Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III 17 maggio 2005, Sentenza n. 18229
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III,
17 maggio 2005, Sentenza n. 18229
Pres.Zumbo - Est. Franco- Imp.
Toriello
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Vallo della Lucania
dichiarò Toriello Giovanni colpevole dei reati di cui: a) agli artt. 15-25,
primo comma, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, per avere emesso polveri nella
atmosfera senza essere in possesso della autorizzazione alle emissioni
inquinanti e senza provvedere al loro adeguato abbattimento; b) agli artt. 45-49
D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, per avere effettuato uno scarico di sostanze
liquide in un torrente e sul suolo senza la prescritta autorizzazione; c) agli
artt. 27, 28, 51 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per avere svolto una attività di
recupero della sansa utilizzandola quale combustibile per l'alimentazione della
caldaia, e lo condannò alla pena di € 4.000,00 di ammenda, oltre al
risarcimento del danno, equitativamente liquidato, in favore della parte civile
regione Campania.
In sostanza, il giudice accertò che il Toriello all'epoca gestiva un frantoio
oleario e che per la produzione dell'acqua calda utilizzava una caldaia
alimentata con sansa esausta residuata dai cicli di lavorazione dell'olio, la
quale, prima di essere avviata nei centri di recupero, veniva stoccata in alcuni
box attigui all'oleificio, dai quali percolava sul suolo il liquido che si
produceva per effetto del suo asciugamento.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
a) violazione e falsa applicazione del D.P.R. 25 luglio 1991. Lamenta che il
giudice ha valutato la sua condotta esclusivamente alla luce del D.P.R. 24
maggio 1988, n. 203, senza tener conto che all'epoca era vigente il D.P.R. 25
luglio 1991, in forza del quale sono esonerate dall’obbligo di autorizzazione le
attività ad inquinamento poco significativo. Nel caso di specie era stata
appunto provata la poca significatività dell'inquinamento prodotto, ma
erroneamente il giudice non ha tenuto conto delle risultanze processuali;
b) violazione e falsa applicazione dell'art. 51, primo comma, D.Lgs. 5 febbraio
1997, n. 22. Osserva che la sentenza impugnata ha accertato in fatto che egli
provvedeva ad alimentare la caldaia adoperata nell'oleificio con la sansa
residuata dai cicli di lavorazione delle olive. Non può quindi essere integrato
il reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti perché la sansa residuata
dalla molitura era reimpiegata nel ciclo produttivo come combustibile per
riscaldare l'acqua necessaria al raffreddamento dei macchinari utilizzati;
c) erronea applicazione degli artt. 49-59 D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152. Osserva
che il percolamento era un fatto accidentale insuscettibile di integrare uno
scarico in senso vero e proprio. Il fatto era comunque inoffensivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è infondato.
In via preliminare va ricordato che il reato di cui all'art. 25, comma 1, del
D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (sull'inquinamento atmosferico) ha natura formale,
poiché attiene all'esercizio di un impianto esistente anteriormente all'entrata
in vigore dello stesso D.P.R. senza che l'interessato abbia presentato
all'autorità regionale competente la domanda di autorizzazione prescritta.
Trattasi altresì dì reato di pericolo che prescinde dalla verificazione di un
danno concreto (Sez. III, 7 ottobre 1999, Cipriani, m.. 214.988).
Ciò premesso, deve rilevarsi che non sussiste alcuna violazione del D.P.R. 25
luglio 1991, invocato dal ricorrente.
Difatti, i punti 25 e 26 del decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989 (contenente atto di
indirizzo e coordinamento alle Regioni, ai sensi dell'articolo 9 della legge 8
luglio 1986, n. 349, per l'attuazione e l'interpretazione del decreto del
Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, recante norme in materia di
qualità dell'aria relativamente a specifici agenti inquinanti e di inquinamento
prodotto da impianti industriali) come modificati ed integrati dal D.P.R. 25
luglio 1991 (emanato ai sensi del punto 25 del citato D.P.C.M. 21 luglio 1989 e
dell'art. 3, secondo comma, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203), dispongono che non
sono soggette ad autorizzazione soltanto le attività i cui impianti provocano
inquinamento atmosferico poco significativo ai sensi dell'art. 2, primo comma,
D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, attività da individuarsi con un successivo
decreto ministeriale ai sensi dell'art. 3, secondo comma, D.P.R. 24 maggio 1988,
n. 203. Questa individuazione è stata poi appunto operata dal D.P.R. 25 luglio
1991, che all'art. 2 ha stabilito che devono qualificarsi come attività ad
inquinamento atmosferico poco significativo per il cui esercizio non è richiesta
autorizzazione ai sensi dell'art. 2, primo comma, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203,
quelle tassativamente indicate nell'allegato I del medesimo decreto. Fra tali
attività non è compresa quella svolta dall'imputato relativa all'esercizio di un
frantoio oleario.
Pertanto - come già rilevato da precedenti decisioni di questa Sezione (cfr.
Sez. III, 18 ottobre 1996, Carini, m. 206.477; Sez. III, 13 dicembre 2000,
Gullotta. m. 218.698; Sez. III, 4 ottobre 2002, Stramazzo, m. 222.702; Sez. III,
20 dicembre 2002, Cardillo, m. 224.180) - non ha alcuna importanza quale fosse
in concreto la significatività dell'inquinamento prodotto dall'impianto
dell'imputato e le opinioni che abbiano potuto avere i testi in proposito, dal
momento che, ai sensi degli artt. 2 e 4 del D.P.R, 25 luglio 1991 possono
legalmente considerarsi attività ad inquinamento atmosferico poco significativo
esonerate dall'obbligo di autorizzazione esclusivamente quelle specifiche
tassativamente considerate nell'elenco di cui all'allegato I del medesimo
decreto, tra le quali non rientra quella di cui è processo.
Il terzo motivo - con il quale si invoca la accidentalità del percolamento di
modo che non sarebbe integrato uno scarico vero e proprio e l'inoffensività del
fatto - è inammissibile perché si risolve in una censura in punto di fatto della
decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione
delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita
in questa sede di legittimità ed è comunque manifestamente infondato.
Il giudice
del merito, invero, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente
motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha accertato che non si
trattava di un episodio occasionale ed incidentale perché vi era un abituale e
continuo percolamento dai box di liquidi che fuoriuscivano dalla sansa stipata
nei box stessi ed andavano a finire nel corpo ricettore. Esattamente quindi è
stato ritenuto che fosse necessaria la autorizzazione senza che rilevi la
pericolosità in concreto degli scarichi stessi.
E' invece fondato il secondo motivo.
Dalla stessa sentenza impugnata, infatti,
risulta che si trattava di materiale residuale della produzione che era
effettivamente ed oggettivamente riutilizzato nello stesso ciclo produttivo,
senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare
pregiudizio all'ambiente, quale combustibile per alimentare la caldaia per
riscaldare l'acqua necessaria per il raffreddamento dei macchinari utilizzati,
materiale che quindi non poteva essere qualificato come rifiuto ai sensi
dell'art. 6 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, come autenticamente interpretato
dall'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito con legge 8
agosto 2002, n. 178.
La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio relativamente al
reato di cui al capo C) (art. 51 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) perché il fatto
non sussiste.
Questa Corte non può procedere direttamente alla eliminazione della relativa
pena perché il giudice di primo grado ha posto come pena base proprio quella
inflitta per il reato di cui al capo C), considerato reato più grave.
La
sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al tribunale di
Vallo della Lucania per la rideterminazione della pena: per i due reati residui
nonché per una nuova quantificazione del risarcimento del danno a favore della
parte civile, dal momento che nel determinare questo danno la sentenza impugnata
ha ritenuto espressamente conto anche del pregiudizio subito dalle regione
Campania a causa della mancata richiesta e del mancato rilascio della
autorizzazione in materia di rifiuti, autorizzazione che invece nella specie
non era necessaria. Ciò comporta altresì che appare conforme a giustizia
compensare integralmente tra l'imputato e la parte civile le spese del presente
grado.
Nel resto il ricorso va rigettato.
Inquinamento atmosferico - Inquinamento poco significativo - Classificazione - Frantoio oleario - Esclusione - Fondamento - Art. 25, 1c. DPR 203/1988 - Reato istantaneo di pericolo. Il reato di cui all'art. 25, primo comma dpr 203/1988 è reato istantaneo di pericolo. Le attività ad inquinamento poco significativo sono solo quelle tassativamente indicate e tra queste non rientra quella di esercizio di frantoio oleario (D.P.R. 25 luglio 1991, che all'art. 2 ha stabilito che devono qualificarsi come attività ad inquinamento atmosferico poco significativo per il cui esercizio non è richiesta autorizzazione ai sensi dell'art. 2, primo comma, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, quelle tassativamente indicate nell'allegato I del medesimo decreto). Pres.Zumbo - Est. Franco- Imp. Toriello CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III 17 maggio 2005 , Sentenza n. 18229
Rifiuti - Riutilizzazione nel ciclo produttivo della sansa residuata dalla
lavorazione delle olive - Senza alcun intervento preventivo di trattamento
Natura di rifiuto - Eesclusione.
La riutilizzazione nel ciclo produttivo della sansa residuata dalla lavorazione
delle olive senza alcun intervento preventivo di trattamento esclude la natura
di rifiuto della stessa. Pres.Zumbo - Est. Franco- Imp.
Toriello CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sezione III 17 maggio 2005 , Sentenza n. 18229
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza