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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 21/10/2005 (Ud 29/9/2005), Sentenza n. 20358

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 21/10/2005 (Ud 29/9/2005), Sentenza n. 20358

(Pres. R. Preden; Est.Di Nanni)


UDIENZA PUBBLICA
DEL 29/9/2005
 


Omissis


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. La spa Emilia, avente causa dalla spa Società Esazione Tributi (S.E.T.) concessionaria del servizio per la riscossione dei tributi nella provincia di Milano, con atto di citazione del 19 luglio 1996, ha convenuto in giudizio davanti al tribunale di Milano il Ministero delle Finanze, chiedendone la condanna al pagamento della somma di oltre lire sei miliardi, a titolo di risarcimento danni derivanti dall'annullamento di provvedimenti amministrativi con i quali la S.E.T. era rimasta esclusa dalla concessione del servizio.


La Società Emilia ha dichiarato che l'Amministrazione delle finanze, nell'anno 1988, dovendo dare attuazione alla riforma del servizio di riscossione dei tributi nella provincia di Milano, aveva emesso decreti di soppressione degli ambiti territoriali sub provinciali, privilegiando le esattorie dei capoluoghi, così escludendo la S.E.T., nonostante la legge prevedesse che l'assetto definitivo della riforma fosse preceduto da un regime transitorio, di durata quinquennale, durante il quale la scelta dei concessionari doveva cadere sui precedenti gestori in possesso di requisiti di efficienza e capacità. I decreti, impugnati davanti al giudice amministrativo, erano stati annullati nel 1991, ma il Ministero solo nel 1993 aveva ridisegnato gli ambiti territoriali della riscossione in sede provinciale, consentendo alla S.E.T. di riprendere il servizio, determinando, tuttavia, una drastica riduzione della durata della gestione transitoria quinquennale e dei conseguenti minori introiti.


Il Ministero si è costituito in giudizio, resistendo alla pretesa.

2. La domanda, rigettata dal tribunale, è stata accolta dalla Corte di appello di Milano, con sentenza del 16 marzo 2001, che ha condannato l'Amministrazione delle finanze al pagamento in favore dell'attrice della somma di oltre lire 1.200.000.000. La Corte di appello, in particolare, ha ritenuto che la posizione di interesse legittimo fatta valere dalla spa Emilia non precludeva l'esercizio dell'azione risarcitoria, giacché l'annullamento del provvedimento amministrativo di esclusione della Società SET denotava un comportamento contrario alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, e come tale quanto meno colpo so.


3. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione.


La spa Emilia ha resistito con controricorso, ha proposto ricorso incidentale ed ha depositato memoria.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Il ricorso principale e quello incidentale hanno dato luogo a procedimenti diversi, che debbono essere riuniti, perché riguardano impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).


2. Con il primo motivo del ricorso principale il Ministero delle finanze addebita alla sentenza impugnata due errori di diritto.


Il primo, di avere affermato la responsabilità della pubblica amministrazione, senza considerare che il giudizio di responsabilità non emergeva dalle decisioni di annullamento dei decreti impugnati e che nella condotta criticata non ricorreva il profilo soggettivo della colpa, la quale non poteva consistere nella mera dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti impugnati. Il secondo, di non avere riconosciuto che la colpa richiesta nella fattispecie era quella grave, giacché il Ministero si era trovato nella condizione di risolvere una questione di interpretazione di norme che implicava soluzione di un problema tecnico di speciale difficoltà.


La censura in parte è inammissibile, in altra parte è infondata.


2.1. Il Ministero ha sostenuto, dilungandosi sul punto nella difesa orale, che dalle decisioni del giudice amministrativo, indicate nella sentenza impugnata, non si ricavava che la regola da seguire nel periodo transitorio era di confermare gli ambiti più ristretti previgenti, giacché la legge di riforma (art. 115 del d.p.r. n. 43 del 1988) aveva stabilito che nel primo quinquennio di applicazione della riforma fossero solo preferiti i soggetti che avevano già gestito il servizio di riscossione con impegno ed efficienza. Ha aggiunto che la Corte di Milano, per affermare la responsabilità dell'Amministrazione, avrebbe dovuto in primo luogo ricostruire il sistema normativo previsto per il periodo transitorio nel senso proposto per poi ricostruire autonomamente la colpa nella condotta in concreto tenuta.


La tesi non può essere condivisa.


Lo stesso ricorrente non contesta che il provvedimenti del 1988, di attuazione della riforma del sistema di riscossione nella provincia di Milano, sono stati tutti annullati in sede giurisdizionale amministrativa giacché illegittimi.


Proposta domanda di risarcimento del danno derivante da illegittima attività della pubblica amministrazione, quindi, il giudice civile non ha il potere di riesaminarne i profili di illegittimità, ma, sulla base di questi, verificare la ricorrenza dei presupposti della responsabilità civile nel quadro del sistema ricavabile dall'art. 2043 cod. civ.


La Corte di Milano, sotto questo aspetto, non aveva quindi l'obbligo di ripetere il giudizio di responsabilità già compiuto dal giudice amministrativo, ma prendere atto che il t.a.r. Lombardia (sentenza n. 410/1991) e dal Consiglio di Stato (sentenza n.301/1993) avevano dichiarato che, secondo legge, territorio della provincia di Milano doveva essere ricomposto in tre ambiti territoriali anziché due, come era stato disposto in un primo momento.


2.2.1. Sempre sotto il profilo dell'elemento soggettivo della responsabilità civile della pubblica amministrazione, è ben vero che la colpa è l'elemento fondante la fattispecie risarcitoria, giacché non è sostenibile che la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo.


In altri termini, l'imputazione della responsabilità non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, poiché il giudice ordinario, davanti al quale si svolge il giudizio risarcitorio, deve svolgere una penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, estesa alla valutazione della colpa dell'amministrazione.


Questa colpa è configurabile quando l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, poiché si pongono come limiti esterni alla discrezionalità.


Il che implica interrogarsi sul ruolo che il provvedimento (dichiarato illegittimo) assume ai fini della soggezione dell'amministrazione al giudizio di responsabilità.


La tesi dell'equivalenza fra atto illegittimo e condotta illecita, enunciata in passato, non è condivisa dal Collegio, perché, da tale regime processuale privilegiato del provvedimento amministrativo, il quale resta valido ed efficace fino al suo annullamento, si ricaverebbe una inammissibile compensazione o equiparazione fra dichiarazione di illegittimità del provvedimento e presunzione di colpa e si determinerebbe una condizione di eguale illegittimo privilegio della pubblica amministrazione in base alla sola sua qualità soggettiva.


Si deve ritenere, invece, che l'illegittimità dell'atto è solo un fattore concorrente ad integrare l'illiceità della condotta, la quale deve essere verificata in base al rispetto delle regole proprie dell'azione amministrativa, poste con norme costituzionali (imparzialità e buon andamento), con norme di legge ordinaria (celerità, efficienza, efficacia, trasparenza), o da principi generali dell'ordinamento, come applicati dall'interprete (ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza).


Questi principi, sostanzialmente, sono stati posti a fondamento della giurisprudenza di questa Corte, la quale, a partire dalla decisione ss. uu. 22 luglio 1999, n. 500, ha indicato che non sarà invocabile, ai fini dell'accertamento della colpa, il principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo, poiché tale principio [...] non è conciliabile con la più ampia lettura della suindicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; l'imputazione non potrà quindi avvenire sulla base del mero dato obbiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, ma il giudice ordinario dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato [...] che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità (così nella motivazione della decisione).


Naturalmente, la verifica circa la sussistenza di tali condizioni in concreto impone un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivate.


2.2.2. Nella fattispecie, l'indagine sulla colpa dell'Amministrazione delle finanze è stata compiuta nella sentenza impugnata. Questa con la lunga esposizione della cronistoria dei fatti ha reso evidente il comportamento non imparziale della pubblica amministrazione, la quale, dopo i primi provvedimenti cautelare del giudice amministrativo favorevoli all'attrice, ha perseverato nel precedente atteggiamento di mantenere la nomina di soggetti diversi dagli aventi diritto nella riscossione dei tributi, concorrendo a determinare il danno della S.E.T., consistente nella perdita dei risultati economici dell'attività che avrebbe potuto svolgere nell'intero periodo transitorio.


La valutazione compiuta è completa e comporta il rigetto del motivo di ricorso, giacché la Corte di appello ha individuato l'elemento soggettivo dell'illecito nella colposa violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, riferite all'inottemperanza ad ordinanze di sospensione emesse dal giudice amministrativo ed alla tardiva ottemperanze al giudicato amministrativo. Queste, verificate dalla Corte nella loro esistenza, come era corretto fare, e non attraverso una rilettura delle sentenze di annullamento del giudice amministrativo, come la ricorrente Amministrazione pretende si dovesse fare.


Né vale obbiettare che il ritardo, con il quale è stato seguito il più corretto sistema di ripartizione indicato dai giudici amministrativi, era giustificato dal fatto che le decisioni amministrative di primo grado, all'epoca dei fatti, non erano suscettibili di giudizio di ottemperanza.


Invero, la scelta del Ministero di voler attendere la decisione finale del Consiglio di Stato sulle impugnazioni proposte, in sé legittima, comportava in ogni caso l'accettazione del rischio da parte dell'impugnante della conferma della precedente decisione, come si è puntualmente verificato nella situazione data, e del conseguente inadempimento dell'obbligo di tenere un comportamento imparziale, corretto ed ispirato ai principi di buona amministrazione.


2.3. Con il secondo profilo della censura il Ministero sostiene che nella fattispecie la colpa addebitabile all'amministrazione era quella grave indicata dall'art. 223 cod. civ.


Neppure questo profilo di censura può essere condiviso.


Il sistema vigente prevede che, nelle prestazioni rese nell'esercizio di attività professionali, al professionista è richiesta la diligenza corrispondente alla natura dell'attività esercitata (art. 1176, secondo comma cod. civ.); vale a dire che è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati ai tipi di prestazione dovuta e comporta solo che la diligenza richiesta è quella normale.


Il sistema stesso, nondimeno, dispone che, se la prestazione richiede la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (in altri termini, la prestazione richiede una perizia superiore a quella ordinaria della categoria), il professionista non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave (art. 2236 cod. civ.). La norma non deve essere interpretata come autorizzazione al professionista di usare una diligenza minore del normale, ma come esonero di responsabilità per l'imperizia che trascende la preparazione media dei professionisti del settore, come nel caso in cui si richiede notevole abilità perché la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità e comporta un largo margine dì rischi: in questo senso, Cass. 28 maggio 2004, n 10297, tra le più recenti.


Il limite della colpa grave, come é evidente, è indicato dalla norma con riferimento all'esercizio di attività professionali che presuppongono un innalzamento del grado di perizia richiesto dalla natura dell'attività prestata.


Esso, quindi, non vale con riferimento all'attività di applicazione della legge da parte della pubblica amministrazione, la quale si configura come attività ideologica e non di adempimento di obblighi di fare come, invece, presuppone l'art. 2236 citato.


Conferma di questa conclusione sta nel fatto che, con riferimento alla pubblica amministrazione, la norma ha trovato una applicazione limitatamente al giudizio di responsabilità a carico del funzionario pubblico, chiamato a rispondere insieme alla pubblica amministrazione, ma non in quello svolto direttamente ed esclusivamente verso l'amministrazione pubblica, l'attività della quale non à equiparabile a quella svolta nell'esercizio di una particolare professione: Cass. 1 settembre 1999, n. 9198, in tema di una convenzione stipulata, fra una struttura pubblica deputata a fornire assistenza sanitaria ed il soggetto con il quale il paziente conclude un contratto di ricovero, esemplificativamente.


Ulteriore conferma, questa volta indiretta, si ricava dalle considerazioni svolte nel ricorso per cassazione, là dove il Ministero pretende di ricavare l'applicazione della regola indicata dall'art. 2236 già richiamato a1 caso in cui l'amministrazione, prima di emettere l'atto dichiarato illegittimo, chieda ton parere ad un legale. In questa fattispecie, infatti, non è un paradosso - come si esprime la difesa della ricorrente - il fatto che il legale potrebbe rispondere solo per colpa grave, mentre l'amministrazione pubblica sarebbe responsabile anche per colpa lieve, giacché quelli tra legale ed amministrazioni sono rapporti organizzativi interni all'ente pubblico, ai quali il danneggiato è estraneo.


3. Con il secondo motivo del ricorso principale è denunciata motivazione carente, illogica e contraddittoria nella determinazione del danno emergente.


Il Ministero si riferisce all'affermazione della sentenza impugnata, che l'esclusione della S.E.T. dall'attività di concessionario aveva avuto una durata di 3 anni, 4 mesi e 6 giorni, e sostiene che il periodo è stato calcolato in eccesso di tre mesi.


Insieme a questo motivo possono essere esaminati i due motivi del ricorso incidentale, che si riferiscono alla liquidazione del danno.


Entrambi sono inammissibili o infondati.


3.1. La censura indicata nel secondo motivo del ricorso principale è inammissibile, perché si risolve nella critica del calcolo del tempo in cui la concessionaria aveva diritto ad esercitare la concessione, il quale implica un accertamento di fatto incensurabile in questa sede.


3.2. I due motivi del ricorso incidentale non sono fondati, perché la liquidazione del danno non è censurabile in questa sede, giacché compiuta seguendo il criterio equitativo, ampiamente giustificato nella decisione impugnata.


4. I ricorsi, pertanto sono rigettati.


Le spese di questo giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.


P.Q.M.


La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione, il giorno 29 settembre 2005.

 

M A S S I M E

 Sentenza per esteso

 

1) Pubblica Amministrazione - Responsabilità della Pubblica Amministrazione nei confronti del privato dei danni provocati dall’atto amministrativo illegittimo - Elemento soggettivo - Responsabilità Civile - Art. 2236 c.c.. Affinché la Pubblica Amministrazione risponda nei confronti del privato dei danni provocati dall’atto amministrativo illegittimo, l’accertamento della colpa non si esaurisce nell’aver l’amministrazione emanato e dato volontaria esecuzione all’atto illegittimo, in quanto l’illegittimità dell’atto è solo un elemento concorrente ad integrare la illiceità della condotta dell’amministrazione, che deve essere verificata in base al rispetto delle regole proprie dell’azione amministrativa, posta da norme costituzionali (imparzialità, buon andamento), da norme di legge ordinaria (celerità, efficienza, efficacia, trasparenza) o da principi generali dell’ordinamento (ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza). Nel caso in cui nell’adozione e nell’esecuzione dell’atto illegittimo siano violati tali principi sussiste la responsabilità dell’amministrazione, che non può ritenersi limitata, ex art. 2236 c.c., all’ipotesi di colpa grave, perché l’attività di applicazione della legge da parte dell’amministrazione non è qualificabile come attività professionale che presupponga un elevamento del grado di perizia richiesto dalla particolare natura dell’attività prestata. Presidente R. Preden, Relatore L. F. Di Nanni. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 21/10/2005 (Ud 29/9/2005), Sentenza n. 20358

2) Pubblica Amministrazione - Azione amministrativa - Responsabilità - Illegittimità dell'atto amministrativo - Illiceità della condotta - Fondamento. L'illegittimità dell'atto amministrativo è solo un fattore concorrente ad integrare l'illiceità della condotta, la quale deve essere verificata in base al rispetto delle regole proprie dell'azione amministrativa, poste con norme costituzionali (imparzialità e buon andamento), con norme di legge ordinaria (celerità, efficienza, efficacia, trasparenza), o da principi generali dell'ordinamento, come applicati dall'interprete (ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza). Presidente R. Preden, Relatore L. F. Di Nanni. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 21/10/2005 (Ud 29/9/2005), Sentenza n. 20358

3) Pubblica Amministrazione - Responsabilità - Accertamento della colpa - Giudice del merito. “Ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana in capo all'autore di un fatto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto danneggiato, ma va affermata la risarcibilità degli interessi legittimi, quante volte risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e colpevole della p.a., l'interesse al bene in relazione al quale si correla l'interesse legittimo e sempre che il detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo. Inoltre, non è invocabile, ai fini dell'accertamento della colpa, il principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo, poiché tale principio [...] non è conciliabile con la più ampia lettura della suindicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; l'imputazione non potrà quindi avvenire sulla base del mero dato obbiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, ma il giudice ordinario dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato [...] che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità (così nella motivazione della decisione)”. Cass. Ss. Uu. 22 luglio 1999, n. 500. Naturalmente, la verifica circa la sussistenza di tali condizioni in concreto impone un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivate. Presidente R. Preden, Relatore L. F. Di Nanni. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 21/10/2005 (Ud 29/9/2005), Sentenza n. 20358

4) Pubblica Amministrazione - Responsabilità civile della pubblica amministrazione - Elemento soggettivo - Valutazione. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo della responsabilità civile della pubblica amministrazione, è ben vero che la colpa è l'elemento fondante la fattispecie risarcitoria, giacché non è sostenibile che la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo. In altri termini, l'imputazione della responsabilità non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, poiché il giudice ordinario, davanti al quale si svolge il giudizio risarcitorio, deve svolgere una penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, estesa alla valutazione della colpa dell'amministrazione. Questa colpa è configurabile quando l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo siano avvenute in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, poiché si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. Il sistema vigente prevede che, nelle prestazioni rese nell'esercizio di attività professionali, al professionista è richiesta la diligenza corrispondente alla natura dell'attività esercitata (art. 1176, secondo comma cod. civ.); vale a dire che è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati ai tipi di prestazione dovuta e comporta solo che la diligenza richiesta è quella normale. Il sistema stesso, nondimeno, dispone che, se la prestazione richiede la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (in altri termini, la prestazione richiede una perizia superiore a quella ordinaria della categoria), il professionista non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave (art. 2236 cod. civ.). La norma non deve essere interpretata come autorizzazione al professionista di usare una diligenza minore del normale, ma come esonero di responsabilità per l'imperizia che trascende la preparazione media dei professionisti del settore, come nel caso in cui si richiede notevole abilità perché la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità e comporta un largo margine dì rischi: in questo senso, Cass. 28 maggio 2004, n 10297, tra le più recenti. Presidente R. Preden, Relatore L. F. Di Nanni. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 21/10/2005 (Ud 29/9/2005), Sentenza n. 20358


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