Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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Nota all'Ordinanza di Alessandro Ferretti
T.A.R. Marche – Ordinanza 15 ottobre 2004, n. 136
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLE MARCHE ha pronunciato la seguente
O R D I N A N Z A
sul ricorso n.850 dell’anno 2004 R.G., proposto dall’Associazione ITALIA
NOSTRA Onlus, avente sede in Roma, in persona del presidente e legale
rappresentante protempore dr.ssa Antonietta Pasolini dall’Onda e dal CONSIGLIO
REGIONALE MARCHE dell’Associazione ITALIA NOSTRA, avente sede in Ancona, in
persona del presidente e legale rappresentante in carica, dr.ssa Antonietta
Pasolini dall’Onda, rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Pallottino ed
elettivamente domiciliati in Ancona, alla via Piave n.6/B presso lo studio
dell’avv. Alberto Cucchieri;
contro
- il MINISTERO per i BENI e le ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del Ministro
protempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di
Ancona e legalmente domiciliato in Ancona, alla piazza Cavour n.29, presso la
sede dell’Avvocatura medesima;
- la PRESIDENZA del CONSIGLIO dei MINISTRI, in persona del Presidente del
Consiglio in carica, non costituita;
- il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro protempore,
non costituito;
- il MINISTERO per la FUNZIONE PUBBLICA, in persona del Ministro pro-tempore,
non costituito;
- la DIREZIONE REGIONALE per i BENI CULTURALI e PAESAGGISTICI delle MARCHE, in
persona del Direttore protempore, non costituita;
- l’arch. Mario LOLLI GHETTI, non costituito;
e nei confronti
- dell’ASSOCIAZIONE “AMICI per ANCONA”, avente sede in Ancona, in persona del
Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Stecconi e
Maurizio Miranda, elettivamente domiciliata in Ancona, alla piazza Cavour n.2,
presso lo studio dei predetti difensori, interveniente ad adiuvandum;
per l’annullamento,
previa sospensione,
- del regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività
culturali, approvato con D.P.R. 8 giugno 2004, n.173, quale pubblicato in G.U.,
supplemento ordinario n.166 del 17.7.2004;
- di ogni altro atto precedente, contemporaneo e/o successivo comunque connesso,
tra cui il decreto (di data ed estremi ignoti) di nomina del Direttore regionale
B.C.P. Marche.
- Visto il ricorso, notificato in data 18.8.2004, con i relativi allegati;
- Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, in persona del Ministro in carica;
- Visto l’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione “Amici per Ancona”,
in persona del Presidente in carica, notificato in data 23.8.2004;
- Vista la memoria prodotta dalla ricorrente Associazione “Italia Nostra” in
data 24.8.2004;
- Visti i documenti allegati alla memoria predetta;
- Visti i documenti esibiti alla Camera di Consiglio del 26.8.2004
dall’Associazione ricorrente “Italia Nostra” e dall’Associazione interveniente
“Amici per Ancona”;
- Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla camera di consiglio del 26.8.2004, il Cons. avv. Liana Tacchi;
Uditi l’avv. Giovanni Pallottino per la ricorrente associazione “Italia Nostra”,
l’avvocato distrettuale dello Stato Gabriele Moneta per il Ministero per i beni
e le attività culturali e l’avv. Riccardo Stecconi per l’interveniente
associazione “Amici per Ancona”;
Vista l’ordinanza n.452/2004 di questo Tribunale Amministrativo Regionale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato in data 18.8.2004 alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, al Ministero per i beni e le attività culturali, al Ministero
dell’economia e delle finanze ed al Ministero per la funzione pubblica,
l’Associazione Italia Nostra Onlus ed il Consiglio Regionale Marche della stessa
Associazione hanno chiesto al T.A.R. delle Marche di annullare, previa
sospensione cautelare:
1) il regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività
culturali, approvato con D.P.R. 10.6.2004, n.173 (pubblicato in G.U. del
17.7.2004, n.166 – suppl. Ord.);
2) ogni altro atto precedente, contemporaneo e/o successivo comunque connesso,
tra cui il decreto (di data ed estremi ignoti) di nomina del direttore regionale
per i beni culturali e paesaggistici delle Marche.
Ha esposto in fatto l’Associazione ricorrente che il Ministero per i beni e le
attività culturali, istituito con D.Lgs. n.368/1998, dopo la recente riforma
legislativa del 1999 (D.Lgs. 300, con relativo Regolamento D.P.R. n.441/2000), è
stato nuovamente riformato radicalmente, in base alla legge delega del 6.7.2002,
n.137, dal relativo D.Lgs. 8.1.2004, n.3 parzialmente attuativo della delega,
nonché dal più recente regolamento, approvato con D.P.R. 8.6.2004, n.173, con il
quale si è data più organica esecuzione della legge delega stessa, non
esaustivamente attuativa con il citato D.Lgs. 8.1.2004, n.3.
La nuova riforma, proseguono i ricorrenti, si articola in quattro Dipartimenti,
dieci Direzioni generali centrali e 17 Direzioni regionali sostitutive delle
Soprintendenze regionali. Le Soprintendenze locali o di settore resterebbero
sostanzialmente marginalizzate nell’esercizio dei poteri di tutela, nonostante
che l’oculato esercizio di essi avesse dato, nel passato, rilevante beneficio
alla salvaguardia del patrimonio culturale italiano, notoriamente di rilievo ed
interesse mondiale.
Con il regolamento in oggetto, il Ministro B.A.C. avrebbe avviato un ampio
avvicendamento tra dirigenti, dal quale sarebbe sortito l’effetto dell’esautoramento,
senz’altro incarico, di cinque soprintendenti regionali, tra i quali quelli più
efficienti nella tutela dei beni culturali (e tra i quali rientrerebbe il
Soprintendente Regionale delle Marche).
Precisano ancora i ricorrenti, che la riforma era entrata in vigore il 2.8.2004
e che, in attuazione del regolamento, il Ministro aveva proceduto alle nomine
dei nuovi Direttori.
L’Associazione Italia Nostra espone di aver approfonditamente discusso ed
illustrato gli aspetti critici della riforma, nel numero di giugno 2004 della
propria Rivista “Il Soprintendente dimezzato”, della quale produce copia,
facendo rinvio all’ampio dibattito ivi registrato.
In punto di diritto, la ricorrente ha premesso di avere piena legittimazione
alla proposizione del gravame, in quanto associazione senza scopo di lucro
(riconosciuta con D.P.R. 22.8.1958, n.1111), avente ad oggetto statutario la
salvaguardia e la valorizzazione dei beni di valore storico, artistico e
naturalistico, con particolare riferimento ai beni culturali ed al patrimonio
dell’arte, e, soprattutto, in quanto associazione di protezione ambientale
individuata con D.M. del 20.2.1987; ed, in tale veste, titolata a difendere
l’ambiente ed i beni culturali anche laddove – come nella fattispecie – la loro
offesa avvenisse attraverso strumenti di organizzazione della P.A. preposta
proprio a detti scopi, ritenuti inappropriati, e perciò legittimata a denunciare
i gravi vizi inficianti gli atti organizzativi impugnati con l’attuale ricorso.
A sostegno del gravame sono dedotti i seguenti motivi:
I) Violazione dei principi fondamentali di buon andamento, economicità ed
efficienza dell’attività della Pubblica Amministrazione di cui all’art.97 della
Costituzione, all’art.1 della legge n.241/1990 ed al D.Lg.vo n.165/2001.
Violazione della ratio e dei principi contenuti negli artt.1 e 10 della legge
delega 6.7.2002, n.137.
Eccesso di potere per sviamento.
1. La legge n.137/2002, di delega al Governo per la riforma organizzativa del
Ministero per i beni e le attività culturali (artt.1 e 10) ha stabilito che i
provvedimenti di attuazione della delega si attenessero ai principi e criteri
attuativi indicati nell’art.12 della legge 15.3.1997, n.59 (e successive
modificazioni ed integrazioni). Tale art.12 richiama i principi generali di buon
andamento dell’attività della P.A. e di economicità ed efficienza dell’attività
stessa, fissati nell’art.97 della Costituzione e nell’art.1 della legge
fondamentale dell’attività amministrativa n.241/1990 ed i principi fissati nelle
disposizioni del D.Lgs. n.29/1993, come trasfuso nel D.Lgs. n.165/2001 (norme
generali sull’ordinamento del lavoro nelle PP.AA.), disposizioni che
costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’art.117 della Costituzione
(art.1, 3° comma del D.Lgs. n.165/2001). Secondo le disposizioni del D.Lgs. n.165/2001,
dunque:
- l’organizzazione degli uffici ed i rapporti di lavoro debbono accrescere
l’efficienza delle Amministrazioni dello Stato [art.1, comma primo, lettera a]
ed assicurare la funzionalità rispetto ai compiti ed ai programmi di attività
nel perseguimento dell’efficienza, efficacia ed economicità [art.2, comma primo,
lettera a];
- nell’assumere determinazioni organizzative la P.A. deve attuare tali principi
[art.5, 1° comma];
- per il conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali, si deve tener conto
delle attitudini e capacità professionali del singolo dirigente valutate anche
in considerazione dei risultati conseguiti [art.19, comma primo]. Gli incarichi
a tempo determinato vanno affidati a persone di particolare e comprovata
qualificazione professionale [art.19, comma sesto].
L’art.10 della legge delega, in particolare, ha imposto che il riassetto
organizzativo del Ministero B.A.C. si debba attenere anche ai principi e criteri
direttivi di “... miglioramento dell’efficacia degli interventi concernenti i
beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l’ottimizzazione
delle risorse assegnate ... (anche umane)”, ecc..
La relativa funzione delegata si sarebbe concretizzata, secondo i ricorrenti,
con l’emanazione del regolamento oggi impugnato, e che sarebbe illegittimo
poichè non si sarebbe attenuto ai suddetti principi generali e speciali
dell’attività amministrativa ed avrebbe anzi attuato principi contrari a quelli
voluti dalla legge delega, perseguendo surrettiziamente il fine di determinare
un indebolimento della tutela dei beni culturali, così realizzando un attacco
strategico al patrimonio culturale e paesaggistico nazionale.
L’odierno regolamento, sostengono ancora i ricorrenti, comporterebbe una
drastica limitazione e riduzione dell’autonomia nella potestà amministrativa e
tecnico-scientifica non solo dei dirigenti, ma anche, di riflesso, di tutte le
strutture ad essi sottordinate, così finendo per svuotare le funzioni
tecnico-scientifiche precipue dei Soprintendenti territoriali. A ciò aggiungasi
il fatto che il regolamento, con l’aver fatto scomparire ogni mansione della
qualifica tecnico-scientifica inerente ai ruoli (alla carica di direttori
regionali si perviene anche dalla carriera amministrativa o da altra carriera,
anzichè da quella scientifica), aprirebbe indiscriminatamente la strada a
managers amministrativi e politici che, privi di reali conoscenza dell’arte o
dell’archeologia, ecc. verrebbero, pur ciononostante, abilitati a prendere
decisioni vitali per il patrimonio culturale nazionale.
In sostanza, attraverso l’allentamento della presa sul territorio e del valore
della ricerca a vantaggio di una visione verticistica e burocratica
dell’organizzazione della P.A. ed allontanando i Soprintendenti territoriali dal
momento decisionale, si sarebbe operata una defunzionalizzazione
dell’Amministrazione stessa (già devitalizzata, peraltro, dalla costante
diminuzione del numero dei funzionari tecnici a causa del blocco dei concorsi e
della drastica decurtazione dei finanziamenti per le spese ordinarie di
funzionamento). Ciò renderebbe, in particolare, pienamente attuale un destino di
marginalizzazione e mortificazione, riservato al ruolo delle Soprintendenze
territoriali.
Si osserva anche che il regolamento, nell’attribuire alle Direzioni regionali
molte delle prerogative già delle Soprintendenze territoriali (come,
significativamente, per gli appalti), manifesterebbe la concezione di un disegno
che, proprio considerando la competenza scientifica un intralcio alla tutela dei
beni culturali invece che una peculiare risorsa del settore, verrebbe a
privilegiare un’organizzazione burocratica finalizzata ad attuare una politica
troppo marcatamente economicistica dei beni culturali.
Per giunta, il sistema burocratico organizzato a piramide finirebbe per
ostacolare le procedure.
Per quanto detto perciò, la riforma del B.A.C., attraverso il regolamento
organizzativo così come configurato e qui impugnato, rappresenterebbe non tanto
un mezzo di riforma a miglioramento del funzionamento del Ministero stesso, ma
un’opportunità per conseguire fini del tutto diversi da quelli originariamente
fissati ed, in particolare, quello di provocare una caduta verticale dei
principi di buona amministrazione e di efficienza dell’attività amministrativa,
puntando alla soggiacenza della dirigenza alla classe politica.
Ciò sarebbe tanto vero che, in attuazione del regolamento, sarebbero stati
immediatamente rimossi, senz’altro incarico, ben cinque dei 17 Soprintendenti
regionali, nonostante si trattasse di elementi commendevolmente impegnati nella
difesa degli interessi nazionali di loro competenza (tra i quali, esemplarmente,
il Soprintendente Regionale delle Marche).
Per raggiungere lo scopo non dichiarato della riforma, di cui il regolamento qui
impugnato sarebbe atto fondamentale, consistente nel sottomettere le decisioni
di merito a pressioni ed interessi esterni ed estranei alla materia di pubblico
interesse, di volta in volta tutelata, e poter giungere a condizionare
pesantemente le scelte e le determinazioni della dirigenza, ai nuovi incarichi
si sarebbe accompagnata una risoluzione anticipata dei contratti in essere con i
dirigenti in servizio.
I nuovi contratti, per i dirigenti confermati o trasferiti di sede o promossi
alla qualifica di Dirigente generale, sarebbero inoltre di durata limitatissima.
Se si sommano, pertanto, alla minima durata dei contratti la fragilità e la
caducità della cariche (come è dimostrato dalle cinque rimozioni senza altro
incarico, che hanno investito quasi un terzo dei soprintendenti regionali), si
evidenzierebbe appieno lo stato di inefficienza nel quale, per effetto di questa
riforma, si trova oggi costretta la Dirigenza.
Peraltro, l’esigenza primaria di assicurare la massima efficienza dell’attività
della P.A. ed il principio di garanzia di continuità dell’azione amministrativa
richiederebbero la massima stabilità delle cariche in corso, specie in
contemporanea con la riforma organizzativa oggetto del regolamento qui
impugnato, considerando pure che questa segue di pochi anni l’altra recente
riforma (D.Lgs. 20.10.1998, n.368, attuato con il regolamento approvato con
D.P.R. n.441/00), dopo innumerevoli e continui avvicendamenti nella dirigenza
del settore, a ricostruzione post sismica ancora in corso. Impropria è
l’istantanea sommatoria della riforma di riorganizzazione dell’Amministrazione
con quella che prevede la rotazione e l’avvicendamento delle cariche.
Ma non sono certo questi gli obiettivi fissati e stabiliti con la legge delega,
nè questi sono i principi ai quali il regolamento si sarebbe dovuto adeguare.
La ratio della legge delega era tutta nel risultato di una maggiore efficienza
dell’organizzazione rispetto alla precedente, ratio che invece qui risulta
tradita.
In estrema sintesi, si palesa un uso strumentale della riforma attuata mediante
il regolamento qui impugnato.
Dunque risulta evidente come il regolamento stesso abbia travisato e sviato gli
obiettivi della riforma e violato i dettati della legge delega.
2.- Peraltro il regolamento approvato con D.P.R. n.173/2004 – finendo per
assumere realmente i contenuti richiesti dalla legge di delega, ma che il D.Lgs.
n.3/04 non si è dato – determina un’indebita sottrazione della riforma stessa al
controllo del Parlamento, in quanto sottrae l’attuazione della legge delega alla
verifica obbligatoria da parte della Commissione parlamentare statuita dall’art.5
della L. n.59/1997.
Si sostiene, inoltre, che la vera e propria attuazione della legge delega,
operata con detto regolamento, sarebbe intervenuta solo alla data della
emissione di tale atto, e cioè in data 16.6.2004, quindi ben oltre il termine di
18 mesi stabilito dalla legge stessa di delega.
Essendosi perciò determinata una complessa concatenazione di atti con
l’obiettivo ed il risultato principale di eludere il controllo del Parlamento,
sarebbero stati violati finanche i contenuti ed i limiti definiti dalla legge di
delega.
Di conseguenza, si solleva eccezione di incostituzionalità del complesso
normativo attuativo della legge di delega n.137/2002 (D. Lgs. n.3/2004 e D.P.R.
n.173/2004), per violazione degli artt.70, 76 e 77, comma 1° della Costituzione.
II) Illegittimità derivata.
Poichè il decreto di nomina del Direttore regionale Marche ha come presupposto
di validità ed efficacia il regolamento sopra impugnato, l’illegittimità di
questo si riverbererebbe con effetto viziante – e sulla base degli stessi vizi
che inficiano il regolamento – sul conseguenziale decreto di nomina.
III) Domanda cautelare.
Essendo evidente il fumus boni juris, quale si rileva dai motivi di ricorso,
sussisterebbe un correlativo periculum in mora consistente nel rischio di danno
grave ed irreparabile nella tutela e nella salvaguardia dei beni culturali e del
paesaggio, per il che l’associazione “Italia Nostra”, reclamando l’annullamento
degli atti impugnati, chiede altresì la previa rimessione alla Corte
Costituzionale della questione come sopra sollevata.
- Nella memoria prodotta il 24.8.2004 la stessa Associazione ha ulteriormente
focalizzato e sviluppato le ragioni per le quali le norme contenute nel D.Lgs. n.3/2004
non si sottrarrebbero al sospetto di palese incostituzionalità, in particolare
laddove esse, attribuendo al Governo lo speciale potere regolamentare di cui
all’art.17, comma 4° bis della legge n.300/1988 [art.1, comma quarto ed art.4
del D.Lgs. n. 3/2004] avrebbero violato i limiti sanciti nella legge delega n.137/
2002, così ponendosi in contrasto con gli artt.70, 76 e 77 della Costituzione.
Donde la radicale illegittimità dell’impugnato regolamento.
- Con atto notificato il 23.8 e depositato il 24.8.2004 l’associazione “Amici
per Ancona” ha spiegato intervento ad adiuvandum, associandosi ai motivi dedotti
ed alle richieste formulate dalla ricorrente.
- Il Ministero per i beni e le attività culturali si è costituito con memoria
prodotta il 25.8.2004.
Con essa ha eccepito preliminarmente l’incompetenza territoriale del T.A.R.
delle Marche alla cognizione del ricorso, la quale, avendo esso per oggetto
l’impugnativa di un regolamento efficace su tutto il territorio nazionale,
spetterebbe al T.A.R. del Lazio; mentre, nel merito, ha sostenuto la validità e
la bontà del riassetto organizzativo operato col D.Lgs. n.3 del 2004 e col
regolamento di cui al D.P.R. n. 173/2004.
- Alla camera di consiglio del 26 agosto 2004, fissata per la trattazione
dell’istanza di sospensione cautelare, i difensori della associazione
ricorrente, di quella interveniente e dell’Amministrazione hanno spiegato
compiutamente le proprie tesi, insistendo nelle rispettive conclusioni, così
come in atti precisate.
- Indi l’istanza stessa è stata trattenuta per la delibazione.
DIRITTO
I).1. Ai fini di qualsiasi decisione sul ricorso, e quindi anche sulla domanda
di sospensiva, appare indispensabile affrontare il profilo – logicamente
preliminare ad ogni altro prospettato – della legittimità costituzionale della
fonte legislativa che ha abilitato all’emanazione dell’impugnato regolamento di
riorganizzazione del Ministero B.A.C. e sulla quale si sono fondati i poteri
regolamentari esercitati dal Governo ed il conseguente provvedimento attuativo
di nomina del dirigente dell’area Marche, anch’esso impugnato.
Ed infatti dall’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art.1
del D.Lgs. 8 gennaio 2004, n.3 (riorganizzazione del Ministero per i beni e le
attività culturali, ai sensi dell’ar.1 della legge 6 luglio 2002, n.137),
modificativo – sostitutivo dell’art.54 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n.300,
dell’art.4, modificativo – sostitutivo dell’art.6 del D. Lgs. 20.10.1998, n.368
e dell’art.5, modificativo – sostituitivo dell’art.7 del D.Lgs. 20.10.1998, n.368,
deriverebbero, con effetto assorbente e pregiudiziale rispetto ad ogni altro
motivo di censura prospettato dall’associazione ricorrente, l’illegittimità e
l’annullamento in toto degli atti impugnati.
Per quanto poi concerne la non manifesta infondatezza dell’eccezione prospettata
dalla ricorrente, può ritenersi conferente, a tale fine, il contrasto segnalato
tra le norme recate dal D.Lgs. n.3 del 2004 e gli artt.70, 76, 77, 1° comma Cost.,
in riferimento al vizio relativo all’eccesso di delega legislativa.
2.- Per altro verso, non può trascurarsi un ulteriore, decisivo profilo, col
primo convergente, atto a determinare l’assoluta pregiudizialità della questione
di legittimità costituzionale della normativa introdotta dal D.Lgs. n.3/2004 nel
suo complesso.
Gran parte delle doglianze avverso l’ordinamento centrale e periferico del BAC,
così come riformato con l’impugnato regolamento di cui al D.P.R. n.173/2004, si
imperniano, infatti, sull’asserito contrasto diretto di tale corpo normativo
regolamentare con i principi e i criteri direttivi stabiliti dalla legge delega
6.7.2002, n.137 agli artt.1 e 10.
Principi e criteri che erano indirizzati al Governo in quanto legislatore
delegato, perchè li attuasse attraverso la stesura delle leggi delegate, dirette
a correggere o modificare la razionalizzazione dell’ordinamento degli apparati
ministeriali (tale la delega conferita dall’art.1 della L. n.137/2002 che, per i
principi e criteri direttivi cui uniformarsi, rinviava a quelli già indicati in
particolare dall’art.12 della legge n.59/1997) e, più particolarmente, rivolte a
definire il “riassetto” in materia di beni culturali ed ambientali (tale la
delega recata dall’art.10 della legge n.137/2002, che enunciava quali principi e
criteri direttivi specifici, quelli indicati al comma secondo, lettere a), b) c)
e d) dell’art.10 sopra citato).
Rispetto al contenuto normativo di tali leggi delegate, eventuali regolamenti di
organizzazione (eventuali perchè non previsti in alcun modo nella legge delega
fonte n.137/2002), non avrebbero potuto e dovuto fornire null’altro che una
coerente disciplina di dettaglio.
Senonchè il decreto legislativo n.3 dell’8.1.2004, recante la “Riorganizzazione
del Ministero per i beni e le attività culturali ai sensi dell’art.1 della legge
6 luglio 2002, n.137”, si presenta come testo normativo privo di reali contenuti
prescrittivi, e perciò significativamente inidoneo a delineare la configurazione
ed il funzionamento dell’apparato nei suoi plessi essenziali secondo il disegno
riformistico impostato dal legislatore.
A tale contenuta ossatura normativa del decreto legislativo n.3/ 2004 il
legislatore delegato ha supplito rinviando a regolamenti, da emanarsi ai sensi
dell’art.17, comma 4° bis della legge n.400/1988, l’individuazione e
l’ordinamento degli uffici del Ministero (artt.1 e 4) e le attribuzioni delle
direzioni regionali (art.5) e delle altre strutture dirigenziali periferiche
(art.5).
Si consideri al riguardo che, anche indipendentemente dalle questioni di
costituzionalità afferenti l’aver demandato a norme regolamentari, emanande ex
art. 17, comma 4° bis della L. 23.8.1988, n.400 (inserito dall’art.13 della L.
15.3.1997, n.59), la potestà di determinare l’organizzazione e la disciplina
degli uffici di un Ministero, concreterebbe, di per sé, un preminente ed
assorbente sospetto di incostituzionalità del D.Lgs. n.3/2004 in toto, sia per
la carenza di sostanziali elementi normativi riguardanti la materia oggetto
della delega, sia per l’inoperatività dei principi e criteri direttivi di cui
gli elementi normativi avrebbero dovuto essere espressione.
In effetti, dei principi e criteri direttivi stabiliti dall’art.1 della legge n.137/2002
(per non dire di quelli ulteriori enunciati dall’art.10, peraltro non richiamato
nè nell’intitolazione del D.Lgs. n.3/2004, nè nel suo preambolo), non è dato
rinvenire traccia nelle elementari linee organizzative tracciate dal decreto
delegato in parola; sì che il sostanziale spazio vuoto venutosi a determinare, è
stato poi colmato dall’impugnato decreto presidenziale.
Tale decreto sarebbe invero doppiamente illegittimo: perchè – come sostenuto
nelle doglianze articolate col primo motivo di ricorso – conterrebbe
disposizioni contrarie ai principi e criteri informatori posti con la legge
delega n.137/2002; ma, ancor prima, perchè invasivo dei poteri spettanti al
(solo) legislatore delegato e da questo indebitamente abdicati in favore di una
sede normativa di carattere e forma amministrativa, che trova il proprio
presupposto proprio in quel decreto legislativo che avrebbe invece dovuto
realizzare – con atto avente forza di legge – i contenuti della delega.
E’ dunque evidente che anche il complesso delle censure prospettate avverso le
norme regolamentari per violazione della legge n. 137/2002 (e dei principi
fondamentali di altre leggi dello Stato che la legge in parola richiama)
spostano preliminarmente e necessariamente l’indagine sul contenuto effettivo
della legge delegata e sui vuoti normativi in essa riscontrabili in relazione
alla disciplina impartita con la legge di delega.
II) Per più agevolmente focalizzare le questioni di costituzionalità riguardanti
le norme del D.Lgs. 8.1.2004, n.3 sembra opportuno premettere una sintetica
ricognizione delle normative implicate, facendo specifico richiamo alle seguenti
fonti:
A) alla c.d. delegificazione della
disciplina di organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei
Ministeri, introdotta dall’art. 13 della legge 15.3.1997, n.59 [Delega al
Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali,
per la riforma della pubblica Amministrazione e per la semplificazione
amministrativa] e attuata dall’art.4 del D.Lgs. 30.7.1999, n.300 [Riforma
dell’organizzazione del Governo a norma dell’art.11 della legge 15.3.1997, n.59],
nonchè, per quanto riguarda il Ministero per i beni e le attività culturali,
dall’art.11 del D.Lgs. 20.10.1998, n.368 [Istituzione del Ministero per i beni e
le attività culturali, a norma dell’art.11 della legge 15 marzo 1997, n.59];
B) al riassetto organizzativo che ha investito il Ministero per i beni culturali
ed ambientali a seguito della legge delega di riforma della pubblica
Amministrazione n.59 del 15.3.1997 e dei conseguenti, susseguitisi, decreti
legislativi attuativi e relativo regolamento di organizzazione: dapprima il
D.Lgs. 20.10.1998 n.368 [Istituzione del Ministero per i beni e le attività
culturali]; quindi il D.Lgs. 30.7.1999, n.300, [Riforma dell’organizzazione del
Governo], con gli articoli 52, 53 e 54; da ultimo il D.P.R. 29.12.2000, n.441
[Regolamento recante norme di organizzazione del Ministero per i beni e le
attività culturali].
A).1. L’art.13, comma primo della legge 15.3.1997, n.59 ha incisivamente
innovato la disciplina generale dei regolamenti governativi quale delineata
nell’art.17 della legge 23.8.1988, n.400, mediante l’aggiunta all’art.17
medesimo del comma 4° bis.
Tale disposizione ha previsto che «l’organizzazione e la disciplina» degli
uffici dei Ministeri siano determinate con regolamenti emanati ai sensi del
comma 2° [cioè con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione
del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato, trattandosi di
materie non coperte dalla riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione
e per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà
regolamentare del Governo, determinino le norme generali regolatrici della
materia e dispongano l’abrogazione delle norme vigenti con effetto dall’entrata
in vigore delle norme regolamentari: vedi il 2° comma dell’art.17 della legge n.400/1988],
su proposta del Ministro competente, d’intesa con il Presidente del Consiglio
dei Ministri e con il Ministro del Tesoro, nel rispetto dei principi posti dal
decreto legislativo 3.2.1993, n.29 e successive modificazioni, con i contenuti e
con l’osservanza dei criteri che seguono:
a) riordino degli uffici di diretta
collaborazione con i Ministri e i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali
uffici hanno esclusive competenze di supporto dell’organo di direzione politica
e di raccordo tra questo e l’Amministrazione;
b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e
periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con
funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo
criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali;
c) previsione di strumenti di verifica periodica dell’organizzazione e dei
risultati;
d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;
e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la
definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell’ambito degli uffici
dirigenziali generali.
Sempre l’art.13 della legge n.59/1997 ha previsto, al comma 2°, che le
Commissioni parlamentari competenti per materia siano chiamate ad esprimere il
loro parere sugli schemi di regolamento in parola; ed, al comma 3°, che i
regolamenti stessi sostituiscano, per i soli Ministeri, i decreti di cui all’art.6,
commi 1° e 2° del D.Leg.vo n.29/1993 come sostituito dall’art.4 del D.Lgs.
23.12.1993, n.546.
2. Sulla base dell’art.13 contenuto nella legge delega n.59/1997, il decreto
legislativo delegato n.300 del 30.7.1999 [Riforma dell’organizzazione del
Governo a norma dell’articolo 11 della legge 15.3.1997, n.59], all’articolo 4,
ha dato corpo al potere regolamentare di autorganizzazione dei Ministeri
disponendo che, con i regolamenti emanati ai sensi dell’art.17, comma 4 bis
della L. 23.8.1988, n.400 fossero stabiliti «l’organizzazione, la dotazione
organica, l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale ed il
loro numero, le relative funzioni e la distribuzione dei posti di funzione
dirigenziale, l’individuazione dei dipartimenti....e la definizione dei
rispettivi compiti».
Per il Ministero per i beni e le attività culturali, il già emanato decreto
legislativo istitutivo 20.10.1998, n.368 aveva previsto, all’articolo 11, che
l’organizzazione, la disciplina degli uffici e le dotazioni organiche del
Ministero medesimo fossero stabilite ai sensi dell’art.17, comma 4 bis della
legge 23.8.1988, n.400.
3. Da quanto sopra emergeva che lo specifico potere governativo di
autorganizzazione delle strutture dei Ministeri attraverso la normativa
regolamentare indicata e disciplinata dall’art.17, comma 4 bis della legge n.400/1988
rinveniva la sua originaria matrice e traeva, in quell’epoca ed in quel
contesto, la sua legittimità dalla fonte legislativa di grado primario
costituita dall’art.13 della legge delega 15 marzo 1997, n.59.
L’ampio potere organizzatorio attribuito al Governo attraverso l’adozione dei
regolamenti in parola traeva infatti la sua causa legittimamente ed incontrava,
al tempo stesso, i suoi limiti, nella legge di delegazione del 1997, ormai
completamente esaurita, epperciò nell’oggetto e nei criteri e principi direttivi
da questa imposti al legislatore delegato.
B) Quanto al Ministero per i beni e le attività culturali, si osserva
sinteticamente quanto segue:
1. Esso era stato istituito [in attuazione della delega generale conferita
dall’art.11, comma 1°, lettera a) della legge n.59/1997, con la quale si
autorizzava il Governo a «razionalizzare» l’ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, anche attraverso il riordino, la
soppressione e la fusione di Ministeri] con il decreto legislativo 20.10.1998, n.368.
In particolare, il D.Lgs. n.368/1998, avendo devoluto al nuovo Ministero per i
beni e le attività culturali le attribuzioni già spettanti al Ministero per i
beni culturali ed ambientali ed avendogli conferito altresì quelle in materia di
spettacolo, sport ed impiantistica sportiva già di pertinenza del relativo
dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri nonchè altre connesse
(art.2), ne aveva così definito la struttura e l’ordinamento fondamentale:
- l’articolo 5 prevedeva la figura e definiva le funzioni del Segretario
generale;
- l’articolo 6 delineava sommariamente l’organizzazione del Ministero, sia a
livello centrale (venivano specificati i settori), sia a livello periferico
(venivano previste le soprintendenze regionali e venivano confermate le
soprintendenze territoriali di settore ex art.30, comma 1°, lettere a, b, c, d
del D.P.R. n.805/1975);
- l’articolo 7 istituiva la figura del soprintendente regionale per i beni
culturali ed ambientali, definendone la posizione di coordinamento con le
soprintendenze territoriali di settore ed indicandone specificamente compiti e
poteri;
- l’articolo 8 prevedeva la possibile trasformazione delle soprintendenze
territoriali di settore in soprintendenze autonome qualora avessero competenza
su complessi di beni distinti da eccezionale valore;
- l’articolo 11 rinviava ai regolamenti da emanarsi ex art.17, comma 4 bis della
legge n.400/1998 gli altri aspetti concernenti l’organizzazione, la disciplina
degli uffici e la dotazione organica del Ministero.
2. Le attribuzioni, le aree funzionali di intervento e l’ordinamento del
Ministero erano poi stati ridefiniti, ritoccati ed, in parte, modificati ad
opera del D.Lgs. 30.7.1999, n.300, di riforma complessiva dell’organizzazione
del Governo ex art.11 della legge 15.3.1997, n.59 (articoli 52, 53 e 54 del
decreto in questione).
A tal proposito si segnala l’ulteriore specificazione della natura e dei compiti
delle soprintendenze regionali apportata dall’art.54, 3° comma, modificativo
dell’art.7 del D.Lgs. n.368/1998.
3. La normativa di dettaglio e, comunque, quella non risultante dai predetti
decreti legislativi n.368/1998 e n.300/1999 in ordine alla organizzazione del
Ministero, era stata infine impartita col regolamento di cui al D.P.R.
29.12.2000, n.441, emanato ai sensi dell’art.17, comma 4° bis della legge n.400/1988.
III) Tanto premesso, la già segnalata non manifesta infondatezza delle questioni
di legittimità costituzionale relative alle norme del decreto legislativo 8
gennaio 2004, n.3 va ribadita sotto i seguenti molteplici aspetti, anche
autonomamente concorrenti.
1. Sia dall’intitolazione che dalle premesse sembra evincersi che il D.Lgs. n.3/2004
è stato emanato ai sensi dell’art.1 della legge 6.7.2002, n.137 [che aveva
delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «correttivi o
modificativi» di decreti legislativi già emanati ai sensi dell’articolo 11,
comma 1°, lettere a), b), c) e d) della legge 15 marzo 1997, n.59 e successive
modificazioni]; e non ai sensi dell’art.10, comma 1°, lettera a) della stessa
legge n.137/2002 [che, per quanto concerne il Ministero per i beni e le attività
culturali, in particolare, aveva autorizzato il Governo ad emanare uno o più
decreti legislativi «per il riassetto» in materia di beni culturali ed
ambientali].
Il legislatore delegato ha chiaramente inteso esercitare unicamente la delega
generale conferita dall’art.1 della legge n.137/2002 e non quella specifica sui
beni culturali ed ambientali (coinvolgente anche profili organizzativi),
conferita con l’art.10 della stessa legge n.137/2002. Il decreto legislativo n.3/2004
quindi doveva conformarsi ai principi e criteri direttivi indicati, all’art.1,
comma 2°, della L. n. 137/2002, con rinvio per relationem a quelli stabiliti
negli artt.12, 14, 17 e 18 della legge 15.3.1997, n.59 (sul punto, vedi infra).
D’altro canto il Governo, adottando il decreto legislativo n.3/2004 in parola,
non ha neppure seguito i principi ed i criteri della diversa ed autonoma
specifica delega di cui all’art.10, comma 1°, lettera a) della legge n.137/2002,
neppur menzionato (principi e criteri direttivi enunciati al comma 2°, lettere
a), b), c) e d) dell’art.10).
2. In quanto (sicuramente) adottato sulla scorta della delega accordata ai sensi
dell’articolo 1, comma 1° della L. 6.7.2002, n.137, il decreto legislativo
8.1.2004, n.3 avrebbe dovuto contenere un corpo di disposizioni normative
finalizzate a riqualificare l’organizzazione del Ministero per i beni e le
attività culturali e coerentemente improntate ai «principi e criteri direttivi
indicati negli articoli 12,14 17 e 18 della legge 15 marzo 1997, n.59 e
successive modificazioni» (così l’art.1, comma 2° della legge 137/2002).
Infatti, l’art.1°, comma 1° in parola aveva autorizzato il Governo ad emanare,
entro diciotto mesi, uno o più decreti legislativi «correttivi o modificativi»
di decreti legislativi già emanati ai sensi dell’art.11, comma 1°, lettera a)
della legge 15.3.1997, n.59 cioè – in buona sostanza e per quello che qui
interessa – decreti legislativi diretti a (ulteriormente) «razionalizzare»
l’ordinamento del Ministero, vincolando tale attività di migliore
razionalizzazione dell’ordinamento del Ministero al rispetto dei principi e dei
criteri già espressi negli artt.12, 14, 17 e 18 della legge n.59/1997 (e
successive modificazioni).
Ora, l’art.12 della legge n.59/1997 – che è quello che qui specificamente rileva
[gli artt.14, 17 e 18 si riferiscono al riordino di apparati diversi dai
Ministeri] – affermava che, nei decreti legislativi diretti al riordino dei
Ministeri, il Governo avrebbe dovuto attenersi ai principi generali desumibili
dalla legge 23.8.1988, n.400 [disciplina dell’attività di Governo ed ordinamento
della Presidenza del Consiglio dei Ministri], nonché dalla legge 7.8.1990, n.241
[Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso
ai documenti amministrativi] e dal decreto legislativo 3.2.1993, n.29 e
successive modificazioni e integrazioni [Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni]; ed enunciava tutta una
complessa serie di specifiche prescrizioni le quali pure, oltre che i principi
ricavabili dalle leggi suddette, avrebbero dovuto orientare il legislatore
delegato nella stesura della normativa di riorganizzazione degli apparati
ministeriali centrali e periferici [prescrizioni enunciate nelle lettere da a) a
t) dell’art.12 e che qui si intendono per riprodotte].
Ebbene, nella riscrittura dell’ordinamento del Ministero per i beni e le
attività culturali operata col D.Lgs. n.3/2004 – riscrittura la quale, perchè
potesse essere data attuazione a tutti tali principi e criteri o, anche, solo ad
alcuni di essi, avrebbe dovuto dar luogo ad un corpo normativo complesso ed
articolato – non si rinviene pressochè traccia dei principi medesimi.
Come già sopra si è avuto modo di rilevare, il testo della normativa delegata
risulta sostanzialmente insufficiente.
Ciò comprova che il Governo non ha concretamente esercitato i poteri
conferitigli con la legge di delega, sostanzialmente rinunciando a disciplinare
pienamente la materia oggetto del conferimento e così contravvenendo ai principi
ed ai criteri direttivi che la stessa legge gli imponeva di trasfondere nelle
norme da adottare e da realizzare con atto avente forza e valore di legge.
3. Che la delega sia stata esercitata in modo troppo limitato ed insufficiente
e, quindi, senza dare ad essa attuazione, nè per quanto riguarda l’oggetto, nè
per quanto riguarda i principi e i criteri da seguire, si spiega – come sopra
pure anticipato – col fatto che il legislatore delegato ha in gran parte
traslato su atti regolamentari la disciplina dell’organizzazione del Ministero
per ciò che riguarda l’ordinamento degli uffici ed i poteri dei diversi organi.
Si considerino, in proposito, le seguenti norme del decreto legislativo n.3/2004.
- L’articolo 1.
Esso si intitola “Modifiche all’art.54 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300”
e riscrive completamente l’art.54 del D.Leg.vo n. 300/1999 [il quale – come
sopra ricordato –, al comma primo, prevedeva l’articolazione del Ministero in
non più di dieci direzioni generali ed, ai commi secondo e terzo, disciplinava
la struttura periferica del Ministero prevedendo le soprintendenze regionali per
i beni culturali e ambientali e le soprintendenze territoriali di settore e
stabilendo espressamente le attribuzioni ed i poteri precipui dei soprintendenti
regionali].
Il comma primo del novellato art.54 stabilisce adesso che «il Ministero si
articola in quattro dipartimenti, in dieci uffici dirigenziali generali,
costituiti dalle dieci unità in cui si articolano i dipartimenti [sic], nonchè
in due uffici dirigenziali generali presso il Gabinetto del Ministro».
Il comma secondo dello stesso prevede che i dipartimenti esercitino le proprie
funzioni nell’ambito delle seguenti aree funzionali: a) beni culturali e
paesaggistici; b) beni archivistici e librari; c) ricerca, innovazione e
organizzazione; d) spettacolo e sport.
Il comma terzo si limita ad affermare che “Il Ministero si articola, altresì, in
diciassette uffici dirigenziali generali, costituiti dalle direzioni regionali
per i beni culturali e paesaggistici, e negli altri uffici dirigenziali”.
Il comma quarto stabilisce che «L’individuazione e l’ordinamento degli uffici
del Ministero sono stabiliti ai sensi dell’articolo 4» [si intende: l’art.4 del
D.Lgs. n.300 del 30 luglio 1999, a mente del quale: «L’organizzazione, la
dotazione organica, l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale
generale ed il loro numero, le relative funzioni e la distribuzione dei posti di
funzione dirigenziale, l’individuazione dei dipartimenti …. e la definizione dei
rispettivi compiti, sono stabiliti con regolamenti o con decreti del Ministro
emanati ai sensi dell’art.17, comma 4 bis della legge 23 agosto 1988, n.400»].
Sicchè, in conclusione, a parte quanto scheletricamente e sinteticamente
enunciato ai commi primo, secondo e terzo in ordine alla struttura organica
portante dell’Amministrazione, tutto ciò che, per il resto, riguarda
l’organizzazione (individuazione di tutti gli altri uffici, loro dislocazione ed
articolazione, ecc.) e l’intera disciplina concernente il loro ordinamento,
viene demandata ai citati regolamenti governativi di organizzazione di cui
all’art.17, comma 4 bis della legge n. 400/1988 (ovvero, anche, agli speciali
decreti ministeriali ex lettera e) del comma 4 bis dell’art.17 citato).
Si consideri inoltre il disposto dell’art.4 del D.Lgs. in esame ed intitolato
“Organizzazione del Ministero”.
Si osserva al riguardo che l’organizzazione del Ministero è oggi quella che
risulta da quanto sopra detto nell’esegesi dell’art.1. Essa, eccettuate le linee
di fondo definite ai primi tre commi dell’art.1 e fatto salvo quanto disposto ai
commi 2° e 3° del richiamato art.6 del D.Lgs. n.368/1998 [il comma 2° concerne
l’Archivio Centrale dello Stato e la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II;
ed il comma 3° contempla l’istituzione, presso il Ministero, dell’Istituto
Centrale per gli Archivi, la cui organizzazione e le cui funzioni vengono
peraltro affidati all’emanazione di regolamenti], viene riservata, si ripete,
all’esercizio del potere regolamentare ex art.17, comma 4 bis della legge n.
400/1988.
Non tragga in inganno il concatenamento dei rinvii e subrinvii.
Il 1° comma dell’art.4 stabilisce che:
“L’articolo 6 del decreto legislativo 20 ottobre 1998 n.368 e successive
modificazioni è sostituito dal seguente:
«Art.6 (Organizzazione del Ministero). – 1. L’organizzazione del Ministero è
stabilita ai sensi dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300
e successive modificazioni.
2. [omissis].
3. [omissis]»”.
Si rammenta che l’art.6 del D.Lgs. n.368/1998 era la norma che, a seguito
dell’istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali e nel primo
riassetto del Ministero stesso, ne aveva dettato l’organizzazione. Il comma
primo di detto art.6 aveva disposto che il Ministero era organizzato secondo i
principi di distinzione fra direzione politica e gestione amministrativa, di
decentramento ed autonomia delle strutture, di efficienza e di semplificazione
delle procedure. Il secondo comma aveva previsto l’articolazione del Ministero
in non più di dieci uffici dirigenziali generali, aveva specificato esattamente
i settori (beni archeologici, ecc. ecc.) su cui detti uffici dirigenziali
generali avevano competenza ed aveva previsto l’articolazione su base
territoriale del Ministero in Soprintendenze Regionali ed in Soprintendenze
terrritoriali di settore ex art.30, comma 1°, lettere a), b), c) e d) del D.P.R.
n.805/1975.
Ebbene, tale organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali,
come risultante dall’art.6 del D.Lgs. n.368/1998, viene cancellata e sostituita
da quella risultante dall’art.54 del D.Lgs. n.300/1999 «e successive
modificazioni».
Ma l’art.54 del D.Lgs. n.300/1999, così come risultante dalle successive
modificazioni, è esattamente quello riscritto ed inserito nel precedente art.1
dello stesso decreto legislativo n.3/2004; ergo, l’organizzazione del Ministero
è quella scheletricamente definita ai commi 1°, 2° e 3° dell’art.54
“sostituito”, mentre, per l’individuazione e l’ordinamento degli uffici del
Ministero, si provvederà con norme regolamentari da emanarsi ex art.17, comma
4/bis della legge n.400/1988 (art.54, 4° comma risultante dal testo così come
modificato dall’art.1 del D.Lgs. n.3/2004).
Venendo adesso all’esame dell’art.5 del D.Lgs., intitolato “Direzioni regionali
per i beni culturali e paesaggistici”, si rileva che esso dispone che l’art.7
del D.Lgs. 20 ottobre 1998, n.368 e successive modificazioni è sostituito
dall’articolo 7 così come riscritto.
Si rammenta che l’art.7 del D.Lgs. n.368/1998 aveva istituito, nelle regioni a
statuto ordinario e nel Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, la figura del
soprintendente regionale per i beni culturali ed ambientali, originariamente
concepita come incarico aggiuntivo da conferirsi ai dirigenti delle
soprintendenze alle antichità e belle arti, disciplinandone puntualmente le
attribuzioni; e che, successivamente, lo stesso art.7 era stato opportunamente
modificato dall’art.54 del D.Lgs. n.300/1999 [di cui sopra s’è già detto], con
la trasformazione delle soprintendenze regionali per i beni culturali ed
ambientali in uffici autonomi e separati rispetto alle soprintendenze alle
antichità e belle arti e con la parziale revisione dei loro compiti e poteri
anche in raccordo con quelli demandati alle soprintendenze di settore.
Ebbene, l’art.7 del D.Lgs. n.368/1998, così come sostituito dall’art.5 del
decreto legislativo n.3/2004, apporta innovazioni essenziali. Al posto delle
soprintendenze regionali per i beni culturali ed ambientali sono istituite le
“direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici”, indicate come
articolazioni territoriali del dipartimento ministeriale per i beni culturali e
paesaggistici; e le soprintendenze territoriali di settore sono soppresse, ed,
al loro posto, operano non meglio qualificati “uffici dirigenziali” in ambito
regionale, coordinati dal direttore regionale (art.7, commi 1°, 2°, 3°, 4° e
5°).
Ma – ed è quello che qui rileva – lo stesso art.7 non specifica i compiti e le
funzioni dei direttori regionali per i beni culturali e paesaggistici, ancora
demandando ad un regolamento governativo da emanarsi ex art.17, comma 4° bis
della legge n.400/1988 la loro determinazione (art.7, comma 6°, a mente del
quale i compiti e le funzioni dei direttori regionali per i beni culturali e
paesaggistici sono stabiliti ai sensi dell’articolo 11, comma 1 del D.Lgs. n.368/1998).
Peraltro anche gli “uffici dirigenziali operanti in ambito regionale”, in cui si
articolano le direzioni regionali, non trovano, nel novellato art.7, alcuna
regolamentazione. La loro individuazione e, quindi, il complesso delle loro
funzioni ed attribuzioni saranno determinati dagli speciali decreti ministeriali
di cui all’art.17, comma 4 bis, lettera e) della legge n.400/1988 (art.7, comma
4°).
4. Da tutto quanto sopra esposto al precedente paragrafo 3 si conferma il dato
secondo il quale:
- l’individuazione e l’ordinamento degli uffici del Ministero (artt.1 e 4 del
D.Lgs. n.3/2004),
- la definizione dei compiti e delle funzioni spettanti ai direttori regionali
per i beni culturali e paesaggistici (art.5 del D.Lgs. n.3/2004),
- e l’individuazione e l’ordinamento degli altri uffici dirigenziali regionali,
ovvero delle ex soprintendenze territoriali di settore (art.5 del D. Lgs. n.3/2004),
sono state devolute dal legislatore delegato, ad una successiva regolamentazione
di rango secondario, da stabilirsi attraverso l’emanazione dei regolamenti
governativi previsti dall’art.17, comma 4 bis della legge n.400/1988 o,
addirittura, dei decreti ministeriali di cui all’art.17, comma 4 bis, lettera e)
della stessa legge.
Si nota peraltro che tale attribuzione all’esecutivo di poteri regolamentari e
sub-regolamentari non è avvenuta in modo evidente e palese, ma secondo la
tecnica del rinvio a varie disposizioni di legge [l’art.4 del D.Lgs. n.300/1999;
l’art.54 del D.Lgs. n.300/1999, così come modificato dal medesimo D.Lgs. n.3/2004;
l’art.11, comma 1° del D.Lgs. n.368/1998] che di tali poteri avevano consentito
l’esercizio.
5. La delegificazione così operata nel corpo del decreto legislativo 8 gennaio
2004, n.3 appare, come già prospettato, costituzionalmente illegittima per
violazione degli articoli 70, 76 e 77, comma 1° della Costituzione.
Nessuna disposizione della legge delega 6 luglio 2002, n.137 abilitava il
Governo a disciplinare la riorganizzazione e/o la razionalizzazione dei
Ministeri con norme di rango secondario aventi la specifica valenza e la
precipua autonomia dei regolamenti governativi di cui all’art.17, comma 4 bis
della legge n.400/1988 e, comunque, sganciate dai principi e criteri direttivi
imposti dalla stessa legge delega n.137/2002 ed invasive della materia da
disciplinare con la stessa.
In realtà, nella specie, si ha il caso di una nuova legge delega – n.137/2002
che fuoriesce completamente da quel sistema di delegificazione che traeva
origine dalla filiera derivata dalla legge n.59/1997. Ed infatti allorché
l’attività normativa non rientra nell’attuazione dei principi fissati dalla
legge di delega n.59/1997, in conseguenza di una nuova delegazione legislativa (L.
n.137/2002), non si può poi contaminare l’iter normativo con il ricorso all’art.4
del D.Lgs. n.300/1999 che è strettamente legato ai contenuti della precedente
legge delega n.59/1997 ed in particolare al suo art.13 che operava la rottura
del modello di delegificazione previgente. Pertanto, solo una nuova legge delega
avrebbe potuto (ciò che non sussiste nel caso che ne occupa) consentire al
conseguente D.Lgs. di stabilire che l’organizzazione del Ministero fosse
determinata ai sensi dell’art.54 del D.Lgs. n.300 e successive modificazioni.
6. Si consideri altresì che la L. n.137/2002, nell’indicare all’art.1 i principi
ed i criteri direttivi cui il Governo si sarebbe dovuto attenere per correggere
o modificare i decreti delegati di razionalizzazione e riordino dei Ministeri
(art.1), aveva rinviato unicamente a quelli già stabiliti dall’art.12 [nonché
dagli artt.14, 17 e 18] della precedente legge 15 marzo 1997, n.59; mentre,
significativamente, aveva omesso di richiamare l’articolo 13 della legge n.59/1997,
il quale, avendo aggiunto all’art.17 della legge 23 agosto 1988, n.400 il comma
quarto bis, aveva rilevantemente delegificato la materia dell’organizzazione e
della disciplina degli uffici dei Ministeri, conferendo al Governo lo speciale
potere di autorganizzazione da esercitarsi attraverso i regolamenti nello stesso
comma quarto indicati e disciplinati.
Deve ritenersi quindi che non rientrasse tra i principi e criteri direttivi che
la legge n.137/2002 aveva fissato al Governo, perché li osservasse nell’adozione
dei decreti legislativi di cui all’art.1 (e, quindi, del decreto legislativo n.3/2004
in esame), quello per cui l’organizzazione e la disciplina degli uffici dei
Ministeri avrebbero potuto essere determinate con i regolamenti di cui all’art.17,
comma 4° bis della legge n.400/1988.
7. Va poi ribadito che lo speciale potere normativo del Governo di provvedere a
definire l’organizzazione e la disciplina dei Ministeri adottando i regolamenti
indicati dall’art.17, comma 4° bis della legge n. 400/1988 deve intendersi
consumato ed esaurito con l’adozione dei decreti legislativi emanati in
attuazione della primitiva delega conferita dall’art.12 della legge 15 marzo
1997, n. 59.
La forte valenza e lo speciale ambito di autonomia del potere regolamentare in
questione infatti, in tanto potevano essere giustificati – sul piano degli
equilibri costituzionali Parlamento-Governo, del rispetto della gerarchia delle
fonti e della riserva relativa di legge ex art.97 della Costituzione in
quanto esso rimaneva, per così dire, cristallizzato nel corpo della legge delega
n.59/1997 e, quindi, pur sempre dimensionato e contenuto nei complessi principi
e criteri da questa stessa stabiliti.
Non avendo la legge delega n.137/2002 né previsto né rinnovato tale potere, esso
non poteva certo costituire oggetto di surrettizio autoconferimento da parte del
Governo in un decreto legislativo attuativo della stessa legge delega, come
invece è avvenuto con gli articoli 1, 4 e 5 del decreto legislativo n.3/2004.
8. In conclusione, sussiste l’eccesso di delega legislativa, in violazione degli
articoli 70, 76 e 77, primo comma della Costituzione per avere il decreto
legislativo delegato n.3 dell’8 gennaio 2004 esorbitato sia dall’ambito che dai
principi e criteri direttivi fissati dalla stessa legge di delega ed altresì dai
tempi, essendo venuta in essere la sostanziale attuazione della delega in epoca
successiva rispetto alla scadenza della delega stessa.
Tenendo presente che l’organizzazione della pubblica Amministrazione rientra
nella sfera di riserva (relativa) di legge(art.97 Cost.), la delega legislativa
ex art.1 L. n.137/2002 prevedeva esclusivamente il conferimento al Governo di un
limitato potere legislativo sull’organizzazione della Presidenza del Consiglio
dei Ministri e dei Ministeri (con una procedura rafforzata di controllo
parlamentare nel procedimento), cioè di correggere e modificare i decreti
legislativi già emanati ai sensi dell’art.11, comma 1°, lettere a), b), c) e d)
della L. 15 marzo 1997, n.59 e successive modificazioni, sulla base di taluni
principi e criteri direttivi previsti dalla stessa legge n.59 del 1997; ma
certamente non abilitava il Governo – si ripete – ad autoattribuirsi – omettendo
di esercitare l’incarico conferito di parzialmente innovare con atto avente
valore di legge (e preso con le relative garanzie) l’organizzazione dei
Ministeri – il potere di rinviare ad una procedura successiva (anche oltre i
limiti oggettivi e temporali) e di disciplinare con regolamento tutto ciò che
riguardava l’organizzazione del Ministero.
Da tale operazione normativa è derivata una previsione di regolamento che
determina un rilevante sconvolgimento di assetti consolidati, con possibilità di
alterazione dei livelli ottimali di gestione e concentrazione dei poteri su
strutture centralizzate e ciò in antitesi, fra l’altro, con la devoluzione
regionalistica ed il recente orientamento della riforma costituzionale; il che
ha introdotto gravi fattori di squilibrio nei contesti dei delicatissimi
rapporti fra componenti del complesso quadro dei poteri generali.
Può quindi concludersi che nella legge delega non è ravvisabile alcuna traccia
di conferimento, diretto o indiretto, di un potere di delegificazione attraverso
un regolamento governativo; né tantomeno può ritenersi previsto un potere di
autoattribuzione di poteri regolamentari così ampi e tali da consentire – come
si è verificato – non mere «novelle normative» con caratteri «correttivi e
modificativi» dei precedenti decreti legislativi contenenti l’organizzazione del
Governo e dei Ministeri, ma una vera e propria “rifondazione” del Ministero in
questione, con fortissime deformazioni di assetti strutturali consolidati e che
peraltro non avevano evidenziato alcun inconveniente.
La riforma recata con la previsione di un regolamento appare dunque
estemporanea, scoordinata da ragioni di fondo determinative di puntuali esigenze
e quindi dissonante rispetto ad una ricerca di ulteriori approdi di
efficientismo amministrativo rispetto a quelli conseguiti dalla precedente
riforma, ritenuta ampiamente appagante a fronte della esigenza di tutela del
settore di competenza.
9. Certamente la delega legislativa, così come formulata, non consentiva, nella
sede regolamentare, la completa alterazione e trasformazione del modello di
organizzazione ministeriale e di coordinamento incentrata sulla figura di un
segretario generale del Ministero in un sistema dipartimentale, con creazione
completamente stravolgente di centri dirigenziali caratterizzati da forte
accentramento decisionale e non di mero coordinamento.
Il tutto in aperta divergenza con quei principi e criteri direttivi della legge
n.59/1997, che avevano guidato l’esercizio dell’originaria delega e che non
potevano certamente abilitare a norme completamente confliggenti
nell’impostazione e nelle finalità, anche con riguardo ai profili di
decentramento e di sussidiarietà discendenti nei livelli organizzatori, per di
più accentuati dalla riforma costituzionale del titolo V della Costituzione e di
cui sopra si è detto.
Donde, l’ulteriore violazione della Costituzione con riguardo ai principi
desumibili dagli articoli 5, 97, 117 e 118.
- I cospicui elementi sopra esposti in sede di valutazione della non manifesta
infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale ai punti I, II e III
inducono il Collegio a ritenere pertinenti e rilevanti ai fini di qualsiasi
decisione del ricorso (e anche, si ribadisce, della domanda di sospensione degli
atti impugnati), le relative eccezioni di incostituzionalità per violazione
degli articoli 70, 76, 77, comma primo ed, altresì, 5, 97, 117 e 118 della
Costituzione, nei confronti del decreto legislativo 8 gennaio 2004, n.3 ed, in
particolare, degli articoli 1, 4 e 5, in relazione al contrasto con gli articoli
1 e 10 della legge 6 luglio 2002, n.137; ed a rimettere l’esame delle questioni
stesse alla Corte Costituzionale, con il conforto dalla stretta pertinenza e
rilevanza delle eccezioni rispetto alla materia devoluta al giudizio di questo
T.A.R., sia pur soltanto correlata alla fase cautelare in atto, la quale non può
trovare, allo stato, alcuna definizione in assenza di un giudizio preliminare e
pregiudiziale circa la legittimità costituzionale delle norme sulle quali si
basano sia l’atto regolamentare impugnato, sia l’ulteriore contesto impugnatorio
che di detto regolamento costituisce stretta applicazione.
- Visti gli artt.134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio
1948, n.1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n.87;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, rinviata ogni pronuncia sul
ricorso in epigrafe, sospende il giudizio relativo al ricorso n.850 dell’anno
2004, in epigrafe indicato, nella fase cautelare in cui si trova e dispone
l’immediata trasmissione alla Corte Costituzionale degli atti relativi al
giudizio medesimo.
Ordina alla Segreteria di notificare la presente ordinanza alle parti in causa
ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e di comunicarla al Presidente della
Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.
Così deciso in Ancona, alle camere di consiglio del 26 e 27 agosto 2004, con
l’intervento dei Magistrati:
Dott. Bruno Amoroso - Presidente
Dott. Galileo Omero Manzi - Consigliere
Avv. Liana Tacchi - Consigliere, est.
Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 15 OTT.
2004
Ancona, 15 OTT. 2004
IL SEGRETARIO GENERALE
1) Beni culturali e ambientali – Ministero per i beni e le attività culturali – D. Lgs. n. 3/2004 – Questione di legittimità costituzionale – Non manifesta infondatezza. Sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento al D. Lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 (Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attivita' culturali) per violazione degli articoli 70, 76, 77, comma primo, nonchè 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, ed in particolare in riferimento agli articoli 1, 4 e 5, per contrasto con gli articoli 1 e 10 della legge delega 6 luglio 2002, n.137; se ne rimette pertanto l’esame alla Corte Costituzionale. Pres. Amoroso, Est. Tacchi - Italia Nostra ONLUS (Avv. Pallottino) c. Ministero per i beni e le Attività Culturali (Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R. Marche – Ordinanza 15 ottobre 2004, n. 136
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza
ALESSANDRO FERRETTI
Il recente deposito dell’ordinanza 15 ottobre 2004, n. 136 del TAR Marche
chiarisce in maniera definitiva le motivazioni che hanno condotto il giudice de
quo a dichiarare la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale proposte con il ricorso n. 850 dell’anno 2004
presentato dall’Associazione Italia Nostra, ed altri, contro il Ministero per i
beni e le attività culturali ed altri. Il riferimento è da intendersi alla
richiesta di annullamento, previa sospensione, del regolamento di organizzazione
del Ministero per i beni e le attività culturali approvato con D.P.R. 8 giugno
2004, n. 173 e di ogni altro atto precedente, contemporaneo e/o successivo, tra
cui il Decreto di nomina del Direttore per i Beni Culturali e Paesaggistici
delle Marche. I motivi del ricorso si fondano sulla pretesa violazione dei
principi fondamentali di buon andamento, economicità ed efficienza dell’attività
della Pubblica Amministrazione [art. 97 Cost, art. 1 l. 241/1990, d. lgs. n.
165/2001] e sull’eccesso di delega attuato con violazione dei principi e criteri
indicati negli artt. 1 e 10 della legge delega n. 137/2002.
In particolare, le doglianze dei ricorrenti si incentrano su due aspetti. Il
primo riguarda l’impianto attuativo del riassetto organizzativo del Ministero
per i beni e le attività culturali che sarebbe stato realizzato dal legislatore
delegato con principi contrari a quelli voluti dalla legge delega, perseguendo
“il fine di determinare un indebolimento della tutela dei beni culturali, così
realizzando un attacco strategico al patrimonio culturale e paesaggistico
nazionale”(sic!)
Si ricorda che la struttura ministeriale che scaturisce dai provvedimenti
attuativi della delega contenuta nella l. 137/2002 è ancorata ad
un’articolazione dipartimentale ( quattro ) a cui fanno capo dieci direzioni
generali centrali, di livello dirigenziale generale, e diciassette direzioni
regionali periferiche, anch’esse di livello dirigenziale generale.
La previsione verticistica del Ministero, organizzata piramidalmente, secondo i
ricorrenti finisce per ostacolare le procedure amministrative ( e non
semplificarle ), appesantendo l’attività istituzionale del dicastero. Inoltre,
la possibilità, prevista dal regolamento, di affidare gli incarichi di direttori
regionali anche a manager amministrativi e politici, svuoterebbe le funzioni,
svolte da questi, di quel contenuto tecnico-scientifico necessario ai fini di
un’efficace tutela dei beni culturali e che è stato patrimonio precipuo delle
Soprintendenze territoriali, svuotate del loro ruolo dalla riforma contestata.
Sotto il secondo aspetto, inoltre, viene lamentata una indebita sottrazione al
controllo parlamentare della riforma attuata, in quanto il dettaglio di quest’ultima
non sarebbe contenuta nel provvedimento delegato – cioè nel d. lgs. n. 3/2004 –
ma nel successivo DPR n. 173/2004, adottato ben oltre i termini di delega e
soprattutto al di fuori della verifica obbligatoria della Commissione di cui
all’art. 5 della precedente legge delega n. 59/1997.
In tema di diritto, il TAR Marche ricostruisce in via preliminare ed assorbente
il profilo della legittimità costituzionale del d. legislativo 8 gennaio 2004,
n. 3, fonte abilitante dell’emanazione del regolamento impugnato – DPR n.
173/2004 – e degli atti ad esso collegati. In particolare, il giudice de quo
mette in evidenza che il decreto legislativo n. 3 recante la “Riorganizzazione
del Ministero per i beni e le attività culturali ai sensi dell’art.1 della legge
6 luglio 2002, n.137”, è un testo normativo privo di reali contenuti
prescrittivi, al contrario di quanto avrebbe dovuto indicare in relazione al
disegno di riorganizzazione previsto dalla legge delega. In realtà, il contenuto
prescrittivo della riorganizzazione ministeriale è stato demandato,
arbitrariamente, dal legislatore delegato con un rinvio a regolamenti – ex art.
17, comma 4 bis della legge 400/1988 – successivi per l’individuazione e
l’ordinamento degli uffici del Ministero, le attribuzioni delle direzioni
regionali e delle altre strutture dirigenziali periferiche. Su questo aspetto si
esprime il giudice in maniera chiara sostenendo che il legislatore delegato ha
indebitamente abdicato in favore di una sede normativa di carattere e forma
amministrativa, che trova il proprio presupposto proprio in quel decreto
legislativo che avrebbe dovuto invece realizzare – con atto avente forza di
legge – i contenuti della delega.
Nel ragionamento, che viene sviluppato nel corso dell’ordinanza, si sostiene con
argomentazioni convincenti sul piano logico-giuridico l’errato operato del
legislatore delegato, che ha oltrepassato i limiti della delega imposta dalla
legge n. 137/2002 – che nel caso specifico prevedeva esclusivamente un limitato
potere legislativo di correzione e modifica dei decreti legislativi già emanati
ai sensi della precedente l. n. 59/1997, riguardanti l’organizzazione della
Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri – e si è autoattribuito il
potere di disciplinare con regolamento tutto ciò che riguarda l’organizzazione
ministeriale. Una delle conseguenze di questo operato è stata, tra l’altro, la
previsione del DPR n. 173/2004 che ha prodotto un rilevante sconvolgimento di
assetti consolidati, con possibilità di alterazione dei livelli ottimali di
gestione e concentrazione dei poteri su strutture centralizzate e ciò in
antitesi, fra l’altro, con la devoluzione regionalistica ed il recente
orientamento della riforma costituzionale; il che ha introdotto gravi fattori di
squilibrio nei contesti dei delicatissimi rapporti fra componenti del complesso
quadro dei poteri generali.
La conclusione che se ne ricava, a parere del TAR Marche, è che non è dato
rinvenire nessuna traccia di conferimento al legislatore delegato di un potere
di delegificazione attraverso un regolamento governativo della materia oggetto
di delega, il tutto in aperto contrasto con quanto previsto dalla legge 59/1997
e dalla legge 137/2002.
Il giudizio, pertanto, è stato sospeso con l’immediata trasmissione degli atti
relativi al giudizio medesimo alla Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi
sulla legittimità costituzionale delle norme sulle quali si basa il regolamento
impugnato e l’ulteriore contesto impugnatorio.
E’ appena il caso di rilevare che questo ricorso presenta possibili effetti
dirompenti per quanto riguarda la riorganizzazione ministeriale in atto, se solo
si pensi al fatto che dal regolamento impugnato dipende la validità
dell’adozione di diversi decreti ministeriali previsti per la individuazione
dell’articolazione del Ministero – come nel caso del D.M. 29/09/2004 che
prevedendo le strutture centrali e periferiche del Ministero ha tra l’altro
istituito nuove soprintendenze di settore - . Senza considerare il contenzioso
che potrebbe derivare – di notevole consistenza e di difficile risoluzione –
dalla applicazione delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e
paesaggistici, data l’attribuzione delle competenze ad emanare i provvedimenti
amministrativi di riferimento che è stata operata dall’impugnato D.P.R. n.
173/2004.