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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 3 febbraio 2005 (Ud. 20 dicembre 2004), Sentenza n. 3714

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Cassazione, 3 febbraio 2005, sentenza n. 3714

Presidente G. Savignano, Relatore A. Fiale - Ric. Infante

 

Omissis


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza del 7.10.2003 il G.I.P. del Tribunale di Lodi affermava la penale responsabilità di Infante Williams ed Infante Giuseppe, in ordine alla contravvenzione di cui: - agli artt. 110 cod. pen. e 2 della legge 23.10.1960, n. 1369 (per avere, nelle rispettive qualità di legali rappresentanti della s.r.l "Cosmetic Production" e della società cooperativa a resp_ iimitatata "Milano Servizi", violato il divieto di appaltare manodopera, avendo la società "Cosmetic Production" affidato in appalto l'esecuzione di prestazioni lavorative mediante personale formalmente assunto e retribuito dalla società cooperativa "Milano Servizi"- acc. in Crespiatica, il 15.1.2002) e, riconosciute ad entrambi circostanze attenuanti generiche, condannava ciascuno alla pena di curo 2200,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, i quali hanno eccepito:
- la intervenuta abrogazione della normativa di cui alla legge n. 1396/1960, in seguito all'entrata in vigore del D.Lgs 10.9.2003, n. 276, e la conseguente depenalizzazione della fattispecie di reato contestata;
- l'apodittico ed immotivato disconoscimento dei contratti di appalto posti in essere tra la s.r.l. "Cosmetic Production" e la società cooperativa "Milano Servizi";
- l'erroneo computo delle giornate lavorative ai fini della commisurazione concreta della pena.



MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato.

1. L'art. 85 del D.Lgs. 10.9.2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14.2.2003, n. 30 - c.d. riforma Biagi) ha abrogato l'art. 27 della legge 29.4.1949, n. 264, tutta la legge 23.10.1960, n. 1369, i primi undici articoli della legge n. 196/1997, nonché tutte le disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con detto D. Lgs.vo, che è entrato in vigore il 24 ottobre 2003.


Si pone, pertanto, l'esigenza di valutare tale "abrogazione" alla stregua delle nuove disposizioni sanzionatorie introdotte dall'art. 18 dello stesso D.Lgs. n. 276/2003, ai fini della corretta applicazione dell'art. 2 cod. pen. in relazione ai fatti già penalmente sanzionati dalle norme abrogate.


In tale prospettiva, la questione proposta con il primo motivo di ricorso (pretesa intervenuta depenalizzazione del reato di cui all'art. 1, comma, della legge n. 1369/1960) è stata già affrontata da questa Sezione, con le sentenze 26.1.2004, a 2583, ric. Marinig; 24.2.2004, ric. Paginoni e 25.8.2004, n. 34922, ric. Casati, le cui conclusioni vengono condivise da questo Collegio.


Va perciò ribadito - tenuto conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite in materia di continuità normativa (sentenze: 7.11.2000, Di Mauro; 13.12.2000, Sagone e 16.6.2003, Giordano) - che, secondo una valutazione di tipo strutturale delle fattispecie tipiche, l'appalto di mere prestazioni di lavoro (ora qualificato come somministrazione di lavoro) continua ad avere rilevanza penale quando esso venga effettuato al di fuori delle condizioni soggettive ed oggettive previste dalla nuova normativa.


Appare opportuno ricordare, in proposito, che la legge n. 1369/1960 vietava ogni forma di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e prevedeva, all'art. 1, comma 1, il divieto per l'imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l'impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o intermediario, qualunque fosse la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferivano.


Era considerato, inoltre, appalto di mere prestazioni di lavoro, ex art. I, compia 3, della stessa legge n. 1369/1960, ogni forma di appalto o subappalto, anche per la esecuzione di opere o servizi, ove l'appaltatore avesse impiegato capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, a prescindere dalla erogazione di un compenso.


L'anzidetto divieto era sanzionato penalmente dall'art. 2 della legge n. 136911960.

La rigidità del principio del "monopolio pubblico" del collocamento, fissato dalle leggi 29..1949, n. 264 e 23.10.1969, però, era stata via via superata da successive disposizioni normative: quali la legge 24.6.1997, n. 196 [che aveva legittimato, in determinati casi, te imprese private iscritte in un apposito albo nazionale a mettere a disposizione di altre imprese l'opera di prestatori di lavoro temporaneo assunti dalle prime, ai quali doveva essere assicurato il trattamento retributivo vigente nelle seconde] ed il D.Lgs. 23.12.1997, n. 469 [che, all'art. 10, aveva consentito l'esercizio di attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro ad imprese aventi determinati requisiti, previa autorizzazione del Ministero del lavoro].


Questa Corte Suprema aveva già affermato che le sanzioni penali previste dall'art. 27 della legge n. 264/ 1949 continuavano a trovare applicazione anche dopo l'abolizione del "monopolio pubblico" degli uffici territoriali del Ministero in materia di intermediazione del lavoro, attuata dei testi legislativi del 1997 dianzi citati (vedi Casa., Sez. III, 14.1.2003, n. 1055, tic. P.M. in proc. Vezzoli).

La più recente riforma del mercato del lavoro, attuata dal D.Lgs. a. 267/2003, lungi dall'introdurre una totale deregolamentazione del settore della somministrazione di manodopera da parte di imprese private verso altre imprese private: ha identificato un unico regime di autorizzazione per i soggetti che svolgono attività di somministrazione di lavoro, di intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale (artt. 4-6); ha consentito che la somministrazione di lavoro possa essere oggetto, in forme più ampie rispetto al passato ma pur sempre a determinate condizioni di liceità, di un contratto di diritto privato (artt. 20-21); ha continuato comunque a sanzionare l'intermediazione abusiva e non autorizzata (art. 18).


La nuova normativa, pertanto, ha solo ampliato il previgente sistema derogatorio ad una attività generalmente illecita, prevedendo che tale attività possa essere lecitamente svolta purché nel rispetto di plurime e specifiche condizioni.


Il D.Lgs. n. 276/2003, a tal riguardo, si è perfettamente conformato alle prescrizioni della legge di delega n. 30/2003, ove era stato precisato all'art. 1, comma 2, lett. m), n. 6 - che doveva esservi "conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro".


Si configura, quindi, una "ebrogatio sirte abolitione" per i fatti di amministrazione di lavoro da parte di soggetti privati non formalmente autorizzati, già puniti secondo la legge precedente e che conservano rilevanza penale anche con la nuova legge.


In particolare:
- l'art. 1 della legge n. 1369/1960 prevedeva come reato la condotta violatrice del divieto di affidare, in appalto, subappalto o in altre forme atipiche, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore;
- l'art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 prevede attualmente come reato sia l'esercizio non autorizzato dell'attività di somministrazione di lavoro, sia l'utilizzazione di prestazioni provenienti da soggetto non autorizzato o comunque al di fuori, dei casi previsti dalla legge. Ne consegue che la somministrazione di lavoro deve considerarsi lecita solo se effettuata da soggetti autorizzati e nei casi e secondo le modalità espressamente disciplinati, mentre era e resta illecita se effettuata al di fuori di tali condizioni.


Nella specie, la contestata somministrazione di manodopera, posta in essere dagli imputati al di fiori delle regole introdotte dal D.Lgs. n. 27612003, aveva rilevanza penale alla stregua detta normativa abrogata e continua ad averla secondo quella attuale.

In tale situazione deve essere applicato il principio della legge più favorevole di cui al 3° comma dell'art. 2 cod. pen.: per l'esercizio non autorizzato dette attività di somministrazione e di intermediazione del lavoro - però - la pena edittale attuale è quella, già prevista, dell'ammenda di euro 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro, sicché non si pongono problematiche di successione di leggi in ordine al quantum della pena inflitta in concreto.


Quanto al computo della pena, inoltre, il giudice del merito correttamente ha riferito ogni giornata lavorativa a ciascuno dei (nove) lavoratori occupati.

La sussistenza della fattispecie contravvenzionale contestata è stata accertata, in punto di fatto, attraverso le deposizioni testimoniali acquisite al dibattimento, dalle quali risulta coerentemente dedotto che le prestazioni "appaltate" erano riconducibili a mere prestazioni di lavoro da parte dei soci della cooperativa, m una situazione in cui la cooperativa medesima non assumeva alcun rischio economico d'impresa ed era del tutto estranea all'esercizio di qualsiasi direzione e controllo sull'attività lavorativa e sull'orario di lavoro.


L'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 ha ribadito i criteri distintivi tra la somministrazione di lavoro e l'appalto di opera o di servizio di cui all'art. 1655 cod. civ., prevedendo che sussiste l'appalto solo nel caso in cui l'organizzazione dei mezzi produttivi, la direzione dei lavoratori e l'assunzione del rischio d'impresa restano in capo all'appaltatore e non al committente o utilizzatore delle prestazioni.


Nella specie, di conseguenza, legittima appare la conclusione secondo la quale si è concretizzata, nella specie, una somministrazione di manodopera, vietata e penalmente sanzionata in quanto priva dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla nuova legge, e correttamente i contratti intercorsi tra le due società sono stati valutati non per il nomen iuris loro assegnato, bensì per il loro contenuto effettivo.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.



P.Q.M.

 

la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt.  607, 615 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.

 

Roma, 20.12.2004.
Depositato in cancelleria il 3 febbraio 2005.
 

M A S S I M E

 Sentenza per esteso

 

Appalti – Lavoro - Somministrazione di lavoro e appalto di mano d’opera - Esercizio non autorizzato - Reato – Sussiste - d.lgs. 10/9/2003 n. 276 (attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla l. 14/2/2003 n. 30 – c.d. riforma biagi) - Sopravvivenza del regime sanzionatorio – Applicabilità. La somministrazione di lavoro e l’appalto di mano d’opera continuano ad avere rilevanza penale quando vengano effettuate al di fuori delle condizioni soggettive ed oggettive previste dalla normativa introdotta dal D. Lgs. 10/9/2003 n. 276. Tale decreto legislativo, pur avendo abrogato le disposizioni precedenti, non ha introdotto una totale deregolamentazione della materia, bensì ha ampliato il previgente sistema derogatorio ad una attività generalmente illecita. Sicchè persiste come reato, ai sensi dell’art. 18, sia l’esercizio non autorizzato di attività di somministrazione di lavoro, sia l’utilizzazione di prestazioni provenienti da soggetto non autorizzato. Presidente G. Savignano, Relatore A. Fiale – Ric. Infante - (conferma Tribunale di Lodi). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 3 febbraio 2005 (Ud. 20 dicembre 2004), Sentenza n. 3714

Appalti – Appalto di mere prestazioni di lavoro (ora somministrazione di lavoro) - Rilevanza - Abolizione del "monopolio pubblico" degli uffici territoriali del Ministero in materia di intermediazione del lavoro - Disciplina vigente. L'appalto di mere prestazioni di lavoro (ora qualificato come somministrazione di lavoro) continua ad avere rilevanza penale quando esso venga effettuato al di fuori delle condizioni soggettive ed oggettive previste dalla nuova normativa. Pertanto, le sanzioni penali previste dall'art. 27 della legge n. 264/ 1949 continuavano a trovare applicazione anche dopo l'abolizione del "monopolio pubblico" degli uffici territoriali del Ministero in materia di intermediazione del lavoro, attuata dei testi legislativi del 1997. (D.Lgs. 23.12.1997, n. 469 e L.n.196/1997) (vedi Casa., Sez. III, 14.1.2003, n. 1055, tic. P.M. in proc. Vezzoli). Presidente G. Savignano, Relatore A. Fiale – Ric. Infante - (conferma Tribunale di Lodi). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 3 febbraio 2005 (Ud. 20 dicembre 2004), Sentenza n. 3714

 Lavoro - Riforma del mercato del lavoro - Attività di somministrazione di lavoro - Limiti - Condizioni di liceità, di un contratto di diritto privato - Intermediazione abusiva e non autorizzata - Regime sanzionatorio civilistico e penalistico - Somministrazione di lavoro e l'appalto di opera o di servizio - Differenza.
La più recente riforma del mercato del lavoro, attuata dal D.Lgs. a. 267/2003, lungi dall'introdurre una totale deregolamentazione del settore della somministrazione di manodopera da parte di imprese private verso altre imprese private: ha identificato un unico regime di autorizzazione per i soggetti che svolgono attività di somministrazione di lavoro, di intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale (artt. 4-6); ha consentito che la somministrazione di lavoro possa essere oggetto, in forme più ampie rispetto al passato ma pur sempre a determinate condizioni di liceità, di un contratto di diritto privato (artt. 20-21); ha continuato comunque a sanzionare l'intermediazione abusiva e non autorizzata (art. 18). La nuova normativa, pertanto, ha solo ampliato il previgente sistema derogatorio ad una attività generalmente illecita, prevedendo che tale attività possa essere lecitamente svolta purché nel rispetto di plurime e specifiche condizioni. Il D.Lgs. n. 276/2003, a tal riguardo, si è perfettamente conformato alle prescrizioni della legge di delega n. 30/2003, ove era stato precisato all'art. 1, comma 2, lett. m), n. 6 - che doveva esservi "conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro". L'art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 ha ribadito i criteri distintivi tra la somministrazione di lavoro e l'appalto di opera o di servizio di cui all'art. 1655 cod. civ., prevedendo che sussiste l'appalto solo nel caso in cui l'organizzazione dei mezzi produttivi, la direzione dei lavoratori e l'assunzione del rischio d'impresa restano in capo all'appaltatore e non al committente o utilizzatore delle prestazioni. Presidente G. Savignano, Relatore A. Fiale – Ric. Infante - (conferma Tribunale di Lodi). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 3 febbraio 2005 (Ud. 20 dicembre 2004), Sentenza n. 3714

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