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 Massime della sentenza

CORTE COSTITUZIONALE 28 giugno 2004 (Ud. 24.06.2004) - Sentenza n. 198

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
 

 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA


nei giudizi di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana 4 dicembre 2003, n. 55 (Accertamento di conformità delle opere edilizie eseguite in assenza di titoli abilitativi, in totale o parziale difformità o con variazioni essenziali, nel territorio della regione Toscana), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003, n. 22 (Divieto di sanatoria eccezionale delle opere abusive), dell’articolo 4 della legge della Regione Marche 23 dicembre 2003, n. 29 (Norme concernenti la vigilanza sull’attività edilizia nel territorio regionale) e della legge della Regione Emilia-Romagna 16 gennaio 2004, n. 1 (Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dall’abusivismo urbanistico ed edilizio), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente notificati il 6 febbraio, il 20 febbraio, il 25 febbraio e il 15 marzo 2004, depositati in cancelleria il 16 febbraio, il 1° marzo, il 2 marzo e il 23 marzo successivi ed iscritti ai nn. 20, 24, 27 e 41 del registro ricorsi 2004.
Visti gli atti di costituzione delle Regioni Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Marche ed Emilia-Romagna;
udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per le Regioni Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna e Stefano GrassI per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto


1.1. – Con ricorso notificato il 6 febbraio 2004 e depositato il 16 febbraio 2004 (Reg. ricorsi n. 20 del 2004), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale avverso la legge della Regione Toscana 4 dicembre 2003, n. 55 (Accertamento di conformità delle opere edilizie eseguite in assenza di titoli abilitativi, in totale o parziale difformità o con variazioni essenziali, nel territorio della Regione Toscana), pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 44 del 10 dicembre 2003.
L’art. 1, comma 2, della legge impugnata dispone che i commi da 25 a 38 e da 40 a 45 dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni delle aree demaniali), "non si applicano nel territorio della Regione Toscana, ad eccezione delle disposizioni di detti commi concernenti l’oblazione penale".
Il ricorrente osserva come la legge regionale in esame si basi sul presupposto del "già avvenuto adeguamento della disciplina regionale" ai principi posti d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), menzionato dal comma 2 del citato art. 32. Tale comma, tuttavia, si limiterebbe semplicemente ad individuare il "contesto generale e d’insieme" in cui questa interviene.
Secondo il ricorrente, la legge impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in quanto le norme in materia di oblazione contenute nell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), costituirebbero esercizio della potestà legislativa nella materia "ordinamento penale", riservata in via esclusiva allo Stato.
La sottrazione del territorio di una o più Regioni alla disciplina statale introdurrebbe significative disuguaglianze, in violazione dell’art. 3 Cost., non legittimate dal riconoscimento costituzionale delle autonomie regionali.
Inoltre, rileva l’Avvocatura, poiché gli introiti derivanti dalle oblazioni sono stati inseriti nella legge finanziaria per l’anno 2004, la disciplina impugnata, impedendo l’applicazione nel territorio regionale dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, violerebbe l’art. 119 Cost. Essa, infatti, determinerebbe una ingerenza nella formazione del bilancio annuale dello Stato e una lesione della autonomia finanziaria che anche e soprattutto allo Stato deve essere garantita, nonché una compressione della sua competenza in materia di "coordinamento della finanza pubblica e dei sistemi tributari". Essa, inoltre, contrasterebbe con l’art. 81 Cost., in quanto comporterebbe la sottrazione di risorse destinate alla copertura di spese pubbliche approvate dal Parlamento e la rottura del c.d. "patto di stabilità" concordato a livello di Unione europea.
La legge censurata violerebbe anche l’art. 117, terzo comma, Cost., che riconosce allo Stato la competenza a dettare i principi nella materia "governo del territorio" e a disciplinare i titoli abilitativi edilizi.
Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, l’adozione di norme regionali "meramente demolitorie" e "di reazione" alle norme statali, che statuiscono la non applicazione nel territorio regionale di disposizioni dello Stato, potrebbe pregiudicare l’unità giuridica della Repubblica, in violazione dell’art. 5 Cost. Le norme della legge regionale violerebbero, peraltro, anche l’art. 127, secondo comma, Cost., per la parte in cui è riconosciuta alle Regioni la possibilità di impugnare avanti alla Corte costituzionale le leggi statali ritenute illegittime, così escludendo che il potere legislativo regionale possa essere utilizzato per contrastare l’applicazione di norme dello Stato.
Da ultimo, si lamenta la violazione dell’art. 51 e dell’art. 134 Cost., senza tuttavia addurre alcuna motivazione a fondamento di tale censura.
1.2. – Con atto depositato il 2 marzo 2004 – ma in tale data non ancora notificato alla controparte – l’Avvocatura dello Stato ha chiesto che, ai sensi dell’art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), sia sospesa la legge della Regione Toscana n. 55 del 2003, in quanto essa arrecherebbe pregiudizio all’interesse dello Stato e degli enti "a finanza derivata" al conseguimento degli introiti "da condono".
2.1. – Con ricorso notificato il 20 febbraio 2004 e depositato il 1° marzo 2004 (Reg. ricorsi n. 24 del 2004), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale avverso la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003, n. 22 (Divieto di sanatoria eccezionale delle opere abusive), pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 52 del 24 dicembre 2003.
Preliminarmente, l’Avvocatura richiama l’art. 1 della legge impugnata, il quale, al comma 1, esclude la sanatoria delle opere edilizie "realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi previsti, ovvero in difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi". Il comma 2, primo periodo, del medesimo articolo stabilisce invece che, al fine di consentire l’oblazione penale degli illeciti edilizi, la domanda di definizione di tali illeciti, presentata dopo il 2 ottobre 2003 secondo le modalità stabilite da disposizioni statali, non sospende il procedimento per le sanzioni amministrative.
Secondo il ricorrente la legge censurata sarebbe contraddittoria, in quanto da un lato non ammetterebbe la sanatoria, mentre dall’altro predisporrebbe strumenti perché possa operare una sanatoria diversa da quella statale, e cioè quella prevista dall’art. 108 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52 (Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica).
La norma regionale contrasterebbe con l’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), in quanto esso porrebbe alla competenza legislativa "primaria" della Regione limiti "confrontabili" con quelli previsti dal nuovo art. 117, terzo comma, Cost. per la competenza legislativa concorrente delle Regioni ordinarie. La disciplina dei titoli abilitativi edilizi – secondo quanto precisato da questa Corte – competerebbe allo Stato ed in essa dovrebbe ricomprendersi, a giudizio dell’Avvocatura, anche quella dei "titoli per sanatoria non ‘a regime’, specie se tale previsione si salda con (ed è integrata da) la prefigurazione di programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia".
Le disposizioni censurate sono ritenute inoltre in contrasto con gli artt. 3, 5, 51, 81, 117, secondo comma, 119, 127, secondo comma, e 134 Cost.
Nel merito, le argomentazioni proposte a sostegno di tali censure sono sostanzialmente analoghe a quelle svolte in relazione alla richiesta di declaratoria di incostituzionalità della legge n. 55 del 2003 della Regione Toscana.
2.2. – Il ricorrente, infine, chiede che, ai sensi dell’art. 9, comma 4, della legge n. 131 del 2003, sia sospesa in via cautelare la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 22 del 2003, ponendo a sostegno di tale richiesta argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle poste a fondamento dell’istanza di sospensione della legge n. 55 del 2003 della Regione Toscana.
3.1. – Con ricorso notificato il 25 febbraio 2004 e depositato il 2 marzo 2004 (Reg. ricorsi n. 27 del 2004), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale avverso l’art. 4 della legge della Regione Marche 23 dicembre 2003, n. 29 (Norme concernenti la vigilanza sull’attività edilizia nel territorio regionale), pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 122 del 30 dicembre 2003.
L’art. 2 della legge regionale censurata ordina ai Comuni di sospendere ogni determinazione circa la conclusione dei procedimenti relativi alla definizione degli illeciti edilizi regolati dal d.l. n. 269 del 2003 fino all’entrata in vigore della legge regionale indicata dall’art. 1 che dovrebbe disciplinare la materia. In tal modo, secondo il ricorrente, il contenuto della legge impugnata si concreterebbe nell’ordine ai Comuni di disapplicare la legge statale e di attendere i futuri precetti legislativi della Regione, senza peraltro ipotizzare alcun raccordo con le disposizioni statali in tema di oblazione penale e di sospensione dei processi pendenti.
La disciplina censurata viene ritenuta contrastante con gli artt. 3, 5, 51, 81, 117, secondo comma, lettera l), 117, terzo comma, 119, 127, secondo comma, e 134 Cost.
Nel merito, le argomentazioni proposte sono sostanzialmente analoghe a quelle portate a fondamento della richiesta di declaratoria di incostituzionalità delle leggi della Regione Friuli-Venezia Giulia e della Regione Toscana.
3.2. – Anche in questo caso, con argomentazioni sostanzialmente coincidenti a quelle proposte nei ricorsi n. 20 e n. 24 del 2004, l’Avvocatura dello Stato chiede la sospensione – ai sensi dell’art. 9, comma 4, della legge n. 131 del 2003 – della normativa impugnata.
4.1. – Con ricorso notificato il 15 marzo 2004 e depositato il 23 marzo 2004 (Reg. ricorsi n. 41 del 2004), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale avverso la legge della Regione Emilia-Romagna 16 gennaio 2004, n. 1 (Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dall’abusivismo urbanistico ed edilizio).
L’art. 2 di tale legge dispone che fino all’entrata in vigore della legge regionale prevista dall’art. 1, contenente nuove norme in materia di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni, "i Comuni sospendono ogni determinazione circa la conclusione dei procedimenti relativi alla definizione degli illeciti edilizi, così come regolati dall’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269". Inoltre è espressamente mantenuta ferma la "possibilità della presentazione delle domande di sanatoria da parte degli interessati, a tutela e garanzia delle loro posizioni giuridiche".
I profili di doglianza esposti nel ricorso sono sostanzialmente coincidenti con quelli dei ricorsi presentati avverso le leggi delle Regioni, Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Marche.
4.2. – Anche in questo caso l’Avvocatura dello Stato chiede la sospensione – ai sensi dell’art. 9, comma 4, della legge n. 131 del 2003 – della normativa impugnata.
5. – Le Regioni Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Marche ed Emilia-Romagna si sono costituite in giudizio, concludendo per il rigetto dei ricorsi presentati dallo Stato e delle connesse istanze di sospensione.
6. – La Regione Toscana, con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio del 24 marzo 2004, fissata per la trattazione delle istanze di sospensione, contesta le ragioni addotte a fondamento della richiesta avanzata dallo Stato in relazione alla legge regionale n. 55 del 2003, ed in particolare la circostanza secondo la quale il mancato introito "da condono" costringerebbe lo Stato a reperire altrove le risorse finanziarie perdute.
Innanzi tutto, secondo la resistente, la legge impugnata non interferirebbe con le disposizioni concernenti l’estinzione dei reati urbanistici ed edilizi conseguenti all’istanza di condono ed al pagamento delle relative somme; in secondo luogo, sarebbe rilevante il fatto che in Toscana è in vigore una compiuta disciplina edilizia che consente anche la regolarizzazione di violazioni che non incidano sostanzialmente sull’assetto del territorio: circostanza, quest’ultima, che congiuntamente ad un efficace sistema di controlli avrebbe consentito un "ordinato sviluppo edilizio".
Peraltro – osserva la Regione – l’esistenza di tale normativa regionale renderebbe inapplicabile, in virtù del comma 2 dell’art. 32 del decreto-legge impugnato, la disciplina statale sul condono, esplicitamente dettata "nelle more" dell’attuazione, da parte delle Regioni, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Inoltre, le motivazioni addotte dall’Avvocatura dello Stato a fondamento della propria istanza cautelare confermerebbero "la totale incostituzionalità del condono introdotto dal legislatore statale", dal momento che la finalità puramente "finanziaria" dell’intervento – emergente proprio dalle argomentazioni dell’Avvocatura – si porrebbe in netto contrasto con i principi della giurisprudenza costituzionale in materia (sono richiamate, sul punto, le sentenze n. 369 del 1988 e n. 416 del 1995), che ha ritenuto il condono uno strumento eccezionale ed irripetibile, giustificato, nelle precedenti circostanze, solo quale "punto di partenza di una nuova legalità" dopo "decenni di abusivismo di massa".
La Regione Friuli-Venezia Giulia e la Regione Emilia-Romagna, a loro volta, concludono chiedendo il rigetto delle istanze di sospensione formulate dal ricorrente, argomentando soprattutto sulla evidente mancanza dell’irreparabile pregiudizio che dovrebbe derivare, nelle more del giudizio, dalla applicazione delle leggi regionali impugnate.
Anche la Regione Marche, a sostegno della infondatezza della istanza cautelare, sottolinea l’assenza di qualunque pregiudizio irreparabile derivante allo Stato dalla legge impugnata e, al contempo, l’assenza di una qualunque utilità concreta nell’eventuale decisione di sospensione da parte di questa Corte.
7. – Nell’imminenza della camera di consiglio del 24 marzo 2004 per la trattazione delle istanze di sospensione presentate nei confronti delle leggi delle Regioni Friuli-Venezia Giulia, Toscana e Marche, l’Avvocatura dello Stato ha presentato atto di rinunzia alla immediata decisione circa le istanze di sospensione presentate, auspicando contestualmente la adesione delle Regioni alla "richiesta di differimento" dell’esame delle istanze cautelari concernenti l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, dalle medesime Regioni impugnato.
Preso atto di tale rinuncia, con le ordinanze n. 117, n. 118 e n. 119 del 2004, questa Corte ha disposto il rinvio dell’esame di tali istanze unitamente al merito.
8. – La Regione Friuli-Venezia Giulia, nelle sue difese, mira a chiarire il contenuto ed il significato della propria legge n. 22 del 2003, evidenziando come essa farebbe esplicitamente salva l’oblazione penale prevista dal legislatore statale e come anzi disciplinerebbe esplicitamente il procedimento amministrativo volto a consentirla.
Quanto alla presunta violazione della competenza statale in materia penale, la Regione richiama la sentenza di questa Corte n. 418 del 1995, sottolineando di non aver disposto la assoluta inapplicabilità della normativa sul condono, ma di essersi limitata a escludere la sanatoria edilizia ai soli fini amministrativi, nel massimo rispetto delle scelte dello Stato nel campo penale. L’eventuale effetto di "scoraggiamento" della presentazione di domande di condono, derivante in concreto dalla normativa regionale oggetto del giudizio, non costituirebbe un vizio di legittimità costituzionale della legge regionale, poiché quest’ultima non inciderebbe comunque sull’ambito giuridico della sanatoria penale ma solo sulla sua applicazione pratica.
In relazione alla pretesa violazione dell’autonomia finanziaria statale e della competenza in materia di "coordinamento della finanza pubblica" invocata dal ricorrente, la resistente sottolinea che i proventi dell’oblazione penale sono espressamente fatti salvi dalla legge regionale impugnata, e che, in ogni caso, la circostanza secondo la quale il loro ammontare potrebbe attestarsi su livelli inferiori rispetto alle aspettative dello Stato non potrebbe costituire autonomo vizio di legittimità costituzionale.
In definitiva, secondo la Regione resistente, sarebbero del tutto erronei i parametri invocati nel ricorso: il patto di stabilità, perché si tratterebbe di un vincolo complessivo che potrebbe essere rispettato in molti modi; l’art. 81 Cost., in quanto gli incerti e futuri proventi delle oblazioni pagate in relazione ad illeciti verificatisi nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia non potrebbero correttamente essere già destinati alla copertura di spese pubbliche; la competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica, poiché le norme statali sulla sanatoria amministrativa degli illeciti edilizi non potrebbero in alcun modo qualificarsi come esercizio della medesima.
Infine, del tutto insussistente sarebbe da ritenere, secondo la difesa regionale, la pretesa violazione del principio di unità della Repubblica e correlativamente degli artt. 127 e 134 Cost.: ciò in quanto la "reazione" alla legge statale o la modulazione dei suoi effetti applicativi nel territorio regionale non comprometterebbero affatto la giurisdizione costituzionale e comunque non potrebbero costituire vizi in sé, ma solo in ragione dei loro specifici contenuti scrutinati alla luce dei parametri costituzionali sulla competenza.
9. – La difesa della Regione Marche muove dalla premessa di aver esercitato, con la legge n. 29 del 2003, la propria competenza legislativa in materia di edilizia e di governo del territorio, e che, pertanto, proprio come previsto dal comma 2 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, avrebbe legittimamente chiarito l’inapplicabilità della normativa statale sul condono amministrativo degli illeciti edilizi, facendo invece salva la disciplina dell’oblazione penale. Del tutto priva di fondamento sarebbe dunque la pretesa violazione della competenza legislativa statale in materia penale, anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale secondo cui "alle Regioni non è precluso concorrere a precisare, secundum legem, presupposti d’applicazione di norme penali statali" (sentenza n. 487 del 1989).
Quanto alla presunta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., tale censura sarebbe infondata, poichè sarebbe lo stesso comma 2 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 ad escludere la natura di principi fondamentali delle disposizioni sul condono.
La Regione Marche ritiene altresì infondata la censura relativa alla violazione degli artt. 81 e 119 Cost., osservando che, a suo avviso, sarebbe lo Stato a non aver valutato adeguatamente le conseguenze sui conti pubblici dell’adeguamento della legislazione regionale ai principi previsti nel d.P.R. n. 380 del 2001; pertanto, si sarebbe di fronte ad una illegittima interferenza dello Stato sull’autonomia finanziaria della Regione, e non, invece, ad una compressione da parte di quest’ultima dell’autonomia finanziaria dello Stato.
Dovrebbe poi essere ritenuta infondata la presunta violazione della competenza statale concernente il coordinamento della finanza pubblica e dei sistemi tributari: ciò in quanto lo Stato non avrebbe rispettato quelle garanzie di partecipazione delle Regioni ai processi decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi che questa Corte avrebbe richiesto come criterio di attuazione dell’art. 119 Cost. nella sentenza n. 16 del 2004. Circa la censura relativa alla violazione degli artt. 127 e 134 Cost., la Regione Marche fa osservare che la legge impugnata non varrebbe a disconoscere la giurisdizione costituzionale e quanto ad essa spetta in via esclusiva; viceversa, si tratterebbe soltanto di un atto di esercizio della potestà legislativa spettante alla Regione secondo il principio di competenza.
Infine, la censura relativa all’art. 51 Cost. sarebbe da considerare inammissibile in quanto del tutto priva di una sia pur minima definizione dei termini e dei profili della questione.
10. – Anche la Regione Toscana contesta la fondatezza del ricorso statale avverso la propria legge n. 55 del 2003. In primo luogo, rileva che già prima dell’emanazione del d.l. n. 269 del 2003, era stata emanata una disciplina regionale in materia urbanistica ed edilizia già compiuta, esplicitamente adeguata – grazie alla legge della Regione Toscana 5 agosto 2003, n. 43 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 14 ottobre 1999, n. 52, recante Norme sulle concessioni, le autorizzazioni e le denunce d’inizio delle attività edilizie – Disciplina dei controlli nelle zone soggette al rischio sismico – Disciplina del contributo di concessione – Sanzioni e vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia – Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 maggio 1994, n. 39 e modifica della legge regionale 17 ottobre 1983, n. 69) – ai principi contenuti nel testo unico dell’edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, e tale, tra l’altro, da consentire la regolarizzazione di violazioni formali e di illeciti sostanzialmente non rilevanti. In secondo luogo, si sostiene che la legge impugnata costituirebbe la conseguenza obbligata di quanto disposto dallo stesso legislatore statale che, con lo specifico richiamo contenuto nel comma 2 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, avrebbe esplicitamente sancito la piena legittimità di interventi volti a rendere inapplicabili gli effetti amministrativi del condono edilizio nei territori di Regioni che già si siano adeguate alla disciplina del testo unico del 2001.
La difesa della Regione resistente si sviluppa poi interamente sul versante dei vizi (già denunciati nei ricorsi n. 82 del 2003 e n. 10 del 2004) riscontrabili nella disciplina statale di cui al predetto d.l. n. 269 del 2003 e alla relativa legge di conversione, la cui illegittimità costituzionale renderebbe specularmente ragione della piena legittimità della legge regionale n. 55 del 2003.
11. – La Regione Emilia-Romagna, nella sua memoria, propone argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle delle altre Regioni.
In particolare, sul primo motivo di censura (concernente la presunta violazione della competenza statale in materia penale), la difesa della Regione osserva che la legge regionale n. 1 del 2004 si limiterebbe a precludere temporaneamente la conclusione del procedimento di definizione dell’illecito edilizio, senza impedire la presentazione della domanda ed il connesso versamento dell’oblazione da cui consegue l’estinzione del reato.
Quanto alla lamentata violazione dei principi fondamentali di cui alla normativa sul condono edilizio, la Regione osserva come l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 non contenga la determinazione di principi fondamentali della materia, tale non potendosi considerare una norma del tutto eccezionale rispetto alla disciplina edilizia ordinaria. Inoltre, la "attivazione del condono" sarebbe in contraddizione con la tutela dei valori relativi alla tutela dell’ambiente, in quanto la base del condono sarebbe "il puro scambio tra la rinuncia alla salvaguardia di tali valori in cambio di una somma di denaro".
Quanto agli altri motivi del ricorso, la difesa regionale ne afferma l’infondatezza, riproponendo quasi letteralmente gli argomenti svolti dalla Regione Friuli-Venezia Giulia.
12. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria, con la quale insiste per l’accoglimento dei ricorsi.
La difesa erariale muove da una prima considerazione di fondo: le leggi regionali impugnate ignorerebbero tutte "la, molto grave, sanzione civile (attinente all’ordinamento civile) prevista dall’art. 17 della legge n. 47 del 1985"; il che renderebbe ancora più evidente la scarsissima efficacia (in relazione alla principale finalità del condono edilizio, consistente nell’emersione degli illeciti sommersi) che assumerebbe la sanatoria del solo illecito penale che non fosse accompagnata dalla contestuale eliminazione delle conseguenze amministrative e civili, dimostrando come i diversi profili degli illeciti edilizi sarebbero in realtà inscindibili.
Secondo l’Avvocatura, la decisione di accoglimento dei ricorsi in questione non potrebbe che essere consequenziale ad una pronuncia che riconoscesse la competenza statale a produrre, in via straordinaria, una disciplina di condono edilizio, che porterebbe necessariamente ad escludere "una competenza legislativa delle Regioni a produrre disposizioni di segno opposto, le quali esorbitino dalla sfera delle competenze regionali quanto meno […] perché non rispettano un principio fondamentale legittimamente dato dal Parlamento".
In via subordinata, la difesa statale, pur riconoscendo come le Regioni possano produrre norme diverse da quelle prodotte dallo Stato, ed anche esplicitamente statuire la inapplicabilità di queste ultime, insiste sulla violazione dell’art. 127 Cost. da parte delle leggi regionali impugnate; ciò in quanto, nei casi di specie, le resistenti avrebbero utilizzato il potere legislativo "con sviamento di potere", ossia per contrapporre una reputata propria competenza alla competenza del Parlamento nazionale.

 Considerato in diritto


1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, con distinti ricorsi, la legge della Regione Toscana 4 dicembre 2003, n. 55 (Accertamento di conformità delle opere edilizie eseguite in assenza di titoli abilitativi, in totale o parziale difformità o con variazioni essenziali del territorio della Regione Toscana), l’art. 4 della legge della Regione Marche 23 dicembre 2003, n. 29 (Norme concernenti la vigilanza sull’attività edilizia nel territorio regionale), la legge della Regione Emilia-Romagna 16 gennaio 2004, n. 1 (Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dall’abusivismo urbanistico ed edilizio), per violazione degli artt. 3, 5, 81, primo e quarto comma, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, 119, 127 e 134 della Costituzione.
Ha inoltre proposto impugnazione avverso la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003, n. 22 (Divieto di sanatoria eccezionale delle opere abusive), denunciando la violazione, oltre che dei parametri costituzionali appena richiamati, anche dell’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
2. – Considerata l’identità delle doglianze formulate avverso le leggi regionali impugnate, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3. – In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le censure sollevate nei ricorsi in riferimento sia all’art. 51 che all’art. 134 della Costituzione, dal momento che non vengono addotte motivazioni a loro sostegno.
4. – Quanto alle altre censure, occorre prendere preliminarmente in esame le questioni sollevate dal ricorrente con riferimento agli artt. 5 e 127 della Costituzione, in quanto concernenti la possibilità per le Regioni di disporre dell’efficacia di una legge dello Stato nell’ambito del territorio regionale.
4.1. – Il ricorrente sostiene, a tale riguardo, che le leggi regionali impugnate violerebbero l’art. 5 Cost., in quanto l’adozione di norme regionali "meramente demolitorie" e "di reazione" alle norme statali, che statuiscono la non applicazione nel territorio regionale di disposizioni dello Stato, pregiudicherebbe l’unità giuridica della Repubblica; inoltre, le leggi regionali violerebbero l’art. 127, secondo comma, Cost., in quanto tale disposizione, riconoscendo alle Regioni la possibilità di impugnare di fronte a questa Corte le norme statali ritenute illegittime, implicitamente escluderebbe che il potere legislativo regionale possa essere utilizzato per contrastare l’applicazione di norme dello Stato.
4.2. – La questione è fondata.
Il Titolo V della parte II della Costituzione, così come le corrispondenti disposizioni degli statuti speciali, presuppongono che l’esercizio delle competenze legislative da parte dello Stato e delle Regioni, secondo le regole costituzionali di riparto delle competenze, contribuisca a produrre un unitario ordinamento giuridico, nel quale certo non si esclude l’esistenza di una possibile dialettica fra i diversi livelli legislativi, anche con la eventualità di parziali sovrapposizioni fra le leggi statali e regionali, che possono trovare soluzione mediante il promuovimento della questione di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte, secondo le scelte affidate alla discrezionalità degli organi politici statali e regionali.
Ciò che è implicitamente escluso dal sistema costituzionale è che il legislatore regionale (così come il legislatore statale rispetto alle leggi regionali) utilizzi la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna, anziché agire in giudizio dinnanzi a questa Corte, ai sensi dell’art. 127 Cost. Dunque né lo Stato né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti tra i rispettivi atti legislativi tramite proprie disposizioni di legge.
4.3. – La legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003, n. 22, significativamente intitolata "Divieto di sanatoria eccezionale delle opere abusive", non si limita ad adottare una legislazione più restrittiva della sanatoria edilizia, o parzialmente diversa rispetto a quanto previsto dall’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici) quale risultante dalla conversione in legge ad opera della legge 24 novembre 2003 n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), come è attualmente possibile sulla base della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte, ma nega la stessa possibilità di applicare la sanatoria edilizia statale di tipo straordinario nel territorio regionale, escludendo altresì che la presentazione della domanda di condono possa determinare la sospensione del procedimento finalizzato alla irrogazione delle sanzioni amministrative.
Come chiarito nella sentenza appena richiamata, le Regioni a statuto speciale che dispongono di potestà legislativa di tipo primario nel settore dell’urbanistica, tra le quali è da annoverare la Regione Friuli-Venezia Giulia in base all’art. 4, numero 12, del suo statuto – diversamente da quanto sembra sostenere la Avvocatura – devono rispettare la disciplina statale concernente la misura dell’oblazione, i relativi termini di versamento, ed in genere le relative articolazioni procedimentali ed organizzative, mentre possono disciplinare diversamente la sanatoria amministrativa degli abusi edilizi commessi nel proprio territorio (al pari delle Regioni ad autonomia ordinaria) ed eventualmente subordinarla anche al rispetto dei vincoli previsti da proprie specifiche normative (secondo quanto questa Corte aveva già affermato nella sentenza n. 418 del 1995, relativa alla Provincia autonoma di Trento).
4.4. – L’art. 1, comma 2, della legge della Regione Toscana n. 55 del 2003 e l’art. 4, comma 6, della legge della Regione Marche n. 29 del 2003 esplicitamente dichiarano inapplicabili nei rispettivi territori regionali numerosi commi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003.
Entrambe queste leggi muovono dal presupposto che il comma 2 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 disponga l’applicazione del condono straordinario solo in caso di mancato adeguamento da parte delle Regioni ai principi fondamentali in materia edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e che quindi Regioni come la Toscana e le Marche, già adeguatesi alla nuova normativa, ben potrebbero disporre diversamente.
Anche a prescindere dalla considerazione che, comunque, una tale previsione non giustificherebbe l’unilaterale dichiarazione di inapplicabilità nei territori regionali di parte di un testo legislativo statale esplicitamente riferito all’intero territorio nazionale, questa Corte, nella sentenza n. 196 del 2004 (che pure riconosce nella materia in questione un significativo potere legislativo anche alle Regioni ad autonomia ordinaria), ha chiarito che il solo significato del comma 2 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 compatibile con la vigente disciplina costituzionale è l’individuazione del contesto normativo entro il quale il condono è stato adottato.
4.5. – Anche la legge della Regione Emilia-Romagna n. 1 del 2004, all’art. 1, comma 3, lettera d), stabilisce la "generale non sanabilità delle violazioni in contrasto con la strumentazione urbanistica vigente" e, all’art. 2, prescrive che i Comuni sospendano "ogni determinazione circa la conclusione dei procedimenti relativi alla definizione degli illeciti edilizi, così come regolati dall’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269". In tal modo, la legge regionale dell’Emilia-Romagna sostanzialmente esclude anch’essa la possibilità di applicazione della disciplina della sanatoria edilizia dettata dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003.
5. – Per le ragioni assorbenti sopra indicate (cfr. il precedente punto 4.2.), la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 22 del 2003, la legge della Regione Toscana n. 55 del 2003, l’art. 4 della legge della Regione Marche n. 29 del 2003 e la legge della Regione Emilia-Romagna n. 1 del 2004, devono quindi essere dichiarate costituzionalmente illegittime.
6. – La dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate esime dall’analisi delle ulteriori censure proposte.
7. – Non vi è luogo a provvedere sulle istanze di sospensione formulate dallo Stato avverso la legge della Regione Toscana n. 55 del 2003, la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 22 del 2003, l’art. 4 della legge della Regione Marche n. 29 del 2003 e la legge della Regione Emilia-Romagna n. 1 del 2004.
 

 PER QUESTI MOTIVI
 LA CORTE COSTITUZIONALE


riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Toscana 4 dicembre 2003, n. 55 (Accertamento di conformità delle opere edilizie eseguite in assenza di titoli abilitativi, in totale o parziale difformità o con variazioni essenziali, nel territorio della Regione Toscana);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003, n. 22 (Divieto di sanatoria eccezionale delle opere abusive);
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Marche 23 dicembre 2003, n. 29 (Norme concernenti la vigilanza sull’attività edilizia nel territorio regionale);
4) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Emilia-Romagna 16 gennaio 2004, n. 1 (Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dall’abusivismo urbanistico ed edilizio).
 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2004.
F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2004.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

 

1) In preparazione

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