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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 29/10/2004 (Cc. 2.7.2004) Sentenza n. 7021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso n.8378 del 1999 proposto dalla Regione dell’Umbria, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dall’avv. Fabrizio Figorilli ed elettivamente domiciliata in Roma, via G.B. Morgagni, 2/a, presso lo studio dell’avv. Umberto Segarelli;
contro
Commissariato del Governo presso a Regione dell’Umbria - Commissione di Controllo sugli atti dell’Amministrazione Regionale, in persona del Commissario del Governo p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n.12;
e nei confronti
della Federazione Italiana della Caccia, in persona del Presidente p.t, non costituitasi in giudizio;
nonché
dell’Ente per la Produzione della Selvaggina, in persona del Presidente p.t., non costituitosi in giudizio;
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria n.329/99 del 29 aprile 1999, resa tra le parti;
visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
vista la memoria prodotta dalla Regione appellante a sostegno delle proprie difese;
visti gli atti tutti della causa;
alla pubblica udienza del 2 luglio 2004, relatore il Consigliere Domenico Cafini, uditi l’avvocato Police (per delega dell’avv. Figorilli) e l’avvocato dello Stato Volpe;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO E DIRITTO


1. La Giunta Regionale dell’Umbria con deliberazione n.3752 del 1°.7.1993 adottava il calendario venatorio per gli anni 1993-1994, includendo tra le specie cacciabili le dieci seguenti: passero, passera mattugia, colino della Virginia, storno, fringuello, peppola, ghiandaia, gazza, taccola e cornacchia grigia.


1.1. Tale delibera veniva impugnata innanzi al TAR dell’Umbria dalla Associazione protezionistica World Wildlife Fund che ne deduceva l’illegittimità, in quanto le specie avanti menzionate erano da ritenersi protette e quindi non cacciabili, e ne chiedeva, previa sospensione, l’annullamento.


1.2. Il TAR adito respingeva la domanda cautelare, ma in sede di appello sulla relativa ordinanza, questa Sezione accoglieva l’istanza di sospensione del calendario venatorio impugnato “nella parte in cui, in deroga alla normativa comunitaria e nazionale, consente la caccia di alcune specie protette (passero, passera mattugia, colino della Virginia, storno, fringuello, peppola, ghiandaia, gazza, taccola e cornacchia grigia)” (ord. Sez VI n.1004 del 29.9.1993).


1.3. A seguito di ciò, la Giunta Regionale, preso atto di tale ultima ordinanza cautelare, provvedeva a modificare il calendario in questione con delibera 18.10.1993 n. 7003, escludendo dalle cacciabili soltanto quattro delle specie sopra specificate (cioè: colino della Virginia, peppola, taccola e gazza) e confermando la inclusione delle altre sei innanzi menzionate tra le specie considerate non protette per le quali si sarebbe consentita la caccia, ma la Commissione di controllo sugli atti della Regione Umbria annullava - con la determinazione n.1849 del 22.10.1993, poi impugnata col ricorso di prime cure - la delibera stessa nella parte in cui consentiva “la caccia alle seguenti specie: passero, passera mattugia, storno, fringuello, cornacchia grigia e ghiandaia”, in quanto la stessa doveva ritenersi viziata, disattendendo, seppure in parte, la citata ordinanza di sospensione di questa Sezione.


1.4. Contro la determinazione della Commissione di controllo in data 22.10.1993 la Regione Umbria proponeva quindi ricorso davanti al TAR dell’Umbria che - senza affrontare la questione sostanziale se sussistesse o meno il potere della Regione di includere, in sede di formazione del calendario venatorio regionale, alcune delle specie cacciabili protette e se quelle cui si riferiva la controversia fossero o no da considerarsi tali – lo respingeva con la sentenza in epigrafe. Con essa, pronunciando sul pregiudiziale problema del rapporto tra giurisdizione amministrativa e amministrazione attiva, avuto riguardo alla effettività delle decisioni cautelari rese nel giudizio amministrativo, il Giudice di primo grado riteneva, in particolare, che la Regione stessa non avrebbe potuto - fino a che la detta ordinanza di sospensione del Consiglio di Stato era efficace - reiterare, integralmente o parzialmente, l’atto sospeso, al fine di ammettere la caccia nei confronti delle specie che l’ordinanza medesima considerava protette sulla base di ben precise e tassative disposizioni nazionali e comunitarie.


1.5. Tale sentenza è stata impugnata dalla Regione umbra che, con l’appello in esame, ha dedotto i seguenti motivi di diritto:
a) violazione dei principi sul giudicato; irragionevolezza e contraddittorietà;
b) violazione dell’art. 45 L. 10.2.1953 n. 62; sviamento e contraddittorietà; violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato;
c) violazione art. 18 L. 11.2.1992 n. 157; difetto di motivazione.


Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata che si è opposta al ricorso.


Con memoria in data 16.6.2004 la Regione ricorrente ha ulteriormente svolto le proprie argomentazioni, insistendo per il rigetto del gravame.


1.6. La causa è stata, infine, assunta in decisione alla pubblica udienza del 2 luglio 2004.


2. L’appello è infondato.


2.1. Privo di pregio è, innanzitutto, il primo motivo volto a criticare la sentenza impugnata nella parte in cui - dopo avere ritenuto che le decisioni di annullamento del giudice amministrativo, tra cui quelle cautelari, non precludono in senso assoluto all’amministrazione attiva di reiterare l’atto annullato, salvo gli effetti del giudicato - avrebbe fatto erroneo riferimento ad una ordinanza cautelare riguardante altro giudizio. Secondo l’Amministrazione ricorrente, infatti, il TAR avrebbe preso in considerazione, non correttamente, un’ordinanza cautelare resa in diverso procedimento giurisdizionale e non in quello di cui trattasi ove la misura cautelare ha proprio riguardato la determinazione di annullamento della Commissione di Governo, sospendendone l’esecuzione.


Il Giudice di primo grado, in definitiva, non avrebbe potuto, ad avviso dell’ente appellante, fare riferimento ad una ordinanza cautelare, emessa in altro giudizio analogo a quello sottoposto al suo esame, poi assorbita peraltro da una successiva sentenza di merito.


I rilievi non sono condivisibili.


Come accennato nell’esposizione in fatto, la Commissione di controllo presso il Commissariato del Governo nella Regione Umbria ha annullato nel caso in esame la deliberazione 18.10.1993, n.7003 della Giunta regionale concernente “Ulteriori modifiche al calendario venatorio per la stagione 1993-94”; e ciò sulla base della ordinanza cautelare n.1004/93 di questa Sezione VI (che aveva accolto, ritenuta la sussistenza del fumus boni iuris, la richiesta di sospensiva della delibera 1.7.1993, n.3752 della Regione Umbria nella parte in cui la Giunta “in deroga alla normativa comunitaria e nazionale consente la caccia di alcune specie protette”) e nella considerazione che con la deliberazione n.7003/93 all’esame veniva consentita la caccia a sei delle dieci specie oggetto della sospensiva predetta, disattendendo in parte, pertanto, la menzionata pronuncia cautelare.


Premesso dunque che l’oggetto dell’appello, come si evince dalla delibera della Commissione ora menzionata, è sostanzialmente riferito ad una questione concernente i rapporti tra giurisdizione amministrativa e amministrazione attiva, con particolare riguardo alla efficacia ed effettività delle pronunce, anche cautelari, del giudice amministrativo - giacché la delibera regionale impugnata in prime cure è stata ritenuta illegittima dalla Commissione stessa non già per violazione di disposizioni inerenti alla caccia, bensì per violazione del principio d’imperatività dell’ordinanza di sospensione n.1004/1993 di questo Consiglio di Stato - il Collegio deve rilevare, convenendo con quanto osservato in proposito dal Giudice di prime cure:

- che le pronunce del giudice amministrativo, pur se non precludono all’Amministrazione di reiterare l’atto annullato e di riprodurre così il medesimo assetto di interessi derivante da tale atto, pongono in ogni caso chiari limiti alla libertà di azione dell’Amministrazione stessa, atteso che, per il c.d. effetto confermativo del giudicato, la relativa attività resta comunque condizionata pur sempre dal giudicato esistente, non potendo riprodurre essa i vizi di legittimità riscontrati nel precedente atto dal giudice amministrativo;
- che la medesima efficacia riferita alle sentenze va riconosciuta anche alle ordinanze cautelari, da ritenersi egualmente imperative, fermo restando che, mentre le prime restano immodificabili, le ordinanze hanno invece minore stabilità, cessando i loro effetti con la decisione di merito; cosicché fino a quando l’ordinanza cautelare non sia revocata, modificata o sostituita da una pronuncia di merito, la stessa non può che ricevere eguale ottemperanza;
- che, pertanto, l’ordinanza cautelare, come la sentenza, pur non precludendo all’Amministrazione di disporre ancora nel medesimo senso dell’atto sospeso, impone comunque alla medesima di non riprodurre il vizio del quale in sede cautelare il giudice amministrativo ha rilevato la sussistenza;
- che, allorquando il vizio di legittimità rinvenuto dal giudice amministrativo si riferisca alla violazione di legge (essendo l’atto impugnato contrastante con una norma) o vi sia comunque al riguardo un adeguato fumus boni iuris, l’Autorità amministrativa interessata non potrà riprodurre l’atto in questione disponendo sostanzialmente negli stessi termini; e ciò, quanto meno, sino a quando l’ordinanza di sospensione non sia venuta meno nei suoi effetti;
- che nel caso in esame l’ordinanza di questa Sezione n.1004/1993 – esplicante ancora integralmente i propri effetti al momento dell’atto deliberativo in data 18.10.2003 non essendo intervenuta a quella data alcuna pronuncia nel merito della controversia - risulta chiara nel significare, seppure succintamente, che il rilevato fumus boni iuris si riferisce in concreto al contrasto tra quanto disposto nel calendario venatorio regionale con riguardo alla ammissione alla caccia di determinate specie faunistiche e la relativa disciplina comunitaria e nazionale che qualifica invece le stesse specie come soggette a protezione;
- che, in definitiva, la Regione Umbria, fino a quando detta ordinanza di sospensione svolgeva la sua efficacia, non poteva reiterare nel caso in questione, nemmeno in parte, l’atto sospeso, onde consentire la caccia alle specie che l’ordinanza aveva espressamente considerato protette sulla base di precise e tassative disposizioni statali e comunitarie.


Per le considerazioni che precedono deve essere disatteso, dunque, l’assunto di parte appellante circa l’erroneo riferimento da parte dei primi giudici ad un’ordinanza cautelare resa in altro giudizio, e non in quello “che qui specificamente interessa”, dovendosi ritenere la controversia sottoposta all’esame, riferita essenzialmente alla verifica, nel nuovo atto dell’Amministrazione regionale, della sussistenza o meno del rilevato contrasto con la precisa statuizione contenuta nella ordinanza esecutiva n.1004/03 di questa Sezione.


E ciò, a prescindere dalla considerazione della rilevata diversità della ponderazione degli interessi effettuata nei due atti, diversità che, peraltro, sotto un profilo sostanziale, nemmeno sussiste, giacchè le deliberazioni della Giunta Regionale 1.7.1993 n.3752 (sospesa in parte dal Consiglio di Stato fino alla decisione di merito) e quella reiterata in data 18.10.1993, n.7003 (annullata con il surriferito provvedimento della Commissione di controllo) concernono in effetti - in disparte gli specifici apprezzamenti degli interessi in gioco ivi espressi - la stessa questione riguardante il medesimo calendario venatorio: quella cioè dell’ammissione solo entro certi limiti della cacciabilità di talune specie protette sulla base della vigente normativa statale e comunitaria.


In definitiva, quel che qui rileva è che, nonostante che vi sia stata nella specie una pronuncia giurisdizionale che ha riconosciuto come ingiustamente lesivo dell’interesse della parte ricorrente il comportamento dell’Amministrazione regionale adottato in sede di approvazione del calendario venatorio in questione, l’Amministrazione medesima non abbia poi rispettato in concreto l’obbligo di conformarsi a tale pronuncia, attuando il risultato pratico riconosciuto come giusto e necessario nella menzionata ordinanza cautelare di questa Sezione.


Appare dunque evidente l’illegittimità del provvedimento regionale originariamente impugnato, così come riconosciuto dal Giudice di prime cure, atteso che qualsiasi nuovo atto dell’Amministrazione che si ponga in contrasto con la statuizione contenuta in una decisione giurisdizionale esecutiva o che dia ulteriore seguito ad atti sospesi o eliminati dal mondo giuridico è certamente affetto da antigiuridicità derivata per violazione dell’obbligo a carico dell’Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale stessa.


2.2. Alla stregua di quanto avanti esposto devono essere disattesi anche gli ulteriori rilievi dedotti con il secondo motivo non essendosi verificato nella sentenza impugnata il “c.d. assorbimento improprio” e, quindi, l’assunta omissione di pronuncia sul primo mezzo di gravame.


2.3. Inammissibile è infine il terzo ed ultimo mezzo di gravame, con il quale si sostiene cha la Regione Umbria, nell’adottare il calendario venatorio 1993-1994, avrebbe “operato correttamente nel rispetto della legge n.157/1992, come negli anni precedenti e in conformità alla giurisprudenza del tempo” e che la Commissione di controllo in una precedente seduta si sarebbe pronunciata in termini diversi con riguardo allo stesso calendario venatorio.


Ritiene infatti il Collegio che eventuali precedenti comportamenti dell’Organo tutorio predetto ritenuti affetti da vizi di eccesso di potere - peraltro nella specie non attinenti al contenuto proprio della decisione censurata e non sorretti da adeguati elementi probatori - non possono essere comunque invocati per sostenere l’illegittimità, sotto il profilo della contraddittorietà e della disparità di trattamento, del successivo corretto esercizio del medesimo potere di controllo.


3. Alla stregua delle considerazioni che precedono le statuizioni del giudice di prime cure oggetto dell’appello appaiono immuni dai vizi di legittimità dedotti dall’ente ricorrente.


Il ricorso in appello va pertanto respinto.


Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari di giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in appello e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.


Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI - riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Carmine VOLPE Consigliere
Francesco D’OTTAVI Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere Est.
Guido SALEMI Consigliere

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
04 novembre 2004
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

 

1) Caccia - Calendario Venatorio - Inclusione di specie protette - Illegittimità del provvedimento regionale - Obbligo a carico dell’Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale - Sussiste. Qualsiasi nuovo atto dell’Amministrazione che si ponga in contrasto con la statuizione contenuta in una decisione giurisdizionale esecutiva o che dia ulteriore seguito ad atti sospesi o eliminati dal mondo giuridico è certamente affetto da antigiuridicità derivata per violazione dell’obbligo a carico dell’Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale stessa. Fattispecie: adozione del calendario venatorio includendo tra le specie cacciabili specie non cacciabil. (Il CdS in sede di appello sulla relativa ordinanza del TAR, (ord. Sez VI n.1004 del 29.9.1993) accoglieva l’istanza di sospensione del calendario venatorio impugnato “nella parte in cui, in deroga alla normativa comunitaria e nazionale, consente la caccia di alcune specie protette (passero, passera mattugia, colino della Virginia, storno, fringuello, peppola, ghiandaia, gazza, taccola e cornacchia grigia)”. Pres. VARRONE - Est. CAFINI Regione dell’Umbria (Avv. Figorilli) c. Commissariato del Governo presso a Regione dell’Umbria (Avvocatura generale dello Stato) e altri (TAR Umbria n.329/99 del 29 aprile 1999). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 29/10/20044 (Cc. 2.7.2004) Sentenza n. 7021

2) Caccia - Calendario Venatorio - Potestà regionale - Limiti. La Regione non può reiterare, integralmente o parzialmente, l’atto sospeso, - ordinanza di sospensione del Consiglio di Stato - al fine di ammettere la caccia nei confronti delle specie che l’ordinanza medesima considera protette sulla base di ben precise e tassative disposizioni nazionali e comunitarie. Fattispecie: adozione del calendario venatorio includendo tra le specie cacciabili specie non cacciabili). Pres. VARRONE - Est. CAFINI Regione dell’Umbria (Avv. Figorilli) c. Commissariato del Governo presso a Regione dell’Umbria (Avvocatura generale dello Stato) e altri (TAR Umbria n.329/99 del 29 aprile 1999). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 29/10/2004 (Cc. 2.7.2004) Sentenza n. 7021

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