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Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
T.A.R. VENETO, Sezione III - 5 maggio 2004, sentenza n. 1353
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Ricc. nn. 154 e 212/2003
Sent. n. 1353/04
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER IL VENETO
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Veneto, sezione terza, con l’intervento dei signori magistrati:
Umberto Zuballi Presidente
Angelo Gabbricci Consigliere, relatore
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
sui giudizi riuniti, introdotti con i ricorsi nn. 154 e 212/03, proposti
da Fratelli Carraro S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. P. Micozzi, con domicilio presso la Segreteria
del T.A.R. Veneto, giusta art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054,
contro
quanto al giudizio introdotto con il ricorso 154/03, la Provincia di Padova, in
persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Pata,
Carbone e Voci, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. Veneto, giusta
art. 35 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, evocata altresì nel giudizio 212/03,
e contro
quanto al giudizio introdotto con il ricorso 212/03, il Comune di Campodarsego
(Padova), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
ti Domenichelli e Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio del secondo,
in Venezia Mestre, via Cavallotti 22, anche interveniente nel giudizio di cui al
ricorso 154/03,
1. per l’annullamento, quanto al ricorso 154/03,
a) del decreto 12 novembre 2002, n. 11238, del dirigente settore ecologia della
Provincia di Padova, che ha negato l’approvazione del progetto ed il rilascio
dell’autorizzazione per la realizzazione di un impianto per il recupero di
rifiuti speciali costituiti da inerti provenienti da demolizioni, da realizzare
in Comune di Campodarsego;
b) degli atti antecedenti, presupposti, preordinati, preparatori, consequenziali
ovvero comunque connessi, e, in particolare, del parere 3 ottobre 2002, reso
dalla commissione tecnica provinciale ambiente (C.T.A.), in funzione di
conferenza di servizi.
e, quanto al ricorso 212/03,
c) della determinazione 28 ottobre 2002, del Comune di Campodarsego, che denega
l’autorizzazione ambientale per il progetto sub a;
d) degli atti antecedenti, presupposti, preordinati, preparatori, consequenziali
ovvero comunque connessi.
2. e, quanto ad entrambi i ricorsi, per il risarcimento del danno sofferto, sia
sotto il profilo del danno emergente (spese vive affrontate per progettazioni e
consulenze professionali), sia come lucro cessante, in relazione alla mancata
utilizzazione e ai contratti perduti.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Padova nel giudizio
154/03 e del Comune di Campodarsego in entrambi i giudizi;
visti gli atti tutti di causa;
uditi alla pubblica udienza del 24 marzo 2004, relatore il consigliere avv.
Angelo Gabbricci, l’avv. Micozzi per la ricorrente, l’avv. Voci per la Provincia
di Padova e gli avv.ti Bigolaro e Cester in sostituzione di Domenichelli per il
Comune di Campodarsego.
ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue:
FATTO
A. Fratelli Carraro S.n.c., nel febbraio 2002 presentò alla Provincia di Padova
una domanda, corredata dai prescritti elaborati, per l’approvazione del progetto
e l’autorizzazione all’apertura di un impianto per il recupero di rifiuti
speciali, costituiti da inerti provenienti da demolizioni e costruzioni;
impianto da realizzare sul territorio del comune di Campodarsego, in un’area in
precedenza utilizzata come cava di argilla, esaurita e recuperata all’uso
agricolo.
B. La commissione tecnica provinciale ambiente (C.T.A.) - in funzione di
conferenza di servizi, giusta artt. 23 e 59 l.r. 21 gennaio 2000, n. 3 –
espresse il parere negativo 3 ottobre 2002; di seguito, il dirigente del settore
ecologia della Provincia di Padova, con decreto 12 novembre 2002, n. 11238,
respinse la domanda.
C. Alcuni giorni prima, il Comune di Campodarsego, con determinazione 28 ottobre
2002, n. 21095, del responsabile del settore servizi tecnici – confermata nella
nota 30 ottobre 2002, n. 20076, inviata alla Provincia di Padova - aveva a sua
volta stabilito di non concedere una “autorizzazione ambientale” alla
realizzazione dello stesso impianto e ciò sulla base di svariate motivazioni,
ma, in particolare, perché parte del corpo di fabbrica ad uso ufficio e l’intera
area a parcheggio sarebbero ricadute entro una fascia di rispetto archeologico:
il provvedimento è stato impugnato dalla Fratelli Carraro con il ricorso 212/03,
e, nel susseguente giudizio, si è costituito il Comune, concludendo per la
reiezione.
Ancor prima, peraltro (ricorso 154/03), la stessa società aveva impugnato la
determinazione provinciale: il ricorso è stato chiamato all’udienza pubblica del
giorno 11 giugno 2003, cui è seguita l’ordinanza 3484/03, con la quale è stato
disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di
Campodarsego.
La ricorrente ha adempiuto, ed il Comune si è costituito in giudizio chiedendo
che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato, come già aveva
fatto la Provincia di Padova: le parti resistenti hanno concluso per
l’inammissibilità e, comunque, per la reiezione del ricorso.
DIRITTO
1.1. Disposta la riunione dei due giudizi, stante l’evidente connessione, il
Collegio deve farsi anzitutto carico delle eccezioni preliminari concernenti il
ricorso 154/03.
1.2. L’art. 27 del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, disciplina l’approvazione del
progetto e l’autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e
di recupero dei rifiuti, affidandone la competenza alla Regione, la quale,
ricevuta la domanda, nomina un responsabile del procedimento e convoca
un’apposita conferenza: sulla base delle risultanze di questa, la giunta
regionale approva il progetto ed autorizza la realizzazione dell’impianto.
La citata l.r. 3/00, all’art. 6, ha parzialmente delegato alle Province tali
competenze, e, così, per gli impianti del tipo di cui si discute in causa; al
successivo art. 23 ha poi disciplinato l’istruttoria per l’approvazione dei
progetti, ed ha previsto, in particolare, che il responsabile del procedimento,
nominato dall’Ente competente – nella fattispecie, la Provincia di Padova –
acquisita la documentazione richiesta, convoca la conferenza di cui al precitato
art. 27 d.lgs. 22/97: per gli impianti di competenza provinciale, svolgono (art.
59 l.r. 3/00) le funzioni della conferenza le commissioni tecniche provinciali
per l’ambiente, di cui all’articolo 14 della l.r. 16 aprile 1985, n. 33,
integrate, ex art. 23 cit., con i rappresentanti degli enti locali interessati.
A’ sensi del seguente art. 24, sulla base delle risultanze della conferenza,
l’organo individuato dalla Provincia approva il progetto e autorizza la
realizzazione dell’impianto: il provvedimento di approvazione “produce gli
effetti sostitutivi di cui all’articolo 27, comma 5, del decreto legislativo n.
22 del 1997”, e, cioè, “sostituisce ad ogni effetto visti, pareri,
autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali”,
costituendo, “ove occorra, variante allo strumento urbanistico comunale, e
comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei
lavori”.
1.3. Orbene, come si può linearmente desumere dal precedente compendio, la
determinazione di volontà conclusiva del procedimento in questione,
immediatamente incidente sugli interessi pubblici e privati coinvolti - in una
parola, il provvedimento – è riferibile esclusivamente all’organo provinciale,
il quale, secondo la previsione di legge, non è neppure strettamente vincolato
dal parere reso dalla conferenza: questa, almeno in materia, non costituisce un
organo collegiale con funzioni decisorie, dove le singole manifestazioni di
scienza e volontà si fondono, ma soltanto uno strumento procedimentale di
emersione e comparazione di interessi pubblici, quale strumento di
collaborazione e di accelerazione del procedimento (cfr., in motivazione,
seppure riferita ad altra materia, C.d.S., V, 25 gennaio 2003, n. 349).
1.4. Ne segue allora, anzitutto, che parte resistente nei giudizi proposti
avverso la decisione di consentire l’impianto, o di negare l’autorizzazione, è
soltanto la Provincia, e non le autorità intervenute alla conferenza di servizi,
le quali vi svolgono una funzione meramente consultiva, sicchè non è possibile
imputare loro l’atto finale del procedimento.
Nel caso in esame, dunque, il Comune di Campodarsego non è parte resistente
necessaria nel giudizio seguente al ricorso 154/03, ed il ricorso non doveva
perciò essergli notificato a quel titolo.
2.1. Lo stesso Comune, tuttavia, nel presente giudizio non ha neppure la
posizione di controinteressato, la quale richiede che il provvedimento gravato
attribuisca immediatamente al terzo una posizione giuridica personale e diretta
di vantaggio, nel senso cioè che l’attribuzione di quella posizione costituisce
in tutto o in parte funzione del provvedimento (cd. controinteressati in senso
sostanziale: cfr., ex multis, C.d.S., IV, 20 dicembre 2002, n. 7257).
Ora, il diniego qui impugnato in quanto tale non attribuisce alcuna utilità
immediata e diretta al Comune di Campodarsego, anzitutto con riguardo alla sua
partecipazione alla predetta conferenza, in cui pure aveva espresso parere
sfavorevole: “nell’ambito di un procedimento di autorizzazione alla
localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti, i comuni non assumono
la posizione di controinteressati neppure se abbiano esposto un parere negativo,
poiché la loro partecipazione è finalizzata alla miglior tutela dell’interesse
pubblico di cui è portatrice l’autorità emanante e non già alla tutela di un
interesse diverso e personale degli stessi” (C.d.S., IV, 28 novembre 1994, n.
968; nonché, sul principio che l’autorità che abbia svolto una funzione
consultiva “vanta solo l’interesse semplice alla mera conservazione dell’atto
emanato in conformità al suo parere”, C.d.S., V, 2 marzo 1999, n. 211).
Peraltro, ad esito analogo si giunge quando si qualifichi lo stesso Comune come
soggetto esponenziale degli interessi ambientali correlati al proprio
territorio, poiché, anche in tale veste, non è dato ravvisare quale utilità lo
individuerebbe come titolare d’un interesse qualificato alla conservazione del
ripetuto diniego; inoltre, sotto altro profilo, l’eventuale annullamento dello
stesso provvedimento negativo non determinerebbe di per sé all’Ente alcun
pregiudizio, che potrebbe eventualmente conseguire solo da una successiva
autorizzazione, allo stato del tutto eventuale.
2.2. Così, la circostanza che il ricorso non sia stato originariamente
notificato al Comune di Campodarsego, come ad alcun altro presunto
controinteressato, non lo rende perciò inammissibile: ed il Collegio può senza
dubbio pervenire a tale conclusione senza essere vincolato dalla precedente
ordinanza 3484/03, con la quale è stata disposta l’integrazione del
contraddittorio nei confronti dello stesso Ente locale.
Invero, i provvedimenti ordinatori non fanno stato nel giudizio: comunque
motivati, essi non possono mai pregiudicare la decisione della causa, e possono
essere normalmente revocati dal giudice che li ha pronunciati (art. 177 c.p.c.):
ma non vi è tale necessità nella fattispecie.
Invero, la notificazione del ricorso al Comune è stata disposta con ripetuta
ordinanza “anche allo scopo di esaminare la vicenda nella sua globalità”,
affermazione che questo Collegio pienamente condivide, confermando il
provvedimento ordinatorio in relazione a quanto stabilito dall’art. 107 c.p.c.,
secondo cui “il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in
confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l’intervento”: si
tratta di un potere discrezionale (cfr. ex multis Cass. 19 maggio 1999, n.
4857), esercitabile anche nel processo amministrativo, con riferimento al
soggetto che, pur non assumendo veste di controinteressato in senso tecnico,
potrebbe subire le conseguenze della decisione (cfr., per il giudizio di
ottemperanza C.d.S., IV, 27 maggio 2002, n. 2901; conf. 11 febbraio 1998, n.
258).
3.1. Superata così l’eccezione preliminare, si può passare al primo motivo di
ricorso, nel quale si censura il decreto impugnato per violazione dell’art. 27
del d. lgs. 22/97, degli art. 22 e 23 della l.r. 3/00 e dell’art. 3 della l.
241/90, per eccesso di potere sotto i profili del difetto di presupposto,
d’istruttoria e di motivazione, nonché per sviamento.
La ricorrente osserva come il diniego venga fondato su di una presunta
incompatibilità tra l’attuale destinazione urbanistica dell’area interessata e
la realizzazione dell’impianto in questa, la quale ha destinazione agricola,
mentre, ex art. 21, II comma, l.r. 3/00, i nuovi impianti di smaltimento e
recupero di rifiuti “sono ubicati di norma, nell’ambito delle singole zone
territoriali omogenee produttive o per servizi tecnologici”.
Tuttavia, secondo la Fratelli Carraro, nel loro complesso le disposizioni in
precedenza richiamate, e segnatamente l’art. 27 d. lgs. 22/97, imporrebbero di
valutare il progetto sotto il profilo della compatibilità “con le esigenze
ambientali e territoriali”, complessivamente intese: l’autorità preposta
dovrebbe perciò “effondersi in un apprezzamento tecnico sincretico comportante
la fusione di tutti i profili di rilevanza da porre in relazione con l’oggetto
proprio dell’intervento”.
Andrebbe così escluso che l’attuale destinazione urbanistica (e, indirettamente,
le scelte compiute dall’Ente locale che ha adottato il piano) possa da sola
precludere l’accoglimento della domanda, tanto più che (art. 27, V comma, cit.)
il provvedimento di approvazione costituisce, ove occorra, variante allo
strumento urbanistico.
3.2. Il secondo motivo – compendiato in forma assai simile al precedente, con un
particolare ulteriore riferimento alla violazione dell’art. 3, u.c. della l.r.
n. 42/82, in combinato disposto con l’art. 21, III comma della l.r. n. 3/00 –
riconsidera la motivazione del diniego impugnato, con specifico riferimento al
suo preambolo, nella parte in cui si richiama quanto disposto dall’art. 21, III
comma, lett. b), della l.r. 3/00: secondo il decreto, invero, tale disposizione
«prevede la localizzazione degli impianti di cui trattasi “preferibilmente
all’interno di aree destinate ad attività di cava, in esercizio o estinte, di
materiali di gruppo A, come individuati all’articolo 3, primo comma, lettera a),
della legge regionale 7 settembre 1982, n. 44”», mentre l’area in cui s’intende
realizzare l’impianto “è localizzata in una ex cava di materiali non di gruppo
A”.
Orbene, secondo la ricorrente, anzitutto, il fatto che non sia possibile
realizzare l’impianto in una cava di materiali gruppo A, non comporterebbe solo
per questo che lo stesso sia realizzabile esclusivamente nelle z.t.o. produttive
ovvero a servizi, ex art. 21, II comma, l.r. 3/00.
Locuzioni, quali “di norma” e “preferibilmente,” contenute nella legge,
lascerebbero ampio margine discrezionale all’Amministrazione ed imporrebbero
comunque un’approfondita motivazione del diniego, il quale, nella fattispecie,
non poteva definire il sito inidoneo solo per ragioni urbanistiche e senza
valutarne in concreto le qualità, tanto più che l’art. 21, III comma,
indicherebbe una preferenza del legislatore regionale per la realizzazione degli
impianti in aree già destinate a cava, anche se di materiali diversi da quelli
di gruppo A: e ciò, sempre per la Fratelli Carraro, “all’evidente fine di
intaccare nella minor misura possibile territorio vergine con riutilizzazione di
territorio già dissestato dal punto di vista ambientale”.
In realtà, prosegue la ricorrente, la particolare rilevanza attribuita dalla
disposizioni alle cave di materiali di gruppo A non dipenderebbe dalla “idoneità
del sito per il tipo di cava e di materiale scavato”, quanto, invece, dal “più
elevato grado di utilizzazione del territorio che l’escavazione dei materiali
del gruppo A generalmente comporta rispetto all’escavazione dei materiali del
gruppo B”: dunque, escludendo l’utilizzo dell’area de qua, l’Amministrazione
avrebbe immotivatamente disatteso la previsione di legge.
Inoltre, tra le cave di gruppo A andrebbero incluse, ex art. 3 l.r. ult. cit.,
quale sia il materiale estratto, quelle che realizzino un “elevato grado di
utilizzazione del territorio”, perché comportano “l’utilizzazione di superfici e
di volumi escavati tali da determinare modifiche rilevanti all’assetto del
territorio, del paesaggio naturale e della superficie agraria anche sotto
l’aspetto produttivo”; la cava nel cui ambito la Fratelli Carraro ha progettato
l’impianto presenterebbe proprio tali caratteristiche, per cui, anche sotto tale
profilo, il provvedimento impugnato sarebbe gravemente viziato.
3.3. Il terzo motivo ribadisce la tesi per cui l’art. 21, II comma, cit. non
esclude senz’altro che gli impianti in questione possano essere realizzati in
zona agricola; il quarto, poi, censura il provvedimento impugnato nella parte in
cui si afferma che l’autorizzazione non sarebbe giustificata perché, in
prossimità, è in funzione un altro impianto per il trattamento della stessa
tipologia di rifiuti, di cui è titolare la stessa ditta richiedente: la modesta
potenzialità del nuovo apparato e le sue caratteristiche, molto simili a quelle
dell’impianto in esercizio, non giustificherebbero, per la Provincia, la
compresenza delle due strutture.
Invero, secondo la ricorrente, tale argomentazione non sarebbe accettabile,
poiché resterebbe del tutto estranea all’oggetto “della valutazione
autorizzatoria”.
Inoltre, in disparte che la normativa favorisce e non ostacola gli stabilimenti
per il recupero, sarebbe incomprensibile “perché e in quali modi il possesso di
più impianti da parte della richiedente” sarebbe ingiustificata, e per quale
ragione non possano coesistere due impianti prossimi, “perfettamente a norma ed
efficienti”: tali perciò da non comportare, nel loro complesso, una ricaduta
negativa sull’ambiente, sia per la cura posta nel limitare le emissioni
acustiche e di polveri, sia perché in zona è già presente una cospicua discarica
di rifiuti, recentemente ampliata.
3.4. Infine (V motivo: violazione degli artt. 27 d. lgs. 22/97 e 21, 22 e 24
della l.r. 3/00; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria e
intrinseca illogicità, perplessità e contraddittorietà) la ricorrente osserva
come il provvedimento dichiari espressamente di non ravvisare gli estremi di
pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.
Si tratterebbe tuttavia di un’asserzione priva di significato, poiché sarebbero
questi invece gli effetti, ex art. 27, V comma, d. lgs. 22/97, conseguenti
all’approvazione e l’Amministrazione non avrebbe “titolo né possibilità di
sindacare siffatto generico presupposto, ove approvazione non ci sia stata”: da
quest’ultima asserzione, contenuta nell’atto, emergerebbe piuttosto “un’evidente
confusione e mancanza di chiarezza di idee sul complesso ruolo
dell’Amministrazione e del privato nella vicenda”, nonché “sull’oggetto e sulle
finalità del provvedimento richiesto”.
4.1. Orbene, come già più volte ricordato, l’art. 21, II comma, della l.r. 3/00,
stabilisce che i nuovi impianti di smaltimento e recupero di rifiuti sono
ubicati, di norma, nell’ambito delle singole zone territoriali omogenee
produttive o per servizi tecnologici; il seguente III comma, poi, dispone che
quanto stabilito al comma precedente “non si applica: (…) b) agli impianti di
recupero dei rifiuti inerti”, del tipo di quello in questione, “che vanno
localizzati preferibilmente all’interno di aree destinate ad attività di cava,
in esercizio o estinte, di materiali di gruppo A, come individuati all’articolo
3, primo comma, lettera a), della legge regionale 7 settembre 1982, n. 44”.
Il legislatore regionale ha dunque voluto stabilire alcune dettagliate
prescrizioni quanto alla collocazione degli impianti sul territorio, esercitando
così la sua potestà normativa in materia urbanistica: prescrizioni certamente
prevalenti sulle disposizioni comuni contenute nell’art. 27 del d. lgs. 22/97,
poiché introdotte da una fonte per definizione speciale.
4.2. L’art. 21 fissa così, anzitutto, una norma generale, per la quale gli
impianti di smaltimento e recupero vanno ordinariamente (“di norma”) localizzati
nelle z.t.o. produttive o a servizi: sicché la proposta di collocamento in altra
zona può essere senz’altro respinta dall’autorità competente, senza necessità di
particolari giustificazioni e solo richiamando la previsione di legge: è invece
la scelta di accogliere tale domanda – certamente consentita – che le impone di
fornire una congrua motivazione per la deroga disposta.
4.3 Lo stesso legislatore, poi, per determinate tipologie d’impianti, ha
introdotto, al citato III comma, una disciplina diversa – viene infatti
recisamente disposto che la precedente norma generale a queste “non si applica”:
così, quanto agli impianti per il recupero di rifiuti speciali inerti da
costruzione, si prevede che “preferibilmente” questi siano collocati in aree di
cava di materiali inclusi nel gruppo A.
Ora, è intanto da dire che i materiali suddetti sono costituiti esclusivamente
da sabbie e ghiaie e da calcari per cemento, elencati all’art. 3, I comma,
lettera a), della l.r. 44/82: a questa disposizione soltanto l’art. 21, III
comma, fa espresso rinvio, e non invece al successivo IV comma del ripetuto art.
3, il quale prende in considerazione ogni attività di cava, la cui estrazione
comporta un elevato grado di utilizzazione del territorio, e lo fa, comunque, ai
soli fini della stessa l.r. 44/82.
Le osservazioni che sul punto propone la ricorrente (sub 3.2.) sono dunque da
respingere, come dubbie sono le sue illazioni sulla ratio della prescrizione ex
art. 21, III comma, in esame, che ben può essere giustificata altrimenti, ad
esempio anche con riguardo ad una sostanziale affinità chimico-fisica tra quei
materiali di cava e gli inerti da costruzioni.
4.4. In ogni caso, rilevante si presenta la corretta interpretazione da darsi
all’avverbio “preferibilmente”, locuzione che, se certamente privilegia una
peculiare destinazione – quella cioè in area di cava per materiali di gruppo A –
non esclude che l’Amministrazione possa, con motivazione assai meno rigorosa di
quanto richiesto dal precedente II comma, autorizzare l’impianto in un’area con
utilizzo o destinazione diversi, purché compatibili (conf. sul punto, T.A.R.
Veneto, III, 7 ottobre 2003, n. 5121), comprese dunque anche aree incluse in
z.t.o. agricola, nella quale, del resto, può essere svolta l’attività di cava (cfr.
art. 13 l.r. 44/82).
Inoltre, ad avviso del Collegio, in presenza di particolari circostanze – come
la mancanza, in un ambito territoriale esteso, di impianti simili, ovvero di
aree con la ricordata destinazione privilegiata – l’Amministrazione, proprio per
la relativa elasticità della disposizione, sarà tenuta a giustificare
adeguatamente la scelta di negare l’autorizzazione, e non le sarà sufficiente
rilevare il contrasto tra la prescrizione di legge ed il concreto utilizzo
dell’area interessata.
5.1. Orbene, nella fattispecie in esame, la motivazione del provvedimento
impugnato appare conforme alle precedenti considerazioni.
Il decreto, invero, anzitutto rappresenta come l’area interessata non presenti
quella destinazione privilegiata cui si riferisce l’art. 21, III comma:
conclusione che il Collegio, per le considerazioni già svolte sub 4.3., non può
che condividere, dato che nell’area in questione erano stati in passato estratti
materiali argillosi, dunque non inclusi nel gruppo A.
Peraltro, il provvedimento non si limita a ciò, ma introduce altresì –
attraverso il recepimento del parere espresso dalla conferenza di servizi – il
riferimento alla presenza costì di un’altra analoga opera: e da ciò trae la
conclusione di non autorizzare il nuovo impianto, la cui “modesta potenzialità
…, e le sue caratteristiche, molto simili a quello esistente, sono tali da
ritenere non giustificata la presenza di due impianti vicini”.
5.2. Orbene, ad avviso del Collegio, in tal modo l’Amministrazione, diversamente
da quanto ritenuto dalla ricorrente, ha fornito una giustificazione, certamente
opinabile ma non illogica, e soprattutto sufficiente in relazione alla ripetuta
prescrizione di legge.
La Provincia ha cioè ritenuto che, esistendo nella zona un altro impianto
destinato alla stessa attività, non vi fossero sufficienti ragioni d’interesse
generale per discostarsi dalla direttiva contenuta nel ripetuto art. 21, III
comma; ovvero, in altri termini, che le esigenze territoriali ed ambientali, da
un canto, e quelle di trasformazione e recupero degli inerti, dall’altro,
trovassero in quell’unico impianto adeguato contemperamento, sì da rendere
opportuno un diverso utilizzo dell’area interessata dal progetto.
6. Il ricorso 154/03 può dunque, infine, essere respinto: il provvedimento
impugnato ha legittimamente fondato il diniego nel contrasto, realmente
esistente, tra l’attuale destinazione dell’area e l’impianto, integrando la
motivazione con argomentazioni che giustificano la scelta dell’Amministrazione
di non discostarsi dall’opzione preferenziale stabilita dall’art. 21, III comma,
l.r. 3/00.
A questo punto, è evidentemente di limitato rilievo stabilire se la
determinazione assunta dal Comune di Campodarsego, ed impugnata con il ricorso
212/03, sia illegittima, poiché ciò non farebbe comunque venir meno l’atto
immediatamente lesivo, il quale non ha quella determinazione tra i suoi
presupposti: non si può peraltro neppure concludere che manchi senz’altro un
interesse alla decisione del ricorso, presentando comunque l’atto gravato una
potenziale levità futura, e rilevando comunque la fondatezza del ricorso ai fine
della decisione sulle spese di lite.
7.1. Orbene, l’impugnata nota 28 aprile 2002, n. 21095, del Comune di
Campodarsego si qualifica come diniego di autorizzazione ambientale alla
realizzazione dell’impianto de quo.
Nel primo motivo di ricorso avverso tale atto (violazione degli artt. 27 d. lgs.
5 febbraio 1997 n. 22, nonché degli artt. 23, 24 e 25 l.r. 21 gennaio 2000 n. 3;
incompetenza) la Fratelli Carraro, dopo aver compendiato la disciplina legale
per l’approvazione del progetto e l’autorizzazione all’apertura di un impianto
per il recupero di rifiuti speciali (cfr. sopra, sub §1), osserva come si tratti
di un procedimento speciale, “che sostituisce … ad ogni effetto visti, pareri
concessioni delle amministrazioni comunali di valenza composta ma comunque
paesistico ambientale territoriale”: sicché il Comune di Campodarsego non
avrebbe avuto alcun titolo ad emettere il provvedimento impugnato, appartenendo
la materia all’esclusiva competenza della Provincia di Padova, previa
acquisizione del parere della commissione tecnica provinciale integrata dai
rappresentanti degli Enti locali, in funzione di conferenza di servizi.
7.2. Ora, è intanto opportuno precisare, facendo proprie le minuziose
osservazioni contenute nel ricorso, che, nonostante la sua qualificazione,
l’atto impugnato non si riferisce all’esistenza di un vincolo ambientale
nell’area interessata, stabilito con un provvedimento specifico o previsto per
legge (attualmente l. art. 146 del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490).
Né per questo è certo sufficiente la “presenza dell’agro centuriato”, come
vagamente si afferma nelle difese dell’Ente: ciò, infatti, ha comportato
soltanto la creazione di una fascia di rispetto archeologico, introdotta con il
locale piano regolatore.
Così, una volta stabilito che il provvedimento ha contenuto e finalità
urbanistico-edilizie, non v’è alcun dubbio che esso sia stato emesso da
un’autorità incompetente, come la ricorrente osserva: e, tra l’altro, per quanto
si desume dalla documentazione in atti, senza che la stessa Fratelli Carraro
avesse presentato al Comune una richiesta in tal senso.
8. Il ricorso 212/03 va dunque accolto, quanto alla domanda d’annullamento; va
invece respinto quanto alla richiesta risarcitoria, non essendo dato
d’individuare alcun nesso causale tra la determinazione comunale ed il
pregiudizio derivante al ricorrente dalla mancata realizzazione dell’impianto.
9. Le spese di giudizio, attesa la complessità e la novità delle questioni
trattate, nonché la parziale reciproca soccombenza, possono essere integralmente
compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, III sezione,
definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, previa riunione:
a) rigetta il ricorso 154/03;
b) accoglie il ricorso 212/03, per la parte in cui impugna la determinazione 28
ottobre 2002, del Comune di Campodarsego; lo rigetta quanto alla domanda di
risarcimento del danno.
Compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 24 marzo 2004.
1) Rifiuti – Impianti di smaltimento – L. R. Veneto n. 3/2000 – Localizzazione sul territorio – Zone territoriali omogenee produttive o a servizi – Proposta di collocamento in altra zona – Diniego – Motivazione – Richiamo alla previsione di legge – Sufficienza – Art. 21 III comma – Impianti per il recupero di rifiuti inerti da costruzione – Localizzazione – Aree di cava di materiali gruppo A – Autorizzazione all’impianto in area a destinazione diversa (z.t.o. agricola) – E’ consentita – Motivazione – Requisiti. In tema di localizzazione degli impianti di smaltimento sul territorio, il legislatore regionale, esercitando la sua potestà normativa in materia urbanistica, ha stabilito, con l.r. 3/00 prescrizioni dettagliate, prevalenti sulle disposizioni comuni contenute nell’art. 27 del d. lgs. 22/97. L’art. 21 fissa la norma generale, per la quale gli impianti di smaltimento e recupero vanno ordinariamente localizzati nelle zone territoriali omogenee produttive o a servizi: sicché la proposta di collocamento in altra zona può essere respinta dall’autorità competente, senza necessità di particolari giustificazioni e solo richiamando la previsione di legge: è invece la scelta di accogliere tale domanda – certamente consentita – che le impone di fornire una congrua motivazione per la deroga disposta. Lo stesso legislatore, poi, per determinate tipologie d’impianti, ha introdotto, al III comma dello stesso art. 21, una disciplina diversa: quanto agli impianti per il recupero di rifiuti speciali inerti da costruzione, si prevede che “preferibilmente” siano collocati in aree di cava di materiali inclusi nel gruppo A. L’avverbio “preferibilmente”, se certamente privilegia una peculiare destinazione – quella cioè in area di cava per materiali di gruppo A – non esclude che l’Amministrazione possa, con motivazione assai meno rigorosa di quanto richiesto dal precedente II comma, autorizzare l’impianto in un’area con utilizzo o destinazione diversi, purché compatibili, comprese dunque anche aree incluse in z.t.o. agricola. In presenza di particolari circostanze – come la mancanza, in un ambito territoriale esteso, di impianti simili, ovvero di aree con la ricordata destinazione privilegiata – l’Amministrazione, proprio per la relativa elasticità della disposizione, è tenuta a giustificare adeguatamente la scelta di negare l’autorizzazione, e non le è sufficiente rilevare il contrasto tra la prescrizione di legge ed il concreto utilizzo dell’area interessata. Pres. Zuballi – Fratelli Carraio s.n.c. (Avv. Micozzi) c. Provincia di Padova (Avv.ti Pata, Carbone e Voci) e Comune di Campodarsego (Avv.ti Domenichelli e Zambelli) - T.A.R. VENETO, Venezia, Sez. III – 5 maggio 2004, n.1353
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