Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 17 maggio 2005 (Ud. 14/04/2005), Sentenza n. 18218
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione, III,
17 maggio 2005 (Ud.14/04/2005), Sentenza n. 18218
Pres.U. Papadia - Est.G.
Amoroso - Imp. Finotto - P.M I. Patrono
composta dagli ill.mi signori
Magistrati:
dott. Umberto Papadia Presidente
1.dott. Carlo Grillo
2.dott. Vittorio Vangelista
3.dott. Giovanni Amoroso
4.dott. Giulio Sarno
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Finotto
Martino, n. Camporosso 1'11.11.1933
avverso la sentenza del 30 gennaio 2004 della Corte d'appello di Milano
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Ignazio Patrono che
ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito l'avv. Guglielmo Gullotta del foro di Milano, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso;
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza del l° aprile 2003
del Tribunale ordinario di Lodi, all'esito di giudizio ordinario, dichiarava
FINOTTO Martino colpevole dei reati di cui:
a)all'art. 51, comma 2, in relazione all'art. 14, comma 2, e 51, comma 1,
lettera b), d.lgs. n.22 del 1997 per aver immesso in acque superficiali (fiume
Lambro) rifiuti speciali pericolosi allo stato liquido consistiti in acque
provenienti dal processo produttivo, solventi organici alogenati, soluzioni di
lavaggio e acque madri;
b)all'art. 51, comma 2, in relazione all'art. 14, comma 2, e 51, comma 1,
lettere a) e b), d.lgs. n.22 del 1997 per aver effettuato un deposito
incontrollato di rifiuti solidi, pericolosi e non, quali consistiti in terreni
ad elevato tasso inquinante, rifiuti ferrosi, fusti in metallo, cisterne in
polietilene;
c)art. 59, comma 3, in relazione all'art. 45 d.lgs. n.152 del 1999 per aver
effettuato uno scarico di acque reflue industriali (di raffreddamento e
meteoriche) contenenti sostanze pericolose in assenza di autorizzazione (fatti
tutti commessi in Casaletto Lodigiano fino al 4 dicembre 2000 .
Il tribunale - unificati i reati sotto il vincolo della continuazione e previa
concessione delle attenuanti generiche - condannava il Finotto alla pena di mesi
5 di arresto, con il beneficio della pena sospesa, oltre al pagamento delle
spese processuali.
Con la stessa sentenza è stato
dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato
di cui all'art. 25, comma 2, d.p.r. n. 203 del 1998 (capo d dell'originaria
imputazione) per essere lo stesso estinto per intervenuta oblazione. In sentenza
si affermava che l'imputato era amministratore unico della PROCHISA S.p.A. -
società che aveva un'unità operativa in Casaletto Lodigiano Frazione Mairano -
la cui attività consisteva nella fabbricazione di intermedi chimici per
l'industria farmaceutica.
A seguito di controlli effettuati dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri
dì Milano il 28/11/2000, il 30/11/2000 ed il 4/12/2000 era emersa la presenza
all'aperto di fusti in metallo e cisternette in polietilene, contenenti materie
prime pericolose in assenza di coperture e di strutture di contenimento per
eventuali fuoriuscite,
All'esterno del muro di cinta vi erano molti fusti vuoti, che avevano contenuto
materie non sottoposte a verifica, stoccati su area non pavimentata e senza
alcuna protezione, cassoni scarrabili non coperti contenenti rifiuti che
spandevano sul terreno liquidi, nonché rifiuti speciali (terreni contaminati
provenienti da scavi all'interno dell'area produttiva).
Infine a pochi metri dal fiume Lambro erano depositati in modo incontrollato e
su pavimentazione inesistente rifiuti ferrosi provenienti da smantellamento di
linee produttive.
Veniva inoltre accertata l'esistenza di un pozzetto intermedio nel quale
confluivano due tubazioni di acque reflue industriali (acqua di raffreddamento e
acqua di processo) che, dopo essersi miscelate,erano avviate allo scarico nel
fiume Lambro. Vi era un secondo pozzetto (finale) con unico ingresso e unica
uscita nel fiume Lambro.
Dal pozzetto intermedio promanava odore di solventi e fuoriusciva materiale
colorato e vapore.
L'analisi di due campioni prelevati evidenziava alta concentrazione di solventi
in due campioni.
Il consulente tecnico del P.M. assumeva che erano scaricati rifiuti pericolosi
in acque superficiali.
Il primo giudice riteneva che vi fosse connessione diretta tra il serbatoio di
stoccaggio dei reflui e il fiume Lambro tramite una tubatura che consentiva lo
scarico delle acque eccedenti quanto smaltito tramite imprese autorizzate, come
confermato dal tracciante ottico (fluorescina), versato in un tubo vicino ai
serbatoi, rinvenuta nel fiume.
La presenza di sostanze inquinanti inerenti l'attività produttiva e l'alta
percentuale di sostanze tossiche inducevano a ritenere - secondo il tribunale -
che non si tratta di acque di lavaggio ma anche di acque madri.
Ad avviso del Tribunale non poteva considerarsi valida la precedente
autorizzazione rilasciata alla PRODOTTI CHIMICI SABBATINI S.r,l. (a cui la
PROCHISA era subentrata) in quanto riguardante sole acque di raffreddamento e
meteoriche e non anche le acque madri.
2. Avverso la menzionata sentenza interponevano appello i difensori e l'imputato
personalmente, lamentando in particolare che il Tribunale aveva trattato le
imputazioni
di cui ai capi a) e c) come se fossero state fungibili e complementari, mentre
se avesse affrontato separatamente gli elementi di prova relativi a ciascuna di
esse sarebbe pervenuto a diversa soluzione e contestando la sussistenza dei
presupposti di fatto dei reati accertati dal primo giudice.
La Corte d'appello di Milano con sentenza del 30 gennaio 3004 rigettava
l'appello confermando la pronuncia di primo grado.
3. Avverso questa pronuncia i difensori dell'imputato hanno proposto ricorso in
cassazione articolato in quattro motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso - con cui si deduce, in sintesi, che la condotta contestata può integrare alternativamente il reato previsto al capo A) o al capo C) della rubrica, ma non entrambi in concorso formale - è fondato.
Questa Corte (Cass., sez. III, 25 giugno 2002 - 2 ottobre 2002, n. 32825) ha già
affermato - e ora ribadisce - che l'art. 8, comma 1, lett. e) d.lgs. n. 22 del
1997 esclude dall'applicazione della normativa stessa le acque di scarico, ad
eccezione dei rifiuti allo stato liquido, definendo quindi espressamente il
rapporto tra lo stesso d.lgs. n. 22/97, recante la disciplina dei rifiuti, e il
d.lgs. n. 152 del 1999 sulla tutela delle acque dall'inquinamento: il primo
rappresenta la legge-quadro e quindi la normativa elettiva in materia di
rifiuti, che però, qualora questi siano costituiti da acque di scarico dirette,
sono assoggettati, in via di eccezione, alla disciplina del d.lgs. n. 152/99
sull'inquinamento idrico. Quindi da una parte il c.d. "scarico indiretto" non è
più considerato scarico, ma viene classificato come "rifiuto liquido costituito
da acque reflue" ed è sottoposto alla disciplina dei rifiuti; d'altra parte lo
scarico diretto di reflui liquidi contenenti sostanze pericolose è attratto alla
disciplina dell'inquinamento idrico. Ed allora, stante la nozione di «scarico»
introdotta dal d.leg. n. 152/99, deve ritenersi che i rifiuti allo stato
liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfaccia senza
versamento diretto nei corpi recettori, avviandole cioè allo smaltimento,
trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non
canalizzato,
rientrano nella disciplina dei rifiuti dettata dal d.leg. n. 22/97 e il loro
smaltimento deve essere autorizzato; mentre all'opposto lo scarico diretto di
acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, indirizzato in corpi
idrici recettori, specificamente indicati, rientra nell'ambito del citato d.leg.
n. 152/99 sull'inquinamento idrico.
Ed è in quest'ultima ipotesi che rientra il caso di specie.
La condotta contestata all'imputato ed accertata dai giudici di merito, con
motivazione sufficiente ed immune da intrinseche contraddittorietà od
illogicità, consiste nell'immissione nel fiume Lambro di acque reflue
industriali (di raffreddamento e meteoriche) contenenti acque provenienti dal
processo produttivo, solventi organici alogenati, soluzioni di lavaggio; queste
ultime sono state (motivatamente) qualificate dai giudici di merito come
"sostanze pericolose".
Ciò integra la condotta contestata al capo C) della rubrica e prevista dal terzo
comma dell'art. 59 d.lgs. n. 152/99: scarico di acque reflue industriali (di
raffreddamento e meteoriche) contenenti sostanze pericolose. Questa condotta
scherma del tutto, sub specie di concorso apparente di norme (art. 15 c.p.) e
quindi in ragione del principio di specialità, quella contestata al capo A della
rubrica, nel senso che lo scarico di sostanze pericolose, già insito nella
condotta di cui al capo C (scarico di acque reflue industriali contenenti
sostanze pericolose), non può poi essere isolato e costituire anche una distinta
condotta autonomamente (ed ulteriormente) sanzionata dall'art. 51, comma 1,
lett. b) d.lgs. n. 22/97 (dismissione, senza autorizzazione, di rifiuti
pericolosi): è integrato solo il reato previsto dall'art. 59, comma 3, d.lgs. n.
152/99 (più grave in ragione della più elevata pena detentiva: art. 16, comma 3,
c.p.p.) e non anche il reato previsto dall'art. 51, comma 1, lett. b), cit..
La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio limitatamente
all'imputazione di cui al capo A) perché in fatto non sussiste con conseguente
riduzione del relativo aumento di pena per la continuazione (quindici giorni di
arresto).
2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso - con cui si denuncia la "mancanza
o manifesta illogicità della motivazione in ordine al reato di cui al capo A)" e
1' "erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in ordine
al reato di cui al capo C) - non sono fondati.
Da una parte le censure riferite al reato di cui al capo A) risultano assorbite,
una volta annullata in tale parte la sentenza impugnata.
Quanto al reato di cui al capo C) i motivi (non solo il terzo, ma anche il
secondo che, al di là della sua riduttiva rubrica riguarda anche tale reato)
ridondano in censure di fatto in ordine alla evidenza probatoria della condotta
contestata. Ma a questo proposito non solo la sentenza impugnata contiene una
precisa motivazione, ma essa è anche immune da intrinseca contraddittorietà od
illogicità.
La Corte d'appello ha in particolare osservato, in punto di fatto, che
l'esistenza di odore di solventi dal pozzetto intermedio consentiva di affermare
che nell'acqua che transitava in tale pozzetto erano contenuti solventi in
misura apprezzabile persino dall'olfatto umano e ciò induceva a escludere che si
potesse trattare solo di acque meteoriche o di raffreddamento, dal momento che
tali acque non entravano in contatto con il materiale oggetto di produzione e
con i reagenti utilizzati nella produzione; si doveva quindi necessariamente
ipotizzare che si trattasse, quantomeno, di acque di lavaggio, eventualmente
miste ad acque di raffreddamento. Le analisi sui campionamenti effettuati - ha
proseguito la Corte d'appello - avevano evidenziato, fra l'altro, un'elevata
concentrazione di toluene (solvente aromatico) di molto superiore ai limiti
consentiti; il fatto poi che il campionamento fosse stato istantaneo era nel
caso concreto irrilevante proprio per il rilevante superamento dei limiti di
inquinamento che, anche se ricondotto a flussi variabili, non sarebbe potuto
rientrare nei valori delle concentrazioni ammesse.
Osservava ancora la Corte d'appello che il rilevato transito del tracciante
ottico (fluorescina) provava lo scarico nel Lambro, e che in quella tubazione
fossero stati convogliati rifiuti pericolosi risultava dagli elementi ulteriori
quali l'odore di immediata percezione e le analisi.
Il fatto poi che non fossero stati trovati collegamenti stabili (palesi od
occulti) tra gli impianti ed il pozzetto induceva la Corte d'appello a ritenere
che tali scarichi, provati dagli elementi sopra indicati, erano avvenuti con
collegamenti non stabili, evidentemente rimossi dopo ogni singola operazione di
scarico o comunque rimossi prima dell'effettuazione della consulenza tecnica,
non essendo altrimenti spiegabile la presenza dei solventi negli scarichi ed
essendo possibile tale scarico anche solo consentendo il mescolamento fra acque
di lavaggio e meteoriche.
Pertanto gli indizi evidenziati nella sentenza impugnata erano idonei a
suffragare l'affermazione di responsabilità dell'imputato.
Si tratta di una valutazione in fatto, ampiamente motivata nella sentenza
impugnata, non censurabile in sede di giudizio di legittimità; mentre la difesa
del ricorrente invoca nella sostanza una nuova valutazione di merito che è
inammissibile nel giudizio di cassazione non ricorrendo l'ipotesi, eccezionale e
residuale, della manifesta illogicità, non senza considerare tra l'altro che la
difesa del ricorrente non ha neppure specificamente e testualmente denunciato i
punti della motivazione che si porrebbero in insanabile contrasto con altri
punti della medesima pronuncia.
Infatti il vizio di motivazione di una sentenza art. 606, lett. e), c.p.p.
sussiste solo allorché essa mostri, nel suo insieme, un'intrinseca
contraddittorietà ed un'obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto
il giudice di merito alla formazione del proprio convincimento; ossia presuppone
che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente
contrastanti in guisa da elidersi
a vicenda e da non consentire l'individuazione della e l'identificazione del
procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione adottata.
La denunzia del vizio di motivazione non conferisce a questa Corte il potere di
riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di
controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica - in
relazione ad un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o
rilevabile d'ufficio - le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale
spetta esclusivamente individuare le fonti del proprio convincimento, di
esaminare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra
le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in
discussione, dare la prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova.
Quanto poi al l'invocata esistenza di autorizzazione tacita, correttamente ha
rilevato la Corte d'appello che da un lato l'art. 45 d.lgs. n.152/1999 prevede
che, per le sostanze pericolose, l'autorizzazione sia espressa, dall'altro che
l'art. 59, comma 3, d.lgs. n.152/1999 punisce indifferentemente le ipotesi di
entrambi i precedenti commi e cioè sia lo scarico senza autorizzazione che
l'effettuazione di scarichi oltre i limiti indicati.
3. Infondato è infine anche il quarto motivo, con cui si denuncia la mancanza o
manifesta illogicità della motivazione in ordine al reato di cui al capo B
(deposito incontrollato di rifiuti inquinanti, soprattutto masse terrose).
La Corte d'appello ha in proposito osservato che dalla analisi dei campioni di
terreno era risultata un'alta presenza di toluene. Inoltre dalla nota 22/7/1999
del Responsabile del Settore Sanitario del Dipartimento di Prevenzione dell'A.S.L.
della Provincia di Lodi emergeva che a seguito di un sopralluogo era risultata
la contaminazione dei terreni in questione da solventi. Il fatto poi - osserva
ulteriormente la Corte d'appello - che fosse in corso una attività di bonifica
non escludeva il reato dal momento che i rifiuti solidi non erano stati smaltiti
entro un anno e non era stata chiesta l'autorizzazione allo stoccaggio
provvisorio degli stessi (circostanze queste che peraltro la difesa
dell'imputato non contesta specificamente).
Anche in tal caso si tratta di una motivazione logica e coerente che si sottrae
alle censure, sostanzialmente in fatto, mosse dal ricorrente.
4.Pertanto, accolto il primo motivo, il ricorso deve essere, nel resto,
rigettato.
P.Q.M
la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'imputazione di cui al capo A) perché il fatto non sussiste ed elimina la pena di giorni quindici di arresto.
Rigetta nel
resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2005
Il Consigliere estensore
Giovanni Amoroso
Il Presidente
Umberto Papadia
Depositata in cancelleria 17 maggio 2005
Inquinamento idrico - Nozione di «scarico» - D.Lg. n. 152/99 - C.d. "scarico indiretto" - Rifiuto liquido costituito da acque reflue industriali - Disciplina dei rifiuti - D.L.vo. n. 22/97 - Acque reflue (di raffreddamento e meteoriche), solventi organici alogenati, soluzioni di lavaggio - Sostanze pericolose. L'art. 8, comma 1, lett. e) d.lgs. n. 22 del 1997 esclude dall'applicazione della normativa stessa le acque di scarico, ad eccezione dei rifiuti allo stato liquido, definendo quindi espressamente il rapporto tra lo stesso d.lgs. n. 22/97, recante la disciplina dei rifiuti, e il d.lgs. n. 152 del 1999 sulla tutela delle acque dall'inquinamento: il primo rappresenta la legge-quadro e quindi la normativa elettiva in materia di rifiuti, che però, qualora questi siano costituiti da acque di scarico dirette, sono assoggettati, in via di eccezione, alla disciplina del d.lgs. n. 152/99 sull'inquinamento idrico (Cass., sez. III, 25 giugno 2002 - 2 ottobre 2002, n. 32825). Quindi da una parte il c.d. "scarico indiretto" non è più considerato scarico, ma viene classificato come "rifiuto liquido costituito da acque reflue" ed è sottoposto alla disciplina dei rifiuti; d'altra parte lo scarico diretto di reflui liquidi contenenti sostanze pericolose è attratto alla disciplina dell'inquinamento idrico. Ed allora, stante la nozione di «scarico» introdotta dal d.leg. n. 152/99, deve ritenersi che i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfaccia senza versamento diretto nei corpi recettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti dettata dal d.leg. n. 22/97 e il loro smaltimento deve essere autorizzato; mentre all'opposto lo scarico diretto di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, indirizzato in corpi idrici recettori, specificamente indicati, rientra nell'ambito del citato d.leg. n. 152/99 sull'inquinamento idrico. Pres. U. Papadia - Est.G. Amoroso - Imp. Finotto - P.M I. Patrono. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione, III, 17 maggio 2005 (Ud.14/04/2005), Sentenza n. 18218
Rifiuti - Immissione di acque reflue industriali - Sostanze pericolose - Art. 59 3° c. D.lgs. n. 152/99 - Configurabilità - Fondamento. L'immissione (nel fiume Lambro) di acque reflue industriali integra la condotta contestata al capo C) della rubrica e prevista dal terzo comma dell'art. 59 d.lgs. n. 152/99: scarico di acque reflue industriali (di raffreddamento e meteoriche) contenenti sostanze pericolose. (Questa condotta scherma del tutto, sub specie di concorso apparente di norme (art. 15 c.p.) e quindi in ragione del principio di specialità, quella contestata al capo A della rubrica, nel senso che lo scarico di sostanze pericolose, già insito nella condotta di cui al capo C (scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose), non può poi essere isolato e costituire anche una distinta condotta autonomamente (ed ulteriormente) sanzionata dall'art. 51, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 22/97 (dismissione, senza autorizzazione, di rifiuti pericolosi): è integrato solo il reato previsto dall'art. 59, comma 3, d.lgs. n. 152/99 (più grave in ragione della più elevata pena detentiva: art. 16, comma 3, c.p.p.) e non anche il reato previsto dall'art. 51, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 22/97). Pres. U. Papadia - Est.G. Amoroso - Imp. Finotto - P.M I. Patrono. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione, III, 17 maggio 2005 (Ud.14/04/2005), Sentenza n. 18218
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