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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 22 ottobre 2004, (Cc. 25.05. 2004) sentenza n. 6956

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


sul ricorso in appello n. 533/1996 proposto dalla Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ugo Ferrari presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Roma Via P.A. Micheli n. 78;
contro
C.D.V. S.a.s. di Gasperi Bruna e C., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Wilma Valentini e Piero Benito Panariti presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Roma Via Celimontana n. 38;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa per il Trentino Alto Adige – sede di Trento 7 novembre 1995 n. 292;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione della Società appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla Camera di consiglio del 25 maggio 2004 il Consigliere Antonino Anastasi; uditi gli avvocati Ferrari e Panariti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO


La Società oggi appellata ha presentato alla Provincia autonoma di Trento istanza di ammissione ai benefici previsti dalla legge provinciale 17.5.1991 n. 8, per un investimento finalizzato alla acquisizione e ristrutturazione di un immobile nel comune di Lavis ove allocare la propria attività di commercio all’ingrosso di colori e vernici.


Dopo aver approvato le linee guida per l’individuazione delle iniziative finanziabili, l’Amministrazione provinciale ha predisposto la relativa graduatoria, nella quale era ricompresa la Società, e deliberato con atto n.29536 del 30.12.1992 le modalità di erogazione del concesso contributo.


Successivamente, con deliberazione n. 14933 del 22.10.1993 l’Amministrazione provinciale è andata però in contrario avviso ed ha disposto lo stralcio ed il conseguente non accoglimento della domanda, in quanto l’opera realizzata dalla C.D.V. era risultata incompatibile con la normativa urbanistica comunale.
Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale, adito dalla odierna appellata, ha annullato il provvedimento provinciale, ritenendo da un lato che la conformità urbanistica dell’intervento da finanziare non costituisse requisito di ammissibilità della relativa domanda e dall’altro che il provvedimento stesso, in quanto qualificabile come revoca della precedente attribuzione, aveva comportato una immotivata lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario della provvidenza.


La sentenza è qui impugnata dalla Provincia autonoma di Trento, la quale ne chiede l’integrale riforma deducendo in primo luogo che il provvedimento impugnato non costituisce revoca del positivo giudizio in precedenza formulato circa il merito tecnico dell’iniziativa proposta dalla Società, ma comporta invece l’annullamento vincolato dell’atto di concessione, a causa della riscontrata incompatibilità urbanistica dell’iniziativa.


In secondo luogo, la Provincia rileva che la conformità urbanistica dell’iniziativa programmata costituiva presupposto implicito di ammissibilità delle domande di finanziamento.


Si è costituita la Società, insistendo per il rigetto dell’appello e rilevando in tal senso da un lato che la disciplina urbanistica e le relative prescrizioni risultano estranee al diverso settore delle agevolazioni all’attività produttiva e commerciale; dall’altro che la revoca del finanziamento, oltre a ledere l’affidamento ingenerato nel destinatario, poggia sul riscontro di requisiti non compresi fra quelli individuati dalla normativa secondaria che ha disciplinato la selezione.


All’Udienza del 25 maggio 2004 l’appello è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO


L’appello è fondato.


Con il motivo che conviene prioritariamente esaminare l’appellante deduce che la compatibilità urbanistica delle iniziative da finanziare ai sensi della L.P. n. 8 del 1991 costituiva requisito intrinseco di ammissibilità delle relative domande.


Il mezzo è fondato.


In punto di fatto è incontestato che la domanda di finanziamento proposta dalla Società aveva ad oggetto l’ampliamento della propria attività di commercio all’ingrosso di vernici mediante acquisizione e ristrutturazione di un immobile, che risulta però sito in Zona destinata dal P.RG. del comune di Lavis ad attività produttiva del settore secondario e commercializzazione dei relativi prodotti.


In un contesto così connotato in termini fattuali, occorre dunque stabilire se la pacifica incompatibilità tra la disciplina urbanistica applicabile e la destinazione d’uso dell’immobile prefigurata dalla Società potesse avere rilievo nell’ambito del procedimento finalizzato alla concessione dei contributi previsti dalla citata L.P. n. 8 del 1991 al fine di incentivare la ristrutturazione della struttura distributiva ed il potenziamento dell’apparato commerciale.


In proposito, osserva il Collegio che il contributo per cui è controversia fu richiesto dalla Società ai sensi dell’art. 3 comma 2 lettere a ) e b) della legge e quindi per l’acquisto di immobili con relativa ristrutturazione ed ampliamento: il che comporta che la compatibilità urbanistica dell’opera da finanziare si atteggia necessariamente, per quanto qui rileva, come requisito intrinseco di ammissibilità della relativa domanda, non essendo in effetti ipotizzabile l’erogazione di una sovvenzione pubblica finalizzata alla realizzazione di un’opera non conforme alla disciplina di governo dell’ambito territoriale di riferimento.


In tale prospettiva, il fatto che la normativa di settore disciplinante l’erogazione dei contributi all’attività produttiva non menzionasse espressamente il requisito di cui si discute non assume alcuna rilevanza, in quanto da un lato, come si è detto, la compatibilità urbanistica dell’iniziativa immobiliare costituisce il presupposto che implicitamente ma naturalmente legittima la richiesta di concessione dell’ausilio pubblico ( come successivamente ritenuto anche dal T.R.G.A di Trento con sentenza 12.4.1997 n. 74) e dall’altro la Amministrazione provinciale aveva preciso obbligo, in base al principio generale di buon andamento e dunque indipendentemente da eventuali iniziative repressive intraprese in concreto dal Comune, di verificare se l’immobile per il cui acquisto e ristrutturazione veniva chiesto il finanziamento fosse, sotto il profilo urbanistico, idoneo allo svolgimento della attività dedotta.


Nella fattispecie, venendo dunque in rilievo un requisito intrinseco di ammissibilità della domanda, non può perciò conclusivamente sostenersi – come a torto ritenuto dal Tribunale – che l’Amministrazione, allorché ha doverosamente espletato la verifica di cui sopra, abbia fatto contraddittorio riferimento ad un criterio di selezione estraneo al novero di quelli espressamente individuati dalla normativa primaria e secondaria di riferimento: e ciò in quanto, per le considerazioni anzidette, la conformità della destinazione d’uso dell’immobile da finanziare non costituiva criterio da utilizzare ai fini della predisposizione della graduatoria di merito ma elemento da valutare in sede preventiva di ammissione alla procedura.


Con il secondo motivo l’appellante deduce che il provvedimento in autotutela era supportato da pregnanti ragioni di pubblico interesse, rispetto alle quali l’affidamento ingenerato nella Società doveva considerarsi recessivo.


Anche questo mezzo è fondato.


Al riguardo si premette che il provvedimento impugnato, non comportando una revoca discrezionale per motivi sopravvenuti ma fondandosi sulla riscontrata illegittimità della precedente ammissione, deve qualificarsi come atto di autoannullamento per vizi di legittimità.


Tanto chiarito è ben noto che, secondo un orientamento giurisprudenziale peraltro risalente, anche l’annullamento di ufficio di un provvedimento illegittimo presuppone il riscontro circa la sussistenza di un interesse pubblico che in concreto prevalga sull'affidamento ingenerato nel privato beneficiario ( cfr. fra le tante Ap. 5.5.1990 n. 412 e V Sez. 13.3.2000 n.1311).


In sostanza, nell'ipotesi in cui vengano incise situazioni giuridiche costituitesi e consolidatesi sulla base di precedenti atti adottati dalla stessa Amministrazione, il provvedimento di autotutela deve essere non solo adeguatamente motivato, ma deve anche evidenziare l'esistenza di un pubblico interesse attuale e specifico alla sua adozione, diverso da quello inerente il mero ripristino della legalità violata.


E tuttavia, distaccandosi da tale indirizzo, la giurisprudenza prevalente ha in tempi più recenti individuato varie ipotesi nelle quali l’interesse pubblico all’annullamento è, come suol dirsi, in re ipsa e non richiede particolare motivazione, ivi comprendendo in particolare tutte le ipotesi in cui l’interesse sotteso all’attività di autotutela consiste nell’evitare l’esborso di denaro pubblico senza titolo. ( ad es. V 9.2.2001 n. 581).


A giudizio del Collegio, che aderisce dunque al criterio interpretativo da ultimo richiamato, nel caso in esame deve ritenersi che l’atto di autoannullamento – in quanto volto ad evitare l’utilizzo di risorse pubbliche per il finanziamento di una iniziativa immobiliare contrastante con la disciplina urbanistica, con vantaggio ingiustificato per la Società appellata rispetto agli altri concorrenti – risultava finalizzato al perseguimento di un interesse pubblico di naturale evidenza ed in definitiva del tutto cogente.


Dal che discende, altresì, che il provvedimento non necessitava di particolare motivazione in ordine alla prevalenza del suddetto interesse sull’affidamento ingenerato nella Società, specie ove si tenga presente da un lato che l’attività di autotutela si è dispiegata a non rilevante distanza di tempo dalla concessione del contributo e soprattutto, dall’altro, che l’acquisto dell’immobile da parte della appellata risulta comunque definito in epoca comunque anteriore alla conclusione del procedimento.


Sulla base delle considerazioni che precedono l’appello dell’Amministrazione va perciò accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.


Sussistono giusti motivi per disporre la integrale compensazione delle spese del giudizio tra le parti.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione IV, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso originario.


Spese del giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 25 maggio 2004 con l’intervento dei Signori:
Paolo SALVATORE Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI Consigliere
Antonino ANASTASI estensore Consigliere
Aldo SCOLA Consigliere
Carlo DEODATO Consigliere


L’ESTENSORE                                  IL PRESIDENTE                                           IL SEGRETARIO                                       Il Dirigente
Antonino Anastasi                              Paolo Salvatore                                            Giuseppe Testa                                         Antonio Serrao


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
22 ottobre 2004
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

 

1) Pubblica Amministrazione - Attività di autotutela - Interesse pubblico all’annullamento - Presupposti - Motivazione - Giurisprudenza. Fattispecie: Esborso di denaro pubblico senza titolo, utilizzo di risorse pubbliche per il finanziamento di una iniziativa immobiliare contrastante con la disciplina urbanistica. La giurisprudenza prevalente ha in tempi più recenti individuato varie ipotesi nelle quali l’interesse pubblico all’annullamento è, come suol dirsi, in re ipsa e non richiede particolare motivazione, ivi comprendendo in particolare tutte le ipotesi in cui l’interesse sotteso all’attività di autotutela consiste nell’evitare l’esborso di denaro pubblico senza titolo. ( ad es. V 9.2.2001 n. 581). Contra: Anche l’annullamento di ufficio di un provvedimento illegittimo presuppone il riscontro circa la sussistenza di un interesse pubblico che in concreto prevalga sull'affidamento ingenerato nel privato beneficiario ( cfr. CdS Ap. 5.5.1990 n. 412 e Sez. V 13.3.2000 n.1311). In sostanza, nell'ipotesi in cui vengano incise situazioni giuridiche costituitesi e consolidatesi sulla base di precedenti atti adottati dalla stessa Amministrazione, il provvedimento di autotutela deve essere non solo adeguatamente motivato, ma deve anche evidenziare l'esistenza di un pubblico interesse attuale e specifico alla sua adozione, diverso da quello inerente il mero ripristino della legalità violata. (Nel fatto è stato ritenuto che l’atto di autoannullamento - in quanto volto ad evitare l’utilizzo di risorse pubbliche per il finanziamento di una iniziativa immobiliare contrastante con la disciplina urbanistica, con vantaggio ingiustificato per la Società appellata rispetto agli altri concorrenti - risultava finalizzato al perseguimento di un interesse pubblico di naturale evidenza ed in definitiva del tutto cogente. Pertanto, il provvedimento non necessitava di particolare motivazione in ordine alla prevalenza del suddetto interesse sull’affidamento ingenerato nella Società, specie ove si tenga presente da un lato che l’attività di autotutela si è dispiegata a non rilevante distanza di tempo dalla concessione del contributo e soprattutto, dall’altro, che l’acquisto dell’immobile da parte della appellata risulta comunque definito in epoca comunque anteriore alla conclusione del procedimento). Pres. SALVATORE - Est. ANASTASI - Provincia autonoma di Trento (avv. Ferrari) c. C.D.V. S.a.s. (avv.ti Valentini e Panariti) (annulla TAR di Giustizia Amministrativa per il Trentino Alto Adige – sede di Trento 7 novembre 1995 n. 292). CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 22 ottobre 2004, (Cc. 25.05. 2004) sentenza n. 6956

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