Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 02-05-2005 (ud. 15-03-2005), Sentenza n. 16351
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 02-05-2005 (ud. 15-03-2005), Sentenza n. 16351
Pres. Zumbo - Est. Postiglione - P.M. Patrone - Imp. Dalena (Annulla l'ordinanza del 19/07/2004 con rinvio al Tribunale di Bari)
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. FIALE Aldo - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
DALENA Giuseppe Angelo n. Putignano 6.11.1960;
avverso l'ordinanza del Tribunale di Bari del 19.7.2004;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Postiglione;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. PATRONE I. che ha concluso
per l'annullamento senza rinvio;
Udito il difensore Avv. DI TERLIZZI Domenico.
Svolgimento del processo
Con Ordinanza in data 19 luglio 2004 il Tribunale di Bari confermava il decreto
di sequestro preventivo emesso il 21.06.2004 dal GIP presso il Tribunale di
Trani nei confronti di Dalena Giuseppe Angelo, avente ad oggetto un'area sita
nella zona industriale di Barletta, utilizzata per operazioni di gestione di
rifiuti dalla società Dalena Ecologia 12 l. .
Riteneva il Tribunale di Bari configurabile il reato di concorso continuato in
attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti. Secondo il Tribunale
la misura cautelare era giustificata, perchè la società "Dalena Ecologia" era
autorizzata in via ordinaria al solo stoccaggio provvisorio ed adeguamento
volumetrico mediante triturazione a freddo di rifiuti vari e non alla produzione
di CDR, cioè combustibile di rifiuto, sicchè non poteva cedere alla Buzzi Unicem
tale rifiuto per due ragioni:
a) perchè non si trattava di rifiuto destinabile alla combustione ed al recupero
energetico (come avveniva presso la Società "Buzzi Unicum" cessionaria), non
provenendo in via esclusiva da rifiuti urbani, ex art. 6 lett. P del Decreto
Ronchi;
b) perchè il combustibile di rifiuto può essere prodotto solo in regime di
procedura semplificata ex artt. 31 e 33 del Decreto Ronchi, in quanto il
legislatore avrebbe al momento dettato specifiche norme tecniche soltanto per
tale tipo di procedura ai sensi del DM 5.2.1998 fonde assicurare la
compatibilità ambientale.
Il Tribunale di Bari, aderendo alle conclusioni del consulente tecnico e tenendo
conto degli accertamenti eseguiti dal Noe di Bari, nonchè della documentazione
relativa ai quantitativi inerenti la produzione aziendale della Dalena Ecologia
s.r.l., riteneva che l'autorizzazione ordinaria in possesso al Dalena non
consentiva la cessione dei rifiuti, perchè impropriamente denominati CDR e
dunque non utilizzabili per la effettiva combustione e recupero energetico, in
assenza delle garanzie di legge.
Contro questa ordinanza l'indagato Dalena Giuseppe Angelo ha proposto ricorso
per Cassazione, denunciando la violazione dell'art. 53 bis del D.Lg.vo 22/97,
non essendo configurabile astrattamente l'ipotesi di reato posta a base della
misura cautelare.
Sostiene il ricorrente che la lettura integrata del Decreto Ronchi non consente
la conclusione che l'unico CDR sia quello ricavato dai rifiuti urbani ex art. 6
lettera p, come si ricava dalla "ratio" ispiratrice, in cui rientra la finalità
del riciclaggio e recupero, riferita a tutti i rifiuti e solo a quelli urbani e
da alcuni riferimenti testuali (l'art. 6 lett. a sulla definizione di rifiuto ed
il rinvio all'allegato A, che comprende 16 categorie peraltro non esaustivi;
l'art. 4, comma 1 lett. d che richiama per tutti i rifiuti il concetto di
utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per
produrre energia).
L'ordinanza impugnata non avrebbe comunque tenuto conto del mutato quadro
normativo sopravvenuto al Decreto Ronchi, cioè della legge 179/2002, che ha
inserito tra i rifiuti speciali il CDR, quale combustibile derivato da rifiuti,
senza più il riferimento esclusivo ai rifiuti urbani e della Decisione
2001/118/CE che ha aggiornato il Catalogo Europeo dei Rifiuti, inserendo
espressamente quello dei "rifiuti combustibili", codici 19.12.10, non riferito
ai soli rifiuti urbani.
Il ricorrente, sul punto, richiama inoltre la legislazione in materia di rifiuti
sanitari, non assimilati ai rifiuti urbani, per i quali è prevista la
utilizzazione per produrre combustibili (D.P.R. n. 254 del 15-7-2003 art. 9,
codice CER 19.12.10) e la legge delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l'interpretazione della legislazione ambientale (ora l. n. 308,
del 15.12.2004, G.U. 27-12- 2004, n. 187 Supplemento Ordinario), che esclude il
CDR dalla nozione stessa di rifiuto, ove ricorrano alcune condizioni di
carattere tecnico (conformità alle norme tecniche del D.M. 5.2.1998 già citato o
a quelle UN - 9903), e requisiti di qualità, provenienza (da rifiuti urbani o
speciali, ma non pericolosi) e destinazione all'effettivo ed nuovo utilizzo (in
cementifici o centrali termoelettriche).
Infine il ricorrente nega, in via di principio, che l'autorizzazione ordinaria
alla gestione di rifiuti possa essere considerata di per sè meno garante dei
valori ambientali rispetto a quella relativa alla procedura semplificata e, nel
caso specifico, richiama la regolarità degli atti autorizzatori della P.A.:
l'autorizzazione della Giunta Provinciale di Bari del 22.12.1998 n. 848, (che fa
riferimento allo stoccaggio, adeguamento e triturazione di rifiuti destinati al
riutilizzo in un processo di combustione); la determinazione n. 129 del
12.9.2003, e n. 93 del 28 aprile 2004, da cui si evincerebbe la legittimità
della gestione di rifiuti destinati alla combustione per 33.000 tonnellate
annue, trattandosi di rifiuti combustibile CER 19.12.10, espressamente
menzionati come tali nella autorizzazioni più recenti sopra indicate. In
conclusione il ricorrente domanda l'annullamento della ordinanza impugnata ed il
conseguente dissequestro per insussistenza del "fumus commissi delicti",
perchè la nuova legge 308/04 esclude dal campo di applicazione della legge sui
rifiuti "il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi
utilizzato in impianti di produzione di energia elettrica ed in cementifici e
perchè, comunque, nel caso in esame l'autorità competente aveva autorizzato la
combustione e la specifica destinazione con l'atto del 22.12.1998, n. 848, come
integrato con atto del 12.09.2003 n. 129 e atto del 28 aprile 2004 n. 93.
Rileva la Corte preliminarmente che la vicenda doveva essere chiarita con
precisione in punto di fatto nei punti essenziali e ciò non è stato fatto in
modo adeguato. Si rileva dagli atti:
a) che la Società Dalena Ecologia s.r.l. è autorizzata con procedura ordinaria
dalla Provincia di Bari alla produzione di CDR;
b) che la stessa Società Dalena Ecologia s.r.l. fornisce CDR ad una distinta
Società Buzzi Unicem s.p.a., autorizzata al trattamento di rifiuti di terzi (sia
con procedura ordinaria, che semplificata) per essere destinati a combustione ed
a recupero energetico in un cementificio della stessa Buzzi Unicem.
Poichè non è in discussione l'utilità sociale ed economica dell'utilizzo dei
rifiuti nella combustione, quale fonte di energia (ad esempio in un cementificio
al posto del tradizionale carbone coke), si pone il problema della compatibilità
ambientale, assicurata da apposite procedure amministrative e norme tecniche.
Poichè esistono vari tipi di CDR a seconda della composizione e del potere
calorifero (il CDR conforme alle norme tecniche UNI, come si vedrà, non è
addirittura rifiuto, ma merce di qualità), occorreva verificare se ciò che
forniva la Dalena alla Unicem (i rifiuti raccolti nello spiazzo, a prescindere
dalla proprietà, soggetti a processi di adeguamento volumetrico e triturazione a
freddo) era compatibile con il CDR che la Unicem era autorizzata a bruciare nel
cementificio in considerazione delle caratteristiche tecniche intrinseche. La
questione non è se la Dalena è autorizzata a produrre CAR (e lo è formalmente),
ma se quel CDR è fornito secondo le corrette procedure tecniche e
amministrative.
Orbene l'ordinanza impugnata aderendo alle conclusioni del consulente tecnico,
ha fatto proprie due affermazioni di principio che non appaiono conformi a
corretti criteri logici e giuridici. La prima affermazione sostiene che il
combustibile denominato CDR (combustibile derivato da rifiuti) sia soltanto
quello ottenuto da rifiuti urbani. A giudizio della Corte questa tesi si fonda
solo sul dato letterale dell'articolo 6 lettera p del D.Lg.vo 22/97 e non anche
su una lettera integrata del testo di legge, ispirato al recupero dei rifiuti,
quale punto cardine del settore (art. 4) e non più sul concetto di smaltimento e
discarica, come avveniva nel vecchio DPR 915/82.
La prevenzione e la riduzione dello smaltimento finale sono resi possibili anche
dalla "utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo
per produrre energia" (come recita testualmente l'art. 4, 1 comma lettera d, con
riferimento ai rifiuti in generale e non solo a quelli urbani).
L'ordinanza impugnata sul punto non è corretta, come è dimostrato anche dalla
evoluzione successiva della normativa nazionale (legge 179/2002 che ha inserito
il CDR quale combustibile senza il riferimento esclusivo ai rifiuti urbani e il
DPR 15-7-2003 n. 254 art. 9 che consente la utilizzazione dei rifiuti sanitari
(rifiuti speciali) per produrre combustione ed energia).
Anche in sede comunitaria è pacifica la stessa evoluzione, come risulta dalla
Decisione 2001/118/CE, che ha aggiornato il Catalogo Europeo dei Rifiuti,
inserendo espressamente quello dei "rifiuti combustibili" non riferito ai soli
rifiuti urbani (Codice 19-12-10).
La Corte di giustizia delle Comunità Europee ritiene che la combustione di
rifiuti costituisce un'operazione di recupero quando il suo obiettivo principale
è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile, come mezzo per produrre
energia, sostituendosi all'uso di una fonte di energia primaria che avrebbe
dovuto essere usata per svolgere questa funzione e che nei rapporti tra Stati
europei non sono accettabili obiezioni ingiustificate alle spedizioni verso
altro Stato membro/Causa C. 228100, 13.2.2003; Causa C-458/00, 13.2.2003).
Non corretta è anche la seconda affermazione della ordinanza impugnata, secondo
cui il CDR impugnabile per recupero energetico in inceneritori dedicati ed in
impianti industriali (es. cementifici o centrali termoelettriche) sia solo
quello prodotto in regime di procedura semplificata ex artt. 31 e 31 D.Lg.vo
22/97 e non con la procedura ordinaria. Trattasi di tesi non condivisibile
anzitutto per ragioni logiche, poichè l'autorizzazione dell'autorità competente
è un atto che offre maggiori garanzia di controllo rispetto alla comunicazione
ad opera dell'interessato. Quello che conta è il contenuto dell'atto e non la
forma. Nell'autorizzazione la P.A. è in grado di stabilire in via preventiva ed
in modo espresso e specifico quali siano le prescrizioni tecniche da osservare
(tipologia, provenienza, caratteristiche) sulla base della normativa tecnica
esistente (compreso il D.M. 5.2.1998). Nè va dimenticato che il nostro sistema
evolve verso meccanismi integrati preventivi di controllo ambientale (VIA,
Autorizzazione ambientale integrata).
Nella comunicazione unilaterale da parte dell'interessato, tipica delle
procedure semplificate, la P.A. o rimane in silenzio oppure è costretta a
richiedere documentazione integrativa ex post.
Nel caso in esame, la Società Dalena Ecologia ha attribuito al CDR in uscita,
conferito alla Buzzi Unicem, un codice corretto (19 12 10), come risulta dalla
decisione 2001/118/CE, che espressamente denomina "rifiuti combustibili" quei
rifiuti - urbani e speciali - destinati alla combustione. Il ricorrente ha anche
dedotto la violazione dell'art. 14 del decreto - legge 8.7.2002 n. 138,
convertito nella legge 8.8.2002 n. 178. Questa Corte si è occupata del problema,
con orientamenti finora non omogenei, che evidenziano la complessità della
problematica.
La soluzione più radicale risulta espressa dalla decisione Sez. 3^, 27 novembre
2002 n. 2125, Ferretti, per la quale la recente normativa nazionale dovrebbe non
essere applicata in quanto in contrasto con la definizione di rifiuto contenuta
nel Regolamento del Consiglio CEE 1 febbraio 1993 n. 259) sui trasporti
transfrontalieri), attesa la natura della fonte (regolamento) che la contiene.
Sulla stessa linea un orientamento, meno rigido; risulta contenuto nella
decisione Sez. 3^, 15 gennaio 2003, n. 1766, Gonzales, per la quale, al fine di
delineare la nozione di rifiuto, sussiste la necessità dell'applicazione
immediata, diretta e prevalente, nell'ordinamento nazionale, dei principi
fissati dai regolamenti comunitari (v. Corte cost., ord. 144/1990) e della
sentenza della Corte Europea di Giustizia (v. Corte cost., sent. 389/1999,
255/1999 e 113/1985), atteso che le decisioni della Corte di Giustizia, allorchè
l'esegesi del diritto comunitario sia incontrovertibile e la normativa nazionale
ne appaia in contrasto, sono immediatamente e direttamente applicabili in
Italia. Diversamente in Cass. Sez. 3^, 13 novembre 2002, n. 4052, Passerotti, si
è affermato che le nuove disposizioni sono vincolanti per il giudice in quanto
introdotte con atto avente pari efficacia legislativa della recedente normativa
sebbene venga modificata la nozione di rifiuto dettata dall'art. 1 della
Direttiva 91/156/CEE. La decisione ricorda altresì che tale direttiva non è
autoapplicativa (self executing) e che in proposito non può adirsi direttamente
la Corte di Giustizia per acquisire una interpretazione pregiudiziale ai sensi
dell'art. 234 (ex 117), atteso che a dovere essere interpretata è non già la
norma europea, bensì quella nazionale; con la conseguenza che unico strumento
operativo, peraltro attivato, è quello della procedura di infrazione contro lo
Stato italiano ed il successivo ricorso alla Corte di Giustizia in caso di non
adeguamento dello Stato al parere motivato della stessa Commissione, ai sensi
dell'art. 226 (già 169) del Trattato di Roma.
Su questa linea sono anche la Sentenza Sez. 3^, 27 ottobre 2004, n. 1285, Sollo
ed altre decisioni della Corte.
Nel frattempo è intervenuta la sentenza 11 novembre 2004 (Causa C - 457/02 della
Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo, nella quale si afferma
che è contraria al diritto comunitario la nozione di rifiuto "autenticamente
interpretata" a norma dell'art. 14 Decreto legge 8.7.2002 n. 138, convertito in
legge 8.8.2002 n. 178. Più esattamente, secondo la motivazione della Corte, la
nozione comunitaria di rifiuto ammette che non sia considerato tale un materiale
residuo di produzione che si intende sfruttare o commercializzare in un processo
successivo, ovverosia un "sottoprodotto" derivante da un processo di
fabbricazione o di estrazione e destinato al riutilizzo sia certo" e avvenga
senza trasformazioni preliminari nel corso del processo di produzione i residui
di consumo sono invece, sempre catalogabili nella categoria dei rifiuti.
Trattasi di una decisione importante, che va rispettata non solo per i limiti
posti al nostro ordinamento interno dalla gerarchia delle fonti giuridiche ma
anche per le aperture in ordine alla esclusione dal novero dei rifiuti dei
"sottoprodotti" con "certo" riutilizzo.
La decisione citata vincola certamente il giudice remittente in ordine al caso
concreto oggetto del giudizio, ma - ad avviso di questa Corte - non comporta
l'automatico annullamento di una legge dello Stato italiano e neppure esclude
che a livello giurisprudenziale in sede comunitaria e nei singoli Paesi membri
continui una elaborazione paziente e necessaria in ordine alla concezione del
rifiuto che non è di tipo ideologico e che deve saper contemperare le giuste
esigenze di tutela della salute e dell'ambiente con quelle legate alla
evoluzione tecnica, economica e sociale del settore a distanza di 30 anni dalla
prima Direttiva comunitaria. Come la Corte europea può' mutare indirizzo, così i
giudici nazionali conservano un proprio ruolo nei casi concreti, pur nell'ambito
dei punti definiti dalla Corte.
Con riferimento al caso in esame, le sentenza della Corte europea sopra citata
esige una verifica sulla natura del CDR e sull'effettivo ed univoco riutilizzo
del materiale ceduto dalla Società Dalena Ecologia s.r.l. alla Società Buzzi
Unicem s.p.a. con sede in Barletta. Tale accertamento non risulta essere stato
compiuto, perchè ritenuto non necessario alla luce dei due erronei presupposti
di cui si è già detto.
Il ricorrente ha, infine, richiamato la legge 15 dicembre 2004 n. 308, che
all'art. 29, lettera b contiene una esclusione, in via immediata ed oggettiva
del campo di applicazione della legge sui rifiuti e del novero stesso dei
rifiuti del combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi,
come descritto dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF di qualità elevata),
utilizzato in co- combustione, come definita dall'articolo 2, comma 1, lettera
g), del decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 11
novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 14 dicembre 1999,
come sostituita dall'articolo 1 del decreto del Ministro delle attività
produttive 18 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 25 marzo
2002, in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come
specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002".
Questa norma interessa specificamente il caso in esame e deve - a giudizio di
questa Corte - trovare applicazione se ne ricorrono i presupposti. Il giudice,
infatti, è soggetto alla legge secondo i principi costituzionali.
Il giudice di rinvio (acquisito il concetto che il combustibile può essere
ottenuto sia da rifiuti urbani che speciali non pericolosi e che è irrilevante
la forma delle procedure autorizzatorie) per escludere in concreto la stessa
natura del rifiuto (che non consentirebbe in radice di ravvisare il "fumus boni
iuris" del reato), deve accertare:
a) se nel caso in esame il CDR è conforme alle norme tecniche UNI 9903-1;
b) se esso è utilizzato in modo certo in impianti di produzione di energia
elettrica o in cementifici (come risulterebbe nel caso concreto).
La nuova norma non richiede altre condizioni. Essa non esclude che il
combustibile sia ottenuto da rifiuti urbani e speciali e possa essere ceduto a
terzi per la utilizzazione in un cementificio, trattandosi in tal caso di una
"merce" e non di un rifiuto in senso tecnico.
Basta la conformità alle norme tecniche di qualità UN 9903-1. Se questa
condizione che travolgerebbe subito la misura cautelare non si verifica in punto
di fatto, rimane la subordinata, ossia di accertare se il rifiuto (perchè di
questo si tratterebbe) poteva essere ceduto e utilizzato come CDR nel
cementificio UNICEM di Barletta per le sue intrinseche caratteristiche.
Prescindendo dalla natura urbana o speciale, e della forma dell'atto
(autorizzazione o comunicazione) e dalla procedura (ordinaria o semplificata),
l'indagine deve essere rivolta alle prescrizioni della P.A. per accertare se
esse sono conformi alla normativa e se il loro contenuto tecnico è stato
osservato.
La misura cautelare - che inibisce una attività economica - comunque, potrà
essere conservata solo se effettivamente continuano a sussistere i presupposti
di legge, alla luce dei principi sopra indicati da questa Corte.
P.Q.M.
LA CORTE Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bari per nuovo
esame.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2005.
Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2005
1) Rifiuti - CDR - Combustibile da rifiuti - Qualificazione - Provenienza - Produzione di combustibile e di energia - CER - Riferimento ai soli rifiuti urbani - Esclusione. In materia di qualificazione di talune sostanze come combustibile da rifiuti, non vi è la necessità che il CDR provenga solo da rifiuti urbani, ciò è confermato anche dall’evoluzione successiva della legislazione: la L. 179/2002, ad esempio, ha inserito il CDR quale combustibile senza alcun riferimento esclusivo ai rifiuti urbani, ed il D.P,R. 254/2003 consente oggi l’utilizzazione dei rifiuti sanitari (speciali) per la produzione di combustibile e di energia. Anche in sede comunitaria, infine, la decisione 20/118/CE ha inserito espressamente nel CER la classe dei «rifiuti combustibili», senza alcun riferimento esclusivo ai rifiuti urbani. Pres. Zumbo - Est. Postiglione - P.M. Patrone - Imp. Dalena (Annulla l'ordinanza del 19/07/2004 con rinvio al Tribunale di Bari). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 02-05-2005 (ud. 15-03-2005), Sentenza n. 16351
2) Rifiuti - Gestione di rifiuti - Autorizzazione espressa e autorizzazione semplificata - Finalità - Fondamento. In tema di rifiuti, l’autorizzazione espressa è certamente atto di maggior garanzia dell’autorizzazione semplificata, tuttavia ciò che conta è il contenuto, non la forma. Con l’autorizzazione espressa, la p.a. è in grado di stabilire in via preventiva ed in modo manifesto e specifico quali siano le prescrizioni tecniche da adottare sulla base della normativa tecnica esistente. Sicché, ove l’autorizzazione sia rispettosa di quella normativa tecnica, non vi è ragione di ritenere che essa non legittimi, per la sola forma dell’atto, l’esercizio di un’attività che potrebbe essere autorizzata in via semplificata. Pres. Zumbo - Est. Postiglione - P.M. Patrone - Imp. Dalena (Annulla l'ordinanza del 19/07/2004 con rinvio al Tribunale di Bari). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 02-05-2005 (ud. 15-03-2005), Sentenza n. 16351
3) Rifiuti - Combustibile da rifiuti - CDR - Delega per il riordino della legislazione ambientale - Legge sui rifiuti - Applicabilità - Norme tecniche UNI-9903-1 (RDF di qualità elevata) - Esclusione dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti - Fondamento - L. 308/2004. In materia di qualificazione di talune sostanze come combustibile da rifiuti, il CDR, secondo il disposto dell’art. 29, lett. b) della L. 308/2004, contenente anche delega per il riordino della legislazione ambientale, è oggetto di una esclusione in via immediata ed oggettiva dal campo di applicazione della legge sui rifiuti e dal novero stesso dei rifiuti combustibili, se rispondente alle norme tecniche UNI-9903-1 (RDF di qualità elevata) e se destinato alla produzione di energia o a cementifici (come nel caso di specie). In questi casi, il giudice del rinvio dovrà verificare, prima ancora che la rispondenza dell’autorizzazione rilasciata (per la produzione di CDR) alle norme tecniche di compatibilità ambientale emanate con D.M. 5 maggio 1998 per il trattamento di «rifiuti», se le sostanze risultanti dall’attività di trattamento posto in essere presso l’azienda possano essere effettivamente qualificate come «rifiuti», o non invece come combustibile RDF di elevata qualità, rispondente alle norme UNI 9903-1, come tale escluso per legge dal campo di applicazione dell’intera disciplina sui rifiuti. Pres. Zumbo - Est. Postiglione - P.M. Patrone - Imp. Dalena (Annulla l'ordinanza del 19/07/2004 con rinvio al Tribunale di Bari). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 02-05-2005 (ud. 15-03-2005), Sentenza n. 16351
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