AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 

 

Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 Copyright © Ambiente Diritto.it

 

 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143 

Pres. Papadia U. Est. Franco A. Rel. Franco A. Imp. Cannilla ed altri. P.M. Galasso A. (Conf.), (Annulla senza rinvio, App. Catania, 4 Giugno 2004).

 

SENTENZA N. 433 del 01/03/2005

REGISTRO GENERALE N. 69/2005


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente -
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere -
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere -
Dott. MANCINI Franco - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
CANNILLA Francesco, nato a Caltagirone il 19 febbraio 1945, da CINNIRELLA Francesco, nato a Caltagirone il 13 aprile 1947, e da LA TERRA Vito, nato a Caltagirone il 15 maggio 1947;
avverso la sentenza emessa il 4 giugno 2004 dalla corte d'appello di Catania;
udita nella Pubblica udienza del 1 marzo 2005 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché l'azione penale non poteva essere iniziata.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza del 4 ottobre 2002, il tribunale di Caltagirone dichiarò Cannilla Francesco, Cinnirella Francesco e La Terra Vito colpevoli del reato di cui agli artt. 12, terzo comma, 21, lett. b), e 30, lett. d), legge 2 novembre 1992, n. 157, per avere esercitato la caccia all'interno di una riserva naturale dove la caccia era preclusa, e li condannò alla pena di € 812,00 di ammenda ciascuno. La corte d'appello di Catania, con la sentenza in epigrafe, concesse i richiesti benefici e confermò nel resto la sentenza di primo grado.


Cannilla Francesco propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) violazione degli artt. 459, 718, lett. b), 414 cod. proc. pen. Osserva che per il fatto in esame era già stata disposta la archiviazione con provvedimento del 30 aprile 2001 e che il decreto penale di condanna per il medesimo fatto è stato richiesto solo il 16 novembre 2001, ossia ben oltre il termine di sei mesi previsto dall'art. 459 cod. proc. pen. e comunque senza il preventivo provvedimento di riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen. Vi sono quindi stati vizi delle modalità di esercizio dell'azione penale, sanzionati da nullità ai sensi dell'art. 178, lett. b), cod. proc. pen.


b) violazione dell'art. 2 cod. pen. in riferimento alla legge 2 novembre 1992, n. 157, e al decreto regionale 22.12.03 n. 1572. Osserva che il fatto non costituisce più reato perché successivamente al fatto il luogo dove egli si trovava è stato escluso dall'ambito della zona destinata a riserva con il richiamato decreto regionale. È quindi venuto meno il disvalore del fatto con conseguente applicabilità dell'art. 2 cod. pen. È stata invero modificata la legge regionale che costituiva il presupposto indispensabile per la formulazione del precetto penale.


c) omessa applicazione del principio dell'errore scusabile e violazione dell'art. 45 legge regionale sic. 33/97. Osserva che in Sicilia, che ha in materia di caccia potestà legislativa esclusiva, trova applicazione l'art. 45 legge reg. 33/97 il quale dispone che la mancata o irregolare collocazione delle tabelle esclude la applicazione delle sanzioni. La presenza di tale disposizione nonché la circostanza che il fatto contestato è avvenuto poco tempo dopo la istituzione della riserva, rendono evidente che il suo errore era certamente scusabile, anche perché non vi è stato un vero e proprio esercizio venatorio.


d) insussistenza del fatto contestato; mancato esercizio della caccia. Lamenta che è stata omessa ogni verifica sulla sussistenza di una condotta costituente un vero e proprio esercizio della caccia e non sono state esaminate le circostanze che la escludevano.


e) violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e difetto di prova in ordine al rinvenimento all'interno della riserva.


Cinnirella Francesco propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, improcedibilità ed inutilizzabilità. Osserva che la corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità o comunque la improcedibilità del processo per violazione degli artt. 414 e 415 cod. proc. pen. in quanto il procedimento a suo carico era già stato definito con provvedimento di archiviazione del 30 aprile 2001. Una volta richiesta ed ottenuta l'archiviazione il pubblico ministero, senza una autorizzazione alla riapertura delle indagini, non avrebbe potuto richiedere l'emissione del decreto penale di condanna e il giudice dell'udienza preliminare non avrebbe potuto emettere alcuna sentenza.

b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Osserva che egli è stato condannato per aver esercitato la caccia all'interno della riserva naturale Bosco S. Pietro istituita con d. del 21 gennaio 2000-2001. Questo presupposto è venuto meno perché il sito in cui egli fu trovato è stato escluso dall'ambito della riserva con d. 22.12.2003 n. 1572. Pertanto, essendosi verificata una modificazione della condizione giuridica del luogo, è venuto meno il disvalore penale rispetto al fatto criminoso commesso a seguito della modifica della norma regionale che contribuiva alla formulazione del precetto penale, e quindi alla modifica di un elemento normativo della fattispecie.


La Terra Vito propone ricorso per Cassazione deducendo cinque motivi identici a quelli proposti da Cannilla Francesco.
Nella imminenza della udienza il Cannilla ed il La Terra hanno depositato una memoria difensiva.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Appare opportuno osservare che il motivo di ricorso che denunzia violazione dell'art. 2 cod. pen. è fondato. È pacifico che, con decreto dell'assessore regionale competente del 22.12.2003 n. 1572, è intervenuta una modifica della perimetrazione della Riserva naturale orientata Bosco di San Pietro, a seguito della quale la zona in cui i ricorrenti furono rinvenuti (zona all'epoca compresa entro i confini della riserva) non fa ora più parte della riserva stessa. La corte d'appello ha ritenuto irrilevante questa sopravvenuta modifica per il motivo che essa, pur comportando una modificazione della condizione giuridica del luogo (sotto il profilo della liceità o meno della attività venatoria), non potrebbe "determinare alcun effetto sul comportamento compiuto, perfezionato e del tutto corrispondente, nella sua realtà oggettiva e soggettiva, all'ipotesi prevista dalla norma incriminatrice".


Questa argomentazione non può però essere condivisa. Ed invero, il comportamento posto in essere dai ricorrenti in tanto costituiva reato ai sensi della legge sulla caccia in quanto un decreto assessoriale, integrativo del precetto penale, aveva inserito la zona in questione all'interno della riserva naturale e la aveva qualificata come zona nella quale la caccia era vietata. Il successivo decreto assessoriale, col modificare (o, meglio, parzialmente abrogare in parte qua) il primo escludendo la zona stessa dall'ambito della riserva naturale e quindi rendendo possibile e lecita l'attività di caccia nella stessa, ha fatto sì che il comportamento tenuto dagli imputati - sostare in atteggiamento di caccia nella zona in esame - non sia più previsto come reato dalla legge sulla caccia. Deve quindi, con tutta evidenza, trovare applicazione il principio generale di cui all'art. 2 cod. pen. A questa conclusione, del resto, questa Suprema Corte è già pervenuta in precedenza, avendo affermato che "in materia di caccia il divieto di cui all'art. 21 della legge 157 del 1992 (relativamente all'esercizio venatorio nei Parchi) demanda, per quelli già esistenti, alle Regioni di provvedere all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali ove restringere il divieto sancito dalla legge statale. Pertanto la abolizione, con legge regionale successiva, della precedente fonte regionale che individuava una specifica zona nella quale applicare il divieto di attività venatoria, determina la abolizione della fonte subprimaria integrativa della fattispecie, con l'effetto di annullare il disvalore penale rispetto al fatto criminoso commesso, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della condotta punibile" (Sez. 3^, 25 maggio 1999, Conotti, m. 214.279). Ciò premesso, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, sulla declaratoria di annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato prevalga quella, pregiudiziale, di annullamento perché l'azione penale non poteva essere iniziata.


È infatti pacifico che per gli stessi fatti di cui al presente processo il giudice per le indagini preliminari, in data 30 aprile 2001, aveva emesso nei confronti degli imputati i decreti di archiviazione e che successivamente, in data 16 novembre 2001, senza che fosse mai stata rilasciata alcuna autorizzazione alla riapertura delle indagini ai sensi dell'art. 414 cod. proc. pen., furono emessi i decreti penali di condanna, le opposizioni ai quali hanno poi dato origine al presente processo.


Orbene, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, "devono ritenersi preclusi, in assenza di autorizzazione alla riapertura delle indagini, l'instaurazione di un nuovo procedimento e l'esercizio dell'azione penale riguardanti un fatto già oggetto di archiviazione, sicché il giudice, qualora il pubblico ministero non abbia dato dimostrazione di aver ottenuto l'autorizzazione predetta, deve prendere atto della mancanza del presupposto per procedere" (Sez. 1^, 30 aprile 1996, Zara, m. 205.283); "senza la prescritta autorizzazione del giudice il pubblico ministero non è legittimato alla riapertura delle indagini ed il G.I.P. investito della richiesta di rinvio a giudizio o di qualsiasi altra richiesta correlata ad una siffatta non autorizzata riapertura, rilevata la mancanza del relativo decreto e cioè di una condizione di procedibilità, deve ai sensi dell'art. 425 cod. proc. pen. emettere sentenza di non luogo a procedere" (Sez. 6^, 28 gennaio 1997, Cappello, m. 207.360);


"l'autorizzazione del G.I.P. alla riapertura delle indagini vale a rimuovere una condizione di improcedibilità dell'azione penale, costituita dal provvedimento di archiviazione, e a consentire la riproposizione dell'azione penale con la nuova iscrizione della medesima notizia di reato a carico della medesima persona. È perciò corretta la decisione del giudice di dichiarare, in mancanza della detta autorizzazione, l'improcedibilità dell'azione penale per la precedente archiviazione" (Sez. 4^, 20 marzo 1997, Saltannecchi, m. 208.528).


Nella specie, pertanto, mancando il decreto del giudice per le indagini preliminari di autorizzazione alla riapertura delle indagini, l'azione penale, ai sensi dell'art. 414 cod. proc. pen., non avrebbe potuto essere iniziata essendo improcedibile. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché l'azione penale non poteva essere iniziata.


PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché l'azione penale non poteva essere iniziata ex art. 414 cod. proc. pen. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 1 marzo 2005.


Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2005

 

M A S S I M E

 Sentenza per esteso

 

1) Caccia - Aree naturali protette - Attività venatoria - Divieto di caccia in zone sottoposte a vincolo ex legge 394 del 1991 - Facoltà delle regioni di perimetrazione delle zone di divieto - Zona precedentemente perimetrata - Nuova perimetrazione con decreto regionale - Conseguente legittimità della caccia - Art. 21, L. n. 157/1992. In materia di caccia, la facoltà delle Regioni di provvedere all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali, ove restringere il divieto sancito dalla legge statale, ex art. 21, legge 11 febbraio 1992 n. 157, anche se esercitata con decreto dell'assessore regionale, determina la abolizione della fonte subprimaria integrativa della fattispecie ed il conseguente disvalore penale dell'attività di caccia, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della condotta punibile. Presidente: Papadia U. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Cannilla ed altri. P.M. Galasso A. (Conf.), (Annulla senza rinvio, App. Catania, 4 Giugno 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143


2) Procedure e varie - Fatto già oggetto di archiviazione - Riapertura delle indagini - Autorizzazione del giudice - Necessità - Assenza - Sentenza di non luogo a procedere. Devono ritenersi preclusi, in assenza di autorizzazione alla riapertura delle indagini, l'instaurazione di un nuovo procedimento e l'esercizio dell'azione penale riguardanti un fatto già oggetto di archiviazione, sicché il giudice, qualora il pubblico ministero non abbia dato dimostrazione di aver ottenuto l'autorizzazione predetta, deve prendere atto della mancanza del presupposto per procedere" (Sez. 1^, 30 aprile 1996, Zara, m. 205.283); "senza la prescritta autorizzazione del giudice il pubblico ministero non è legittimato alla riapertura delle indagini ed il G.I.P. investito della richiesta di rinvio a giudizio o di qualsiasi altra richiesta correlata ad una siffatta non autorizzata riapertura, rilevata la mancanza del relativo decreto e cioè di una condizione di procedibilità, deve ai sensi dell'art. 425 cod. proc. pen. emettere sentenza di non luogo a procedere (Cass. Sez. 6^, 28 gennaio 1997, Cappello, m. 207.360). Pres. Papadia U. Est. Franco A. Rel. Franco A. Imp. Cannilla ed altri. P.M. Galasso A. (Conf.), (Annulla senza rinvio, App. Catania, 4 Giugno 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143

3) Procedure e varie - Provvedimento di archiviazione - Riapertura delle indagini - Autorizzazione del G.I.P. - Necessità - Mancanza - Improcedibilità dell'azione penale. L'autorizzazione del G.I.P. alla riapertura delle indagini vale a rimuovere una condizione di improcedibilità dell'azione penale, costituita dal provvedimento di archiviazione, e a consentire la riproposizione dell'azione penale con la nuova iscrizione della medesima notizia di reato a carico della medesima persona. È perciò corretta la decisione del giudice di dichiarare, in mancanza della detta autorizzazione, l'improcedibilità dell'azione penale per la precedente archiviazione (Cass. Sez. 4^, 20 marzo 1997, Saltannecchi, m. 208.528). Pres. Papadia U. Est. Franco A. Rel. Franco A. Imp. Cannilla ed altri. P.M. Galasso A. (Conf.), (Annulla senza rinvio, App. Catania, 4 Giugno 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 22/03/2005 (Ud. 01/03/2005) Sentenza n. 11143

Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale:  Giurisprudenza