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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI GIUSTIZIA - Comunità Europee, Ordinanza 15 gennaio 2004, Causa C-235/02

 

CORTE DI GIUSTIZIA

delle Comunità Europee,


Ordinanza della Corte (Terza Sezione) del 15 gennaio 2004.


Nel procedimento C-235/02, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela nel procedimento penale dinanzi ad esso pendente contro Marco Antonio Saetti e Andrea Frediani, domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 1, lett. a) ed f), 2, n. 2, lett. b), e 4 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32),
 

LA CORTE (Terza Sezione),

 

composta dal sig. C. Gulmann, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dal sig. J.-P. Puissochet (relatore) e dalla sig.ra F. Macken, giudici, avvocato generale: sig.ra Kokott  cancelliere: sig. R. Grass informato il giudice del rinvio dell'intenzione della Corte di statuire con ordinanza motivata in conformità all'art. 104, n. 3, del regolamento di procedura, invitati gli interessati di cui all'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia a presentare le loro eventuali osservazioni in merito, sentito l'avvocato generale, ha emesso la seguente


Ordinanza


Motivazione
1 Con ordinanza 19 giugno 2002, pervenuta in cancelleria il 26 giugno seguente, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, quattro questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 1, lett. a) ed f), 2, n. 2, lett. b), e 4 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»).


2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento penale a carico dei sigg. Saetti e Frediani, rispettivamente direttore ed ex direttore della raffineria di petrolio di Gela gestita dall'AGIP Petroli SpA, accusati in particolare di non avere rispettato la legislazione italiana in materia di rifiuti.


Ambito giuridico


La normativa comunitaria
3 L'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442 definisce il rifiuto come «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi».


4 L'allegato I della direttiva 75/442, intitolato «Categorie di rifiuti», menziona in particolare, al suo punto Q 8, i «[r]esidui di processi industriali (ad esempio scorie, residui di distillazione, ecc.)» e, al suo punto Q 16, «[q]ualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate».


5 L'art. 1, lett. a), secondo comma, della direttiva 75/442 affida alla Commissione delle Comunità europee il compito di compilare «un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all'allegato I». Tale è l'oggetto della decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442 e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 226, pag. 3). Tale elenco è stato modificato dalle decisioni della Commissione 16 e 22 gennaio 2001 e del Consiglio 23 luglio 2001, rispettivamente 2001/118/CE, 2001/119/CE e 2001/573/CE (GU L 47, pagg. 1 e 32, e L 203, pag. 18), ed è entrato in vigore il 1° gennaio 2002. Vi figurano, al capitolo 05, sezione 01, i «rifiuti della raffinazione del petrolio». La detta sezione enumera diversi tipi di rifiuti ed include una posizione 05 01 99 intitolata «rifiuti non specificati altrimenti». La nota preliminare dell'elenco precisa che si tratta di un elenco armonizzato che verrà rivisto periodicamente, ma che, tuttavia, «l'inclusione di un determinato materiale nell'elenco non significa che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza. La classificazione del materiale come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442».


6 L'art. 1, lett. c), della direttiva 75/442 definisce il «detentore» come il «produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene».


7 L'art. 1, lett. d), della detta direttiva definisce la «gestione» dei rifiuti come «la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo delle discariche dopo la loro chiusura».


8 L'art. 1, lett. e) ed f), della direttiva 75/442 definisce lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti come tutte le operazioni previste, rispettivamente, nei suoi allegato II A e II B. Tali allegati sono stati adattati al progresso scientifico e tecnico dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32). Tra le operazioni di recupero enumerate all'allegato II B figura, al punto R 1, l'«[u]tilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia».


9 L'art. 2 della direttiva 75/442 così dispone:
«1. Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:
a) gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera;
b) qualora già contemplati da altra normativa:
(...)
ii) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
(...)
2. Disposizioni specifiche particolari o complementari a quelle della presente direttiva per disciplinare la gestione di determinate categorie di rifiuti possono essere fissate da direttive particolari».


10 L'art. 3, n. 1, della direttiva 75/442 dispone in particolare che gli Stati membri adottano le misure appropriate per promuovere il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie. L'art. 4 della stessa direttiva precisa che gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e in particolare senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora, e senza danneggiare il paesaggio.


11 Gli artt. 9 e 10 della direttiva 75/442 precisano che tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento dei rifiuti od operazioni dirette ad un possibile recupero dei rifiuti devono ottenere un'autorizzazione dall'autorità competente.


12 Una dispensa dall'autorizzazione è tuttavia prevista, a determinate condizioni, dall'art. 11 della direttiva 75/442.


La normativa nazionale
13 La direttiva 75/442 è stata recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (GURI 15 febbraio 1997, Supplemento ordinario, n. 38), ulteriormente modificato dal decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (GURI 8 novembre 1997, n. 261; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 22/97»).


14 Il decreto legislativo n. 22/97 definisce i rifiuti in maniera identica alla direttiva 75/442. Per la gestione di certi tipi di rifiuti esso esige un'autorizzazione amministrativa. In certi casi, la mancanza di autorizzazione è sanzionata penalmente.


15 Dopo l'avvio dei procedimenti oggetto della causa principale, è intervenuto il decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, recante disposizioni urgenti per l'individuazione della disciplina relativa all'utilizzazione del coke da petrolio (pet-coke) negli impianti di combustione (GURI 8 marzo 2002, n. 57). Tale testo, da un lato, ha escluso il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso industriale dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97 e, dall'altro, ha disciplinato il suo utilizzo negli impianti di combustione secondo le modalità seguenti:

«1. Negli impianti di combustione con potenza termica nominale, per singolo focolare, uguale o superiore a 50 MW, è consentito l'uso del coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 3 per cento in massa.


2. L'uso del coke da petrolio nel luogo di produzione è consentito (...) [anche se il tenore di zolfo è superiore al 3%].


3. Negli impianti in cui durante il processo produttivo i composti dello zolfo siano fissati o combinati in percentuale non inferiore al 60 per cento con il prodotto ottenuto è consentito l'uso del coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 6 per cento in massa.


4. E' in ogni caso vietato l'utilizzo del coke da petrolio nei forni per la produzione della calce impiegata nell'industria alimentare».


16 Lo stesso decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, è stato modificato dalla legge 6 maggio 2002, n. 82, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, recante disposizioni urgenti per l'individuazione della disciplina relativa all'utilizzazione del coke da petrolio (pet-coke) negli impianti di combustione (GURI 7 maggio 2002, n. 105). In tale occasione, è stato precisato che il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo era escluso dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97. L'art. 2, secondo comma, del detto decreto legge, citato al punto precedente della presente ordinanza, è stato completato come segue:
«[L]'uso del coke da petrolio è consentito nel luogo di produzione anche per processi di combustione mirati a produrre energia elettrica o termica con finalità non funzionali ai processi propri della raffineria, purché le emissioni rientrino nei limiti stabiliti dalle disposizioni in materia».


Controversia principale e questioni pregiudiziali
17 In seguito a denunce riguardanti l'attività della raffineria di petrolio di Gela, il pubblico ministero presso il Tribunale di Gela ha disposto una perizia tecnica nello stabilimento. Detta perizia tecnica ha accertato che la raffineria utilizzava il coke da petrolio, risultante dalla raffinazione del petrolio grezzo, come combustibile per la centrale di cogenerazione di vapore e di elettricità, in cui la maggior parte dell'energia prodotta è utilizzata per la stessa raffineria, ma le cui eccedenze di produzione elettrica vengono vendute ad altre industrie o alla società elettrica ENEL SpA.
18 Il pubblico ministero ha ritenuto che il coke da petrolio costituisse un rifiuto soggetto al decreto legislativo n. 22/97 e, poiché questo era depositato ed utilizzato senza l'autorizzazione amministrativa prescritta da tale norma, ha accusato i sigg. Saetti e Frediani del reato di inosservanza delle prescrizioni relative a tale autorizzazione. Per di più, il pubblico ministero ha ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari il sequestro dei due depositi di coke da petrolio che alimentano la centrale di cogenerazione della raffineria.


19 Poiché, dopo l'entrata in vigore del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, menzionato al punto 15 della presente ordinanza, l'utilizzo del coke da petrolio è autorizzato a determinate condizioni dalla nuova normativa italiana, il pubblico ministero ha posto fine al sequestro.


20 Per quanto riguarda la conduzione dei procedimenti dopo l'entrata in vigore del detto decreto legge e della legge 6 maggio 2002, n. 82, menzionata al punto 16 della presente ordinanza, il Giudice per le indagini preliminari si chiede, in sostanza, se le autorità italiane avessero il potere di escludere dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97 il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso industriale e per l'attività delle raffinerie di petrolio, tenuto conto della direttiva 75/442. Il Giudice per le indagini preliminari è particolarmente incline a pensare che il coke da petrolio costituisca un rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 e che, in assenza di una normativa comunitaria relativa al coke da petrolio, quale quella prevista dall'art. 2, n. 1, lett. b), della detta direttiva, le autorità nazionali non potessero escluderlo dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97, adottato per il recepimento della detta direttiva.


21 Alla luce di queste circostanze il Giudice per le indagini preliminari ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il coke da petrolio rientri nella nozione di rifiuto fornita dall'art. 1 della direttiva 75/442;
2) se il suo utilizzo come combustibile costituisca attività di recupero a norma dell'art. 1 della direttiva 75/442;
3) se il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo rientri tra le categorie di rifiuti escludibili da uno Stato membro dall'applicazione della normativa comunitaria sui rifiuti, previa specifica regolamentazione a norma dell'art. 2 della direttiva 75/442;
4) se la sua utilizzabilità nel luogo di produzione anche nei processi di combustione mirati a produrre energia elettrica o termica con finalità non funzionali ai processi propri della raffineria, purché le emissioni rientrino nei limiti stabiliti dalle disposizioni in materia, anche se il suo contenuto di zolfo superi il 3% in massa, rappresenti una misura necessaria e sufficiente per assicurare che tale rifiuto sia recuperato senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente a norma dell'art. 4 della direttiva 75/442».


Sulla ricevibilità
22 I sigg. Saetti e Frediani sostengono innanzi tutto che il procedimento nell'ambito del quale è intervenuto il Giudice per le indagini preliminari non è un procedimento di carattere giurisdizionale che permetta il rinvio alla Corte in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 CE. Secondo loro, il procedimento penale ha tale carattere solo a partire dal rinvio a giudizio, salvo casi particolari non rilevanti nella fattispecie.


23 Tale argomento va respinto. La Corte ha giudicato in maniera costante che il giudice istruttore penale o il magistrato che esercita l'attività di istruzione penale costituiscono giurisdizioni ai sensi dell'art. 234 CE, chiamate a statuire in maniera indipendente e secondo diritto sulle cause per le quali la legge attribuisce loro la competenza, nell'ambito di un procedimento destinato a terminare con una decisione di carattere giurisdizionale (v., in particolare, sentenze 24 aprile 1980, causa 65/79, Chatain, Racc. pag. 1345, e 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X, Racc. pag. 2545, punto 7).


24 I sigg. Saetti e Frediani fanno valere, in secondo luogo, che l'interpretazione del diritto comunitario richiesta alla Corte è inutile in quanto, dopo l'intervento del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, e della legge 6 maggio 2002, n. 82, essi non sono più penalmente perseguibili secondo il diritto nazionale per i fatti che hanno dato luogo al procedimento principale. Orbene, qualunque possa essere l'interpretazione del diritto comunitario, la direttiva 75/442 non sarebbe opponibile in quanto tale a un soggetto e non potrebbe, di per sé, servire da fondamento diretto a procedimenti penali. Questi dovrebbero quindi, in ogni caso, essere archiviati e l'interpretazione della direttiva non avrebbe alcuna incidenza. Anche per tale ragione il rinvio alla Corte sarebbe irricevibile.


25 Tale argomento va ugualmente respinto. E' vero che una direttiva di per sé non può creare obblighi a carico di un soggetto e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso (v., in particolare, sentenza 14 settembre 2000, causa C-343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I-6659, punto 20). Allo stesso modo, una direttiva non può avere l'effetto, di per sé ed indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni (v., in particolare, sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punto 13, e 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-4705, punto 37).


26 Nella fattispecie, da un lato, è tuttavia pacifico che, all'epoca dell'accertamento dei fatti all'origine dei procedimenti penali a carico dei sigg. Saetti e Frediani, tali fatti potevano, eventualmente, costituire reati punibili penalmente. Orbene, non spetta alla Corte interpretare o applicare il diritto nazionale al fine di determinare le conseguenze dell'intervento posteriore di norme nazionali in forza delle quali tali fatti non costituiscono più reati (v., in tal senso, sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I-3561, punti 42 e 43).


27 D'altro lato, dall'ordinanza di rinvio risulta che, secondo l'interpretazione che la Corte darà della direttiva 75/442, i procedimenti in causa potrebbero portare incidentalmente ad un rinvio dinanzi alla Corte costituzionale, finalizzato ad un giudizio di legittimità sulle norme nazionali.


28 A tale proposito occorre ricordare che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della decisione giurisdizionale da pronunciare, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale al fine di poter pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull'interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in linea di principio, è tenuta a statuire (v. sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 59).


29 Benché la Corte abbia anche giudicato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza, essa ha precisato che può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l'interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l'oggetto della causa principale, oppure qualora il problema sia di natura teorica, oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v. sentenza 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I-2099, punto 39). Tale caso non ricorre nella fattispecie.


30 Le questioni pregiudiziali sono pertanto ricevibili.


Sulle questioni pregiudiziali
31 In considerazione del fatto che la risposta alle questioni proposte può essere facilmente dedotta dalla giurisprudenza, la Corte, in conformità all'art. 104, n. 3, del suo regolamento di procedura, ha informato il giudice del rinvio circa la sua intenzione di pronunciarsi con ordinanza motivata e ha invitato gli interessati indicati dall'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia a presentare le loro eventuali osservazioni in merito. I sigg. Saetti e Frediani, i governi italiano e svedese nonché la Commissione hanno dichiarato di non riscontrare inconvenienti nel ricorso a tale procedura.


Sulla prima questione
32 Con tale questione il giudice del rinvio chiede se il coke da petrolio costituisca un rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442.


33 Il campo di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine «disfarsi», utilizzato all'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. La Corte ha precisato che l'esecuzione di un'operazione menzionata negli allegati II A o II B della direttiva 75/442 non permette, di per sé, di qualificare una sostanza o un oggetto come rifiuto e che, inversamente, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze ed oggetti suscettibili di riutilizzo economico. Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva 75/442 dev'essere infatti applicato a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, recupero o riutilizzo (v., in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I-3533, punti 22, 27 e 29; in prosieguo: la «sentenza Palin Granit»).


34 Talune circostanze possono costituire indizi del fatto che il detentore di una sostanza o di un oggetto se ne disfa ovvero ha deciso o ha l'obbligo di disfarsene ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Ciò si verifica in particolare se la sostanza utilizzata è un residuo di produzione, cioè un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475, punto 84). La Corte ha così precisato che detriti derivanti dalla coltivazione di una cava di granito, che non si configurano come la produzione principale ricercata dall'esercente, costituiscono, in linea di principio, rifiuti (sentenza Palin Granit, punti 32 e 33).


35 Può essere pertanto ammessa un'analisi secondo la quale un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l'impresa non ha intenzione di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o mettere in commercio a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Un'analisi del genere non contrasta infatti con le finalità della direttiva 75/442, poiché non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni di quest'ultima, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti (sentenza Palin Granit, punti 34 e 35).


36 Tuttavia, tenuto conto dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, al fine di limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nell'ambito del processo di produzione (sentenza Palin Granit, punto 36).


37 Con il criterio del riconoscimento o meno della natura di residuo di produzione riguardo ad una certa sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce quindi un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta. In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non può più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensì un autentico prodotto (sentenza Palin Granit, punto 37).


38 E' così che la Corte ha giudicato che detriti costituenti residui derivanti dallo sfruttamento di una miniera, utilizzati legalmente senza trasformazione preliminare nel processo di produzione per assicurare un necessario riempimento delle gallerie della miniera, non possono essere considerati come sostanze di cui il gestore si disfi o abbia intenzione di disfarsi poiché, invece, esso ne ha bisogno per la sua attività principale, a condizione tuttavia che fornisca garanzie sufficienti sull'identificazione e sull'utilizzazione effettiva delle dette sostanze (sentenza 11 settembre 2003, causa C-114/01, AvestaPolarit Chrome, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 36-39 e 43).


39 Altri indizi dell'esistenza di un rifiuto, ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, risultano eventualmente dal fatto che il metodo di trattamento della sostanza di cui trattasi costituisce una modalità corrente di trattamento dei rifiuti o che la società considera la detta sostanza un rifiuto e dal fatto che, ove si tratti di un residuo di produzione, questo può essere sottoposto solo ad un utilizzo che comporti la sua scomparsa o dev'essere utilizzato nel rispetto di particolari condizioni di precauzione per l'ambiente (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punti 69-72, 86 e 87).


40 Tali elementi non sono tuttavia necessariamente determinanti e l'esistenza effettiva di un rifiuto va accertata alla luce dell'insieme delle circostanze, tenendo conto delle finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 88).


41 Trattandosi di coke da petrolio prodotto ed utilizzato in una raffineria di petrolio, occorre tenere conto delle indicazioni provenienti dal documento pubblicato dalla Commissione in attuazione dell'art. 16, n. 2, della direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (GU L 257, pag. 26), che riguarda lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili di sfruttamento per raggiungere un livello generale elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e sui relativi sviluppi nel campo della raffinazione del petrolio e del gas, documento comunemente designato con il nome di BREF, nonché dell'insieme delle condizioni esistenti nella raffineria interessata, la cui verifica spetta eventualmente al giudice al quale è stata sottoposta la controversia.


42 Il coke da petrolio, composto di carbone solido e di quantità variabili di impurità, che costituisce una delle numerose sostanze derivanti dal processo di raffinazione del petrolio, è, secondo le osservazioni presentate dai sigg. Saetti e Frediani, volontariamente prodotto nella raffineria di Gela, tenuto conto delle caratteristiche del petrolio grezzo che vi è trattato. Da parte sua, il BREF indica, in particolare, che «il coke da petrolio viene ampiamente utilizzato come combustibile nei cementifici ed in siderurgia. Esso può essere anche utilizzato come combustibile nelle centrali elettriche se il suo contenuto di zolfo è sufficientemente basso. Il coke è utilizzabile anche in altri modi, come materia prima per la fabbricazione di prodotti a base di carbone e di grafite».


43 Risulta peraltro dagli atti che il coke da petrolio viene utilizzato a Gela come componente principale del combustibile usato per far funzionare la centrale integrata di cogenerazione che soddisfa il fabbisogno di vapore e di elettricità della raffineria. Poiché l'elettricità generata è superiore al consumo della raffineria, tenuto conto del volume di vapore prodotto simultaneamente, l'eccedenza viene venduta ad altre industrie o ad una società elettrica.


44 Tali condizioni di produzione e di utilizzo, se risultano presenti, permettono di escludere la definizione di rifiuto, ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442.


45 In primo luogo, in presenza delle dette condizioni, il coke da petrolio non può essere qualificato come residuo di produzione, nel senso di cui al punto 34 della presente ordinanza. Infatti, la produzione di coke appare allora come il risultato di una scelta tecnica (il coke da petrolio non sarebbe necessariamente prodotto nelle operazioni di raffinazione) in vista del ricorso ad un preciso combustibile, il cui costo di produzione è verosimilmente meno elevato del costo di altri combustibili che potrebbero venire usati per la generazione di vapore e di elettricità in misura corrispondente al fabbisogno della raffineria. Anche se, così come sostiene una controparte dei sigg. Saetti e Frediani nel procedimento principale, il coke da petrolio in questione è il risultato automatico di una tecnica che genera in parallelo altre sostanze petrolifere, il cui ottenimento costituirebbe l'obiettivo prioritario della direzione, occorre tenere conto che, poiché l'utilizzo dell'insieme della produzione di coke è certo ed effettuato essenzialmente per gli stessi tipi di uso di quelli di tali altre sostanze, il detto coke da petrolio è a sua volta un prodotto petrolifero fabbricato in quanto tale e non un residuo di produzione. A tale proposito, nella causa principale, sembra pacifico in base agli atti trasmessi alla Corte che il coke da petrolio è integralmente utilizzato in maniera certa come combustibile nel processo di produzione, in quanto le eccedenze di energia elettrica che ne risultano vengono esse stesse integralmente vendute.


46 In secondo luogo, relativamente agli elementi addotti al punto 39 della presente ordinanza, il fatto che il coke da petrolio venga utilizzato come combustibile per la produzione di energia, utilizzo che corrisponde ad una modalità corrente di recupero dei rifiuti, non può essere rilevante, poiché lo scopo di una raffineria è precisamente quello di produrre diversi tipi di combustibile a partire dal petrolio grezzo. Inoltre, non sono rilevanti nemmeno gli eventuali indizi collegati, da un lato, all'assenza di un utilizzo diverso da quello comportante la scomparsa della sostanza in questione (indizio in questo caso non confermato, poiché il coke da petrolio può essere utilizzato come materia prima per la fabbricazione di prodotti a base di carbone e di grafite) e, dall'altro, alla circostanza che il suo impiego debba avvenire in particolari condizioni di precauzione per l'ambiente (indizio confermato nella fattispecie), poiché tali indizi si applicano ai residui di produzione e il coke da petrolio prodotto ed utilizzato alle condizioni precedentemente indicate non corrisponde a tale qualificazione, come risulta dal punto precedente della presente ordinanza. Relativamente all'indizio che sarebbe collegato al fatto che la società considera il coke da petrolio un rifiuto, anche ipotizzando che risulti accertato, esso sarebbe insufficiente, da solo, tenuto conto delle altre circostanze addotte fin qui, per dedurne che il coke da petrolio in questione sia un rifiuto. La conclusione sarebbe diversa solo se, accogliendo la richiesta dell'opinione pubblica, la direzione della raffineria rinunciasse all'utilizzo del coke da petrolio o vi fosse obbligata da un provvedimento legale. In una tale ipotesi, si dovrebbe infatti ritenere che il detentore del coke da petrolio se ne disfarebbe o avrebbe l'intenzione o l'obbligo di disfarsene.


47 Occorre quindi rispondere alla prima questione dichiarando che il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie, non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442.


Sulla seconda, terza e quarta questione
48 Al giudice del rinvio sarebbero utili le risposte a tali questioni solo se il coke da petrolio di cui trattasi nella causa principale dovesse considerarsi un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Orbene, ciò non risulta essere il caso, tenuto conto delle indicazioni fornite dall'ordinanza di rinvio e delle osservazioni sottoposte alla Corte, che hanno condotto alla risposta alla prima questione. Non occorre dunque rispondere alla seconda, terza e quarta questione.


Decisione relativa alle spese

Sulle spese
49 Le spese sostenute dai governi italiano, austriaco e svedese, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.


Per questi motivi,
LA CORTE (Terza Sezione),


pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela con ordinanza 19 giugno 2002, dichiara:
Il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE.

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

 

1) Rifiuti - coke da petrolio riutilizzato nello stesso ciclo industriale non costituisce un rifiuto - direttive 75/442/CEE e 91/156/CEE. Il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE». La questione era stata sollevata dal Tribunale di Gela in relazione al disposto di cui alla lettera f-quater dell'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 22/1997, lettera aggiunta dal d.l. 7/3/2002, n. 22, convertito con modificazioni, dalla legge 6/5/2002, n. 82. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Ordinanza 15 gennaio 2004, Causa C-235/02

 

2) Rifiuti - Differenza tra  residuo e sottoprodotto - intenzione di «disfarsi» e intenzione di utilizzare un sottoprodotto in un  processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l'impresa non ha intenzione di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o mettere in commercio a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. CORTE DI GIUSTIZIA delle Comunità Europee, Ordinanza 15 gennaio 2004, Causa C-235/02

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