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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 1 febbraio 2005, Sentenza n. 3333
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III -
1 febbraio 2005, Sentenza n.3333
Omissis
FATTO E DIRITTO
Con la decisione indicata in premessa, la Corte di Appello di Lecce confermava
integralmente la sentenza 6/5/2002 con la quale il Tribunale di Brindisi, in
composizione monocratica, aveva condannato Andrisano Roberto alla pena di mesi 4
giorni 20 di arresto ed € 2.200,00 di ammenda in ordine al reato di cui all'art.
51, comma I lett. a) e b), D. L.vo n. 22/1997, accertato il 25/7/2000
(smaltimento non autorizzato, in un area attigua alla sua abitazione, di rifiuti
speciali e pericolosi, consistenti in quattro carcasse di veicoli in attesa di
demolizione, pezzi di motore, rottami ferrosi ed oli esausti da autotrazione).
L’imputato ricorre per cassazione, deducendo nullità della sentenza ex art. 606,
comma 1 lett. b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 51 e 50 D. L.vo n.
22/1997 (illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine
all'individuazione degli elementi costitutivi dell'art. 51; erronea applicazione
di tale norma alla fattispecie in esame, in luogo di quella di cui all'art. 50),
in quanto egli non effettuava attività di stoccaggio di rifiuti, connotata
quindi da una "serie di atti sistematici e ripetuti nel tempo e con una
organizzazione sia pure rudimentale di uomini e mezzi", ma si era limitato, in
una sola occasione, ad abbandonare sul suolo materiale proprio. Pertanto poteva
al massimo configurarsi la violazione amministrativa di abbandono di rifiuti
effettuato da privati, prevista dal menzionato art. 50.
All'odierna udienza dibattimentale, il P.G. e la difesa concludono come
riportato in premessa.
Il ricorso non merita accoglimento.
Il ricorrente, sebbene sotto forma di doglianze “in diritto”, ripropone
sostanzialmente censure “in fatto”, che trovano risposta adeguata, logica e
corretta nelle due sentenze di merito.
Senza ripetere le argomentazioni di esse, va solo ricordato che l'attuale codice
di rito prevede come motivo di ricorso per cassazione, attinente alla
motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta
illogicità della stessa quando detti vizi però risultino dal testo stesso del
provvedimento; in particolare, per quanto attiene al giudizio di penale
responsabilità dell' imputato, è d'uopo ribadire che l'indagine di legittimità
sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto,
dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per
espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico
apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della
Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali.
Ciò premesso in linea teorica, rileva il Collegio che il ricorrente sostiene in
definitiva la non ravvisabilità del reato, potendosi configurare al massimo nei
suoi confronti l’ipotesi di “deposito incontrollato” di rifiuti propri,
penalmente non punibile ex art. 50, comma 1, D. L.vo n. 22/1997, giacché egli
non è titolare di imprese né responsabile di enti, ai sensi del secondo comma
dell'art. 51 dello stesso decreto.
L' infondatezza di tale assunto risulta evidente dagli atti, considerato che
l’imputato svolge attività di bracciante agricolo e che le carcasse di veicoli e
gli altri rifiuti rinvenuti sulla propria area, attigua alla sua abitazione, non
erano suoi, ma di parenti ed amici, ed erano ivi raccolti in attesa di essere
smaltiti, come da lui stesso affermato. Addirittura, da un secondo sopralluogo,
effettuato dopo oltre otto mesi, è risultato che solo uno dei quattro veicoli
era stato rimosso, mentre gli altri ed il restante materiale era ancora in quel
luogo.
Non può dunque parlarsi evidentemente di abbandono o deposito incontrollato di
rifiuti propri, disciplinato dall'art. 50 sopra menzionato, come pretende il
ricorrente, e neppure del "deposito temporaneo" definito dall' art. 6, comma 1
lett. m), del decreto Ronchi ("il raggruppamento di rifiuti effettuato, prima
della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti"), sia perché i rifiuti in
questione non sono stati prodotti in quel luogo, sia perché non ricorrono le sei
condizioni alle quali la menzionata norma subordina la configurabilità del
deposito temporaneo.
Deve invece ravvisarsi - come correttamente ritenuto dai giudici di merito –
l’ipotesi di raccolta e smaltimento senza autorizzazione, e quindi di gestione,
di rifiuti speciali (pericolosi e non) provenienti da altri, considerato che lo
“stoccaggio”, consistente nel deposito temporaneo effettuato non nel luogo di
produzione del rifiuto, costituisce un'attività preliminare alle altre
operazioni di smaltimento indicate nell'allegato “B” del decreto, che può essere
effettuato solo sull’area a ciò adibita e dunque è soggetto anch’esso ad
autorizzazione.
Il gravame, pertanto, è infondato.
Rifiuti - Carcasse di veicoli - smaltimento non autorizzato, di rifiuti in attesa di demolizione, pezzi di motore, rottami ferrosi ed oli esausti da autotrazione - Art. 51, comma I lett. a) e b), D. L.vo n. 22/1997 - Sussiste - Abbandono - Deposito temporaneo - Stoccaggio - Esclusione - Fattispecie. In tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di cui all'art. 51, comma I lett. a) e b), D. L.vo n. 22/1997, la raccolta e lo smaltimento senza autorizzazione, e quindi di gestione, di rifiuti speciali (pericolosi e non) provenienti da altri, considerato che lo “stoccaggio”, consistente nel deposito temporaneo effettuato non nel luogo di produzione del rifiuto, costituisce un'attività preliminare alle altre operazioni di smaltimento indicate nell'allegato “B” del decreto, che può essere effettuato solo sull’area a ciò adibita e dunque è soggetto anch’esso ad autorizzazione. (Fattispecie, l’imputato svolgeva l'attività di bracciante agricolo e le carcasse di veicoli e gli altri rifiuti, speciali e pericolosi, rinvenuti sulla propria area, attigua alla sua abitazione, non erano suoi, ma di parenti ed amici, ed erano ivi raccolti in attesa di essere smaltiti, escludendo, così, l’ipotesi di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti propri (art. 50 D. Lgs. 22/1997), e quella di deposito temporaneo (art. 6, comma 1, lett. m, D. Lgs. 22/1997)). Andrisano, CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 1 febbraio 2005 , Sentenza n. 3333
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