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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, con l’intervento dei signori:


Luigi Trivellato Presidente
Elvio Antonelli Consigliere
Fulvio Rocco Consigliere, Estensore
ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso R.G. 529/2003, proposto dalla L.A.C. - Lega per l’abolizione della caccia – O.N.L.U.S. e dalla L.I.P.U. – Lega Italiana per la protezione uccelli, in persona dei loro legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Maria Caburazzi, con domicilio presso il suo studio in Venezia-Mestre, Via Palazzo n. 27,
contro
la Provincia di Treviso, in persona del suo Presidente pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Botteon, dall’Avv. Antonio Sartori e dall’Avv. Sebastiano Tonon, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, Calle degli Avvocati, San Marco n. 3901,
per l’annullamento
della deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00080 dd. 11 dicembre 2002, recante l’approvazione del “Regolamento di servizio delle guardie giurate volontarie faunistico-venatorie della provincia di Treviso”
Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 18 febbraio 2003 e depositato il 13 marzo 2003;
visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Treviso;
visti i motivi aggiunti di ricorso proposti dalle medesime Lega per l’abolizione della caccia – O.N.L.U.S. e L.I.P.U. – Lega Italiana per la protezione uccelli avverso la deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00051 dd. 29 settembre 2003, recante “Regolamento di servizio delle guardie giurate volontarie faunistico-venatorie della provincia di Treviso. Modifica”
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 18 marzo 2004, (relatore il consigliere Fulvio Rocco) l’Avv. Maria Caburazzi per le ricorrenti Associazioni e l’Avv. Sebastiano Tonon per la Provincia di Treviso;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO E DIRITTO


1.1. Le ricorrenti associazioni, Lega per l’abolizione della caccia – O.N.L.U.S. e L.I.P.U. – Lega Italiana Protezione Uccelli, premettono che per effetto dell’art. 163, comma 3, lettere a) e b), del D.L.vo 31 marzo 1998 n. 112, sono state segnatamente trasferiti alle Province le funzioni e i compiti aventi per oggetto il riconoscimento della nomina a guardia giurata degli agenti venatori dipendenti dagli enti delegati dalle regioni e delle guardie volontarie delle associazioni venatorie e protezionistiche nazionali riconosciute, di cui all'art. 27 della L. 11 febbraio 1992, n. 157, nonché il riconoscimento della nomina di agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla pesca nelle acque interne e marittime, di cui all'art. 31 del R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604 e all'art. 22 della L. 14 luglio 1965 n. 963.


E’ opportuno premettere che il predetto art. 27 della L. 157 del 1992 dispone, per quanto qui segnatamente interessa, che la vigilanza sull’applicazione della legge-quadro sulla caccia e delle conseguenti leggi regionali, oltrechè essere affidata agli ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale dello Stato, alle guardie addette a parchi nazionali e regionali, agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali, forestali e campestri, alle guardie private riconosciute ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e alle guardie ecologiche e zoofile riconosciute da leggi regionali, è pure devoluta:


a) “agli agenti dipendenti degli Enti locali delegati dalle Regioni”, ai quali “è riconosciuta, ai sensi della legislazione vigente, la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. Detti agenti possono portare durante il servizio e per i compiti di istituto le armi da caccia di cui all'articolo 13” della medesima L. 157 del 1992 (fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12; fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40; fucile a due o tre canne combinato, di cui due canne ad anima liscia di calibro non superiore al 12 ed una o due ad anima rigata di calibro non inferiore a millimetri 5,6), nonché armi con proiettili a narcotico. Le armi di cui sopra sono portate e detenute in conformità al regolamento di cui all'articolo 5, comma 5, della L. 7 marzo 1986, n. 65”;


b) “alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D 18 giugno 1931, n. 773”.


Il medesimo art. 27 della L. 157 del 1992 dispone, inoltre, al comma 3 e ss., che gli anzidetti “agenti svolgono le proprie funzioni, di norma, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza. La qualifica di guardia volontaria può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle regioni previo superamento di apposito esame. Le Regioni disciplinano la composizione delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la presenza tra loro paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie, agricole ed ambientaliste. Agli agenti di cui ai commi 1 e 2 (ossia, anche alle predette “guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali”) con compiti di vigilanza è vietato l'esercizio venatorio nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni. Alle guardie venatorie volontarie è vietato l'esercizio venatorio durante l'esercizio delle loro funzioni. I corsi di preparazione e di aggiornamento delle guardie per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza sull'esercizio venatorio, sulla tutela dell'ambiente e della fauna e sulla salvaguardia delle produzioni agricole, possono essere organizzati anche dalle associazioni di cui al comma 1, lettera b) (ossia, sempre “le associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali”) , sotto il controllo della Regione. Le Province coordinano l'attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste. Il Ministro dell'agricoltura e delle foreste (ora Ministro o delle politiche agricole e forestali, a’ sensi dell’art. 1, n. 8 D.L.vo 30 luglio 1999 n. 300 e succ. modd. e intt.), d'intesa con il Ministro dell'ambiente (ora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, a’ sensi dell’art. 1, n. 9, del D.L.vo 300 del 1999 e succ. modd. e intt.), garantisce il coordinamento in ordine alle attività delle associazioni” anzidette, “rivolte alla preparazione, aggiornamento ed utilizzazione delle guardie volontarie”.


Con deliberazione n. 00080 dell’11 dicembre 2002, il Consiglio Provinciale di Treviso ha conseguentemente adottato un Regolamento di servizio delle Guardie giurate volontarie faunistico venatorie della provincia di Treviso, segnatamente relativo alle anzidette guardie venatorie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste.


Le ricorrenti Associazioni precisano che “da molti anni ormai hanno promosso e coordinato su tutto il territorio nazionale, provincia di Treviso compresa, un servizio di guardie particolari venatorie volontarie ai sensi dell’art. 133 e ss. del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773”, dotandosi pure “di proprie regole organizzative interne, le quali esprimono le direttive in ossequio alle quali le guardie venatorie volontarie debbono agire” e indicando, quindi, “con regolamenti nazionali del 30 giugno 1996 e succ. modifiche (23 febbraio 1997 e 6 ottobre 2002) per la L.A.C. e del 10 gennaio 1998 per la L.I.P.U. approvati dagli organi direttivi delle medesime Associazioni, in coerenza con la L. 157 del 1992 … e con il T.U. delle leggi di pubblica sicurezza … quali soggetti possano chiedere la nomina a guardia giurata di L.A.C. e L.I.P.U., a strutturare l’organizzazione del servizio sotto il profilo funzionale, a disciplinare le modalità delle prestazioni delle proprie guardie giurate, nonché a stabilire le modalità per il costante aggiornamento legislativo e professionale delle guardie venatorie” (cfr. pag. 3 e ss. dell’atto introduttivo del presente giudizio).


Le ricorrenti Associazioni reputano - in via generale - che il Regolamento anzidetto fuoriesca dal contesto delle competenze che l’anzidetto art. 27, comma 8, della L. 157 del 1992 segnatamente attribuisce alla Province in materia di “ccordinamento” dell' “attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste”, interferendo – per contro – con l’autonomia delle associazioni medesime, ed evidenziano che il Regolamento medesimo non contempla alcun riconoscimento economico a favore delle associazioni anzidette, ma solo onerosi servizi e strutture con spese a carico; né verrebbero contemplati servizi utili o, comunque, indispensabili come asseritamente prefigurati dall’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992, come – ad esempio – l’istituzione di un numero verde di reperibilità degli agenti, il servizio di ricerca dei numeri di targa degli autoveicoli a mezzo di Internet e la tempestiva trasmissione alle associazioni di appartenenza delle Guardie volontarie di ogni determinazione relativa al calendario venatorio, alle autorizzazioni all’allevamento di fauna selvatica protetta, all’istituzione o alla revoca di aziende venatorie private, ai censimenti della fauna selvatica, agli interventi di controllo della fauna, alla cattura delle lepri nelle zone di ripopolamento e cattura, nonché alla cattura di richiami vivi nei roccoli e nelle prodine.


1.2. Ciò posto, con il ricorso in epigrafe la L.A.C. e la L.I.P.U. chiedono l’annullamento del Regolamento predetto, deducendo, sotto più profili, la violazione dell’art. 14, commi 9, 11 e 14, dell’art. 27, commi 7 e 9, nonché dell’art. 28 della L. 157 del 1992, nonché la violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241, dell’art. 2 del R.D.L. 26 settembre 1935 n. 1952 convertito in L. 19 marzo 1936 n. 508, dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998, degli artt. 13, 230 e 254 del R.D. 6 maggio 1940 n. 635, degli artt. 13, 17, 138 comma 1, nn. 1 e 4, 138 nel suo intero testo e 140 del T.U. approvato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773, degli artt. 21, comma 8, 24, comma 2 e 34, comma 2, della L.R. 9 dicembre 1993 n. 50, del R.D. 22 novembre 1929 n. 1486, del R.D. 29 ottobre 1922 n. 1647, del R.D. 8 ottobre 1931 n. 1604, della L.R. 28 aprile 1998 n. 19, del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, della L.R. 21 gennaio 2000 n. 3, del D.L.vo 11 maggio 1999 n. 152, del D.L.vo 18 agosto 2000 n. 258, del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, della L.R. 19 agosto 2996 n. 23 e della L.R. 21 marzo 1992 n. 14: il tutto, segnatamente riferito agli artt. 2, comma 2, 3, commi 2, 3, 5, 6, e 8, 4, 13 e 14, 4, commi 2, 3 e 4, 5, commi 2 e 6, 6, commi 4, 8, 9, 11 e 14, nonchè 7 del Regolamento adottato dal Consiglio Provinciale.


2. Si è costituita in giudizio la Provincia di Treviso, eccependo in via preliminare, e sotto più profili, l’inammissibilità del ricorso e concludendo, comunque, per la reiezione nel merito del medesimo.


3. Con ordinanza n. 529 dd. 2 aprile 2003 la Sezione ha ritenuto insussistenti i presupposti richiesti dall’art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come modificato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205 agli effetti della sospensione del provvedimento impugnato, posto che “il danno, alla stato non presenta(va) i prescritti caratteri di gravità e irreparabilità, anche in considerazione della circostanza che l’udienza per la trattazione del merito della causa” era stato contestualmente fissato per il 23 ottobre 2003, ma ha comunque considerato, in quella sede di sommaria delibazione della fattispecie, che il ricorso appariva “sorretto da apprezzabili elementi di fumus, in specie per quanto riguarda i motivi sub 4 e 8”, segnatamente riferiti agli artt. 3, comma 5, e 4, commi 2, 3 e 4 del Regolamento, ossia all’abilitazione, all’aggiornamento e alle attribuzioni delle guardie giurate.


4. Con deliberazione n. 00051 dd. 29 settembre 2003 il Consiglio Provinciale di Treviso ha ritenuto “di dover adeguare” il Regolamento già approvato con la precedente deliberazione n. 00080 dd. 11 dicembre 2002 “alle indicazioni e alle esigenze di modifica evidenziate negli ultimi mesi” e ha fatto seguire a tale enunciazione dapprima la ricognizione del testo degli artt. 1, 2, 3, 4, 7 e 8 del Regolamento - segnatamente interessati dalle modifiche - così come vigente a quel momento e con l’evidenziazione in carattere neretto delle parti per le quali si proponevano gli emendamenti, quindi l’enunciazione degli emendamenti stessi e, da ultimo, la riscrittura del nuovo testo coordinato dei predetti articoli con le modifiche, a loro volta riportate in neretto rispetto al restante testo.


Tale riscrittura è preceduta dalla seguente frase: “il Consiglio …con n. 28 voti favorevoli unanimi resi in forma palese con sistema elettronico ed accertati con l’assistenza degli scrutatori presenti, delibera di approvare, per i motivi esposti in premessa, le modificazioni al Regolamento di servizio delle guardie giurate volontarie faunistico-venatorie della Provincia di Treviso così come esposto in narrativa, e che si riportano in seguito: …”.


5. In relazione a tale ulteriore provvedimento dell’Amministrazione Provinciale, le ricorrenti Associazioni hanno - pertanto - proposto motivi aggiunti, con conseguente rinvio della trattazione della causa ad altra pubblica udienza.


Al riguardo, le parti ricorrenti hanno dedotto sotto più profili, la violazione dell’art. 14, commi 9, 11 e 14, dell’art. 27, commi 7 e 9, nonché dell’art. 28, comma 5 e dell’art. 28, intero testo, della L. 157 del 1992, nonché la violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990, dell’art. 2 del R.D.L.1952 del 1935 convertito in L. 508 del 1936, dell’art. 13 della L. 24 novembre 1981 n. 689, dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998, degli artt. 13, 230 e 254 del R.D. 635 del 1940, degli artt. 13, 17, 138 comma 1, nn. 1 e 4, 138 nel suo intero testo e 140 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931, dell’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, il tutto, segnatamente riferito agli artt. 2, comma 2, 3, commi 2, 3, 6 e 13, 4, comma 2 intero testo e lettera b), 5, comma 2, 6, comma 11, 7, comma 2 e intero testo, nonché 8, comma 1,del nuovo testo adottato dal Consiglio Provinciale.


6. Con ulteriore memoria la Provincia di Treviso ha evidenziato che, mediante l’anzidetta deliberazione consiliare n. 00051 dd. 29 settembre 2003, l’Amministrazione Provinciale avrebbe inteso conformarsi al contenuto della surriportata statuizione cautelare adottata dalla Sezione, introducendo nel precedente articolato la soppressione dell’effetto automatico negativo della pendenza di procedimenti penali, l’innovazione costituita dalla previsione di una mera facoltà di sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in caso di procedimento penale pendente, nonché la riduzione delle materie di competenza delle guardie.


La medesima difesa della Provincia ha, comunque, proposto eccezioni di inammissibilità anche nei confronti dei motivi aggiunti e ha concluso, in subordine, per la reiezione degli stessi.


7. Alla pubblica udienza del 18 marzo 2004 la causa è stata trattenuta per la decisione.


8.1. Il Collegio rileva, in primo luogo, la necessità di verificare il rapporto che sussiste tra i le due deliberazioni consiliari rese oggetto di impugnazione: e ciò anche al fine della disamina delle eccezioni preliminari di inammissibilità complessivamente sollevate dalla difesa dell’Amministrazione Provinciale.


8.2 La difesa della Provincia, infatti, rileva che la deliberazione consiliare n. 00051 del 29 settembre 2003 non sostanzia un’integrale riapprovazione del testo normativo già adottato per effetto della precedente deliberazione consiliare n. 00080 dell’11 dicembre 2002, costituendo – semmai – essa un provvedimento recante mere modificazioni al regolamento già vigente: il che, dunque, precluderebbe alle ricorrenti Associazioni la possibilità – mediante motivi aggiunti - di proporre avverso l’articolato annesso alla medesima deliberazione 00051 del 2003 anche nuove censure riferite a parti del testo stesso in vigore sin dal momento dell’adozione della deliberazione n. 00080 del 2002 e a quel tempo non dedotte.


Il Collegio - per parte propria - rileva che le modifiche introdotte nel Regolamento per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 non sono marginali, posto che sostituiscono per una considerevole parte gli artt. 3, 4, 7 e 8 nella loro precedente formulazione, nonché – in forma più contenuta – l’art. 1, riguardante la composizione del Comitato per il Coordinamento Provinciale delle Guardie Volontarie, e l’art. 2 nella parte che concerne il procedimento di nomina del Responsabile Provinciale del Coordinamento della Vigilanza Volontaria.


Se ne deduce, quindi, che - a differenza di quanto qui sostiene la difesa della Provincia - le innovazioni apportate alla precedente disciplina non hanno riguardato soltanto la soppressione dell’effetto automatico negativo della pendenza di procedimenti penali correlata all’introduzione di una mera facoltà di sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in caso di procedimento penale pendente, nonché la riduzione delle materie di competenza delle guardie, ma hanno coinvolto la maggior parte degli istituti contemplati dal precedente articolato, ivi compresa la disciplina transitoria contenuta nel suo art.8.


8.3. La sopradescritta eccezione di inammissibilità di quei motivi aggiunti che le ricorrenti Associazioni hanno riferito anche a parti del testo normativo non modificati per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 non assume, peraltro, alcun concreto rilievo nell’economia di causa, in quanto l’oggetto delle relative censure risulta del tutto identico ai motivi già formulati nell’atto introduttivo del presente giudizio e segnatamente proposti avverso le medesime disposizioni.


Pertanto, le censure che saranno qui appresso esaminate riguardano, nell’ordine, tutti gli articoli del Regolamento nel testo complessivamente oggi vigente e che le ricorrenti Associazioni hanno inteso contestare, a seconda che gli articoli medesimi siano stati modificati o meno per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003, mediante i motivi aggiunti o mediante il ricorso originariamente proposto.


8.4. Il Collegio, altresì, respinge l’ulteriore eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa della Provincia laddove afferma - con riferimento all’orientamento giurisprudenziale espresso anche, ad es. , da Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2003 n. 35 - che le ricorrenti Associazioni non potrebbero chiedere, nella presente sede di giudizio, l’annullamento del Regolamento impugnato, ma soltanto la sua disapplicazione ove se ne ravvisasse la difformità rispetto alla sovrastante disciplina legislativa statale o regionale.


Tale assunto è privo di fondamento, in quanto la stessa decisione n. 35 del 2003, resa dalla Sezione V del Consiglio di Stato e citata dalla difesa della Provincia, afferma che “il giudice amministrativo può disapplicare atti non ritualmente impugnati nelle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva, relativamente alle controversie relative ai diritti soggettivi, nonché nei riguardi di regolamenti illegittimi, quando il provvedimento impugnato sia contrastante col regolamento, ovvero sia conforme al presupposto normativo, e, in ogni caso, anche quando si verte in materia di interessi legittimi; pertanto, al di fuori di tali ipotesi, va esclusa la disapplicazione di atti non impugnati, e in particolare di quelli che, ancorché connotati da una valenza generale, risultano privi di natura normativa” (cfr., nello stesso senso, pure Cons. Stato, Sez. V, 26 febbraio 1992 n. 154, 24 luglio 1993 n. 799 e 19 settembre 1995 n. 1).


Da ciò, dunque, agevolmente si deduce che la disapplicazione della fonte regolamentare può avvenire nelle sole ipotesi in cui la fonte stessa non sia stata impugnata in via principale.


Nel caso di specie, poiché le ricorrenti Associazioni hanno impugnato entro i termini decadenziali di cui all’art 1 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, così come modificato dall’art. 1 della L. 21 luglio 2000 n. 205, le due deliberazioni consiliari che hanno rispettivamente approvato e modificato il Regolamento, la questione della disapplicazione del Regolamento medesimo risulta inconferente nell’economia di causa.


8.5. Va, viceversa, accolta l’eccezione preliminare della difesa della Provincia che afferma l’inammissibilità della domanda delle ricorrenti Associazioni diretta ad ottenere l’annullamento dell’intero articolato che compone il Regolamento, e ciò anche se risultano segnatamente censurate singole disposizioni dello stesso.


Tale assunto dell’Amministrazione Provinciale va condiviso, in quanto del tutto coerente con il principio della domanda (cfr. art. 112 cod. proc. civ.) che disciplina anche il presente processo.


9.1 Ciò posto, con la prima censura contenuta nell’atto introduttivo del presente giudizio e riproposta anche quale prima censura dei motivi aggiunti, si chiede l’annullamento dell’art. 2, comma 2, del Regolamento, laddove dispone che “il Responsabile del Coordinamento attua le disposizioni del Dirigente e, tramite le associazioni di appartenenza, organizza e coordina l’attività delle guardie volontarie, predispone i programmi periodici e territoriali, forma pattuglie, riceve ed approva gli ordini di servizio inviati dalle Associazioni …”.


Le ricorrenti reputano che la surriportata disciplina sia difforme sia dall’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992, in forza del quale “le Province coordinano l’attività delle guardie volontarie delle associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste”, sia dall’art. 2 del R.D.L. 1952 del 1935 convertito in L. 508 del 1936, laddove obbliga il soggetto che impiega le guardie venatorie volontarie a sottoporre all’approvazione del Questore le modalità di svolgimento del servizio.


Il Collegio, per parte propria, evidenzia che le attività di predisposizione dei programmi periodici e territoriali, di formazione delle pattuglie, di ricezione e di approvazione degli ordini di servizio inviati dalle Associazioni costituiscono naturali estrinsecazioni delle potestà di coordinamento devolute alle Amministrazioni Provinciali a’ sensi del testè citato art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992: potestà alle quali anche le guardie giurate delle Associazioni qui ricorrenti devono, pertanto, sottostare senza che ciò costituisca interferenza con l’autonomia delle Associazioni stesse.


Né può prospettarsi, dopo l’entrata in vigore dell’art. 163, comma 3, lettere a) e b), del D.L.vo 112 del 1998 una permanenza, per quanto segnatamente attiene alle guardie giurate delle Associazioni medesime, dei poteri questorili di cui all’art. 2 del R.D.L. 1952 del 1935 convertito in L. 508 del 1936.


9.2. Con la seconda censura contenuta nell’atto introduttivo del presente giudizio e riproposta anche quale seconda censura dei motivi aggiunti, si chiede l’annullamento dell’art. 3, comma 2, del Regolamento, laddove si dispone che “Entro le date stabilite annualmente dall’Amministrazione Provinciale, le Associazioni dovranno trasmettere le richieste di rinnovo del decreto delle proprie guardie e/o le nuove domande”.


Secondo le ricorrenti, posto che la validità dei decreti abilitanti le guardie è di un anno, e che ai sensi dell’art. 13 del R.D. 773 del 1931 e dell’art. 13 del R.D. 635 del 1940 le domande non possono essere presentate prima della scadenza dei rinnovi, conseguirebbe da ciò un’evidente paralisi nella continuità del servizio svolto dalle guardie.


Il Collegio, per parte propria, evidenzia che il paventato timore della compromissione della continuità del servizio discende – semmai – proprio dalla disposizione, segnatamente contenuta nel testè citato art. 13 del R.D. 635 del 1940 e non già nel Regolamento provinciale, secondo cui “la domanda di rinnovazione deve essere presentata prima della scadenza del provvedimento”.


Inoltre, la surriportata disciplina contenuta nel Regolamento, disponendo – si badi – senza alcuna diretta prefissione di termini temporali, che entro le date stabilite annualmente al riguardo dall’Amminstrazione Provinciale le Associazioni trasmetteranno all’Amministrazione medesima le richieste di rinnovo del decreto delle proprie guarie e le eventuali nuove domande, non può per certo sostanziare alcuna attuale lesione in capo alle ricorrenti.


9.3. Con il terzo motivo di ricorso, nonché terzo motivo aggiunto di ricorso, le ricorrenti chiedono l’annullamento dell’art. 3, comma 3, del Regolamento, laddove impone tra i requisiti per la concessione della qualifica di Guardia giurata volontaria venatoria, la residenza nella provincia di Treviso.


Secondo le ricorrenti, tale disposizione violerebbe i principi fondamentali dell’Unione Europea che vietano ogni discriminazione e limitazione di movimento e attività di ogni cittadino europeo all’interno dell’Unione medesima, e violerebbe pure l’art. 138, primo comma, n. 1) del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 che, per la nomina a Guardia Giurata, chiede il possesso della cittadinanza italiana senza alcuna precisazione in ordine alla provincia di residenza.


Anche tali argomenti delle ricorrenti non risultano accoglibili.


Premesso che a’ sensi dell’art. 17 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea – ora Unione Europea – risulta, nel testo conseguente dall’art. 2 del Trattato di Amsterdam, reso esecutivo nel nostro ordinamento con L. 16 giugno 1998 n. 109, che “la cittadinanza dell'Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima” e che “i cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente Trattato”, “il diritto” contestualmente riconosciuto ad ogni cittadino europeo “di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso” non risulta, all’evidenza, leso dalla circostanza che l’ordinamento interno di uno Stato contempli obblighi di residenza motivati dalla particolare rilevanza delle funzioni – in questo caso, evidentemente pubbliche – alle quali il cittadino stesso sia chiamato e che possono richiedere pure l’urgente reperibilità ai fini dello svolgimento delle funzioni medesime: reperibilità, a ben vedere, naturalmente insita anche nello stesso concetto di partecipazione al “coordinamento” di cui all’anzidetto art. 2 del Regolamento.


Né va sottaciuto che l’obbligo della residenza scaturisce, nel caso di specie, non da un obbligo derivante dallo svolgimento di un’attività lavorativa, ma dallo svolgimento di un servizio svolto volontariamente dall’interessato.


Inoltre, la stessa disposizione contenuta nell’art. 138, comma 1, n. 1 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 e modificato dall’art. 33 della L. 1° marzo 2002 n. 39, secondo la quale per svolgere le funzioni di guardia giurata risulterebbe sufficiente, per quanto qui segnatamente interessa, “essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea”, non può esimere i soggetti che si avvalgono di tali guardie dal contemplare anche particolari obblighi di residenza – ferma restando la non discriminazione in ordine alla cittadinanza italiana o comunitaria comunque posseduta – in relazione alla comprovata particolarità delle mansioni da svolgere.


9.4. Il quarto motivo aggiunto di ricorso si sostituisce al quarto motivo di ricorso originariamente proposto, in quanto la precedente disciplina contemplante l’effetto automatico negativo della pendenza di procedimenti penali è stata soppressa e sostituita dall’introduzione di una mera facoltà di sospensione degli effetti del decreto di riconoscimento in caso di procedimento penale pendente.


In tal senso, infatti, l’art. 7, comma 2, del Regolamento ora dispone che “per motivi cautelari, il decreto può essere sospeso per tutto il tempo del giudizio in caso di procedimento penale pendente a carico della Guardia Volontaria”.


Inoltre, a’ sensi dell’art. 3, comma 13, del Regolamento “il decreto non è comunque rilasciato o rinnovato a coloro che hanno subito condanne penali diventate definitive nell’ultimo quinquennio”.


Secondo la tesi delle ricorrenti, il rinnovo e il rilascio del decreto di Guardia Giurata risulterebbe disciplinato in via esclusiva dal T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 e dalla conseguente disciplina regolamentare approvata con R.D. 635 del 1940, con la conseguenza che la fonte regolamentare provinciale non potrebbe modificare o integrare sul punto le fonti normative statuali.


Le ricorrenti evidenziano, in proposito, che l’art. 138, comma 1, n. 4), del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 reca, quale unica disposizione ostativa al rilascio del decreto, il “non avere riportato condanna per delitto”, e da ciò concludono nel senso che la semplice pendenza di un procedimento penale non potrebbe costituire, di per sé, presupposto per il diniego di rinnovo del decreto o sospensione di efficacia dello stesso, e che la condanna per un reato non riconducibile a delitto secondo quanto previsto dal Codice Penale parimenti non potrebbe essere ostativa per il rinnovo del decreto.


Il Collegio, per parte propria, evidenzia che a’ sensi dell’art. 10 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 è pure possibile sospendere gli effetti delle autorizzazioni di polizia, ivi dunque comprese quelle riguardanti le guardie giurate.


La giurisprudenza, a sua volta, ha da tempo introdotto, in via pretoria e utilizzando l’invero scarno disposto dell’art. 10 testè citato, puntuali principi che disciplinano l’uso delle potestà cautelari di sospensione del servizio delle guardie giurate assoggettate a procedimento penale (cfr., ex multis, al riguardo T.A.R. Lombardia, Sez. I, 2 dicembre 1999 n. 1490, secondo il quale “nel caso in cui vi sia stata una denuncia penale e sia in corso un procedimento per l' accertamento di fatti astrattamente delittuosi, l' Amministrazione non può procedere all' immediata revoca della nomina a guardia, ma semmai alla sua sospensione in attesa della definizione del giudizio, che, se comporterà una condanna, darà luogo successivamente alla revoca ai sensi dell' art. 138 punto 4 T.U. 18 giugno 1931 n. 773”).


In tale contesto, quindi, risulta legittima la disposizione dell’art. 7, comma 2, del Regolamento provinciale che prevede la sospensione del rilascio o del rinnovo del decreto di guardia giurata nelle ipotesi di procedimento penale pendente a carico dell’interessato.


Viceversa, contrasta per certo con l’art. 138, comma 1, n. 4 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 - sostanziando, in tal senso, un’illegittima innovazione contra legem rispetto alla disciplina statale di principio - la disposizione di cui all’art. 3, comma 13, del Regolamento medesimo laddove non limita alle condanne per delitto la causa ostativa per il rilascio o il rinnovo del decreto.


9.5. Con la quinta censura dei motivi aggiunti, corrispondente nella sostanza al quinto motivo contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio, le ricorrenti Associazioni chiedono l’annullamento dell’art. 3, comma 6 (recte: 5), del Regolamento provinciale, laddove si dispone che “per il rinnovo della qualifica di Agente di Vigilanza Volontaria è necessario partecipare ad un apposito corso istituito dalla Provincia”, del susseguente comma 11 dello stesso articolo, laddove si dispone che “al termine delle prove” di esame “superate con esito positivo”, sarà rilasciato un certificato di abilitazione che permetterà, fermo restando i requisiti previsti dall’art. 138” del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 “di ottenere il rinnovo della qualifica di Agente di Vigilanza Venatoria” e dell’art. 6, comma 14, del Regolamento medesimo, in forza del quale “le Guardie volontarie sono tenute a partecipare ai corsi ed alle riunioni di aggiornamento con frequenza obbligatoria predisposti dall’Ufficio di Coordinamento e concordati con le Associazioni”.


Secondo le ricorrenti, le surriportate disposizioni confliggerebbero con l’art. 27, comma 8, della L. 157 del 1992, laddove testualmente esonera “i cittadini in possesso, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, della qualifica di guardia venatoria volontaria alla data di entrata in vigore della presente legge” dall’obbligo di conseguire l’attestato di idoneità “di cui al comma 4” dello stesso articolo (cfr. ivi: “La qualifica di guardia volontaria può essere concessa, a norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, a cittadini in possesso di un attestato di idoneità rilasciato dalle regioni previo superamento di apposito esame. Le Regioni disciplinano la composizione delle commissioni preposte a tale esame garantendo in esse la presenza tra loro paritaria di rappresentanti di associazioni venatorie, agricole ed ambientaliste”), nonché con il comma 6 del medesimo art. 27 e con l’art. 34, comma 2, della LR. 50 del 1993, che devolverebbero – sempre secondo la prospettazione delle ricorrenti il compito di effettuare i relativi corsi alle sole associazioni agricole, venatorie e di protezione ambientale, e non già alle Amministrazioni Provinciali.


Il Collegio, per parte propria, rileva – innanzitutto -la piena legittimità del surriportato art. 6, comma 14, del Regolamento, posto che rientra nelle intrinseche potestà del Coordinamento disporre riunioni e corsi di aggiornamento delle Guardie volontarie, soprattutto se – come espressamente afferma la disposizione in esame – tali iniziative sono “concordate” con le Associazioni, le quali – del resto – compete a’ sensi degli anzidetti art. 27, commi 6 e 9, della L. 157 del 1992 e art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993 possono procedere alla materiale organizzazione di tali iniziative di formazione degli operatori.


Ad una diversa conclusione si perviene, viceversa, per la disciplina contenuta nell’art. 3, comma 5 e comma 11, del Regolamento.


La difesa della Provincia si è, invero, sforzata di dimostrarne la funzione asseritamente integrativa rispetto alla disciplina contenuta nell’art. 27, commi 6 e 8, della L. 157 del 1992 e nell’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, ma tale assunto risulta agevolmente smentito dalla stessa collocazione sistematica delle disposizioni qui impugnate. Ferma restando, infatti, l’esigenza dell’aggiornamento professionale per tutti gli interessati - peraltro, già adeguatamente normata dal predetto art. 6, comma 14, dello stesso Regolamento - esse, infatti, incidono sulla stessa permanenza dei requisiti per il rilascio del decreto di nomina o di rinnovo nella qualifica di Guardia Volontaria: e ciò, non solo con riguardo alla posizione giuridica “acquisita” di coloro che, a’ sensi dell’ anzidetto art. 27, comma 8, della L. 157 del 1992, erano già titolari, all’entrata in vigore di tale disciplina della qualifica di guardia venatoria volontaria, ma anche con riguardo alla posizione di coloro che, testualmente, ove non superino gli esami abbinati ai corsi organizzati dall’Amministrazione Provinciale, non possono ottenere il rilascio o il rinnovo del decreto.


Sotto questo profilo, pertanto, è indubitabile che le disposizioni contenute nei testè citati commi 5 e 11 dell’art. 3 del Regolamento confliggono con l’assetto complessivamente emergente dall’art. 27, commi 6 e 8, della L. 157 del 1992 e dal’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, nel quale – per contro – una competenza è devoluta al riguardo anche (ma non in via esclusiva) alle Associazioni anzidette; e risulta altrettanto assodato che con le disposizioni regolamentari testè enunciate l’Amministrazione Provinciale si propone l’illegittimo fine di svuotare di ogni specifico contenuto, anche - e soprattutto - in termini di riconoscimento della loro specifica valenza propedeutica all’abilitazione di cui all’art. 27, comma 4, della stessa L. 157 del 1992, le iniziative formative previste dalla disciplina legislativa statale e regionale.


Pertanto, i commi 5 e 11 dell’art. 3 del Regolamento risultano illegittimi nella parte in cui non consentono anche alle associazioni di cui all’art. 27 commi 6 e 8 della L. 157 del 1992 e all’art. 34 comma 2 della L.R. 50 del 1993 la possibilità di organizzare i corsi – assentiti dall’Amministrazione Regionale comprensivi di esami – per il rilascio del decreto di nomina o di rinnovo nella qualifica di Guardia volontaria.


9.6. Il sesto motivo aggiunto di ricorso, corrispondente per ampia parte al settimo motivo del ricorso originariamente proposto, ha per oggetto l’annullamento degli artt. 4, comma 2, 6, comma 11 e 5, comma 2, del Regolamento.


Nell’ordine, l’art. 4, comma 2, dispone che le Guardie Volontarie “possono operare esclusivamente nelle zone e nel periodo in cui sono di servizio …”; l’art. 6, comma 11, dispone che “le Guardie Volontarie prestano servizio esclusivamente nel territorio della Provincia di Treviso, all’interno della zona loro assegnata, secondo l’ordine predisposto dalle associazioni di appartenenza e depositato preventivamente in Provincia. Nessun servizio può essere svolto in autonomia. Nel caso di intervento urgente – che deve essere in ogni caso motivato – l’azione non prevista dall’ordine di servizio può essere svolta previo avvertimento – anche a mezzo segreteria telefonica – della Vigilanza Provinciale”; l’art. 5, comma 2, dispone invece che “Le Guardie Giurate Venatorie Volontarie, limitatamente alle loro zone di servizio e all’orario di prestazione dello stesso, rivestono la qualifica di pubblici ufficiali”.


Secondo le ricorrenti Associazioni, risulterebbero in tal modo violati l’art. 27, comma 7, della L 157 del 1992, l’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998 e l’art. 3 della L. 241 del 1990 e ricorrerebbe il vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione e per sviamento, in quanto le surriportate limitazioni di zone di servizio e di orario impedirebbero una proficua utilizzazione del personale volontario, in ordine alla quale risulterebbe essenziale la flessibilità dell’impiego delle risorse umane disponibili, anche in considerazione della frequente esigenza di un pronto riscontro delle frequenti segnalazioni di violazioni della disciplina venatoria da parte dei cittadini.


Il Collegio, per parte propria, non reputa violata nella specie la disciplina legislativa testè enunciata, in quanto la funzione del coordinamento postula, all’evidenza, una pianificazione dell’intervento di vigilanza: pianificazione che, oltre a tutto, l’Amministrazione Provinciale – come emerge dallo stesso dato letterale delle disposizioni regolamentari in esame – non svolge in via apoditticamente autoritativa, ma secondo “l’ordine predisposto dalle associazioni di appartenenza e depositato preventivamente in Provincia”.


Rimane, inoltre, salvo l’intervento di urgenza e non previamente pianificato, essendo chiesta soltanto una puntuale motivazione dello stesso, ragionevolmente riconducibile anche alla segnalazione avuta da parte di terzi e alla conseguente esigenza di pronta repressione dell’illecito.


9.7 Ragioni di ordine sistematico consigliano, a questo punto, di esaminare il nono motivo del ricorso ab origine proposto avverso lo stesso art. 5, comma 2, nonché avverso il susseguente comma 7 del Regolamento, laddove non risulterebbero riconosciute alle Guardie Giurate Volontarie funzioni di polizia giudiziaria, stante il fatto che al comma 2 testè citato esse sono definite quali “pubblici ufficiali” e al comma 7 si impone loro di chiedere l’intervento di un Ufficiale di Polizia Giudiziaria allorquando ricorrano le fattispecie di cui all’art. 352 cod. proc. pen. e dell’art. 113 delle relative norme di attuazione (perquisizione), nonché in ogni altra evenenienza in cui sussista la competenza degli Ufficiali o Agenti di Polizia Giudiziaria.


Il Collegio non sottace che la questione circa la riconducibilità, o meno, delle Guardie Giurate Venatorie Volonatrie a soggetti investiti di funzioni di Polizia Giudiziaria risulta a tutt’oggi controversa.


A tale proposito la difesa delle ricorrenti ha allegato, a conforto della tesi che riconosce alle Guardie la qualifica anzidetta, due isolate sentenze della Corte di Cassazione, Sez. III, 1 aprile 1988 n. 1151 e 16 dicembre 1997 n. 4408 (quest’ultima, riguardante la L.I.P.U. ma limitata ad un riconoscimento delle funzioni di Agente, e non già di Ufficiale di Polzia Giudiziaria), nonché numerosi pareri resi al riguardo da talune Procure della Repubblica.


Il Collegio, per parte propria, reputa – per contro – di aderire all’indirizzo ermeneutico più rigoroso formatosi sull’art. 27 della L. 157 del 1992, laddove il comma 1, lett. a) esplicitamente riconosce agli Agenti dipendenti degli Enti Locali delegati alle Regioni la qualifica di polizia giudiziaria, ed in evidente contrapposizione a ciò la lettera b) dello stesso comma non riconosce la qualifica medesima alle Guardie Giurate Volontarie, senza che possa ragionevolmente argomentarsi nulla in contrario – proprio in ragione della notoria delicatezza delle funzioni stesse, presupponenti una stabile inserzione del soggetto che le esercita nel contesto organizzatorio pubblico – in termini di interpretazione analogica o sistematica.


Tale indirizzo è condiviso anche da Cons. Stato, Sez. I, 29 agosto 1994 n. 2296/94, nonché da Cass, Sez. V, 8 aprile 1997 n. 4898, Sez. III, 27 marzo 1996 n. 1519, 3 maggio 1995 n. 1600, 27 febbraio 1995 n. 613.


Ne consegue, quindi, che le testè riferite disposizioni del Regolamento risultano immuni dai vizi dedotti dalle ricorrenti.


9.8 Con il settimo motivo aggiunto di ricorso, corrispondente al quattordicesimo motivo contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio, le ricorrenti contestano il fondamento delle potestà disciplinari contemplate dall’art. 7 del Regolamento ed esercitate dall’Amministrazione Provinciale nei confronti delle Guardie Volontarie “per le violazioni al presente regolamento o qualora l’attività prestata dalle singole Guardie contrasti, o comunque non sia uniforme, con le presenti norme o con le iniziative di coordinamento”: sanzioni che sono previste nella misura della sospensione dal servizio per un periodo da tre a sei mesi, nonché nella misura del rifiuto del rinnovo del decreto, ovvero nella revoca (rectius: sospensione) dello stesso, per un periodo minimo di un anno.


Le ricorrenti reputano che il sopradescritto regime sanzionatorio confligga con quello contemplato dagli artt. 17 e 140 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931.


Peraltro, il richiamo a tali disposizioni del T.U.L.P.S. risulta inconferente, in quanto si tratta di sanzioni di tipo penale, mentre l’Amministrazione Provinciale a ragione ha ricavato, nel contesto concettuale proprio del “coordinamento”, anche misure sanzionatorie disciplinari al fine di poter rendere effettive le funzioni ad essa attribuite ex lege.


Ne deriva che la disposizione regolamentare in esame si sottrae alle censure proposte.


9.9 Le ricorrenti, mediante l’ottavo motivo aggiunto di ricorso – corrispondente al quindicesimo motivo di ricorso proposto ab origine – hanno pure chiesto l’annullamento dell’art. 8, comma 1, del Regolamento, laddove dispone che “i decreti che scadranno dopo l’entrata in vigore del presente Regolamento, saranno rinnovati solo dopo il superamento del primo corso di aggiornamento che sarà effettuato nei termini previsti dall’articolo 3”.


Tale domanda va accolta, in quanto tale disposizione risulta – all’evidenza – sistematicamente correlata con quelle già annullate in relazione a quanto evidenziato al § 9.5. della presente sentenza e presupponendo, quindi, l’unico corso di aggiornamento curato in via esclusivadalla stessa Amministrazione Provinciale.


9.10. Con il nono motivo aggiunto di ricorso le ricorrenti chiedono l’annullamento dell’art. 4, comma 2, lettera b), del Regolamento, laddove dispone – tra l’altro - che è compito delle Guardie “svolgere attività di prevenzione e di vigilanza venatoria, accertare le violazioni delle leggi e dei regolamenti in materia venatoria redigendo gli apposti verbali di riferimento”.


Le censure delle ricorrenti Associazioni si incentrano, a tale riguardo, sulla legittimità dell’inciso “redigendo gli appositi verbali di riferimento”, ritenuto difforme dall’art. 28, comma 5, della L. 157 del 1992 e dall’art. 13 della L. 689 del 1981.


La difesa dell’Amministrazione Provinciale ha tentato di fondare la legittimità della disposizione mediante una sua lettura, alquanto improbabile, nel senso che i processi verbali di contestazione devono - scontatamente - riferirsi alle disposizioni di legge e regolamentari violate.


Il Collegio non aderisce a tale prospettazione e, conseguentemente, accoglie la censura proposta dalle ricorrenti stante il ben noto significato tecnico assunto dal termine di “verbale di riferimento” rispetto al processo verbale di vero e proprio accertamento dell’illecito: il primo, infatti – come è ben noto - non è contemplato dall’art. 13 della L. 689 del 1981 ed implica la formazione di una mera relazione su quanto accaduto da inoltrare ad un’Autorità gerarchicamente sovraordinata che formalizzerà poi l’accertamento.


Per contro – e come rettamente rilevato dalle ricorrenti – alle Guardie Giurate Volontarie è espressamente riconosciuta la competenza a formare processi verbali di diretto accertamento degli illeciti di loro competenza (cfr., ad es., ex multis, Cass. Sez. I, 28 maggio 1988 n. 3670, segnatamente riguardante il processo verbale redatto da una Guardia Giurata Venatoria Volontaria operante nella provincia di Treviso, nonché lo stesso parere di Cons. Stato, Sez. I, 29 agosto 1994 n. 2296/94, dianzi citato): e da ciò, quindi, consegue l’accoglimento della censura formulata dalle ricorrenti.


9.11. Il sesto motivo di ricorso, con il quale è stato impugnato l’originario testo dell’art. 3, comma 8, del Regolamento risulta superato dalla circostanza che per effetto della deliberazione consiliare n. 00051 del 2003 tale disposizione è stata modificata.


Tale modifica non è stata, di per sé, impugnata in sede di motivi aggiunti e deve, dunque, reputarsi vigente, anche se la sua materiale applicazione risulta alquanto problematica, stante il suo collegamento con le disposizioni considerate al § 9.5 in tema di corsi di formazione organizzati dall’Amministrazione Provinciale e indefettibilmente legati al rilascio o al rinnovo del decreto di Guardia Giurata.


9.12. L’ottavo motivo di ricorso risulta parimenti improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto formulato nei confronti dell’originario testo dell’art. 4, commi 2, 3 e 4, poi innovato per effetto della susseguente deliberazione consiliare n. 00051 del 2003, non contestata sul punto dalle ricorrenti.


9.13. Con il decimo motivo di ricorso si chiede l’annullamento dell’art. 5, comma 6, del Regolamento laddove impone a carico delle Associazioni la stipula di una polizza assicurativa per gli infortuni a favore delle Guardie impegnate nei servizi di vigilanza per tutta la durata dei servizi stessi, nonché una polizza di responsabilità civile per i danni cagionati a terzi.


Le ricorrenti reputano violato, innanzitutto, l’art. 138 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 in ordine ai requisiti che deve possedere la Guardia Giurata, e ritengono che gli anzidetti costi debbano essere coperti dalla stessa Amministrazione Provinciale, che si avvale delle Guardie per l’esercizio di proprie funzioni amministrative. Ritengono ancora prima che l’obbligo della polizza infortuni debba ritenersi insussistente, giusta la circolare del Ministero dell’Interno n. 539/C.20021.10089.D(21) dd. 3 ottobre 1998 che esclude, anche sulla base di alcune statuizioni giurisdizionali, l’obbligo di assicurare le Guardie Giurate Volontarie all’I.N.P.S. e all’I.N.A.I.L.


Il Collegio non condivide le tesi delle ricorrenti, posto che la pur dedotta insussistenza di un obbligo assicurativo con l’I.N.P.S. o con l’I.N.A.I.L. per certo non elimina le responsabilità derivanti da infortuni, e che la responsabilità civile assunta nei confronti di terzi per effetto di atti illeciti coinvolge non soltanto la Provincia che coordina l’attività, ma anche – e soprattutto – l’Associazione dalla quale la Guardia dipende e che, non lo si dimentichi, agisce a’ sensi dell’art. 6, comma 11, del Regolamento “all’interno della zona” ad essa “assegnata, secondo l’ordine predisposto dalle associazioni di appartenenza e depositato preventivamente in Provincia”.


E’ evidente, pertanto, che i sopradescritti obblighi assicurativi sono commendevolmente finalizzati a realizzare uno standard di sicurezza personale che assiste, in via omogenea, l’operato di ciascuna Guardia; né può dirsi che i costi gravano, comunque, sulle sole Associazioni, posto che a’ sensi del susseguente comma 7 l’Amministrazione Provinciale ha facoltà di “riconoscere alle Associazioni e/o alle Guardie rimborsi spese e riconoscimenti economici … per l’attività prestata, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni”.


9.14. Con l’undicesimo motivo di ricorso le Associazioni chiedono l’annullamento dell’art. 6, comma 4, del Regolamento per asserita violazione degli artt. 230 e 254 del R.D. 635 del 1940.


In buona sostanza, le ricorrenti contestano la competenza dell’Amministrazione Provinciale a predisporre, in sede di coordinamento, le divise, i simboli e i documenti di riconoscimento delle Guardie, sostenendo che tale funzione competerebbe a tutt’oggi al Prefetto.


Il Collegio dissente da tale interpretazione, posto che nel concetto di “coordinamento” rientra de plano anche un’auspicabile unificazione di divise, simbologie e documenti utilizzati dai vari operatori volontari, anche a tutela delle persone dedite alla caccia, e che a tale proposito risulta, pertanto, intuitivamente assorbita per effetto dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998 – e, beninteso, e per quanto qui segnatamente interessa, limitatamente all’attività venatoria – la precedente competenza prefettizia già esercitata in tale particolare materia.


9.15. Le ricorrenti, con il dodicesimo motivo di impugnazione, chiedono l’annullamento dell’art. 6, comma 8, del Regolamento, laddove dispone che “le Guardie Venatorie Volontarie operano in conformità alle direttive emanate dal Coordinamento della Vigilanza Volontaria. Quando agiscono su richiesta diretta ed in collaborazione con gli Agenti della Vigilanza Provinciale, sono tenute ad uniformarsi alle disposizioni impartite da questi ultimi”.


Le ricorrenti ritengono che la disciplina testà riportata confligga con l’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992, ed estendono tale contestazione anche nei confronti del comma 10 del medesimo art. 6, laddove si dispone che “le Guardie Venatorie Volontarie operano, di norma, in pattuglie di almeno due persone. Qualsiasi variazione deve essere preventivamente concordata e approvata dal Responsabile del Coordinamento”.


Secondo la prospettazione delle ricorrenti, la concomitante circostanza per la quale, in forza di quanto disposto dall’art. 1 del Regolamento stesso, il Coordinamento risulterebbe formato in prevalenza da cacciatori – essendo pure il Comandante della Vigilanza Provinciale titolare di licenza di caccia – comporterebbe, nell’applicazione dei testè citati commi 8 e 10 dell’art. 6, la conseguenza di subordinare, nella sostanza, la volontà delle Guardie Volontarie a quella di coloro che comunque praticano l’attività venatoria, specie nell’ipotesi in cui un’Associazione disponga di una sola Guardia Volontaria, costretta – quindi, e sia pure “di norma” – a formare con altro operatore una pattuglia.


Il Collegio, per parte propria, evidenzia che a’ sensi dell’art. 1 del Regolamento la Presidenza del Coordinamento è assunta dall’Assessore Provinciale alla Caccia e Pesca, ovvero da un suo delegato: ossia da un soggetto che non è prequalificato come cacciatore, e che la vicepresidenza è assunta dal Dirigente Provinciale responsabile per le materie della caccia e della pesca, ossia – ancora una volta – da un soggetto non prequalificato come cacciatore.


Nella funzione di coordinamento risulta logicamente compresa anche una potestà di direttiva da parte del soggetto che lo esercita (si badi, coincidente con il Coordinamento stesso collegialmente inteso, e non già con un suo singolo membro, sia pure Presidente o Vicepresidente, o – ancora – Comandante della Vigilanza Provinciale).


Risulta altrettanto evidente la razionalità della disposizione che subordina l’operato delle Guardie Volontarie a quello degli Agenti della Vigilanza Provinciale nelle ipotesi di interventi effettuati “su richiesta diretta ed in collaborazione” con gli stessi: e ciò, se non altro, in considerazione della dianzi rilevata carenza della qualifica di Agente di Polizia Giudiziaria delle Guardie Volontarie (cfr. § 9.7 della presente sentenza).


Anche la disposizione che impone, “di norma”, la formazione di pattuglie di due operatori ai fini della vigilanza risponde, all’evidenza, ad esigenze di garantismo nei confronti dei possibili soggetti sanzionati non disgiunta – si badi – anche alle parimenti doverose esigenze di sicurezza personale e di certezza operativa dello stesso personale preposto alla vigilanza.


9.16. Le ricorrenti, da ultimo, con il tredicesimo motivo di ricorso hanno chiesto l’annullamento dell’art. 6, comma 9, del Regolamento, laddove impone alle Guardie Volontarie di “osservare strettamente il segreto d’ufficio e le norme di cui alla L. 31 dicembre 1996 n. 675” e di “mantenere un comportamento irreprensibile in pubblico, omettendo ogni discussione diretta o indiretta sul servizio con estranei allo stesso”.


Le ricorrenti, a tale proposito, deducono una generica violazione dell’art. 163, comma 3, del D.L.vo 112 del 1998 lamentando che tale disciplina vieterebbe alle Associazioni di diffondere comunicati stampa relativi ai controlli effettuati e ai verbali stilati, e impedirebbe la stessa raccolta dei dati a fini statistici.


Anche tale censura va respinta.


E’ evidente che ogni Guardia Giurata Volontaria deve assolvere alle proprie funzioni di vigilanza e di repessione degli illeciti non già nell’interesse dell’Associazione a cui è pur iscritta, ma nel superiore interesse della collettività e operando, quindi, nella costante applicazione di tutta la disciplina vigente in materia di accertamento degli illeciti, ivi naturalmente compresi il rispetto del segreto d’ufficio (art. 326 cod. pen.) e delle altre disposizioni a ciò pertinenti, quali la disciplina del trattamento dei dati personali, ora – tra l’altro – non più assoggettata alla L. 675 del 1996, ma al Codice appositamente approvato con D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196, il quale ultimo – tra l’altro – esplicitamente consente, sia pure a determinate condizioni, il trattamento dei dati personali – resi debitamente anonimi – a scopi statistici (cfr. artt. 16, 24 e 97 e ss. del D.L.vo 196 cit.).


10. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe e sui motivi aggiunti proposti in prosieguo di causa, li accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’art. 3, commi 5, 11 e 13, l’art. 4, comma 2, lett. b) limitatamente all’inciso “redigendo gli appositi verbali di riferimento” e l’art. 8, comma 1, del “Regolamento di servizio delle guardie giurate volontarie faunistico-venatorie della provincia di Treviso”, nel testo adottato per effetto della deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00080 dd. 11 dicembre 2002 e modificato per effetto della deliberazione del Consiglio Provinciale di Treviso n. 00051 dd. 29 settembre 2003.


Compensa integralmente le spese e gli onorari del giudizio.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio del 18 marzo 2004.
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Caccia e pesca - Guardie giurate delle Associazioni ambientaliste - Potestà di coordinamento dell’Amministrazione provinciale - Interferenza con l’autonomia delle associazioni - Non è ravvisabile. Le attività di predisposizione dei programmi periodici e territoriali, di formazione delle pattuglie, di ricezione e di approvazione degli ordini di servizio inviati dalle Associazioni costituiscono naturali estrinsecazioni delle potestà di coordinamento devolute alle Amministrazioni Provinciali ai sensi dell’art. 27, comma 7, della L. 157 del 1992: potestà alle quali anche le guardie giurate delle Associazioni ambientaliste devono sottostare senza che ciò costituisca interferenza con l’autonomia delle Associazioni stesse. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913

2) Caccia e pesca - Guardia giurata - Obbligo di residenza - Non contrasta con il divieto di discriminazione in ordine alla cittadinanza italiana o di uno stato membro dell’Unione Europea. La disposizione contenuta nell’art. 138, comma 1, n. 1 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 e modificato dall’art. 33 della L. 1° marzo 2002 n. 39, secondo la quale per svolgere le funzioni di guardia giurata risulterebbe sufficiente “essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea”, non può esimere i soggetti che si avvalgono di tali guardie dal contemplare anche particolari obblighi di residenza – ferma restando la non discriminazione in ordine alla cittadinanza – in relazione alla comprovata particolarità delle mansioni da svolgere. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913


3) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie faunistico-venatorie - Regolamento provinciale - Previsione di sospensione del rilascio del decreto di guardia giurata in caso di procedimento penale pendente - Legittimità - Mancata limitazione alle condanne per delitto quale causa ostativa al rilascio del decreto - Illegittimità. Risulta legittima la disposizione del Regolamento provinciale di servizio delle guardie giurate volontarie faunistico-venatorie che prevede la sospensione del rilascio o del rinnovo del decreto di guardia giurata nelle ipotesi di procedimento penale pendente a carico dell’interessato. Viceversa, contrasta con l’art. 138, comma 1, n. 4 del T.U. approvato con R.D. 773 del 1931 - sostanziando, in tal senso, un’illegittima innovazione contra legem rispetto alla disciplina statale di principio - la disposizione del Regolamento medesimo laddove non limita alle condanne per delitto la causa ostativa per il rilascio o il rinnovo del decreto. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913

4) Caccia e pesca - Guardie volontarie - Rinnovo della qualifica di agente di vigilanza volontaria - Corso istituito dalla Provincia - Necessaria partecipazione ai fini del rinnovo - Illegittimità - Nella parte in cui non è consentita alle associazioni la possibilità di organizzare detti corsi - Artt. 26 L. 157/92 e 34 L.R. 50/93. Rientra nelle intrinseche potestà del coordinamento provinciale disporre riunioni e corsi di aggiornamento delle Guardie volontarie, soprattutto se tali iniziative sono concordate con le associazioni; tuttavia confligge con l’assetto emergente dall’art. 27, commi 6 e 8, della L. 157 del 1992 e dall’art. 34, comma 2, della L.R. 50 del 1993, la previsione nel Regolamento provinciale della necessaria partecipazione ad apposito corso istituito dalla Provincia al fine del rinnovo della qualifica di Agente di Vigilanza Volontaria. Infatti le iniziative formative previste dalla disciplina legislativa statale e regionale verrebbero in tal modo svuotate di ogni specifico contenuto in termini di riconoscimento della loro specifica valenza propedeutica all’abilitazione di cui all’art. 27, comma 4, L. 157/1992. Sono pertanto illegittimi gli articoli del regolamento nella parte in cui non consentono anche alle associazioni di cui all’art. 27 commi 6 e 8 della L. 157 del 1992 e all’art. 34 comma 2 della L.R. 50 del 1993 la possibilità di organizzare i corsi per il rilascio del decreto di nomina o di rinnovo nella qualifica di Guardia volontaria. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913

5) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie - Art. 27, c. 1 L. 157/1992 - Qualifica di polizia giudiziaria - Riconoscimento - Esclusione. Il comma 1, lett. a) dell’art. 27, L. 157/1992 riconosce esplicitamente agli Agenti dipendenti degli Enti Locali delegati alle Regioni la qualifica di polizia giudiziaria, mentre, in evidente contrapposizione, la lettera b) dello stesso comma non riconosce la medesima qualifica alle Guardie Giurate Volontarie. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913

6) Caccia e pesca - Guardie giurate volontarie - Accertamento delle violazioni - Competenza a formare processi verbali - Espresso riconoscimento - Regolamento provinciale - Limitazione al cd. “verbale di riferimento” - Illegittimità. Alle Guardie Giurate Volontarie è espressamente riconosciuta la competenza a formare processi verbali di diretto accertamento degli illeciti di loro competenza, sicchè è illegittima la norma del regolamento che individua tra i compiti delle Guardie quello di “accertare le violazioni delle leggi e dei regolamenti in materia venatoria redigendo gli apposti verbali di riferimento”, stante il significato tecnico assunto dal termine di “verbale di riferimento” rispetto al processo verbale di vero e proprio accertamento dell’illecito: il primo, infatti non è contemplato dall’art. 13 della L. 689 del 1981 ed implica la formazione di una mera relazione su quanto accaduto da inoltrare ad un’Autorità gerarchicamente sovraordinata che formalizzerà poi l’accertamento. Pres. Trivellato, Est. Rocco – L.A.C. Onlus e L.I.P.U. (Avv. Caburazzi) c. Provincia di Treviso (Avv.ti Botteon, Sartori e Tonon) - T.A.R. VENETO, Sez. II – 12 novembre 2004, n. 3913

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