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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/2005 (Ud. 06/10/2005) Sentenza n. 40827

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/2005 (Ud 06/10/2005), Sentenza n. 40827
(Pres. G. De Maio - Rel. A. Fiale - Imp. Carretta M. - Conferma ORDINANZA del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA))


UDIENZA PUBBLICA
DEL 06/10/2005
 

SENTENZA
N. 1037/2005


REGISTRO GENERALE
N. 21404/05


Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. GUIDO DE  MAIO
1.Dott.VINCENZO TARDINO
2.Dott.MARIO GENTILE
3.Dott.ALDO FIALE
4.Dott.AMEDEO FRANCO
ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da:


 CARRETTA MAURO Nato a
Reggiolo il 02/04/1942, legale rappresentante della s.r.l  "Niagara"
 

avverso l'ORDINANZA  del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA

 

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. ALDO FIALE
Udito Pubblico Ministero in persona del dott. F. SALZANO
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Udito il difensore, avv.to Fabio Anselmo, il quale ha concluso chiudendo  l'accoglimento del ricorso

 

FATTO E DIRITTO

 

Il G.I.P. del Tribunale di Venezia, con provvedimento del 16.2.2005, disponeva (tra l'altro) - in relazione ad ipotesi di reato qualificate come attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, ex art. 53 bis del D.Lgs. n. 22/1997 - il sequestro preventivo di:

- due stabilimenti della s.p.a. "C. & C.", per la produzione di conglomerato cementizio di derivazione, siti in Malcontenta di Mira e Pernumia;
- del cantiere della nuova linea ferroviaria di alta capacità della R.F.I., sito in Arino di Dolo (ove il conglomerato cementizio di derivazione prodotto dalla "C. & C.", risulta essere stato immesso);
- del cantiere del cavalcavia Camerini - Giucciardini, sito in Padova (ove il conglomerato cementizio di derivazione prodotto dalla "C. & C.", risulta essere stato immesso);
- degli impianti della s.r.l. "Niagara", siti in Poggio Renatico (fornitrice di fanghi, anche pericolosi, utilizzati dalla "C. & C.", per la produzione di conglomerato cementizio di derivazione).
In relazione a questi ultimi impianti, lo stesso G.I.P. consentiva che l'attività proseguisse pur dopo il sequestro, "con la verifica e vigilanza di tutte le operazioni di gestione dei fanghi prodotti, a cura del personale della P. G. delegato dalla Procura di Venezia".

La s.p.a. "C. & C." è un'impresa legittimata a gestire attività di recupero di rifiuti non pericolosi, a carattere prevalentemente organico (classificati come R5 e come R13) in forma c.d. semplificata per la produzione di "conglomerati cementizi".
Detta attività viene svolta presso gli stabilimenti di Pernumia e di Malcontenta di Mira, ove viene altresì esercitata attività di stoccaggio di rifiuti destinati ad impianti di recupero diversi da quelli gestiti dalla "C. & C.".

Dai primi accertamenti effettuati presso gli stabilimenti della s.p.a. "C. & C." è emerso che:
- lo stato degli impianti di Pernumia è tutto diverso da quello descritto dalla società nell'ambito del procedimento finalizzato al rilascio dell'autorizzazione alla sua realizzazione;
 - solo una minima parte dei rifiuti ricevuti da entrambi gli impianti poteva essere utilizzata per la produzione di conglomerati cementizi;
- il prodotto derivante dal trattamento effettuato presso gli impianti di Pernumia e di Malcontenta di Mira non era costituito da conglomerato cementizio "pronto per l'utilizzo presso cantieri edili";
- i quantitativi di cemento e di sabbia realmente acquistati dalla s.p.a. "C. & C." erano notevolmente inferiori rispetto ai quantitativi minimi necessari per porre in essere il processo produttivo di realizzazione dell'impasto (nella misura costantemente indicata dai gestori degli impianti alla P.A. ed agli inquirenti).

In una consulenza tecnica disposta dal P.M. è stato evidenziato, quindi, che quanto prodotto dalla s.p.a. "C. & C." non è in alcun modo classificabile come "conglomerato cementizio", perché la società, nei processi di inertizzazione di fanghi e rifiuti, inserisce quantità di cemento, sabbia e additivi in quantità insufficienti a produrre il conglomerato medesimo e la miscelazione risulta scadente, in quanto connotata da evidente disomogeneità del materiale.


Sono stati prelevati diversi campioni del prodotto in oggetto e, attraverso le analisi effettuate sugli stessi, è stata rilevata la presenza di idrocarburi policiclici aromatici in concentrazioni elevate; i test di cessione effettuati hanno evidenziato, inoltre, che i valori pertinenti ad alcuni metalli pesanti (particolarmente il rame) superavano i limiti definiti dal D.M. 5.2.1998.
Ulteriori ed analoghe analisi sono state effettuate su campioni di fanghi trattati dalla s.r.l. "Niagara" - prelevati sia presso gli impianti di trattamento siti in Poggio Renatico, sia dai cumuli di stoccaggio rinvenuti presso gli insediamenti della "C. & C."
Il sequestro degli impianti in Poggio Renatico della s.r.l. "Niagara" è stato disposto previo accertamento che quella società - esercente attività di trattamento di rifiuti speciali anche pericolosi - aveva conferito alla s.p.a. "C. & C." 3.000 tonnellate di fanghi, nell'anno 2003 e di oltre 1.000 tonnellate nell'anno 2004.


Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 3.3.2005, rigettava l'istanza di riesame
proposta nell'interesse di Carretta Mauro, quale rappresentante legale della s.r.l. "Niagara", condividendo le argomentazioni svolte al riguardo dal G.I.P., secondo le quali, in particolare:
a) i fanghi conferiti dalla s.r.l. "Niagara" alla s.p.a. "C. & C." non avrebbero potuto circolare con il codice "1908 (..) " di cui all'Allegato "D" del D.Lgs. n. 22/1997 (rifiuti prodotti dagli impianti per il trattamento di acque reflue, non specificate altrimenti), dovendo, invece, imporsi ad essi l'attribuzione del codice "1902 (..)", (prescritto per i residui da specifici trattamenti chimico-fisici di rifiuti industriali).
Detti rifiuti, pertanto - non essendo il codice "1902 (..)" inserito al punto 12.8 dell'Allegato 2 (fanghi da trattamento acque di processo) - non potrebbero, già solo per questo, essere avviati al recupero;
b) i fanghi medesimi, inoltre - che per la loro composizione non potevano essere destinati al riutilizzo - non avrebbero potuto essere in alcun modo conferiti ad un gestore della classe della s.p.a. "C. & C." (legittimata, come si è detto, unicamente all'esercizio di attività di recupero di rifiuti non pericolosi, in regime c.d semplificato);
c) anche qualora si ammettesse la legittimità della qualificazione con il codice "1908 (..)", i fanghi della s.r.l. "Niagara" non risponderebbero, comunque - per superamento dei limiti normativi - alle caratteristiche del rifiuto come specificamente imposte al punto 12.16.2 del D.M. 5.2.1998 (secondo cui deve trattarsi di fanghi di natura prevalentemente inorganica con contenuto in acqua inferiore al 70%, frazione organica inferiore al 30%, cromo totale inferiore a 1.000 ppm, cromo VI inferiore a 1 ppm; piombo inferiore a 1.500 ppm; arsenico, cadmio e mercurio inferiori a 1 ppm in totale; solventi aromatici e clorurati inferiori a 220 ppm);
d) i fanghi conferiti dalla s.r.l. "Niagara" avrebbero, peraltro, anche concentrazioni superiori ai limiti consentiti per idrocarburi e la società medesima avrebbe sistematicamente ed irrazionalmente omesso di verificare detta componente analitica;
e) la s.r.l. "Niagara" avrebbe sistematicamente effettuato controlli inadeguati sui rifiuti conferiti alla s.p.a. "C. & C.", in ordine ai parametri di cui al punto 12.16.2 del D.M. 5.2.1998 (e particolarmente su arsenico, mercurio e solventi clorurati), pur essendo una costante ed attenta verifica razionalmente imposta dalla tipologia dei processi produttivi dai quali quei residui provenivano (lavorazioni meccaniche con ineluttabile componente di oli e di grassi di origine industriale).


Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Carretta, il quale ha eccepito:


1. violazione dell'art. 321 c.p.p., in quanto il sequestro degli impianti della s.r.l. "Niagara" sarebbe stato disposto dal G.I.P. in carenza di espressa richiesta del P.M. di adozione della misura cautelare;


2. violazione ed erronea applicazione dell'art. 53 bis del D.Lgs. n. 22/1997, per l'insussistenza - nella fattispecie concreta - degli elementi costitutivi di tale reato;


3. la insussistenza di un "periculum in mora" effettivo e concreto, tenuto anche conto che, dall'8 ottobre del 2004. gli impianti della "C. & C." sono chiusi e la società "Niagara" non conferisce più alcun rifiuto agli stessi ma effettua conferimenti solo in discarica;


4. la illegittima imposizione, con il provvedimento di sequestro, di un obbligo di "facere" consistente nell'imposta esecuzione di controlli generali sul ciclo industriale di produzione fanghi della società "Niagara".

Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.

 

 1. L'eccezione procedimentale

Infondata è, anzitutto, la doglianza di pretesa violazione dell'art. 321 c.p.p.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, il giudice può disporre il sequestro preventivo solo su richiesta del P.M. e sulla base degli elementi dallo stesso presentati (vedi Cass.; Sez, V, 1,4.1999, n, 1050; Sez. III, 25.11,1994, n, 2594).
Nella specie, la richiesta rivolta dal P.M. al in data 21.12.2004 conteneva una diffusa esposizione degli elementi di prova acquisiti in relazione agli illeciti ascritti agli organi societari della "Niagara" s.r.l. (foll. 101-102 e 107-108) e - pur non ricomprendendo (evidentemente per mera omissione della relativa trascrizione), nella formulazione dell'istanza finale di sequestro preventivo, lo stabilimento di Poggio Renatico di detta società - formulava comunque implicitamente detta istanza allorquando rilevava (al fol, 122), proprio in sede di esposizione delle ragioni che imponevano l'applicazione della misura di cautela reale agli impianti e siti in precedenza individuati, che "lo stabilimento di Poggio Renatico della Niagara s.r.l. costituisce una vera e propria mina vagante nel panorama del traffico dei rifiuti, fuoriuscendo continuativamente da esso ingenti quantitativi di rifiuti (anche pericolosi) artatamente classificati con codici di comodo e caratterizzati in maniera incompleta".


2. Il "fumus" del delitto di cui all'art. 53 bis del D.Lgs. n. 22/197.

Il delitto previsto dall'art. 53 bis del D.Lgs. n. 22/1997 (introdotto dalla legge 23.3.2001, n. 93) riguarda chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, abbia allestito una vera e propria organizzazione professionale con cui gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti.
La gestione dei rifiuti e le altre condotte previste come illecito devono concretizzarsi in più operazioni ed intervenire attraverso allestimento di mezzi e attività continuative organizzate ed entrambi gli aspetti devono configurarsi cumulativamente (vedi Cass., Sez. III, 17.1.2002, Paggi).
Le condotte sanzionate, a giudizio di questo Collegio, si riferiscono a qualsiasi "gestione" dei rifiuti (anche attraverso attività di intermediazione e commercio) che sia svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia, sicché esse non possono intendersi ristrette dalla definizione di "gestione" delineata dall'art. 6, 1° comma - lett. d), del D.Lgs. n, 22/1997, né limitate ai soli casi in cui l'attività venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni.
Nella vicenda in esame risulta correttamente verificata la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice;

2.1 Lo svolgimento abusivo di una pluralità di operazioni di gestione dei rifiuti si ricollega al reiterato conferimento di fanghi pericolosi e non ricuperabili, classificati con un codice CER errato per giustificarne surrettiziamente la ricuperabilità; fanghi che, comunque, non avrebbero potuto essere in alcun modo conferiti ad un gestore della classe della s,p,a, "C, & C." (legittimata unicamente all'esercizio di attività di recupero di rifiuti non pericolosi, in regime c.d. semplificato),
L'Allegato "D" del D.Lgs. n. 22/1997 (che recepisce le direttive della Commissione europea 2000/532 e 2001/573) distingue i fanghi prodotti;
- da trattamenti chimico-fisici di rifiuti industriali contenenti sostanze pericolose (1902.05) e non contenenti sostanze pericolose (1902.06);
- dal trattamento biologico di rifiuti industriali contenenti sostanze pericolose (1908.11) e non contenenti sostanze pericolose (1908.12);
- da altri trattamenti di rifiuti industriali contenenti sostanze pericolose (1908,13) e non contenenti sostanze pericolose (1908,14),
Nella nozione di "altri trattamenti'' non possono comunque ricomprendersi - tenuto conto della ratio della suddistinzione normativa, riconducibile alla diversificazione dei profili inquinanti - quelli caratterizzati anche da sub-procedimenti chimico-fisici.

2.2 Quanto al superamento dei parametri fissati dal D.M. 3.2.1998, le contestazioni circa la ritualità (con particolare riguardo alle modalità dei prelievi) e l'attendibilità delle analisi effettuate non possono trovare ingresso in sede cautelare, né valgono ad escludere la sussistenza del "fumus" del superamento medesimo.

2.3 Non può porsi in discussione, nella specie, la sussistenza dell'elemento dello "allestimento di mezzi e attività continuativamente organizzate", a fronte di una struttura organizzativa, di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira.
Tale struttura, giova evidenziarlo, non deve essere destinata in via esclusiva alla commissione di attività illecite,
Le contestazioni riferite, poi, alla mancata verifica della componente analitica degli idrocarburi e dei parametri di arsenico, mercurio e solventi clorurati si pongono, nella prospettiva accusatoria, quale dato sintomatico, quanto meno, della consapevole e volontaria accettazione del rischio di conferimento di rifiuti pericolosi.

2.4 Correttamente è stata ravvisata la sussistenza dell'elemento della gestione di "ingenti quantitativi" di rifiuti.
Il termine "ingente" ha un chiaro significato semantico nel linguaggio comune e - a giudizio di questo Collegio - deve riferirsi all'attività abusiva nel suo complesso, cioè al quantitativo di rifiuti complessivamente gestito attraverso la pluralità di operazioni (le quali, singolarmente considerate, potrebbero avere ad oggetto anche quantità modeste) e non può essere desunto automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell'attività di gestione dei rifiuti (in senso conforme vedi Cass., Sez, Vi, 13,72004, n, 30373, P.M. in proc. Ostuni).
Nella fattispecie in esame risulta che la s.r.l. "Niagara" aveva conferito alla s.p.a. "C. & C," 3,000 tonnellate di fanghi, nell'anno 2003 e di oltre 1,000 tonnellate nell'anno 2004 e, a fronte di dati quantitativi di un'imponenza oggettiva siffatta, non si pone sicuramente la necessità (prospettata dal ricorrente) di "relativizzare tali dati assoluti" verificandone l'incidenza sull'intera produzione di rifiuti riconducibile alla stessa s.r.l. "Niagara".

2.5 Il reato ipotizzato è punibile a titolo di dolo specifica, in quanto la norma richiede in capo all'agente il fine di conseguire un "profitto ingiusto":
Tale "profitto" non deve necessariamente assumere natura di ricavo patrimoniale, ben potendo lo stesso essere integrato del mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura.
Non è affatto necessario, però - ai fini della perfezione del reato - l'effettivo conseguimento di un vantaggio siffatto.
Nella fattispecie in esame - tenuto conto che l'impresa che conferisce i fanghi normalmente paga i propri conferimenti - un'ipotesi di profitto può ragionevolmente ipotizzarsi non solo in un risparmio di costi nell'effettuazione dei conferimenti ad una ditta riutilizzatrice piuttosto che ad un'altra, ovvero ad un'impresa di gestione di una discarica, ma anche (e ciò, nella specie, assume valenza pregnante) nella stessa possibilità di effettuare conferimenti che non sarebbero possibili, ovvero richiederebbero costi maggiori, in considerazione dell'effettivo grado di pericolosità dei rifiuti che si intende conferire (onde il vantaggio connesso al mascheramento dei componenti effettivi dei rifiuti medesimi).
La effettiva sussistenza del dolo non è questione da verificare in sede di cautela reale, però più che evidente deve ritenersi, allo stato (la stessa ordinanza impugnata  palesa "la necessità di più approfondite stime" dei prezzi del conferimento dei fanghi nel regime di mercato), l'ipotizzabilità razionale anche dell'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.


3. I limiti dell'accertamento incidentale domandato al Tribunale del riesame.

Alla stregua della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro: - la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del Tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cass, Sez. Un., 7.11.1992, ric Midolini);
- "l'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass., Sez. Un.,  29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri).


4. Il  "periculum in mora" e le prescrizioni imposte

4.1 Il "periculum in mora" che - ai sensi del l comma dell'art. 321 c.p.p. - legittima il sequestro preventivo, deve intendersi come concreta possibilità, desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, che il bene stesso assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o alla agevolazione della commissione di altri reati.
Nella fattispecie in esame, correttamente il Tribunale ha rilevato che il conferimento ripetuto e non estemporaneo di rifiuti con codice di comodo "evidenzia un comportamento stabilizzato nel tempo e quindi induce a reputare una probabile ripetizione di tale condotta illecita" e che la libera disponibilità dell'impianto può agevolare "la commissione di ulteriori reati dello stesso tipo".
Detta valutazione:
- viene corroborata dalla circostanza che la s.r.l. "Niagara", anche dopo i primi riscontri di polizia giudiziaria inerenti alla pericolosità del materiale fuoriuscente dal proprio impianto, non aveva, modificata il consueto "modus operandi",
- non può considerarsi inficiata dall'intervenuto sequestro degli stabilimenti della s.p.a. "C. & C:", essendo emerso che la medesima s.r.l. conferiva anche ad altri impianti (ad esempio la Inerteco e la Vallortigara Servizi Ambientali);
- non contrasta con la circostanza (meramente assertiva) secondo la quale attualmente la s.r.l. "Niagara" effettuerebbe conferimenti soltanto in discarica, trattandosi di decisione imprenditoriale comunque modificabile nel tempo.

4.2 Il G.I.P., infine, con il provvedimento di sequestro in oggetto, non ha imposto prescrizioni, né ha disciplinato lo svolgimento di una attività imprenditoriale sostituendosi surrettiziamente all'autorità amministrativa: ha soltanto consentito - con disposizione eccezionale di favore di cui la società interessata non ha interesse a dolersi - che nello stabilimento sequestrato (qualora gli organi societari ne ravvisino l'opportunità), la prosecuzione dell'esercizio dell'attività di trattamento di rifiuti speciali anche pericolosi possa eventualmente continuare "con la verifica e vigilanza di tutte le operazioni di gestione dei fanghi, prodotti: a cura del personale della P.G. delegato dalla Procura di Venezia":

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione,

visti gli artt. 127, 325 e 616 c.p.p:,


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 6.10.2005.

 

Il Consigliere relatore.
 

 

M A S S I M E

 Sentenza per esteso

 

1) Rifiuti - Gestione illegale dei rifiuti - Nozione - Presupposti - Condotte sanzionate - Fattispecie: attività di intermediazione e commercio senza autorizzazioni. Il delitto previsto dall'art. 53 bis del D.Lgs. n. 22/1997 (introdotto dalla legge 23.3.2001, n. 93) riguarda chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, abbia allestito una vera e propria organizzazione professionale con cui gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. La gestione dei rifiuti e le altre condotte previste come illecito devono concretizzarsi in più operazioni ed intervenire attraverso allestimento di mezzi e attività continuative organizzate ed entrambi gli aspetti devono configurarsi cumulativamente (vedi Cass., Sez. III, 17.1.2002, Paggi). Le condotte sanzionate, si riferiscono a qualsiasi "gestione" dei rifiuti (anche attraverso attività di intermediazione e commercio) che sia svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia, sicché esse non possono intendersi ristrette dalla definizione di "gestione" delineata dall'art. 6, 1° comma - lett. d), del D.Lgs. n, 22/1997, né limitate ai soli casi in cui l'attività venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni. (Pres. G. De Maio - Rel. A. Fiale - Imp. Carretta M. - Conferma ORDINANZA del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/2005 (Ud 06/10/2005), Sentenza n. 40827

2) Rifiuti - Gestione abusiva di "ingenti quantitativi" di rifiuti - Nozione. Il termine "ingente" ha un chiaro significato semantico nel linguaggio comune e deve riferirsi all'attività abusiva nel suo complesso, cioè al quantitativo di rifiuti complessivamente gestito attraverso la pluralità di operazioni (le quali, singolarmente considerate, potrebbero avere ad oggetto anche quantità modeste) e non può essere desunto automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell'attività di gestione dei rifiuti (in senso conforme vedi Cass., Sez, Vi, 13,72004, n, 30373, P.M. in proc. Ostuni). (Pres. G. De Maio - Rel. A. Fiale - Imp. Carretta M. - Conferma ORDINANZA del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/2005 (Ud 06/10/2005), Sentenza n. 40827

3) Rifiuti - Gestione abusiva - C.d. "profitto ingiusto" - Nozione - Punibilità penale - Dolo - Fattispecie. In tema di gestione abusiva dei rifiuti, il c.d. "profitto" non deve necessariamente assumere natura di ricavo patrimoniale, ben potendo lo stesso essere integrato del mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura. Non è affatto necessario, però - ai fini della perfezione del reato - l'effettivo conseguimento di un vantaggio siffatto. Nella fattispecie in esame - tenuto conto che l'impresa che conferisce i fanghi normalmente paga i propri conferimenti - un'ipotesi di profitto può ragionevolmente ipotizzarsi non solo in un risparmio di costi nell'effettuazione dei conferimenti ad una ditta riutilizzatrice piuttosto che ad un'altra, ovvero ad un'impresa di gestione di una discarica, ma anche (e ciò, nella specie, assume valenza pregnante) nella stessa possibilità di effettuare conferimenti che non sarebbero possibili, ovvero richiederebbero costi maggiori, in considerazione dell'effettivo grado di pericolosità dei rifiuti che si intende conferire (onde il vantaggio connesso al mascheramento dei componenti effettivi dei rifiuti medesimi). La effettiva sussistenza del dolo non è questione da verificare in sede di cautela reale, però più che evidente deve ritenersi, allo stato (la stessa ordinanza impugnata palesa "la necessità di più approfondite stime" dei prezzi del conferimento dei fanghi nel regime di mercato), l'ipotizzabilità razionale anche dell'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice. (Pres. G. De Maio - Rel. A. Fiale - Imp. Carretta M. - Conferma ORDINANZA del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/2005 (Ud 06/10/2005), Sentenza n. 40827

4) Procedure e varie - Provvedimenti di sequestro - Procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame - Limiti - Accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti - Competenze del Tribunale. Nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro: - la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del Tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cass, Sez. Un., 7.11.1992, ric Midolini). Sicché, "l'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass., Sez. Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri). (Pres. G. De Maio - Rel. A. Fiale - Imp. Carretta M. - Conferma ORDINANZA del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/200 (Ud 06/10/2005), Sentenza n. 40827 (vedi: sentenza per esteso)

5) Procedure e varie - Sequestro preventivo - "periculum in mora" - Definizione. Il "periculum in mora" che - ai sensi del I comma dell'art. 321 c.p.p. - legittima il sequestro preventivo, deve intendersi come concreta possibilità, desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, che il bene stesso assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o alla agevolazione della commissione di altri reati. (Pres. G. De Maio - Rel. A. Fiale - Imp. Carretta M. - Conferma ORDINANZA del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA) CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/2005 (Ud 06/10/2005), Sentenza n. 40827

6) Procedure e varie - Sequestro preventivo - Richiesta del P.M. - Necessità - Presupposti. Il giudice può disporre il sequestro preventivo solo su richiesta del P.M. e sulla base degli elementi dallo stesso presentati (vedi Cass.; Sez, V, 1,4.1999, n, 1050; Sez. III, 25.11,1994, n, 2594). (Pres. G. De Maio - Rel. A. Fiale - Imp. Carretta M. - Conferma ORDINANZA del 03/03/2005 del TRIBUNALE PER IL RIESAME DI VENEZIA). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 10/11/2005 (Ud 06/10/2005), Sentenza n. 40827

 

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