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 Massime della sentenza

 

 

CORTE COSTITUZIONALE 28 giugno 2004 (Ud. 24.06.2004) - Sentenza n. 199

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE


SENTENZA N. 199
ANNO 2004
 

composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "


ha pronunciato la seguente
SENTENZA


nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera della Giunta della Regione Campania n. 2827 del 30 settembre 2003 (Integrazione alle linee guida per la Pianificazione Territoriale Regionale in Campania, di cui alla delibera di Giunta Regionale n. 4459 del 30.09.2002, in materia di sanatoria degli abusi edilizi), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 novembre 2003, depositato in cancelleria il 3 dicembre 2003 ed iscritto al n. 36 del registro conflitti 2003.


Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;


udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo;


uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.


Ritenuto in fatto


1. – Con ricorso notificato il 28 novembre 2003 e depositato il 3 dicembre 2003, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzioni in relazione alla deliberazione della Giunta della Regione Campania 30 settembre 2003, n. 2827 (Integrazione alle linee guida per la Pianificazione Territoriale Regionale in Campania, di cui alla delibera di Giunta Regionale n. 4459 del 30.09.2002, in materia di sanatoria degli abusi edilizi), pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 46 del 2 ottobre 2003.


2. – Il ricorrente espone che l’atto impugnato, il quale integra le linee guida per la pianificazione del territorio approvate con delibera della Giunta regionale del 30 settembre 2002, n. 4459, reca una prescrizione, intitolata "divieto di sanatoria", secondo cui "non è ammessa la sanatoria delle opere edilizie realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, ovvero in difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi, e che siano in contrasto con gli strumenti urbanistici generali vigenti".


In relazione a tale prescrizione, nel ricorso si evidenzia: a) che le "difformità" nell’atto impugnato menzionate "parrebbero non includere anche le ‘parziali difformità’ di cui all’art. 12 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e all’art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia); b) che la "assenza dei necessari titoli abilitativi" sembrerebbe "non includere l’assenza di titolo abilitativi diversi […] dalla concessione edilizia"; c) che il riferimento agli "strumenti urbanistici generali vigenti" parrebbe "non escludere la sanabilità delle opere edilizie in contrasto con strumenti generali solo adottati o con strumenti urbanistici attuativi vigenti o adottati".


L’Avvocatura osserva inoltre come, mentre le linee guida di cui alla deliberazione della stessa Giunta della Regione Campania 30 settembre 2002, n. 4459, sarebbero state "confermate" con la legge della Regione Campania 18 ottobre 2002, n. 26 (Norme ed incentivi per la valorizzazione dei centri storici della Campania e per la catalogazione dei beni ambientali di qualità paesistica. Modifiche alla legge regionale 19 febbraio 1996, n. 3), l’atto oggetto del presente conflitto non sarebbe stato "legificato".


3. – Secondo il ricorrente, la deliberazione n. 2827 in questione sarebbe lesiva delle competenze dello Stato, dal momento che mirerebbe "ad indurre dirigenti e/o amministratori locali a disapplicare l’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 […] e cioè a sottrarre effettività a disposizioni legislative prodotte dallo Stato". Ciò determinerebbe, in primo luogo, una violazione del principio di leale cooperazione. In secondo luogo, risulterebbe violata la competenza statale a porre la disciplina dei titoli abilitativi ad edificare (al riguardo viene citata la sentenza di questa Corte n. 303 del 2003). Ancora, la deliberazione in esame ometterebbe di considerare che il fondamento dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 andrebbe reperito, oltre che nell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce alla potestà legislativa statale la disciplina dell’ordinamento penale e dell’ordinamento civile, anche nel combinato disposto degli articoli 81, primo e quarto comma, 119, secondo comma e 120, secondo comma, Cost. La deliberazione neppure terrebbe conto del fatto che l’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), ha riservato allo Stato il potere di fissare le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale.


Da ultimo, l’Avvocatura evidenzia come la deliberazione oggetto del giudizio sarebbe "illegittima ed inidonea a produrre effetti giuridici": ciò, da un lato, in quanto l’art. 14 della legge della Regione Campania n. 26 del 2002 non attribuirebbe alla Giunta "la potestà di variare le linee guida da esso ‘legificate’"; dall’altro, in quanto "dirigenti ed amministratori" non potrebbero "disattendere disposizioni legislative poste dall’art. 32 citato sol perché una deliberazione amministrativa (neppur fonte secondaria) della Giunta regionale si è espressa in senso opposto". La deliberazione impugnata, dunque, sarebbe "destinata a rimanere improduttiva di effetti giuridici".


4. – Si è costituita in giudizio la Regione Campania, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.


In particolare, il ricorso sarebbe inammissibile per genericità dei motivi, in quanto l’Avvocatura non avrebbe individuato il parametro violato, né avrebbe indicato le motivazioni a sostegno dell’asserita violazione dell’ambito delle attribuzioni costituzionali dello Stato.

 
Ulteriore causa di inammissibilità sarebbe costituita dalla carenza del "tono costituzionale" del conflitto, dal momento che ciò di cui si lamenta il ricorrente sarebbe sostanzialmente la violazione dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), in tema di condono edilizio, da parte della delibera regionale: circostanza che determinerebbe, semmai, un vizio dell’atto amministrativo denunciabile dinanzi all’autorità giudiziaria.


Nel merito, sostiene la Regione, la delibera impugnata avrebbe natura di linea guida della politica regionale nell’ambito del "governo del territorio", e costituirebbe "naturale conseguenza" di quanto imposto a livello statale attraverso l’Accordo raggiunto in data 19 aprile 2001 tra lo Stato e le Regioni, in attuazione dell’art. 52 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1977, n. 59), e in coerenza con la Convenzione europea del paesaggio firmata a Firenze il 20 ottobre 2000.


L’atto impugnato, inoltre, sarebbe stato adottato in attuazione dell’art. 14 della legge regionale n. 26 del 2002, non impugnata dallo Stato; l’articolo citato disporrebbe infatti che, fino alla adozione del piano territoriale regionale, la Giunta regionale adotta le linee guida della pianificazione regionale, redatte in conformità con il citato Accordo del 19 aprile 2001.


5. – In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato una ulteriore memoria, nella quale insiste soprattutto per l’inammissibilità del ricorso. In particolare, la contraddittorietà e la genericità delle argomentazioni poste a sostegno di quest’ultimo comporterebbero la violazione del diritto di difesa della parte resistente, determinandosi una sorta di inversione dell’onere della prova sulla legittimità dell’atto impugnato.


La Regione ribadisce anche l’ulteriore ragione di inammissibilità già fatta valere in precedenza, costituita dalla asserita mancanza del "tono costituzionale" del conflitto, nonché le argomentazioni a sostegno della tesi secondo cui, in realtà, lo Stato lamenterebbe la presunta violazione della normativa statale sul condono edilizio. Aggiunge, infine, la Regione che la circostanza che la stessa Avvocatura riconosca l’inidoneità della delibera impugnata a produrre effetti giuridici, renderebbe evidente la assoluta carenza di interesse attuale alla proposizione del conflitto.


Considerato in diritto


1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Regione Campania in relazione alla deliberazione della Giunta 30 settembre 2003, n. 2827 (Integrazione alle linee guida per la Pianificazione Territoriale Regionale in Campania, di cui alla delibera di Giunta Regionale n. 4459 del 30.09.2002, in materia di sanatoria degli abusi edilizi), poiché tale atto mirerebbe a disapplicare nell’ambito del territorio regionale la disciplina del condono edilizio contenuta nell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici).


L’atto impugnato – emanato allorché si aveva già notizia della approvazione del suddetto decreto-legge da parte del Consiglio dei ministri – consiste in una integrazione alle "linee guida" per la pianificazione territoriale regionale in Campania, previste dall’art. 14 della legge regionale 18 ottobre 2002, n. 26 (Norme ed incentivi per la valorizzazione dei centri storici della Campania e per la catalogazione dei beni ambientali di qualità paesistica. Modifiche alla legge regionale 19 febbraio 1996, n. 3), che erano state approvate con deliberazione n. 4459 della Giunta regionale del 30 settembre 2002. Nell’atto censurato, con il quale viene approvato un allegato dal titolo "Integrazione alle linee guida per la pianificazione regionale, in materia di sanatoria degli abusi edilizi. Divieto di sanatoria", si stabilisce che "al fine di salvaguardare l’identità e l’integrità del territorio regionale, non è ammessa la sanatoria delle opere edilizie realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, ovvero in difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi, e che siano in contrasto con gli strumenti urbanistici generali vigenti"; ciò sulla base della premessa "che, al fine di salvaguardare l’identità e l’integrità del territorio regionale, sempre più compromesso dal dilagante fenomeno dell’abusivismo edilizio, occorre prevedere che non saranno ammesse ipotesi di condono edilizio ulteriori rispetto a quelle previste dal Capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724".


Il Governo lamenta che in tal modo la Regione intenderebbe disapplicare sul territorio regionale una legge statale, con ciò violando il principio di leale cooperazione fra le istituzioni repubblicane, nonché la competenza statale a disciplinare i titoli abilitativi ad edificare. La delibera regionale, inoltre, trascurerebbe che il fondamento dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 andrebbe ravvisato nella competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e penale, nonché negli artt. 81, primo e quarto comma, 119, secondo comma, e 120, secondo comma, Cost. L’atto della Giunta regionale, infine, sarebbe illegittimo e inidoneo a produrre effetti giuridici.


2. – Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso governativo prospettate dalla Regione Campania.


Innanzitutto, secondo la Regione, l’atto introduttivo del giudizio non individuerebbe il parametro costituzionale violato, né motiverebbe la asserita lesione di norme costituzionali da parte della delibera regionale, così oltretutto ponendo a carico della difesa regionale l’onere di dimostrare la "legittimità" dell’atto impugnato.


Pur senza negare un non sempre chiaro sovrapporsi di motivazioni diverse nelle memorie dell’Avvocatura (la maggior parte delle quali riferite, in realtà, al problema della titolarità del potere legislativo in materia), il rilievo va respinto, poiché i motivi del ricorso emergono con sufficiente chiarezza. La censura fondamentale, prospettata dallo Stato, è costituita dal rilievo che l’atto regionale – come si esprime il ricorso governativo – "mira […] a sottrarre effettività a disposizioni legislative prodotte dallo Stato; esso appare perciò atto che contrasta anche con il canone della leale cooperazione tra istituzioni della Repubblica". La giurisprudenza di questa Corte è costante nel riconoscere che il principio della leale collaborazione costituisca parametro invocabile nel conflitto di attribuzione, in quanto la sua violazione determini la lesione delle competenze riconosciute allo Stato e alle Regioni (cfr. sentenze n. 255 del 2002 e n. 133 del 2001).


Altro motivo di inammissibilità eccepito dalla Regione deriverebbe dalla carenza di un interesse attuale al ricorso conseguente alla mancanza di lesività dell’atto regionale. Questo, infatti, sarebbe in realtà inidoneo a produrre effetti giuridici.


Anche tale eccezione deve essere respinta. Occorre infatti tenere distinto il profilo della concreta efficacia dell’atto regionale, rispetto alla lesione della sfera di attribuzioni dello Stato che comunque si produce attraverso l’adozione di un atto regionale di indirizzo che nega efficacia giuridica ad un atto normativo statale. L’atto impugnato, in sostanza, in quanto volto espressamente ad escludere l’applicazione della normativa statale nel territorio regionale, risulta idoneo ad incidere sulle competenze rivendicate dallo Stato. E tanto è sufficiente a ritenere ammissibile il ricorso.


Infine, secondo la difesa regionale, il conflitto sarebbe privo di "tono costituzionale", in quanto il ricorrente lamenterebbe semplicemente l’illegittimità dell’atto regionale, che costituirebbe un vizio dell’atto amministrativo censurabile avanti all’autorità giudiziaria.


In realtà, la delibera della Giunta della Regione Campania non viola semplicemente un decreto-legge dello Stato, ma contiene addirittura un rifiuto di riconoscere efficacia ad un’intera normativa statale, pur disponendo la Regione degli strumenti costituzionali per contestarne la eventuale illegittimità costituzionale; ciò che poi è avvenuto con il ricorso della stessa Regione Campania n. 76 del 2003, proposto avverso l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, nonché con il ricorso n. 14 del 2004, avverso l’art. 32 del medesimo d.l., così come convertito in legge dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici).


3. – Deve invece essere dichiarata inammissibile la censura, formulata dal ricorrente, secondo cui la delibera impugnata non terrebbe conto del fatto che l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 sarebbe fondato sull’art. 117, secondo comma, lettera l), sull’art. 120, secondo comma, nonché sul combinato disposto dell’art. 81, primo e quarto comma, e dell’art. 119, secondo comma, Cost.


È evidente infatti come il richiamo di tali norme non costituisca riferimento ad un parametro di costituzionalità su cui valutare la delibera della Giunta regionale della Campania, ma attenga al diverso problema della titolarità della potestà legislativa in tema di condono edilizio di tipo straordinario, che non è oggetto del presente giudizio, bensì dei ricorsi decisi con sentenza di questa Corte n. 196 del 2004. Il problema che si pone in questa sede, invece, prescinde dalla legittimità o illegittimità costituzionale del decreto-legge che disciplina il condono edilizio e al quale si riferisce l’atto regionale impugnato, ma riguarda semplicemente la sussistenza della potestà della Regione di dichiarare, in un provvedimento amministrativo, l’inapplicabilità di un atto con forza di legge nel proprio territorio.


4. – La fondamentale censura mossa avverso la deliberazione della Giunta regionale della Campania è che tale atto manifesterebbe la volontà della Regione di non dare efficacia ad un atto avente forza di legge dello Stato, in tal modo violando "il canone della leale cooperazione tra istituzioni della Repubblica".


In questi termini, il ricorso è fondato.
Il Titolo V della Parte II della Costituzione, così come le corrispondenti parti degli statuti speciali, presuppongono, infatti, che l’esercizio delle potestà legislative da parte dello Stato e delle Regioni, secondo le regole costituzionali di riparto delle diverse competenze, contribuisca a produrre un unitario ordinamento giuridico, nel quale, certo, non si esclude l’esistenza di una possibile dialettica fra i diversi livelli legislativi, anche con la eventualità di parziali sovrapposizioni fra le leggi statali e regionali che possono trovare soluzione mediante il promovimento della questione di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte, secondo le scelte affidate alla discrezionalità degli organi politici statali e regionali.


Ciò che è implicitamente escluso dal sistema costituzionale è che il legislatore regionale (così come il legislatore statale rispetto alle leggi regionali) utilizzi la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna, anziché agire in giudizio dinnanzi a questa Corte, ai sensi dell’art. 127 Cost.. Dunque né lo Stato né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti di competenza tramite proprie disposizioni di legge (cfr. sentenza n. 198 del 2004) o, tanto meno, tramite atti amministrativi di indirizzo che dichiarino o presuppongano l’inapplicabilità di un atto legislativo rispettivamente delle Regioni o dello Stato.


Ciò è quanto appunto fa la deliberazione della Giunta della Regione Campania 30 settembre 2003, n. 2827. Essa, infatti, da un lato, non ammette "la sanatoria delle opere edilizie realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, ovvero in difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi, e che siano in contrasto con gli strumenti urbanistici generali vigenti"; dall’altro lato, dispone che da questo divieto restano escluse le opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, per le quali sia stata presentata domanda di rilascio di titolo edilizio in sanatoria ai sensi e nei termini previsti dalle disposizioni di cui al Capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed all’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724". In tal modo la delibera regionale esclude l’applicazione nel territorio della Regione Campania delle disposizioni concernenti il condono edilizio contenute nell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003.


Tanto basta per ritenere che essa leda le attribuzioni costituzionali dello Stato e debba essere, conseguentemente, annullata.


PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara che non spetta alla Regione Campania, e per essa alla Giunta regionale adottare un atto con il quale si nega efficacia, all’interno del proprio territorio, ad un atto legislativo dello Stato;

e per l’effetto annulla

la deliberazione della Giunta della Regione Campania 30 settembre 2003, n. 2827 (Integrazione alle linee guida per la Pianificazione Territoriale Regionale in Campania, di cui alla delibera di Giunta Regionale n. 4459 del 30.09.2002, in materia di sanatoria degli abusi edilizi).


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2004.


F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2004.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA


 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

 

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