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CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 15/03/2005 (Cc. 01/02/2005), Sentenza n. 10049
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III,
15/03/2005 (Cc. 01/02/2005), Sentenza n. 10049
Pres. Papadia U. Est. Amoroso G. Rel. Amoroso G. Imp. Bonucci ed altro. P.M. Ciampoli L. (Conf.) - (Rigetta, Trib. Perugia, 13 Ottobre 2004)
SENTENZA del 01/02/2005 N. 152
REGISTRO GENERALE N. 42121/2004
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente -
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere -
Dott. MANCINI Franco - Consigliere -
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BONUCCI Domenico, n. Spoleto il 2 marzo 1951 e COCCETTA Massimo n. Spoleto il 9
luglio 1956;
avverso l'ordinanza del 13 ottobre 2004 del Tribunale di Perugia di conferma del
sequestro preventivo del 10 settembre 2004 del g.i.p. di Spoleto;
Udita la relazione fatta in Camera di consiglio dal Consigliere Giovanni
Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. CIAMPOLI Luigi che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori degli indagati, avv. FELIZIANI Paolo e CAMPAGNOLA Antonio, che
hanno concluso per l'accoglimento del ricorso. la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. In data 13 settembre 2004, il G.I.P. del Tribunale di Spoleto ha disposto, su
richiesta del P.M., il sequestro preventivo dell'area di pertinenza del Palazzo
di Giustizia di proprietà del Comune di Spoleto presso la quale erano in corso i
lavori di costruzione e sistemazione di un nuovo parcheggio.
Il G.I.P., muovendo dai capi di imputazione contestati a vari soggetti, ritenuti
dal P.M. responsabili di varie ipotesi di reato, ha ritenuto, nell'adozione del
provvedimento, di tener conto solo dei reati di natura urbanistica (artt. 110,
112, primo comma, n. 1, c.p. e 7 e 20, lett. c), legge 28 febbraio 1985 n. 47)
ed ambientale (artt. 110, 112, primo comma, n. 1, 151 e 163 d.lgs. 29 ottobre
1999 n. 490). Circoscritto in tale ambito il merito della questione, il G.I.P.
ha sostenuto che il decreto di sequestro trovava il suo fondamento nel fatto che
l'opera pubblica, in corso di ultimazione, era sfornita del titolo edilizio
(individuato nella delibera della Giunta comunale n. 302/97 del 15 aprile 1997
di approvazione del progetto definitivo dell'opera), poiché questo ultimo
risultava scaduto per la decorrenza del termine triennale di efficacia, così
come previsto dalla legge n. 10/1977, e comunque per difformità rispetto alla
realizzazione delle opere, nonché era privo di autorizzazione paesaggistica
perché quella rilasciata a suo tempo (delibera della Giunta della Regione Umbria
del 1 giugno 1995 n. 4126) era scaduta per decorso del termine quinquennale. In
ordine poi al pericolo, il G.I.P. ha tenuto conto del fatto che, nonostante
l'opera pubblica fosse pressoché ultimata, la possibilità che la stessa potesse
essere liberamente fruita poteva aggravare le conseguenze lesive antigiuridiche.
2. Con ricorsi ex art. 324 c.p.p. al Tribunale di Perugia è stato richiesto il
riesame del provvedimento.
Con l'ordinanza depositata in data 13.10.2004 l'adito Tribunale ha ritenuto l'"abusività"
dell'opera e l'esistenza del periculum riconnesso alla possibilità dell'utilizzo
del parcheggio in difetto del provvedimento di agibilità e, per l'effetto, ha
confermato il provvedimento di sequestro.
3. Avverso questa ordinanza hanno proposto ricorso per Cassazione il Bonucci con
quattro motivi ed il Coccetta con due motivi, che però ripercorrono
sostanzialmente le censure mosse nei quattro motivi del primo ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I primi tre motivi del ricorso del Bonucci ed il primo motivo del ricorso del
Coccetta riguardano, sotto più profili, il fumus commissi delicti.
In particolare i ricorrenti deducono che nella specie per l'opera comunale in
questione non occorreva la concessione edilizia ed invocano le disposizioni
poste dall'art. 1 legge 3 gennaio 1978 n. 1 e dall'art. 81, comma 3, d.P.R. 24
luglio 1977 n. 616, allegando, in riferimento ad esse, il vizio di violazione di
legge. Deducono poi anche la violazione dell'art. 4, comma 16, d.l. 5 ottobre
1993 n. 398, conv. in l. 4 dicembre 1993 n. 493 e degli artt. 7 e 15 d.lgs. 6
giugno 2001 n. 380. Secondo la difesa degli indagati troverebbe applicazione
nella specie l'art. 7 d.lgs. 6 giugno 2001 n. 378 che esclude che alle opere
pubbliche dei comuni deliberate dal consiglio comunale o dalla giunta comunale,
se assistite dalla "validazione del progetto" ai sensi dell'art. 47 d.P.R. 21
dicembre 1999 n. 554, si applichino le disposizioni del titolo 2^ (sui titoli
abilitativi) tra cui l'art. 15 che disciplina l'efficacia temporale del permesso
a costruire (già concessione edilizia). Censurano l'ordinanza impugnata per aver
omesso ogni accertamento della sussistenza del reato ipotizzato.
Con il quarto motivo del Bonucci ed il secondo motivo del Coccetta i ricorrenti,
denunciando la violazione degli artt. 321 e 324 c.p.p.;
lamentano che non vi sarebbero le esigenze cautelari a giustificazione della
misura cautelare adottata.
2. I ricorsi - i cui motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto
connessi - non sono fondati.
3. Va innanzi tutto affermata l'ammissibilità dei ricorsi ancorché proposti da
indagati che non sono ne' proprietari dell'opera, ne' committenti della stessa,
ne' appaltatori; ma rispettivamente il Coccetta è il dirigente dell'Ufficio
tecnico del Comune di Spoleto, committente dell'opera, e il Bonucci, addetto
allo stesso ufficio, è responsabile del procedimento amministrativo.
Va infatti ribadito l'orientamento, ancorché non del tutto univoco, espresso in
proposito da Cass., sez. 3^, 6 marzo 1996, n. 1052, Mora, secondo cui
all'indagato è sempre riconosciuto l'interesse a proporre richiesta di riesame
contro il sequestro (preventivo) indipendentemente dal fatto che i beni oggetto
del provvedimento siano stati sottratti alla sua disponibilità o a quella di
terzi. 4. Passando al merito dei motivi dei ricorsi, giova innanzi tutto
ribadire che - secondo l'orientamento in materia delle Sezioni Unite di questa
Corte (Cass., sez. un., 20 novembre 1996, Bassi) - in sede di riesame di
sequestro preventivo l'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti
deve essere compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi
rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per
apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno
valutati così come esposti al fine di verificare se essi consentano di sussumere
l'ipotesi accusatoria formulata in quella tipica, senza che si instauri un
processo nel processo.
Questo orientamento è stato più volte confermato da questa Corte: cfr. Cass.,
sez. 6^, 3 marzo 1998, Campo; Cass., sez. 6^, 1 marzo 1999, Molinaro Sonni;
Cass., sez. 3^, 11 maggio 1999, Tamburini;
Cass., sez. 1^, 25 giugno 1999, Visconti; Cass., sez. 3^, 27 gennaio 2000,
Cavagnoli; pronunce queste che hanno puntualizzato che alla giurisdizione
compete il potere-dovere di espletare il controllo di legalità nell'ambito delle
indicazioni di fatto offerte dal P.M., talché l'accertamento della sussistenza
del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli
elementi rappresentati dall'accusa. In particolare Cass., sez. 3^, 27 gennaio
2000, Cavagnoli, cit., ha ribadito che la legittimità del sequestro preventivo
implica l'astratta riconducibilità dei fatti rappresentati dal P.M. ad
un'ipotesi di reato e la sussistenza in concreto del fumus di detto reato, da
intendersi nel senso di una ragionevole prospettiva che esso possa essere in
seguito considerato come davvero esistente.
Nella specie questa necessaria - e così limitata - valutazione di congruità
degli elementi rappresentati dal P.M. appare corretta ed immune dal vizio di
violazione di legge che è l'unico deducibile ex art. 325 c.p.p..
5. Passando poi all'esame specifico delle singole censure mosse dai ricorrenti
all'ordinanza impugnata, deve considerarsi innanzi tutto che non vale ad
inficiare la legittimità dell'impugnata ordinanza il richiamo, fatto dalle
difese degli indagati, all'art. 81 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, disposizione
questa che, nel contesto del trasferimento (a quell'epoca) delle funzioni
amministrative alle regioni, ha individuato, nell'art. 81, alcune competenze che
rimanevano allo Stato. In particolare l'(invocato) terzo comma di tale
disposizione prevedeva che per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali
l'accertamento della conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani
urbanistici ed edilizi fosse fatta dallo Stato stesso d'intesa con la regione
interessata. Tale disposizione quindi riguardava esclusivamente le opere
statali. Invece le opere pubbliche di interesse statale, realizzate da altri
enti, quali gli enti locali, erano disciplinate dal successivo quarto comma che
prevedeva (soltanto) che la loro progettazione, per quanto concerneva la loro
"localizzazione e le scelte di tracciato" era fatta dall'Amministrazione
statale, sempre d'intesa con la regione interessata e sentito preventivamente
l'ente locale nel cui territorio era previsto l'intervento; invece per la
conformità urbanistica ed edilizia valevano le regole generali. Quindi la
disposizione non esonerava le opere comunali, seppur di interesse statale, dalla
concessione edilizia quale provvedimento di stretta competenza del sindaco,
tanto più che - come ha notato la dottrina - l'art. 9, lett. f), della cit.
legge n. 10 del 1977 nell'elencare i casi di concessione gratuita, faceva
testualmente riferimento alle "opere pubbliche o di interesse generale
realizzate dagli enti istituzionalmente competenti", secondo una terminologia
pressoché coincidente con quella di cui all'art. 81, 3 comma, cit.. Inoltre -
come ha rilevato altra dottrina - ciò poteva desumersi indirettamente anche
dall'art. 22 legge 1 dicembre 1986 n. 879 che ha previsto un'eccezionale ipotesi
di sanatoria di opere eseguite dai comuni senza concessione edilizia.
Comunque la disposizione invocata dalle difese degli indagati (art. 81, terzo
comma, cit.) è stata abrogata dall'art. 4 del d.P.R. 18 aprile 1994 n. 383, che
ha dettato il regolamento recante la disciplina dei procedimenti di
localizzazione delle opere di interesse statale. Il cui art. 2, in vero, prevede
sì una nuova disposizione analoga a quella abrogata, prescrivendo ancora
l'intesa tra l'Amministrazione statale e la Regione interessata e demandando
alla stessa Amministrazione statale, previo tale intesa, la verifica della
conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi; e
ciò riguarda le opere pubbliche - come specifica il precedente art. 1 - da
eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio
statale e quelle di interesse statale da realizzarsi dagli enti
istituzionalmente competenti. Ma in ogni caso - ove anche l'opera in questione
potesse essere qualificata come di interesse statale perché servente il palazzo
di giustizia sito nel comune - il procedimento speciale previsto da tale
normativa avrebbe richiesto un atto di accertamento dell'Amministrazione statale
di conformità urbanistica ed edilizia dell'opera e la previa intesa tra Stato e
Regione interessata; il che nella specie è comunque mancato del tutto perché
l'originario titolo legittimante dell'opera in questione è costituito solo dalla
delibera della Giunta municipale n. 302/97 del 15 aprile 1997, ossia da un atto
dell'ente locale.
Infine la tesi dei ricorrenti è contraria anche alla giurisprudenza di
legittimità sul punto. Infatti questa Corte (Cass., sez. 3^, 7 giugno 1995,
Pruneri) ha già affermato che le opere eseguite dai Comuni necessitano di
concessione edilizia, giacché la speciale procedura di cui all'art. 81 d.p.r. n.
616 del 1977 si applica solo agli interventi dello Stato e non a quelli di altri
enti pubblici territoriali, mentre l'art. 8, 13 comma, d.l. n. 193 del 1995, non
convertito in legge, ma riprodotto in quelli successivi (per questo aspetto v.
anche infra), secondo il quale "non sono soggette a concessione edilizia ne' a
denuncia di inizio dell'attività le opere pubbliche comunali" dimostra come una
simile espressa previsione non sarebbe stata necessaria se dette opere non
fossero state in precedenza soggette all'obbligo di concessione edilizia; la
stessa disposizione stabilisce, poi, una determinata procedura, in cui il
progettista abilitato assume una posizione di garanzia, dovendo attestare la
conformità del progetto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonché
l'esistenza dei nulla osta di conformità alle norme di sicurezza sanitarie,
ambientali e paesistiche, sicché anche l'opera pubblica comunale dovrà essere
conforme alla legislazione ed alla strumentazione urbanistica.
Inoltre in precedenza Cass., sez. 3^, 19 gennaio 1984, n. 83, D'Amico, ha
ritenuto che è configurabile l'ipotesi di reato di cui all'art. 17, lett. d),
legge n. 10 del 10 gennaio 1977 nel caso di opera pubblica deliberata dal
Consiglio comunale e realizzata direttamente dall'amministrazione senza il
preventivo rilascio formale della concessione edilizia da parte del Sindaco
nella sua specifica funzione impostagli dalla legge urbanistica. 6. Le difese
dei ricorrenti hanno poi invocato l'art. 1 legge 3 gennaio 1978 n. 1 che però
parimenti non è idoneo a svelare alcun vizio di legittimità dell'impugnata
ordinanza. Infatti tale disposizione - anch'essa abrogata, ma dopo l'adozione
della citata delibera della Giunta municipale del 1997 (segnatamente dall'art.
58 d.lgs. 8 giugno 2001 n. 325), e quindi astrattamente applicabile, peraltro
nel testo precedente la novella dell'art. 4 legge 18 novembre 1998 n. 415 che ha
modificato proprio il terzo ed il quarto comma dell'art. 1 cit. - riguarda la
possibile variante degli strumenti urbanistici ove l'opera pubblica, il cui
progetto sia stato approvato dal Comune, non sia conforme alle specifiche
destinazioni di piano, distinguendosi l'ipotesi in cui non è necessaria alcuna
variante (quarto comma) e quella in cui la variante è necessaria, ma in tal caso
vi è un procedimento semplificato (non c'è necessità dell'autorizzazione
regionale preventiva, ma è sufficiente l'approvazione successiva del progetto
definitivo ed esecutivo dell'opera pubblica assentito dal Comune che vale quale
adozione di variante dello strumento urbanistico).
Nella specie però non si fa questione di conformità, o meno, del progetto
approvato allo strumento urbanistico; ma di durata - limitata (a tre anni) o
illimitata - dell'idoneità di tale progetto a legittimare l'esecuzione
dell'opera in questione. Quindi l'invocato art. 1 legge 3 gennaio 1978 n. 1 cit.
è in realtà inconferente. 7. Il ricorrenti poi deducono la violazione dell'art.
4, comma 16, d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, conv. in l. 4 dicembre 1993 n. 493 e
degli artt. 7 e 15 d.lgs. 6 giugno 2001 n. 380. Orbene è vero - come sostengono
le difese dei ricorrenti - che l'art. 7 d.lgs. 6 giugno 2001 n. 378 esclude che
alle opere pubbliche dei comuni deliberate dal consiglio comunale o dalla giunta
comunale, se assistite dalla "validazione del progetto" ai sensi dell'art. 47
d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, si applichino le disposizioni del titolo 2^ (sui
titoli abilitativi) tra cui l'art. 15 che disciplina l'efficacia temporale del
permesso a costruire (già concessione edilizia). Ma tale rilievo della difesa
dei ricorrenti è destituito di fondamento atteso che si tratta di normativa
inapplicabile ratione temporis essendo il progetto di approvazione dell'opera in
questione (del 1997) antecedente non solo alle nuove disposizioni in materia
edilizia di cui al cit. d.lgs. n. 380 del 2001, ma anche al cit. regolamento di
attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici che ha disciplinato
la "validazione del progetto", la quale condiziona l'esclusione delle opere
pubbliche dei comuni dall'applicazione delle disposizioni del titolo 2^ del cit.
d.lgs. n. 380/2001. La nuova normativa dettata dal cit. testo unico in materia
edilizia, e segnatamente, per quanto riguarda in questo giudizio, il suo art. 7,
si applica alle opere pubbliche comunali la cui delibera di approvazione, previa
validazione del progetto, sia successiva alla sua entrata in vigore (30 giugno
2003).
Senza fondamento è poi il richiamo, che le difese dei ricorrenti fanno,
dell'art. 8 d.l. 26 maggio 1995 n. 193, specificando (erroneamente) che trattasi
di "decreto regolarmente convertito in legge"; disposizione questa che ha sì
previsto che non sono soggette a concessione edilizia le opere pubbliche
comunali. Però, come già rilevato, tale decreto legge non è stato affatto
convertito in legge, ma gli atti ed i provvedimenti adottati in forza dello
stesso (e di altri successivi riproduttivi del medesimo, quali il d.l. 20
settembre 1995 n. 400 ed il d.l. 25 novembre 1995 n. 498) sono stati fatti salvi
dall'art. 2, comma 61, legge 23 dicembre 1996 n. 662. Ciò comporta che l'art. 8
cit. (al pari della corrispondente disposizione contenuta dei successivi decreti
legge reiterati e anch'essi non convertiti) non può avere alcuna incidenza su
una delibera comunale di approvazione del progetto di un'opera pubblica adottata
due anni dopo. C'è invece da considerare che nella cit. legge n. 662/96 il
legislatore non ha ulteriormente riprodotto la norma dell'art. 8 cit., ma ne ha
formulato una diversa: non si parla più di non assoggettamento a concessione
edilizia, bensì di equipollenza del progetto approvato alla concessione
edilizia. Infatti il comma 60 dell'art. 2 della legge n. 662/96, nel sostituire
l'art. 4 d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, conv. in l. 4 dicembre 1993 n. 493,
prevede, al comma 16 dell'art. 4 novellato, che per le opere pubbliche dei
comuni la deliberazione con la quale il progetto viene approvato ha i medesimi
effetti della concessione edilizia (testo rimasto sostanzialmente invariato, per
quanto interessa, anche a seguito delle modifiche correttive introdotte con d.l.
31 dicembre 1996 n. 669, conv. in l. 28 febbraio 1997 n. 30).
8. In breve, nella fattispecie è applicabile proprio tale ultima disposizione:
l'art. 4, comma 16, d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, conv. in l. 4 dicembre 1993 n.
493, nella formulazione introdotta dall'art. 2, comma 60, legge 23 dicembre 1996
n. 662, prima che anche tale disposizione fosse abrogata dall'art. 136 d.lgs. 6
giugno 2001 n. 378; disposizione alla quale occorre far riferimento ratione
temporis. Essa - come appena rilevato - prevede(va), al sedicesimo comma,
che per le opere pubbliche dei comuni la deliberazione con la quale il progetto
viene approvato ha "i medesimi effetti della concessione edilizia". Aggiunge poi
la medesima disposizione: il progettista è tenuto ad attestare la conformità del
progetto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonché l'esistenza dei
nulla osta di conformità alle norme di sicurezza, sanitarie, ambientali e
paesistiche.
Quindi da una parte l'approvazione del progetto vale concessione edilizia;
d'altra parte l'opera non è esentata dall'autorizzazione ambientale e
paesistica. Questa equipollenza tra approvazione del progetto e concessione
edilizia comporta altresì che trova applicazione anche il termine triennale
previsto (all'epoca) dall'art. 4, comma 4, legge 28 gennaio 1977 n. 10 per il
completamento dell'opera, salva la possibilità della proroga. Avendo
l'approvazione del progetto "i medesimi effetti della concessione edilizia",
essa ha conseguentemente anche la stessa durata triennale quanto ad idoneità a
legittimare l'esecuzione dell'opera, salva la possibilità dell'approvazione di
un nuovo progetto per la parte non ultimata.
9. Analoga considerazione può svolgersi quanto all'autorizzazione paesistica. È
vero - come sostenuto dalle difese dei ricorrenti che parimenti hanno invocato
tale disposizione per dedurre sotto questo ulteriore profilo il vizio di
legittimità dell'impugnata ordinanza - che l'art. 46 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327
prevede, al secondo comma, che dal rilascio del provvedimento di autorizzazione
paesistica e sino all'inizio dei lavori decorre il termine di validità di cinque
anni previsto dall'art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357, dell'autorizzazione
stessa; ed aggiunge: qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio,
l'autorizzazione si considera valida per tutta la durata degli stessi.
Ma ancora una volta si tratta di normativa successiva alla menzionata delibera
municipale del 1997 e quindi inapplicabile ratione temporis. Trova invece
applicazione il quarto comma dell'art. 16 r.d. 3 giugno 1940 n. 1357, la cui
perdurante vigenza anche dopo l'abrogazione (ad opera dell'art. 166 d.lgs. 29
ottobre 1999 n. 490) della legge 29 giugno 1939 n. 1497 sulla protezione delle
bellezze naturali di cui il cit. regio decreto costituiva il regolamento, come
risulta (oltre che dallo stesso art. 166 cit., in quanto atto normativo non
incluso nel catalogo delle disposizioni abrogate, anche) dallo stesso cit. art.
46, secondo comma, che, nel richiamare espressamente l'art. 16 cit.
(contestandone così la perdurante vigenza), ne ha, da una parte, modificato la
portata normativa assegnando all'autorizzazione validità fino all'ultimazione
dei lavori nell'ipotesi in cui questi siano iniziati nel quinquennio e, d'altra
parte, ha confermato la durata quinquennale della stessa nella diversa ipotesi
in cui i lavori non siano invece iniziati nel quinquennio con la precisazione
che il termine decorre dal rilascio dell'autorizzazione paesistica.. Tale
disposizione (art. 16, quarto comma, cit.), nella sua originaria formulazione,
prevede appunto che l'autorizzazione paesistica vale per un periodo di cinque
anni trascorso il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere
sottoposta a nuova autorizzazione. Nella specie, risalendo l'autorizzazione in
questione al 1995, il quinquennio è decorso prima della menzionata modifica
normativa (art. 46, comma 2, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327), che pertanto non è
rilevante.
10. Conclusivamente, tenuto conto dei rilevati limiti, nella sede cautelare,
della cognizione, necessariamente sommaria, del contestato reato, deve ritenersi
che l'ordinanza impugnata ha motivato adeguatamente ed in modo non
contraddittorio quanto alla sussistenza del fumus commissi delicti.
Dalle considerazioni svolte in diritto emerge che correttamente il tribunale ha
ritenuto che quel titolo abilitativo urbanistico (approvazione del progetto
edilizio con la citata delibera della Giunta comunale di Spoleto n. 302/97 del
15 aprile 1997) era divenuto inefficace per mancata realizzazione dell'opera nel
triennio. A corollario di questa affermazione - sulla quale si sono appuntate le
censure dei ricorrenti dirette a sostenere, con le plurime argomentazioni sopra
esaminate, che tale termine triennale non poteva ritenersi operante - mette
conto svolgere una considerazione ulteriore in ordine ad una circostanza di
fatto che è rimasta sostanzialmente in ombra e che quindi non ha avuto rilievo
in questo giudizio: l'adozione di due delibere della Giunta comunale del 2002.
Il g.i.p. che ha disposto l'impugnato sequestro, ha ritenuto a questo proposito,
richiamando i rilievi dei consulenti tecnici del P.M., che queste due delibere
(riguardanti l'approvazione di una perizia di variata distribuzione di spesa e
di una perizia di variante suppletiva) non costituissero un atto espresso o
equipollente che autorizzasse la realizzazione dell'opera in questione. Questo
convincimento può ritenersi implicitamente confermato dal tribunale per il
riesame che menziona le due delibere, quali aventi ad oggetto la 3^ e la 4^
perizia di variante, e riferisce invece l'approvazione del progetto dell'opera
alla precedente delibera del 1997. A questo proposito i ricorrenti a loro volta
non argomentano più di tanto perché si limitano ad affermare che con la seconda
delle due menzionate delibere del 2002 veniva approvato definitivamente il
progetto, laddove invece nell'ordinanza impugnata l'approvazione del progetto è
riferita alla citata delibera del 1997, mentre le due successive delibere
avrebbero riguardato solo varianti. Comunque la genericità dell'affermazione dei
ricorrenti, meramente assertiva e nient'affatto sviluppata con l'allegazione in
dettaglio del contenuto delle delibere stesse, rende irrilevante, in questo
giudizio, tale circostanza di fatto.
Inoltre, quanto al profilo della tutela ambientale, altrettanto correttamente il
tribunale per il riesame ha ritenuto che anche l'autorizzazione paesaggistica
(delibera della Giunta della Regione Umbria 1 giugno 1995 n. 4126) era divenuta
inefficace per il decorso di un quinquennio dal suo rilascio.
Deve poi anche aggiungersi che il fumus commissi delicti risulta
rafforzato, sotto il profilo in esame, dall'ulteriore rilievo in fatto, che
svolge il tribunale, secondo cui comunque l'opera quasi completata era risultata
in sostanziale difformità da quella di cui all'originario progetto approvato
(diversità consistente nel numero di posti realizzati e nella struttura
completamente metallica, in luogo di quella mista, in parte metallica ed in
parte in cemento armato).
11. Quanto infine alla doglianza dei ricorrenti secondo cui nella specie non vi
sarebbero le esigenze cautelari a giustificazione della misura cautelare
adottata, è sufficiente rilevare che l'ordinanza impugnata ha preso in
considerazione ed ha verificato anche la sussistenza del periculum,
consistente nella specie nel maggior carico urbanistico; ed ha ampiamente
argomentato in fatto con motivazione sufficiente e non contraddittoria, non
censurabile con ricorso ex art. 325 c.p.p. limitato solo alla violazione di
legge. In punto di diritto può ribadirsi quanto affermato dalle Sezioni Unite di
questa Corte (Cass. 20 marzo 2003 n. 12878, Innocenti) secondo cui il sequestro
preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi
criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità
della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione -
presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del
reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di
antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al
bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta
penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento
irrevocabile del reato. Nella specie il tribunale ha posto in rilievo il
maggiore carico urbanistico conseguente all'utilizzo del parcheggio in ragione -
si afferma nell'ordinanza - dell'"incremento del numero di veicoli e di persone
destinati a gravare nell'area"; valutazione questa di merito, non implausibile,
che non ridonda in alcun vizio di legittimità censurabile in cassazione ex art.
325 c.p.p..
Al pari correttamente il tribunale ha osservato che la pur possibile sanatoria
dell'opera non rileva perché, fino al momento in cui essa non interviene,
permane l'illegittimità della stessa (Cass., sez. 3^, 6 febbraio 1996, Fusco).
12. I ricorsi del Bonucci e del Coccetta sono quindi, nel loro complesso, da
rigettare, con conseguente obbligo degli stessi di pagare le spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2005.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2005
1) Urbanistica e edilizia - Licenza di costruzione - Opere eseguite dai Comuni - Concessione edilizia - Necessità - Fattispecie: opere eseguite abusivamente dall’amministrazione comunale. Le opere eseguite dai Comuni necessitano di concessione edilizia, giacchè la speciale procedura di cui all'art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977, peraltro sostituita con il procedimento di localizzazione di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 383 del 1994 - che prescrive la verifica della conformità dell'opera alle prescrizioni dei piani urbanistici ed edilizi - si applica solo agli interventi dello Stato e non a quelli di altri enti pubblici territoriali. (La Corte ha anzitutto osservato che l'art. 8 del D.L. n. 193 del 1995, non convertito in legge ma riprodotto in quelli successivi, secondo il quale "non sono soggette a concessione edilizia né a denuncia di inizio attività le opere pubbliche comunali", dimostra come una simile espressa previsione non sarebbe stata necessaria se dette opere non fossero state in precedenza soggette all'obbligo di concessione edilizia; e così ha confermato il carattere abusivo dell'edificio realizzato dal Comune e adibito a palazzo di giustizia, in quanto anche qualificando l'opera di interesse statale, sarebbe stato necessario un atto di accertamento della conformità urbanistica ed edilizia da parte dell'Amministrazione statale, mentre, nel caso concreto, l'originario titolo di legittimazione dell'opera era costituito da una delibera della Giunta municipale, il cui termine di efficacia triennale risultava scaduto). Pres. Papadia U. Est. Amoroso G. Rel. Amoroso G. Imp. Bonucci ed altro. P.M. Ciampoli L. (Conf.) - (Rigetta, Trib. Perugia, 13 Ottobre 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 15/03/2005 (Cc. 01/02/2005), Sentenza n. 10049
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