza n. 5196

3) Appalti - L’azione di risarcimento di un “danno da provvedimento amministrativo illegittimo” - Giudizio di annullamento. L’azione di risarcimento di un <<danno da provvedimento amministrativo illegittimo>> può essere proposta solo a condizione che sia stato impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia stato coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari” (Ad. Plenaria Consiglio di Stato, n.4/2003). Conf.: CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenze nn. 5195; 5194; 5193; 5192; 5191; 5190; 5189; 5188; 5187; 5186; 5185. CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenza n. 5196

4) Appalti - L’effetto ripristinatorio derivante dall’annullamento giurisdizionale dell’atto illegittimo - Autoesecutività della sentenza (demolitoria della esclusione da una gara). L’effetto ripristinatorio derivante dall’annullamento giurisdizionale dell’atto illegittimo, costituisce già una riparazione nella maniera più specifica, e pertanto satisfattiva in tutto o in parte, a seconda delle circostanze, sia dal punto di vista materiale che giuridico, rispetto alla situazione di illiceità caratterizzata dalla situazione di illegittimità dell’atto imputabile alla pubblica amministrazione. In caso di autoesecutività della sentenza (demolitoria della esclusione da una gara) e operata con sentenza di merito, l’azione di risarcimento del danno avrebbe soltanto la funzione sussidiaria di reintegrazione delle situazioni lese, ma solo nella ipotesi che fossero dimostrati tutti gli elementi costitutivi dell’illecito e quindi i danni imputabili, medio tempore verificatisi, e non considerati restaurati dall’annullamento immediato dell’atto. (Nella specie, pertanto, essendo l’annullamento della esclusione dalla gara immediatamente satisfattivo e ripristinatorio della situazione lesa (l’interesse a partecipare alla gara), e non essendo dimostrati ulteriori danni patrimoniali medio tempore verificatisi a causa della esclusione, la domanda risarcitoria sarebbe stata rigettata, in quanto infondata, anche nella ipotesi di rigetto, e non di accoglimento, dell’atto di appello principale). Conf.: CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenze nn. 5195; 5194; 5193; 5192; 5191; 5190; 5189; 5188; 5187; 5186; 5185. CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 luglio 2004, (ud. 22 giugno 2004) Sentenza n. 5196

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