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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 21/12/2005 (Ud. 5/12/2005), Sentenza n. 46784
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE
DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 21/12/2005 (Ud. 5/12/2005), Sentenza n. 46784
(Presidente U. Papadia, Relatore A. Grassi)
N. 17394/'05 R.G.
Omissis
Con sentenza del Tribunale, in composizione monocratica, di Voghera datata
17/1/'05, Giuseppe Eugenio Boventi veniva condannato, previo riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di E 1.000,00 di ammenda quale
colpevole del reato previsto dall'art. 727 c.p., del quale era chiamato a
rispondere per avere, il 12/1/'03, utilizzato in Borgoratto Mormorolo, al fine
di richiamare a scopo di caccia gli uccelli, una cesena viva legata ad una
cordicella, strattonandola e facendole compiere continui decolli e conseguenti
ricadute.
Affermava, fra l'altro, il Giudice di merito:
- che la responsabilità penale dell'imputato, in ordine al reato ascrittogli,
era in atti provata dalle dichiarazioni del verbalizzante Sergio Carlissi,
agente venatorio, il quale aveva riferito d'aver sorpreso il Boventi in un
capanno da caccia e di avere accertato che lo stesso, al fine di attirare degli
uccelli in volo, dopo avere legato ad una fune una cordicella con la quale aveva
imbracato una cesena viva, dall' interno del detto capanno tirava detta fune
così inducendo l'animale a sollevarsi in volo, per poi subito dopo ricadere, in
quanto trattenuto dal legaccio;
- che tale fatto doveva ritenersi integrare un'ipotesi di sevizia dal momento
che la ripetitività ossessiva di esso aveva sicuramente inciso sull'istinto
naturale del volatile dandogli, dapprima, la sensazione di poter volare e
costringendolo, subito dopo, a ricadere a terra o su un albero.
Avverso tale decisione l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione onde
chiederne l'annullamento per violazione di legge e difetto ed illogicità di
motivazione.
Deduce, in particolare, il ricorrente:
a) che egli sarebbe stato condannato in applicazione di una norma di legge -l'art.
727 c.p.- che al momento del giudizio era stata abrogata dalla L. 20N111'04, n.
189;
b) che non vi sarebbe continuità normativa fra l'art. 727 c.p., vigente al
momento del fatto e l'art. 544 ter c.p., inserito nel libro secondo del codice
penale dalla citata L. 189/'04, prevedendo, il primo, una contravvenzione
punibile a titolo di colpa ed, il secondo, un delitto punibile a titolo di dolo;
c) che, in ogni caso, egli dal fatto ascrittogli avrebbe dovuto essere assolto,
a norma dello art. 51 c.p., avendolo commesso nell'esercizio di attività
venatoria da considerarsi legittima perché la cesena non era legata per le ali,
ma imbracata nel corpo;
d) che la norma di cui all'art. 544 ter c.p. non sarebbe a lui applicabile
perché l'art. 19 ter delle disposizioni di coordinamento e transitorie del
codice penale prevede che le disposizioni di cui al titolo DC bis del libro
secondo del detto codice non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali
in materia di caccia;
e) che il Giudice di merito non avrebbe indicato per quali ragioni la condotta
di esso imputato avrebbe cagionato alla cesena ingiustificate sofferenze.
Motivi della decisione
Il ricorso è destituito di fondamento e, come tale, deve essere rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente -a mente dell'art. 616 c.p.p.- al pagamento
delle spese processuali.
Il maltrattamento di animali, all'epoca del fatto ascritto al Boventi previsto
come reato dallo art. 727 c.p., ha conservato carattere di illecito penale,
senza soluzioni di continuo, anche dopo la entrata in vigore della L. 20/VII/'04,
n. 189 la quale ha introdotto, nell'ordinamento giuridico vigente, l'art. 544
ter c.p..
Ciò non solo per l'identità della rubrica delle due norme "Maltrattamento di
animali", ma soprattutto perché le condotte punibili, previste, sono rimaste
identiche -sottoposizione a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori
insopportabili per le caratteristiche ecologiche dell'animale" ed analoghe sono
le finalità o modalità di tali condotte "per crudeltà o senza necessità".
Il delitto previsto dall'art. 544 ter c.p. è reato di dolo specifico solo se
commesso "per crudeltà", mentre per esso è sufficiente il dolo generico se posto
in essere "senza necessità".
Nella fattispecie in esame il reato è stato contestato all'imputato come
commesso non per crudeltà, ma senza necessità, sicché per la configurabilità di
esso è sufficiente l'avere accertato che la relativa condotta fu posta in essere
con coscienza e volontà, ritenute esistenti dai Giudici di merito, visto che
consapevolmente il Boventi aveva legato ad una fune una cesena viva,
strattonandola, facendola alzare in volo e ricadere su un albero, al fine di
richiamare gli uccelli in volo.
Premessa, dunque, la illiceità penale del fatto anche sotto l'imperio della
nuova normativa (art. 544 ter c.p.), la legge da applicare al caso concreto,
anche ai fini dell'individuazione del trattamento sanzionatorio, è stata
legittimamente ritenuta essere quella dell'art. 727 c.p. vigente all'epoca del
fatto, in quanto certamente più favorevole all'imputato.
La circostanza che il Giudice di' merito non abbia esplicato, nella motivazione
della decisione impugnata, lo "iter" logico testé evidenziato non è causa di
annullamento della sentenza, stante la correttezza giuridica della soluzione
adottata.
L'esimente dell'esercizio di un diritto, invocata dal ricorrente, non è
applicabile alla fattispecie in esame.
Invero, la L. 11/02/'92, n. 157, consente l'uso, a scopo venatorio, di richiami
vivi, ma vieta che ad esseri viventi dotati di sensibilità psico-fisica, quali
sono gli uccelli, siano arrecate ingiustificate sofferenze, con offesa al comune
sentimento di pietà verso gli animali ed, a tal fine, elenca -con carattere
meramente esemplificativo- dei comportamenti da considerarsi vietati, ma non
legittima l'uso di richiami vivi con modalità parimenti offensive.
Detta legge, infatti, non esaurisce la tutela della fauna in quanto limiti alle
pratiche venatorie sono posti anche dal previgente art. 727 c.p. e dall'attuale
art. 544 ter c.p., i quali hanno ampliato la
sfera della menzionata tutela attraverso il divieto di condotte atte a procurare
agli animali strazio, sevizie o, comunque, detenzione attraverso modalità
incompatibili con la loro natura.
Da ciò deriva che la legittimità delle pratiche venatorie consentite sulla base
della L. 157/'92 deve essere verificata anche alla luce delle norme del codice
penale sù richiamate (v. conf Cass. sez. III pen, 25/VI/'99, n. 8890 ; 191V/'98,
n. 5868 e 201V/'97, n. 4703).
In virtù di tale principio di diritto, l'uso di richiami vivi deve ritenersi
vietato non solo nelle ipotesi previste espressamente dall'art. 21 co. 1 lett.
r) L. 157/'92, ma anche quando viene attuato con modalità incompatibili con la
natura dell'animale e non v'è dubbio che imbracare un volatile, legarlo da una
fune, strattonarlo ed indurlo a levarsi in volo, per poi ricadere pesantemente a
terra o su un albero, significa sottoporre Io stesso, senza necessità, a
comportamenti e fatiche insopportabili e non compatibili con la natura ecologica
di esso.
Per l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 51 c.p. non è sufficiente che
l'ordinamento attribuisca allo agente un diritto, ma è necessario che ne
consenta l'esercizio proprio con l'attività e le modalità che, per altri,
costituirebbero reato, sicché essa non ricorre nel caso in cui la pratica
venatoria, pur essendo consentita, sottopone l'animale -per le concrete modalità
della sua attuazione- a sofferenze non giustificate dall'esigenza della caccia
(v. conti Cass. sez. III pen., 95/203300 e sez. V pen., 90/183403).
Vero è che l'art. 19 ter delle disposizioni transitorie del codice penale,
introdotto dall'art. 3 L. 189/'04, stabilisce che "le disposizioni del titolo IX
bis del libro Il del codice penale -fra cui rientra l'art. 544 ter- non si
applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, ... ", ma
è anche vero che, come sopra evidenziato, l'uso a scopo venatorio di richiami
vivi con modalità che, se anche non vietate espressamente dalla L. 157/'92,
debbono ritenersi illecite, non costituisce alcun dei casi previsti dalla legge
speciale in materia.
L'uso della cesena, a fini di richiamo vivo di altri uccelli, con le modalità
attuate dal Boventi, ha comportato all'animale sofferenze non compatibili con la
natura etologica di esso, ben evidenziate nella motivazione della decisione
impugnata e che non avevano bisogno di essere ulteriormente esplicitate dal
Giudice di merito, essendo insite nel fatto che il volatile era stato
innaturalmente costretto a levarsi ripetute volte in volo ed a ricadere
pesantemente a terra o su un albero.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso proposto da Giuseppe Eugenio Boventi avverso la sentenza del
Tribunale, in composizione monocratica, di Voghera, datata 17/I/'05 e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
1) Flora e fauna - Maltrattamento di animali - Condotta “crudele” tenuta “senza necessità” - Dolo generico - Art. L. n. 157/1992 - Art. 727 - Art. 544 Ter cod. pen. - Continuità normativa. Tra il reato di cui all’art. 727 cod. pen. e quello introdotto all’art. 544 ter cod. pen. dalla legge 20/7/2004 n. 189 sussiste continuità normativa non solo per l’identità della rubrica (Maltrattamento di animali), ma anche perchè sono rimaste identiche le condotte punibili. La Corte ha precisato che il nuovo delitto si configura come reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta sia tenuta “per crudeltà”, e a dolo generico quando essa è tenuta “senza necessità”, applicandosi in tal caso la legge più favorevole al reo. (Presidente U. Papadia, Relatore A. Grassi). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 21/12/2005 (Ud. 5/12/2005), Sentenza n. 46784
2) Flora e fauna - Delitti contro il sentimento per gli animali - Esimente dell’esercizio di un diritto - Insussistenza - Fattispecie - Art. 727 c.p. - Art. 544 Ter c.p. - Art. 19 Ter disp. coord. cod. pen. - Art. L. n. 157/1992. Non può essere applicata l’esimente dell’esercizio di un diritto a favore di un cacciatore che utilizzi richiami vivi violando le prescrizioni dettate dal previgente art. 727 cod. pen. e dal nuovo art. 544 ter cod. pen., in quanto l’uso di richiami vivi è vietato non solo nelle ipotesi previste dall’art. 21 della legge 11/2/1992 n. 157 ma anche quando viene attuato con modalità incompatibili con la natura dell’animale, come nel caso di specie dove l’animale era imbragato nel corpo, in modo da consentirgli di spiccare il volo, costringendolo subito dopo a ricadere al suolo. La Corte ha osservato che, pur prescrivendo l’art. 19 ter disp. coord. cod. pen. che le disposizioni di cui al titolo IX bis del libro II cod. pen. non si applicano ai casi previsti dalla legge speciale sulla caccia, tale norma non impedisce l’applicazione delle disposizioni dell’art. 544 ter cod. pen. quando la condotta, pur non essendo vietata esplicitamente dalla legge speciale, non rientra neppure tra quelle consentite. (Presidente U. Papadia, Relatore A. Grassi). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 21/12/2005 (Ud. 5/12/2005), Sentenza n. 46784
3) Caccia - Tutela della fauna - Richiami vivi a scopo venatorio - Limiti - Disciplina applicabile. In tema di caccia, L. 11/02/'92, n. 157, consente l'uso, a scopo venatorio, di richiami vivi, ma vieta che ad esseri viventi dotati di sensibilità psico-fisica, quali sono gli uccelli, siano arrecate ingiustificate sofferenze, con offesa al comune sentimento di pietà verso gli animali ed, a tal fine, elenca -con carattere meramente esemplificativo- dei comportamenti da considerarsi vietati, ma non legittima l'uso di richiami vivi con modalità parimenti offensive. Pertanto, L. n.157/92, non esaurisce la tutela completa della fauna in quanto limiti alle pratiche venatorie sono posti anche dal previgente art. 727 c.p. e dall'attuale art. 544 ter c.p., i quali hanno ampliato la sfera della menzionata tutela attraverso il divieto di condotte atte a procurare agli animali strazio, sevizie o, comunque, detenzione attraverso modalità incompatibili con la loro natura. Sicché, risulta pacifico che la legittimità delle pratiche venatorie consentite sulla base della L. 157/'92 deve essere verificata anche alla luce delle norme del codice penale sù richiamate (v. conf Cass. sez. III pen, 25/VI/'99, n. 8890 ; 191V/'98, n. 5868 e 201V/'97, n. 4703). (Presidente U. Papadia, Relatore A. Grassi). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 21/12/2005 (Ud. 5/12/2005), Sentenza n. 46784
4) Caccia - Tutela della fauna - Uso dei richiami vivi a scopo venatorio - Limiti - Modalità incompatibili con la natura dell'animale - Sofferenze non giustificate dall'esigenza della caccia - Disciplina applicabile. L'uso di richiami vivi deve ritenersi vietato non solo nelle ipotesi previste espressamente dall'art. 21 co. 1 lett. r) L. 157/'92, ma anche quando viene attuato con modalità incompatibili con la natura dell'animale. Nella apecie non v'è dubbio che imbracare un volatile, legarlo da una fune, strattonarlo ed indurlo a levarsi in volo, per poi ricadere pesantemente a terra o su un albero, significa sottoporre Io stesso, senza necessità, a comportamenti e fatiche insopportabili e non compatibili con la natura ecologica di esso. Infine, per l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 51 c.p. non è sufficiente che l'ordinamento attribuisca allo agente un diritto, ma è necessario che ne consenta l'esercizio proprio con l'attività e le modalità che, per altri, costituirebbero reato, sicché essa non ricorre nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita, sottopone l'animale -per le concrete modalità della sua attuazione- a sofferenze non giustificate dall'esigenza della caccia (v. conti Cass. sez. III pen., 95/203300 e sez. V pen., 90/183403). (Presidente U. Papadia, Relatore A. Grassi). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 21/12/2005 (Ud. 5/12/2005), Sentenza n. 46784
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