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Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Ric. n. 328/2001
Sent. n. 929/04
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER
LA LOMBARDIA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di
Brescia ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 328/2001, proposto da ENIPOWER spa, in persona
dell’Amministratore delegato, rappresentata e difesa dagli Avv. Roberto
Pillitteri, Maria Grazia Lanero e Innocenzo Gorlani, con domicilio eletto presso
quest’ultimo in Brescia via Romanino 16;
contro
MINISTERO DELL’AMBIENTE, in persona del Ministro, costituitosi in giudizio,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio
eletto presso la propria sede in Brescia via S. Caterina 6;
MINISTERO DELLA SANITÀ, in persona del Ministro, costituitosi in giudizio,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio
eletto presso la propria sede in Brescia via S. Caterina 6;
e nei confronti di
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente, non costituitasi in giudizio;
PROVINCIA DI MANTOVA, in persona del Presidente, costituitasi in giudizio,
rappresentata e difesa dagli Avv. Eloisa Persegati e Carlo Binelli, con
domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia via Malta 12;
COMUNE DI MANTOVA, in persona del Sindaco, costituitosi in giudizio,
rappresentato e difeso dagli Avv. Chiara Bergamaschi e Carlo Binelli, con
domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia via Malta 12;
con intervento ad adiuvandum di ENICHEM spa, in persona del Presidente,
rappresentata e difesa dagli Avv. Giancarlo Tanzarella e Giuseppe Onofri, con
domicilio eletto presso quest’ultimo in Brescia via Ferramola 14;
per l'annullamento
- dell’ordinanza GAB/DEC/053/01 del 14 marzo 2001, con la quale il Ministro
dell’Ambiente ha ordinato l’immediata sospensione dell’attività di
coincenerimento dei rifiuti speciali pericolosi denominati “residui stirenici e
fenolici” svolta da Enipower spa nella centrale termoelettrica di proprietà di
Enichem spa all’interno dello stabilimento petrolchimico di Mantova,
subordinando la ripresa di tale attività al rilascio da parte della Regione
delle autorizzazioni di cui all’art. 5 del DM 25 febbraio 2000 n. 124;
- della relazione resa il 21 febbraio 2001 dal comitato ispettivo istituito con
decreto GAB/DEC/124/2000 del 15 novembre 2000;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dei Ministeri dell’Ambiente e della
Salute, nonché dei controinteressati Provincia di Mantova e Comune di Mantova;
Visto l’intervento ad adiuvandum di Enichem spa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato quale relatore alla pubblica udienza del 30 gennaio 2004 il dott.
Mauro Pedron;
Uditi i difensori delle parti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente Enipower spa ha gestito, prima come affittuaria e dal 1 luglio
2000 come proprietaria, la centrale termoelettrica situata all’interno dello
stabilimento petrolchimico di Mantova. La centrale fornisce energia elettrica e
vapore agli impianti di Enichem spa presenti nello stabilimento. Per
l’alimentazione delle caldaie B4, B5, B6 della centrale sono utilizzati come
combustibili prodotti liquidi altobollenti nei quali sono presenti residui dei
cicli di produzione dello stirene (o stirolo) e del fenolo (residui stirenici e
fenolici). Questi residui provengono dalle lavorazioni di Enichem spa. Secondo
una procedura normale negli stabilimenti petrolchimici che producono stirene e
fenolo, i residui di tali composti chimici rimangono in loco per essere
utilizzati nella produzione di energia elettrica e vapore a favore dello stesso
stabilimento.
Con l’impugnata ordinanza GAB/DEC/053/01 del 14 marzo 2001 il Ministro
dell’Ambiente ha vietato alla ricorrente di continuare a utilizzare come
combustibile i residui stirenici e fenolici all’interno dello stabilimento fino
al rilascio da parte della Regione delle autorizzazioni di cui all’art. 5 del DM
25 febbraio 2000 n. 124 (valori limite di emissione e norme tecniche riguardanti
le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento
e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi). L’ordinanza si basa su alcuni
presupposti così sintetizzabili:
- i residui stirenici e fenolici
devono essere considerati rifiuti speciali pericolosi ai sensi della LR 7 giugno
1980 n. 94, del DPR 10 settembre 1982 n. 915 e delle norme sopravvenute.
Pertanto la loro combustione può avvenire solo in base ad apposita
autorizzazione regionale. La situazione era già stata definita in questi termini
dalla DGR 4/21297 dell’8 giugno 1987, con la quale la Regione aveva dato
all’allora gestore della centrale termoelettrica Montedipe spa le direttive per
il contenimento delle emissioni di anidride solforosa;
- Montedipe spa non ha chiesto l’autorizzazione regionale ai sensi del DPR
915/1982. Ha chiesto invece al Ministero dell’Industria Commercio e Artigianato
in data 28 settembre 1990 l’autorizzazione alla prosecuzione delle emissioni ex
art. 12 del DPR 24 maggio 1988 n. 203 (attuazione delle direttive CEE n. 80/779,
82/884, 84/360 e 85/203 in materia di qualità dell’aria). L’autorizzazione ai
sensi del DPR 203/1988 non è però mai stata rilasciata;
- la titolarità della centrale termoelettrica è poi stata trasferita a Frene
srl, che il 5 novembre 1996 ha inviato alla Regione la comunicazione ai sensi
dell’art. 2 commi 1 e 2 del DL 6 settembre 1996 n. 462 (disciplina delle
attività di recupero dei rifiuti) circa la prosecuzione dell’utilizzazione di
residui stirenici e fenolici (asseritamene autorizzata ex DPR 203/1988). La
comunicazione è stata in seguito reiterata da Enichem spa ed Enipower spa,
divenute proprietaria e affittuaria della centrale termoelettrica;
- in base all’art. 2 del DM 16 gennaio 1995 (norme tecniche per il riutilizzo in
un ciclo di combustione per la produzione di energia dei residui derivanti da
cicli di produzione o di consumo) la comunicazione sull’utilizzazione di residui
è sufficiente a consentire la prosecuzione dell’attività qualora l’impianto sia
stato autorizzato ai sensi del DPR 203/1988 o del DPR 915/1982, in caso
contrario la comunicazione non è sufficiente e deve essere chiesta
l’autorizzazione dell’impianto ai sensi degli art. 6 e 17 del DPR 203/1988;
- in definitiva la centrale termoelettrica della ricorrente, non essendo mai
stata autorizzata alla combustione di residui, è esclusa dalla disciplina
transitoria dell’art. 8 del DM 124/2000 e non può pertanto proseguire
l’attività;
- inoltre non risultano effettuati tutti i controlli delle emissioni di
microinquinanti previsti dal DM 12 luglio 1990 (linee guida per il contenimento
delle emissioni inquinanti degli impianti industriali e la fissazione dei valori
minimi di emissione), in particolare per quanto riguarda la natura e la quantità
delle sostanze inquinanti emesse nell’atmosfera;
- da uno studio epidemiologico condotto da un gruppo di lavoro costituito dalla
ASL, dall’ISS, dall’ISPESL e dall’Università La Sapienza di Roma sui sarcomi dei
tessuti molli a Mantova risulta un significativo incremento di rischio tra la
popolazione residente in prossimità dello stabilimento petrolchimico. Lo studio
prende in considerazione l’area prossima all’inceneritore di rifiuti
industriali. Peraltro la centrale termoelettrica della ricorrente è a poche
centinaia di metri e brucia un quantitativo di rifiuti pericolosi superiore a
quello dell’inceneritore.
Sulla base di questi elementi l’ordinanza ha ritenuto sussistente una situazione
di grave pericolo per l’ambiente e la salute pubblica, e ha di conseguenza
sospeso il coincenerimento dei residui stirenici e fenolici senza dare
comunicazione dell’avvio del procedimento. La ripresa dell’attività è stata
subordinata al rilascio da parte della Regione delle autorizzazioni di cui
all’art. 5 del DM 124/2000. Per il caso di inosservanza è stata prevista la
chiusura della centrale termoelettrica.
La ricorrente ha impugnato l’ordinanza con ricorso notificato il 26 marzo 2001 e
depositato il 28 marzo 2001. Contro l’ordinanza sono state rivolte le seguenti
censure:
1. contraddizione o perplessità nell’individuazione del potere esercitato, in
quanto sono stati richiamati sia l’art. 8 della legge 8 luglio 1986 n. 349
(misure provvisorie di salvaguardia adottate dallo Stato per prevenire un grave
danno ecologico in caso di inerzia delle regioni e degli enti locali) sia l’art.
8 della legge 3 marzo 1987 n. 59 (ordinanze contingibili e urgenti del Ministro
dell’Ambiente in situazioni di grave pericolo di danno ambientale);
2. violazione dell’art. 8 comma 3 della legge 349/1986 essendosi lo Stato
sostituito alla Regione senza previa diffida;
3. carenza di motivazione e vizi procedimentali, in quanto:
- non è stato dimostrato né il grave danno ecologico (art. 8 comma 3 della legge
349/1986) né il grave pericolo di danno ambientale (art. 8 della legge 59/1987);
- essendo prospettato un possibile danno alla salute umana l’ordinanza avrebbe
dovuto essere adottata di concerto con il Ministro della Sanità, inoltre essendo
lamentata la mancanza dell’autorizzazione del Ministro dell’Industria Commercio
e Artigianato ex art. 17 del DPR 203/1988 il concerto avrebbe dovuto essere
esteso anche a quest’ultimo;
4. carenza di istruttoria e di motivazione, in quanto:
- non corrisponde al vero che siano mancate indagini sui microinquinanti.
Esistono in realtà due analisi. La prima, realizzata da SGS Ecologia srl per
incarico di Enichem spa nel 1999, è stata acquisita nel corso di una visita
ispettiva effettuata da tecnici del Ministero dell’Ambiente e di altre autorità
nei giorni 13 – 15 dicembre 2000. La seconda, realizzata da SGS Ecologia srl per
incarico della ricorrente alla fine del 2000, è stata trasmessa al Ministero
dell’Ambiente il 9 febbraio 2001. Inoltre l’ARPA ha effettuato ripetute
verifiche su tutti i punti di emissione negli anni 1999 – 2000;
- lo studio epidemiologico è riferito all’inceneritore, quale possibile fonte di
emissione di diossina. L’equiparazione della centrale termoelettrica
all’inceneritore è illogica, perché la diossina è un prodotto della combustione
del cloro, e nei residui stirenici e fenolici la presenza di cloro è molto
limitata;
- se effettivamente lo studio fosse riferito alla centrale termoelettrica il
provvedimento avrebbe dovuto disporre la sospensione non in vista
dell’autorizzazione ma per consentire alla Regione di adottare un atto di
chiusura definitiva;
5. travisamento dei fatti e carenza di istruttoria in relazione alla mancata
autorizzazione all’uso dei residui stirenici e fenolici come combustibile:
- Montedipe spa ancora in data 9 marzo 1987 aveva chiesto alla Regione e al
Comune di Mantova l’autorizzazione alla combustione dei residui chimici di
lavorazione ai sensi dell’art. 13 della legge 13 luglio 1966 n. 615
(qualificando i residui miscelati come olio combustibile). Nei contatti con la
Regione successivi alla DGR 4/21297 del 9 giugno 1987 non ci sono state altre
sollecitazioni circa l’acquisizione dell’autorizzazione ex DPR 915/1982;
- l’autorizzazione deve considerarsi comunque acquisita sulla base della
normativa intervenuta successivamente, in particolare per il combinato dell’art.
2 del DM 16 gennaio 1995 e dell’art. 13 comma 3 del DPR 203/1988 attraverso il
decorso di 120 giorni dalla presentazione della domanda di autorizzazione (nel
caso specifico la domanda è quella presentata da Frene srl il 5 novembre 1996);
6. illogicità e sviamento, in quanto subordinando la ripresa dell’attività al
rilascio delle autorizzazioni ex art. 5 del DM 124/2000 l’ordinanza ha in realtà
equiparato la centrale termoelettrica a un inceneritore. In questo modo ha
imposto adeguamenti strutturali agli impianti esorbitando dai limiti propri
delle ordinanze contingibili e urgenti.
Il Ministero dell’Ambiente, il Ministero della Sanità, la Provincia di Mantova e
il Comune di Mantova si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del
ricorso.
Con atto notificato il 29 marzo 2001 e depositato il 30 marzo 2001 Enichem spa
ha fatto intervento ad adiuvandum chiedendo l’annullamento degli atti impugnati.
Le argomentazioni dell’interveniente riprendono quelle già svolte nel ricorso.
Con ordinanza n. 292 del 6 aprile 2001 il Tribunale ha respinto la domanda di
sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati.
Con memoria notificata il 4 giugno 2001 e depositata il 15 giugno 2001 la
ricorrente ha proposto motivi aggiunti, così riassumibili:
1. a integrazione del motivo n. 4 viene precisato che dalla lettura dello studio
epidemiologico (depositato dalla Provincia e dal Comune di Mantova) non risulta
alcuna connessione causale tra i prodotti altobollenti utilizzati dalla centrale
termoelettrica e i sarcomi dei tessuti molli;
2. ancora a integrazione del motivo n. 4 la ricorrente sottolinea che la
relazione del comitato ispettivo del 21 febbraio 2001 è illogica nella parte in
cui rileva l’assenza di sistemi di abbattimento dei macroinquinanti senza
considerare che un’alternativa efficace è costituita dalla qualità del processo
produttivo. Altra incongruenza consisterebbe nell’omesso esame delle analisi sui
microinquinanti di cui al DM 12 luglio 1990, rispettivamente fornite dalla
ricorrente nel corso dell’indagine ispettiva del 13 – 15 dicembre 2000 (analisi
1999) e spedite al Ministero dell’Ambiente il 9 febbraio 2001 (analisi 2000);
3. la nota del Settore Ambiente – Ecologia della Provincia di Mantova prot. n.
3374 del 29 gennaio 1999 (depositata dalla Provincia e dal Comune di Mantova)
confermerebbe l’affidamento della ricorrente circa la regolarità della
situazione. Altra circostanza interpretabile in questo senso sarebbe
l’archiviazione (avvenuta nel 2003) del procedimento penale contro due
amministratori della ricorrente con riguardo alla mancata autorizzazione della
combustione dei residui (atti depositati dalla ricorrente il 9 gennaio 2004).
Il Tribunale ha disposto CTU con i quesiti formulati dal giudice delegato il 6
luglio 2001: “dica il CTU, valutata la documentazione prodotta in atti e
visitati gli impianti, se i fumi prodotti dalle centrali termoelettriche
Enipower spa di Mantova, a seguito di coincenerimento dei residui stirenici e
fenolici, producano emissioni contenute nei limiti tabellari di cui al DPR 24
maggio 1988 n. 203, con particolare riguardo alle norme tecniche di cui al DM 16
gennaio 1995”. La perizia è stata depositata il 1 ottobre 2001. Un’integrazione
è stata depositata il 3 gennaio 2002.
All’udienza del 30 gennaio 2004 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La ricorrente Enipower spa ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza GAB/DEC/053/01
del 14 marzo 2001, con la quale il Ministro dell’Ambiente ha ordinato
l’immediata sospensione dell’attività di coincenerimento dei rifiuti speciali
pericolosi denominati “residui stirenici e fenolici” svolta nella centrale
termoelettrica interna allo stabilimento petrolchimico di Mantova gestito da
Enichem spa. I residui stirenici e fenolici costituiscono scarti della
lavorazione rispettivamente dello stirene e del fenolo effettuata nello
stabilimento petrolchimico di Mantova, e sono utilizzati come carburante nella
produzione di energia elettrica e vapore a supporto del medesimo stabilimento.
L’impugnata ordinanza ha subordinato la ripresa del coincenerimento dei residui
al rilascio da parte della Regione delle autorizzazioni di cui all’art. 5 del DM
25 febbraio 2000 n. 124 (valori limite di emissione e norme tecniche riguardanti
le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento
e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi). Oltre all’ordinanza è stata
impugnata la relazione resa il 21 febbraio 2001 dal comitato ispettivo istituito
dal Ministro dell’Ambiente con decreto GAB/DEC/124/2000 del 15 novembre 2000.
In corso di causa la ricorrente ha cessato l’attività di coincenerimento dei
residui in questione, preferendo tale soluzione all’adeguamento degli impianti
alle norme tecniche previste dal DM 124/2000. In base all’art. 8 commi 7 e 11
del suddetto decreto la prosecuzione in via transitoria dell’attività negli
impianti non adeguati era consentita fino al 30 giugno 2002. La ricorrente
tuttavia, essendo intenzionata a non consentire valutazioni negative sul suo
operato, chiede che il Tribunale si pronunci nel merito degli argomenti
proposti. Al riguardo si può ritenere che la tutela dell’immagine e
dell’affidabilità ambientale della propria politica industriale siano elementi
sufficienti per radicare nella ricorrente l’interesse alla sentenza di merito.
L’eventuale accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati potrebbe
inoltre costituire un presupposto rilevante per una separata richiesta di
risarcimento danni.
1. Il primo motivo di ricorso censura la contraddizione tra le due norme
richiamate a fondamento dell’ordinanza. La prima (art. 8 della legge 8 luglio
1986 n. 349) riguarda le misure provvisorie di salvaguardia adottate dallo Stato
per prevenire un grave danno ecologico in caso di inerzia delle regioni e degli
enti locali, mentre la seconda (art. 8 della legge 3 marzo 1987 n. 59)
disciplina le ordinanze contingibili e urgenti del Ministro dell’Ambiente in
situazioni di grave pericolo di danno ambientale. In nessun caso secondo la
ricorrente le due norme possono essere richiamate congiuntamente a causa della
diversità dei presupposti.
Un argomento così categorico non può tuttavia essere condiviso, almeno nei casi,
come quello in esame, in cui la situazione all’origine dei provvedimenti urgenti
è il risultato di un complesso insieme di elementi. Anticipando in parte le
considerazioni che saranno svolte ai punti 4 e 5 si può constatare che la
ricorrente e i suoi danti causa hanno utilizzato almeno dal 1987 come
combustibile per la centrale termoelettrica residui qualificabili come rifiuti
pericolosi senza avere mai ottenuto un’espressa autorizzazione regionale ai
sensi della LR 7 giugno 1980 n. 94 e del DPR 10 settembre 1982 n. 915. La
combustione di tali residui provoca emissioni nell’atmosfera per le quali il
Ministero dell’Industria Commercio e Artigianato non ha mai emesso un espresso
provvedimento autorizzatorio ex art. 17 del DPR 24 maggio 1988 n. 203
(attuazione delle direttive CEE n. 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 in materia di
qualità dell’aria). A questo si aggiungono le preoccupazioni contenute nella
relazione del comitato ispettivo del 21 febbraio 2001 circa l’incompletezza dei
controlli sulle emissioni di microinquinanti e i rilievi formulati in uno studio
epidemiologico sull’aumento dei sarcomi dei tessuti molli tra la popolazione
residente in prossimità dello stabilimento petrolchimico.
A fronte di una situazione complessa come quella descritta sopra non appare
corretto scomporre il quadro delle competenze per assegnare a ciascuna autorità
il proprio spazio di intervento ma è necessario individuare un elemento
unificante che garantisca l’adozione di misure amministrative efficaci. La
tutela dell’ambiente non è frazionabile quando il rischio di inquinamento è
considerato di alto livello e si temono danni ulteriori. Assume quindi valore
assorbente il grave pericolo di danno ambientale previsto dall’art. 8 della
legge 59/1987 quale presupposto delle ordinanze ministeriali contingibili e
urgenti. Rispetto a un simile pericolo l’inerzia delle regioni e degli enti
locali non ha un rilievo autonomo ma è parte di una fattispecie diversa, nella
quale l’interesse pubblico richiede di provvedere immediatamente per regolare
una situazione senza ulteriori ritardi. La norma dell’art. 8 comma 3 della legge
349/1986 e quella dell’art. 8 della legge 59/1987 devono quindi essere
interpretate non tanto come disposizioni alternative ma come una fattispecie
progressiva. Finché la situazione concreta permette di agire in un quadro di
relativa normalità l’intervento sostitutivo deve rispettare le condizioni poste
dall’art. 8 comma 3 della legge 349/1986, ma quando prevale su tutto la
necessità di coordinamento per garantire un intervento adeguato al pericolo il
potere si concentra nel Ministro dell’Ambiente nelle forme extra ordinem
dell’art. 8 della legge 59/1987.
La possibilità di coordinare le due norme rende evidentemente non sintomatica la
loro citazione congiunta nell’ordinanza in esame.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 8 comma 3
della legge 349/1986, in quanto lo Stato si sarebbe sostituito alla Regione
senza previa diffida. La tesi non può essere condivisa. Come si è detto al punto
1 il potere esercitato dal Ministro dell’Ambiente è quello dell’art. 8 della
legge 59/1987, che non richiede diffide o altre modalità di coinvolgimento.
Più in dettaglio, non sembra che l’ordinanza impugnata abbia determinato
un’arbitraria compressione delle prerogative in materia ambientale della Regione
o degli enti locali. Lo stabilimento petrolchimico di Mantova è un sito
industriale di rilievo nazionale, e l’eventualità che un particolare ciclo
produttivo possa produrre inquinamento con gravi ripercussioni sulla salute
della popolazione residente nella zona circostante è sufficiente a imporre
l’interessamento del Ministero dell’Ambiente quale struttura che per dimensioni
e struttura tecnica meglio può intervenire sul problema. Del resto l’art. 18
comma 1 lett. n) del Dlgs. 5 febbraio 1997 n. 22 attribuisce allo Stato la
gestione della bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale. Nel caso in
esame inoltre l’autorizzazione originaria delle emissioni della centrale
termoelettrica avrebbe dovuto essere rilasciata dallo Stato attraverso il
Ministero dell’Industria Commercio e Artigianato ai sensi dell’art. 17 del DPR
203/1988.
Occorre anche considerare che l’ordinanza impugnata non ha invaso la recente
disciplina delle autorizzazioni alla costruzione e all'esercizio degli impianti
che effettuano coincenerimento. L’art. 5 del DM 124/2000 prevede che tali
autorizzazioni siano rilasciate dalle regioni, e in effetti l’ordinanza impone
alla ricorrente di attivare la relativa procedura rimettendo alla Regione ogni
valutazione di merito. Sotto questo profilo sembra quindi che l’ordinanza
intenda ricondurre la vicenda nell’ambito della disciplina ordinaria delle
autorizzazioni senza anticipare le valutazioni tecniche delle autorità
competenti.
3. Nel terzo motivo la ricorrente approfondisce l’esame dei presupposti
dell’ordinanza sotto il profilo della motivazione e della procedura.
3.1 In particolare secondo la ricorrente non sarebbe stato dimostrato né il
grave danno ecologico (art. 8 comma 3 della legge 349/1986) né il grave pericolo
di danno ambientale (art. 8 della legge 59/1987).
La tesi non può essere condivisa. Le tre considerazioni svolte nell’ordinanza
(mancanza di autorizzazione sia per la combustione di rifiuti pericolosi sia per
le emissioni nell’atmosfera, insufficienza dei controlli sui microinquinanti,
rischi di sarcoma dei tessuti molli) sono idonee a rappresentare il pericolo di
un grave danno ambientale. La mancanza delle autorizzazioni non è una mera
irregolarità amministrativa ma la dimostrazione del fatto che il problema
dell’inquinamento non è stato sottoposto a un esame appropriato in via
preventiva, il che è rilevante se si considera la pericolosità dei prodotti
utilizzati e delle sostanze liberate nell’atmosfera. A sua volta l’insufficienza
dei controlli sui microinquinanti non consente di presumere che la situazione
sia sempre sotto controllo. Infine lo studio epidemiologico evidenziando un
significativo incremento dei sarcomi in prossimità dello stabilimento
petrolchimico e indicando nella diossina TCDD una possibile causa impone di
operare secondo il principio di precauzione.
Su alcuni di questi elementi sono necessarie delle precisazioni, che saranno
effettuate ai punti successivi in relazione a più specifici motivi di
impugnazione. Nel complesso tuttavia il pericolo descritto dall’ordinanza appare
seriamente motivato. Quanto all’attualità, si tratta di una situazione in corso
da tempo la cui pericolosità può considerarsi permanente fino all’adozione di
misure idonee a portare gli standard di sicurezza della centrale termoelettrica
ai livelli previsti dalle norme tecniche più recenti.
3.2 Con riguardo al procedimento la ricorrente sostiene che essendo prospettato
un possibile danno alla salute umana l’ordinanza avrebbe dovuto essere adottata
di concerto con il Ministro della Sanità. Inoltre essendo lamentata la mancanza
dell’autorizzazione del Ministro dell’Industria Commercio e Artigianato ex art.
17 del DPR 203/1988 il concerto avrebbe dovuto riguardare anche quest’ultimo.
In realtà il pericolo individuato dall’ordinanza descrive un tipico danno
all’ambiente con riflessi sulla salute della popolazione. La circostanza che
l’inquinamento aggredisca prima l’ambiente per riversarsi poi sulle persone
evidenzia la necessità che al centro dell’intervento amministrativo vi sia una
valutazione di tipo ambientale, alla quale possono certamente concorrere apporti
tecnici di natura sanitaria. Appare quindi corretta la procedura seguita dal
Ministero dell’Ambiente, che ha adottato l’ordinanza dopo aver sentito il
Ministero della Sanità. Per quanto riguarda invece il mancato coinvolgimento del
Ministero dell’Industria Commercio e Artigianato valgono le considerazioni
svolte sopra circa l’uso legittimo del potere di ordinanza contingibile e
urgente qualora esista un grave pericolo di danno ambientale. Si può anche
rilevare che nel nuovo quadro di competenze delineato dall’art. 5 del DM
124/2000 l’autorizzazione degli impianti che effettuano coincenerimento è
rimessa alle regioni, e pertanto una decisione concertata con il Ministero
dell’Industria Commercio e Artigianato non avrebbe avuto una sicura base
normativa.
4. Con il quarto motivo la ricorrente esamina le valutazioni contenute
nell’ordinanza impugnata, evidenziando diversi profili di carenza istruttoria e
insufficienza della motivazione.
4.1 In primo luogo la ricorrente contesta che siano mancate indagini sui
microinquinanti contenuti nelle emissioni in atmosfera. Un’analisi in questo
senso è invece stata compiuta da SGS Ecologia srl per incarico di Enichem spa
nel 1999, ed è stata acquisita nel corso di una visita ispettiva effettuata da
tecnici del Ministero dell’Ambiente e di altre autorità nei giorni 13 – 15
dicembre 2000. Una seconda analisi, realizzata da SGS Ecologia srl per incarico
della ricorrente alla fine del 2000, è stata trasmessa al Ministero
dell’Ambiente il 9 febbraio 2001. Inoltre l’ARPA con nota prot. n. 2585/00 del
29 dicembre 2000 ha comunicato al Comune di Mantova i risultati delle verifiche
relative ai combustibili e alle emissioni.
In proposito occorre precisare che l’ordinanza lamenta in generale la scarsità
dei controlli sulle emissioni effettuati dai vari gestori della centrale
termoelettrica in un periodo di tempo abbastanza lungo. In effetti gli unici
esami approfonditi sono quelli commissionati a SGS Ecologia srl nel 1999 e nel
2000, a quasi dieci anni di distanza dall’entrata in vigore del DM 12 luglio
1990 (linee guida per il contenimento delle emissioni di inquinanti degli
impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione). La
relazione del 21 febbraio 2001 del comitato ispettivo (richiamata nell’ordinanza
impugnata) mette poi in evidenza che il monitoraggio delle emissioni non avviene
nel rispetto del DM 16 gennaio 1995 (norme tecniche per il riutilizzo in un
ciclo di combustione per la produzione di energia dei residui derivanti da cicli
di produzione o di consumo).
Per dirimere il contrasto sulla pericolosità delle emissioni il Tribunale ha
disposto una CTU. La perizia, depositata il 1 ottobre 2001 e integrata il 3
gennaio 2002, distingue tra microinquinanti (diossine, idrocarburi policiclici
aromatici, policlorobifenili, policloronaftaleni, policlorotrifenili) e
macroinquinanti (polveri, anidride solforosa, ossidi di azoto, monossido di
carbonio). I dati utilizzati sono principalmente quelli forniti dalle analisi di
SGS Ecologia srl (non sono disponibili controlli effettuati da enti pubblici). I
valori di confronto sono quelli indicati dal DM 12 luglio 1990 (allegato 3 A) e
dal DM 16 gennaio 1995 (allegato 1 lett. A paragrafo 10). Quest’ultimo decreto
contiene anche un distinto sistema di calcolo per il caso di miscelazione di
combustibili (allegato 1 lett. B). I risultati della CTU sono così
sintetizzabili:
- i valori dei microinquinanti
rispettano i limiti posti dalle citate norme tecniche;
- tra i macroinquinanti il valore dell’anidride solforosa supera quello massimo
consentito per gli impianti con potenza termica nominale pari o superiore a 500
MW. Il valore medio stimato per le caldaie B5 e B6 è tra 600 e 700 mg/Nm³ mentre
il valore limite è di 400 mg/Nm³ secondo il DM 12 luglio 1990 e di 50 mg/Nm³
secondo il DM 16 gennaio 1995. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto le
misurazioni danno valori superiori a 200 mg/Nm³ (limite stabilito dal DM 12
luglio 1990) ma inferiori a 400 mg/Nm³ (limite fissato dal DM 16 gennaio 1995).
La potenza termica nominale della centrale termoelettrica è di 577 MW (valore
derivante dalla somma della potenza delle caldaie B4, B5, B6 e Package). La
ricorrente sostiene tuttavia di non essere tenuta a rispettare i limiti previsti
per gli impianti con potenza termica nominale pari o superiore a 500 MW, in
quanto le caldaie che compongono la centrale dovrebbero essere considerate come
impianti autonomi. In questo modo sarebbero applicabili i limiti meno
restrittivi previsti dal DM 12 luglio 1990 (1.700 mg/Nm³ per l’anidride
solforosa e 650 mg/Nm³ per gli ossidi di azoto). La tesi non è però
condivisibile. Le caldaie devono essere qualificate come un unico impianto
coerentemente con la definizione di impianto data dal punto 2 del DPCM 21 luglio
1989 (atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per l'attuazione e
l'interpretazione del DPR 203/1988). Questa disposizione specifica che un
impianto è l'insieme delle linee produttive finalizzate ad una specifica
produzione, le quali possono comprendere a loro volta più punti di emissione
derivanti da una o più apparecchiature funzionali al ciclo produttivo. Nel caso
in esame le caldaie, pur essendo fisicamente separate sono utilizzate in forma
coordinata per la produzione di energia elettrica e vapore a supporto dello
stabilimento petrolchimico. Secondo la CTU l’attività della centrale prevede
l’attivazione di due o tre caldaie mentre le altre rimangono di riserva.
Il criterio del collegamento funzionale si aggiunge a quello della condivisione
del camino previsto dall’art. 1 comma 3 del DM 8 maggio 1989 (limitazione delle
emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di
combustione). Le disposizioni del DPCM 21 luglio 1989 e del DM 8 maggio 1989 non
sono tra loro contraddittorie ma offrono congiuntamente l’interpretazione
preferibile del DPR 203/1988, che non ammette la parcellizzazione delle
emissioni quando questo comporta la disapplicazione dei limiti più rigorosi. Se
gli impianti sono isolati le norme tecniche consentono livelli di emissione più
elevati per non rendere eccessivamente onerosa l’attività industriale, ma quando
più impianti formano un sistema (per connessione materiale o funzionale)
l’impatto sull’ambiente deve essere valutato tenendo conto di tutte le
componenti e quindi della potenza termica nominale complessiva. Il rilievo
economico di un impianto articolato in diverse componenti giustifica l’obbligo
di adottare soluzioni tecniche in grado di contenere maggiormente le emissioni.
La ricorrente sostiene peraltro di avere acquisito il diritto di sottostare ai
soli limiti meno rigorosi in forza di un parere del Ministero dell’Ambiente del
10 settembre 1993 relativo al progetto di potenziamento della centrale
termoelettrica proposto dal gestore dell’epoca Frene srl. Nel parere del
Ministero sono indicati quali limiti alle emissioni delle caldaie esistenti B5 e
B6 i valori di anidride solforosa e ossidi di azoto previsti dal DM 12 luglio
1990 per gli impianti con potenza termica nominale inferiore a 500 MW (il valore
riferito all’anidride solforosa può essere considerato un errore materiale). La
tesi non appare tuttavia condivisibile.
Innanzitutto non è chiaro per quale motivo il Ministero abbia preso in
considerazione solo le caldaie B5 e B6 (che in effetti sommate tra loro danno
una potenza termica nominale inferiore a 500 MW) e non anche la caldaia B4 (che
secondo la CTU è entrata in funzione nel 1964, prima delle altre due). Se la
potenza termica nominale complessiva delle tre caldaie ha superato i 500 MW solo
in seguito i nuovi limiti dovevano comunque essere applicati a partire da quel
momento. Se invece il parere ha omesso di considerare una componente
dell’impianto ritenendo rilevante soltanto la potenza delle singole caldaie la
prescrizione rivolta a Frene srl è in contrasto con l’interpretazione del DPCM
21 luglio 1989 sopra esposta. In ogni caso un errore del Ministero non può
consolidare la posizione degli aventi causa di Frene srl. L’interesse pubblico
alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini non è cedevole e non si
degrada di fronte alle aspettative dei privati per il mero decorso del tempo. La
particolare qualificazione dell’interesse pubblico in questa materia non
consente ai privati di imporre alla collettività livelli di inquinamento
superiori a quelli tollerabili in base alle norme tecniche. Le situazioni
consolidatesi in passato sono quindi sempre reversibili.
Le considerazioni svolte sopra non consentono di accogliere i rilievi mossi
dalla ricorrente alla parte dell’ordinanza ministeriale che descrive il pericolo
di inquinamento. Come si è visto alcuni valori (sia pure di macroinquinanti e
non di microinquinanti) sono superiori ai limiti consentiti. Occorre aggiungere
che i dubbi del Ministero dell’Ambiente sulla presenza di inquinanti potevano
legittimamente essere fondati anche sull’insufficienza del monitoraggio delle
emissioni evidenziata nella relazione del comitato ispettivo del 21 febbraio
2001. Alcune riserve in proposito sono contenute anche nella nota dell’ARPA prot.
n. 2585/00 del 29 dicembre 2000, la quale ha sottolineato che pur essendo
installati sistemi di monitoraggio in continuo (per l’anidride solforosa, gli
ossidi di azoto, il monossido di carbonio, l’ossigeno e la temperatura degli
effluenti gassosi) i dati non erano utilizzati per verificare il rispetto dei
limiti delle emissioni. L’ARPA ha proposto al riguardo una verifica del corretto
funzionamento degli strumenti di misura. Secondo la CTU i dati ottenuti dalle
misurazioni sono attendibili (anche se le misurazioni sono state effettuate con
una certa frequenza solo in tempi recenti), ma con una diversa procedura si
potrebbero ottenere molte più informazioni sull’effettivo rispetto dei limiti.
Nel complesso quindi il sistema di monitoraggio non poteva essere considerato
soddisfacente, circostanza in sintonia con la tesi del Ministero dell’Ambiente
circa la presenza di pericoli di inquinamento.
4.2 Con il secondo motivo aggiunto (connesso al quarto motivo di ricorso) la
ricorrente sostiene che la relazione del comitato ispettivo del 21 febbraio 2001
è illogica nella parte in cui rileva l’assenza di sistemi di abbattimento dei
macroinquinanti senza considerare che la centrale termoelettrica ha adottato un
processo produttivo in grado di ridurre le emissioni. L’argomento risulta
assorbito dalle considerazioni svolte al punto 4.1, in quanto il problema non
risiede nella qualità del progetto della centrale ma nella quantità di emissioni
non trattenute. Come si è visto sopra, alcuni valori eccedono i limiti
consentiti, e in questo contesto l’osservazione circa la mancanza di sistemi di
abbattimento risulta pertinente perché chiarisce che al termine del ciclo di
combustione non vi sono altre barriere alla dispersione degli inquinanti.
D’altra parte i gestori di centrali termoelettriche non sono semplicemente
tenuti a seguire le prescrizioni tecniche previste per la realizzazione degli
impianti ma devono effettivamente contenere le emissioni entro i limiti previsti
dalle norme tecniche, e quindi hanno l’onere di adottare ogni accorgimento
tecnico utile a questo scopo.
4.3 Ancora con il quarto motivo la ricorrente censura il riferimento a uno
studio epidemiologico sui sarcomi dei tessuti molli condotto da un gruppo di
lavoro costituito dalla ASL, dall’ISS, dall’ISPESL e dall’Università La Sapienza
di Roma. Dallo studio risulta un significativo incremento di rischio tra la
popolazione residente in prossimità dello stabilimento petrolchimico. In
proposito la ricorrente evidenzia che lo studio prende in esame, quale possibile
fonte di emissione di diossina, non la centrale termoelettrica ma il vicino
inceneritore di rifiuti industriali. Le considerazioni svolte per l’inceneritore
secondo la ricorrente non possono essere estese alla centrale termoelettrica, in
quanto la diossina è un prodotto della combustione del cloro, che nei residui
stirenici e fenolici è molto scarso.
Con il primo motivo aggiunto la ricorrente precisa inoltre che lo studio
epidemiologico non evidenzia alcun rapporto causale tra i prodotti altobollenti
utilizzati dalla centrale termoelettrica e i sarcomi dei tessuti molli.
In proposito si osserva che l’impugnata ordinanza ministeriale non collega
direttamente lo studio epidemiologico alla centrale termoelettrica, ma lo
utilizza come una fonte di informazioni da prendere in esame. Lo studio afferma
che i sarcomi rilevati in prossimità dell’inceneritore sono compatibili con
“un’ipotesi eziologica di tipo chimico-ambientale”. Quale agente eziologico è
ipotizzata la diossina TCDD, in quanto questa sostanza è in grado di provocare
sarcomi. La fonte è individuata nell’inceneritore industriale perché impianti di
questo tipo possono produrre diossina TCDD.
La centrale termoelettrica della ricorrente produce vari tipi di diossina e
furani. Le misurazioni disponibili, come si è visto sopra a proposito dei
microinquinanti, rivelano tuttavia concentrazioni inferiori ai limiti stabiliti
dalle norme tecniche. Il DM 16 gennaio 1995 (allegato 1 lett. A paragrafo 10)
fissa quale limite alla somma di diossine e furani (PCDD + PCDF), trasformata in
diossina equivalente, il valore di 0,1 ng/Nm³. Le misurazioni effettuate da SGS
Ecologia srl nel 1999 (per la caldaia B5) e nel 2000 (per le caldaie B5 e B6)
danno valori molto più bassi. Ad esempio la diossina TCDD è stata rilevata in
ciascuna analisi nella quantità di 0,002 ng/Nm³, e valori analoghi sono stati
misurati per la maggior parte delle altre diossine e dei furani. Le analisi
hanno arrotondato a zero la diossina totale equivalente.
Questi dati (di cui il Ministero dell’Ambiente aveva la disponibilità al momento
dell’adozione dell’ordinanza) non si traducono tuttavia in sintomi di
illegittimità. Il Ministero avrebbe potuto articolare maggiormente la propria
ordinanza su questo punto ma non sembra vi sia stato abuso del principio di
precauzione. La presenza di diossina TCDD nelle misurazioni disponibili,
l’ipotesi di collegamento tra la diossina TCDD e l’aumento del numero dei
sarcomi in zona, il limitato numero di misurazioni, i dubbi sul sistema di
monitoraggio delle emissioni, l’assenza di un atto autorizzativo espresso con
fissazione dei criteri di funzionamento dell’impianto sono, combinati tra loro,
elementi sufficienti a imporre la sospensione dell’attività e una generale
verifica dell’impianto nel corso della procedura di autorizzazione gestita dalla
Regione ai sensi dell’art. 5 del DM 124/2000.
4.4 A corollario del quarto motivo la ricorrente sostiene che se il Ministero
dell’Ambiente riteneva di poter collegare lo studio epidemiologico alla centrale
termoelettrica avrebbe dovuto disporre la sospensione non in vista
dell’autorizzazione ma per consentire alla Regione di adottare un atto di
chiusura definitiva. In realtà l’ordinanza non ha effettuato un collegamento
diretto ma solo in via cautelativa. La misura della sospensione per la durata
del procedimento autorizzatorio regionale appare quella più proporzionata ai
fatti in esame, che certamente richiedevano un approfondimento. D’altra parte se
la Regione esaminando la richiesta di autorizzazione ritiene insufficienti le
garanzie per l’ambiente e la salute dei cittadini può comunque adottare un
provvedimento di diniego equivalente a una chiusura definitiva.
5. Con il quinto motivo la ricorrente intende dimostrare che al momento
dell’adozione dell’ordinanza l’uso dei residui stirenici e fenolici come
combustibile doveva considerarsi implicitamente autorizzato. In proposito sono
utilizzati due argomenti.
5.1 Uno dei precedenti gestori, Montedipe spa, aveva chiesto il 9 marzo 1987
alla Regione e al Comune di Mantova l’autorizzazione alla combustione dei
residui chimici di lavorazione ai sensi dell’art. 13 della legge 13 luglio 1966
n. 615 (qualificando i residui miscelati come olio combustibile). La Regione con
DGR 4/21297 dell’8 giugno 1987 aveva specificato che i residui stirenici e
fenolici sono rifiuti speciali pericolosi ai sensi della LR 94/1980 e del DPR
915/1982, sottolineando che la loro combustione può avvenire solo in base ad
apposita autorizzazione regionale. Poiché nei contatti con la Regione successivi
alla DGR 4/21297 del 9 giugno 1987 non ci sarebbero state altre sollecitazioni
circa l’acquisizione dell’autorizzazione ex DPR 915/1982 la ricorrente sostiene
che questa sia da considerare ormai superflua.
La tesi non è condivisibile. L’inerzia della Regione nel controllo della
situazione non equivale ad autorizzazione, in quanto in materia di rifiuti gli
interessi pubblici hanno minore cedevolezza rispetto ad altri settori. L’art. 16
del DPR 915/1982 prevede che ogni fase dello smaltimento dei rifiuti tossici e
nocivi sia autorizzata dalla regione. Il principio può essere esteso
all’eliminazione dei suddetti rifiuti, assimilato allo smaltimento nella
previsione generale dell’art. 6 comma 1 lett. c) e d) del medesimo DPR 915/1982.
Sull’attività di smaltimento (e per estensione anche su quella di eliminazione)
la regione esercita un costante potere di controllo e repressione di abusi ai
sensi del successivo art. 17. Questi principi sono ripresi e ampliati negli art.
27 e 28 del Dlgs. 22/1997 e nell’art. 5 del DM 124/2000. Non vi sono quindi
margini per riconoscere rilievo alla situazione di fatto.
5.2 Secondo la ricorrente l’autorizzazione deve considerarsi comunque acquisita
automaticamente sulla base di una “finestra” contenuta in via transitoria nella
normativa successiva alla DGR 4/21297 dell’8 giugno 1987 e anteriore al Dlgs.
22/1997. L’argomento ha come punto di partenza il DM 16 gennaio 1995, adottato
sulla base dell’art. 5 commi 1 e 6 del DL 7 gennaio 1995 n. 3 e richiamato
dall’art. 2 del DL 6 settembre 1996 n. 462 (entrambi i decreti legge sono
decaduti per mancanza di conversione ma i relativi effetti sono stati
consolidati dalla legge 11 novembre 1996 n. 575). In base all’art. 2 del DM 16
gennaio 1995 per continuare la combustione di residui è sufficiente una
comunicazione all’autorità competente purché l’impianto sia stato autorizzato ai
sensi del DPR 203/1988 o del DPR 915/1982. Essendo quindi indifferentemente
utili sia l’autorizzazione relativa ai rifiuti (DPR 915/1982) sia quella
riguardante le emissioni di inquinanti nell’aria (DPR 203/1988) è possibile fare
riferimento alla procedura di rilascio di quest’ultima.
Le centrali termoelettriche sono specificamente disciplinate dall’art. 17 del
DPR 203/1988, il quale non distingue tra impianti nuovi o esistenti (il punto 4
del DPCM 21 luglio 1989 conferma che non è possibile effettuare questa
distinzione). Poiché né l’art. 17 del DPR 203/1988 né il DPCM 21 luglio 1989
disciplinano la procedura di rilascio dell’autorizzazione per le centrali
termoelettriche esistenti dovrebbe essere applicata secondo la ricorrente la
disposizione generale dell’art. 13 comma 3 del DPR 203/1988, in base al quale
decorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda di autorizzazione i gestori
di impianti esistenti possono continuare l’attività con l’obbligo di realizzare
il progetto di adeguamento dell’impianto nei termini e nei modi indicati nella
domanda. Nel caso in esame la domanda che avrebbe prodotto questo risultato
implicitamente autorizzatorio sarebbe quella presentata il 5 novembre 1996 dal
gestore dell’epoca Frene srl, poi reiterata da Enichem spa e dalla ricorrente.
Un indizio a favore di questa tesi sarebbe rintracciabile nella DGR n. 6/41406
del 12 febbraio 1999, che autorizza in via generale la continuazione delle
emissioni in atmosfera prodotte dagli impianti esistenti ai sensi dell’art. 13
del DPR 203/1988 e del punto 18 del DPCM 21 luglio 1989. Questa deliberazione
disciplina anche l’analisi delle emissioni delle centrali termoelettriche di cui
all’art. 17 del DPR 203/1988.
L’articolata tesi della ricorrente non è però condivisibile. Gli art. 12 e 13
del DPR 203/1988 non si riferiscono agli impianti esistenti di fatto ma a quelli
autorizzati prima dell’entrata in vigore dello stesso decreto, ai quali è stato
permesso di proseguire l’attività solo a condizione che i gestori presentassero
domanda di autorizzazione corredata di una relazione tecnica e di un progetto di
adeguamento delle emissioni coerente con i parametri indicati dalla regione. La
norma non ha la funzione di sanare le situazioni irregolari ma quella di
estendere agli impianti regolarmente in funzione le nuove norme tecniche di
contenimento delle emissioni. In ogni caso l’art. 17 del DPR 203/1988, specifico
per le centrali termoelettriche, nel fissare la disciplina riguardante gli
impianti esistenti richiama soltanto i commi 1, 2 e 4 del precedente art. 13,
omettendo proprio il comma 3, che consente ai gestori, decorsi 120 giorni dalla
richiesta, di adeguare l’impianto e continuare l’attività.
Il riferimento alla DGR n. 6/41406 del 12 febbraio 1999 non è pertinente. Questa
deliberazione è un’autorizzazione collettiva alla prosecuzione delle emissioni
degli impianti esistenti adottata ai sensi dell’art. 13 del DPR 203/1988 e del
punto 18 del DPCM 21 luglio 1989. Non si riferisce pertanto alle centrali
termoelettriche, che sono prese in considerazione solo per la raccolta dei dati
sulle emissioni.
6. Con il sesto motivo la ricorrente sostiene che subordinare la ripresa
dell’attività al rilascio delle autorizzazioni ex art. 5 del DM 124/2000 implica
un’illogica equiparazione della centrale termoelettrica a un inceneritore.
Occorre tuttavia osservare che l’art. 2 comma 1 lett. b) del DM 124/2000 estende
la disciplina anche agli impianti di coincenerimento (“sono inclusi gli impianti
che effettuano coincenerimento, cioè gli impianti non destinati principalmente
all'incenerimento di rifiuti pericolosi che bruciano tali rifiuti come
combustibile normale o addizionale per qualsiasi procedimento industriale”). La
centrale termoelettrica rientra in questa definizione e pertanto l’ordinanza
ministeriale sul punto non ha compiuto valutazioni arbitrarie.
Non appare condivisibile neppure la seconda parte dell’argomento della
ricorrente, ossia la censura secondo cui l’ordinanza ministeriale avrebbe
travalicato i limiti propri dei provvedimenti contingibili e urgenti rendendo
necessari adeguamenti strutturali agli impianti della centrale termoelettrica.
In realtà l’ordinanza si limita a ribadire la necessità di un’autorizzazione
espressa e a richiamare la normativa in materia. Come si è visto sopra entrambe
le indicazioni sono corrette. L’imposizione di adeguamenti strutturali rimane
una prerogativa del provvedimento regionale di autorizzazione.
7. Con il terzo motivo aggiunto la ricorrente ripropone la tesi della tutela
dell’affidamento, in questo caso con riferimento alla nota del Settore Ambiente
– Ecologia della Provincia di Mantova prot. n. 3374 del 29 gennaio 1999. La nota
prende in esame la richiesta della ricorrente relativa all’iscrizione nel
registro dei gestori di impianti di recupero di rifiuti liquidi pericolosi,
formulando una serie di quesiti istruttori (in particolare sono richieste le
autorizzazioni relative al trattamento dei rifiuti liquidi pericolosi e alle
emissioni in atmosfera, nonché le analisi dei rifiuti e dei valori di
emissione). La vicenda dell’iscrizione nel registro dei gestori non ha tuttavia
alcun valore sostitutivo delle autorizzazioni mancanti. Come già specificato
sopra l’affidamento in materia di tutela ambientale rileva solo marginalmente e
comunque non impedisce all’amministrazione di far cessare le situazioni di fatto
o di imporne la regolarizzazione.
Parimenti non rilevano le vicende personali degli amministratori della
ricorrente, nei cui confronti è stata disposta nel 2003 l’archiviazione del
procedimento penale riguardante la mancata autorizzazione allo smaltimento dei
rifiuti tramite combustione. La percezione soggettiva circa l’implicita
autorizzazione dell’attività di combustione non si trasforma in un vincolo
oggettivo per l’amministrazione che ha la cura di interessi pubblici primari in
materia ambientale.
Il ricorso deve pertanto essere respinto. Per quanto riguarda le spese di
giudizio, considerata la complessità della vicenda è possibile disporne
l’integrale compensazione tra le parti. Le spese per la CTU restano a carico
della ricorrente nell’importo liquidato dal Giudice delegato con decreto n.
59/2002 del 31 gennaio 2002.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di
Brescia, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Le spese sono
integralmente compensate tra le parti. Le spese per la CTU sono a carico della
ricorrente nell’importo sopra richiamato.
Così deciso, in Brescia, nella camera di consiglio del 30 gennaio 2004, con
l'intervento dei Signori:
Francesco Mariuzzo - Presidente
Gianluca Morri - Giudice
Mauro Pedron - Giudice relatore est.
NUMERO SENTENZA 929 / 2004
DATA PUBBLICAZIONE 24 - 08 - 2004
1) Inquinamento - Rischio di inquinamento di alto livello - Ministero dell’Ambiente - Ordinanza contingibile e urgente - L. 59/1987 - Previa diffida alla Regione rimasta inerte - Necessità - Insussistenza. A fronte di un rischio di inquinamento di alto livello, il Ministero dell’Ambiente può legittimamente intervenire con ordinanza contingibile e urgente ex art. 8, L. 59/1987, senza la necessità di diffidare previamente la regione rimasta inerte. Finché la situazione concreta permette di agire in un quadro di relativa normalità l’intervento sostitutivo deve rispettare le condizioni poste dall’art. 8 comma 3 della legge 349/1986, ma quando prevale su tutto la necessità di coordinamento per garantire un intervento adeguato al pericolo il potere si concentra nel Ministro dell’Ambiente nelle forme extra ordinem dell’art. 8 della legge 59/1987 Pres. Mariuzzo, Est. Pedron – E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
2) Inquinamento - DPR 203/1988 - Parcellizzazione delle emissioni - Non è ammessa quando gli impianti formano un sistema. Le disposizioni del DPCM 21 luglio 1989 e del DM 8 maggio 1989 offrono congiuntamente l’interpretazione preferibile del DPR 203/1988, che non ammette la parcellizzazione delle emissioni quando questo comporta la disapplicazione dei limiti più rigorosi. Se gli impianti sono isolati le norme tecniche consentono livelli di emissione più elevati per non rendere eccessivamente onerosa l’attività industriale, ma quando più impianti formano un sistema (per connessione materiale o funzionale) l’impatto sull’ambiente deve essere valutato tenendo conto di tutte le componenti e quindi della potenza termica nominale complessiva. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron – E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
3) Ambiente - Interesse pubblico alla tutela dell’ambiente - Cedevolezza a fronte di aspettative consolidate per il decorso del tempo - Inconfigurabilità. L’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini non è cedevole e non si degrada di fronte alle aspettative dei privati per il mero decorso del tempo. Le situazioni consolidatesi in passato sono quindi sempre reversibili. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron – E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
4) Inquinamento - Gestori di centrali termoelettriche - Contenimento delle emissioni entro i limiti di legge - Obbligo. I gestori di centrali termoelettriche non sono semplicemente tenuti a seguire le prescrizioni tecniche previste per la realizzazione degli impianti ma devono effettivamente contenere le emissioni entro i limiti previsti dalle norme, e quindi hanno l’onere di adottare ogni accorgimento tecnico utile a questo scopo Pres. Mariuzzo, Est. Pedron – E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
5) Inquinamento – Emissioni – Impianti esistenti di fatto – Artt. 12 e 13 DPR 203/1988 – Applicabilità – Esclusione – Autorizzazione precedente all’entrata in vigore del decreto – Necessità. Gli art. 12 e 13 del DPR 203/1988 non si riferiscono agli impianti esistenti di fatto ma a quelli autorizzati prima dell’entrata in vigore dello stesso decreto, ai quali è stato permesso di proseguire l’attività solo a condizione che i gestori presentassero domanda di autorizzazione corredata di una relazione tecnica e di un progetto di adeguamento delle emissioni coerente con i parametri indicati dalla regione. La norma non ha la funzione di sanare le situazioni irregolari ma quella di estendere agli impianti regolarmente in funzione le nuove norme tecniche di contenimento delle emissioni. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron – E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
6) Rifiuti – Rifiuti tossici e nocivi – Smaltimento – Eliminazione – Assimilabilità – Autorizzazione regionale per ciascuna fase – Necessità – Inerzia della regione sul controllo – Non equivale ad autorizzazione. L’art. 16 del DPR 915/1982 prevede che ogni fase dello smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi sia autorizzata dalla regione. Il principio può essere esteso all’eliminazione dei suddetti rifiuti, assimilato allo smaltimento nella previsione generale dell’art. 6 comma 1 lett. c) e d) del medesimo DPR 915/1982. Sull’attività di smaltimento (e per estensione anche su quella di eliminazione) la regione esercita un costante potere di controllo e repressione di abusi ai sensi del successivo art. 17. L’inerzia della Regione nel controllo non equivale ad autorizzazione. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron – E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
7) Rifiuti – Centrali termoelettriche – Art. 5 DM 124/2000 – Applicabilità – Impianti di coincenerimento. Le centrali termoelettriche che utilizzano come combustibile i rifiuti non sono escluse dal regime autorizzatorio di cui all’art. 5 del DM 124/2000, atteso che l’art. 2 comma 1 lett. b) estende la disciplina anche agli impianti di coincenerimento (“sono inclusi gli impianti che effettuano coincenerimento, cioè gli impianti non destinati principalmente all'incenerimento di rifiuti pericolosi che bruciano tali rifiuti come combustibile normale o addizionale per qualsiasi procedimento industriale”), definizione entro cui è compresa la centrale termoelettrica. Pres. Mariuzzo, Est. Pedron – E. S.p.A. (Avv. Pillitteri, Lanero e Gorlani) c. Ministero dell’Ambiente (Avv. Stato) e Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia – 24 agosto 2004, n. 929
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