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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, del 02/03/2005, Sentenza n.8045
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE
Penale Sez. V, del 2 marzo 2005, Sentenza n. 8045
Pres. Providenti - Rel. Marini - P.g. Fratialli - Ric. Battaglia
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Omissis
La Corte osserva:
Battaglia Biagio ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza in
epigrafe, confermativa del di lui giudizio di colpevolezza per violazione di
domicilio:
- sub specie di ingresso con l'inganno in un canile dì proprietà di una cooperativa, nonché di esservisi trattenuto contro l’espressa volontà del gestore (fatti commessi il 21 ottobre 1997 in Chiaramente Gulfi, provincia di Ragusa)
- pronunciato in data 13 maggio 2002 dal tribunale di Ragusa, peraltro sostituita la pena originaria di un mese di reclusione con la multa di euro 1.162,03 e revocato il beneficio della sospensione condizionale.
Il ricorrente denuncia, con un primo motivo, erronea disapplicazione
dell’articolo 2 C.p., ovvero illogicità di motivazione, con riferimento
all’articolo 13 legge regionale della Sicilia 19/2000, nella parte in cui è stato
istituzionalizzato il dovere dei dirigenti dei canili di consentire l’ispezione
di tali strutture ai responsabili delle associazioni animalisti; l’articolo, che
negherebbe uno ius excludendi dei dirigenti dei canili a fronte della richiesta
ispettiva, sarebbe stato ignorato nella erronea considerazione che la norma non
integrerebbe il precetto penale e, conseguentemente, applicabile
retroattivamente la normativa, il Battaglia, responsabile locale della lega
antivivisezione, avrebbe dovuto essere assolto.
Con un secondo motivo il ricorrente censura la disapplicazione dell’attenuante
dì cui all’articolo 62 n.1 Cp, in relazione ai particolari valori morali e
sociali che si sarebbero dovuti riconoscere nella finalizzazione della condotta
alla ispezione del canile ed a tutela degli animali ivi ricoverati.
Il ricorso è fondato nel primo ed assorbente motivo.
Premesso, invero, che non è in discussione la concreta qualificazione della
visitata struttura della cooperativa Maia, un canile, come luogo di privata
dimora (quale ambiente destinato all’esplicazione di una attività lavorativa
privata, secondo la più ampia accezione accolta dalla giurisprudenza di
legittimità proprio in tema di reato ex articolo 614 C.p.), deve in effetti
ritenersi l’astratta applicabilità alla fattispecie della sopravvenuta norma
regionale invocata dal ricorrente.
Nel novero delle norme integratrici della legge penale, cui è applicabile il
principio di retroattività della legge più favorevole ex articolo 2 comma 3 C.p.,
infatti, debbono ricomprendersi, invero, tutte quelle che intervengano nell’area
di rilevanza penale di un fatto umano, escludendola, riducendola o comunque
modifìcandola in senso migliorativo per l’agente; e, ciò, quand’anche la nuova
norma non rechi testuale statuizione in tal senso ma, comunque, regoli
significativamente il fatto in termini incompatibili con la precedente
disciplina penalistica ovvero incidenti, per il nuovo caso regolato, nella
struttura della norma incriminatrice o, quanto meno, sul giudizio di disvalore
in essa espresso.
Nella specie, l’articolo 13 comma 3 della legge della regione Sicilia 19/2000 -
rubricata come “apertura al pubblico dei rifugi sanitari e dei rifugi per il
ricovero” - ha previsto che i rifugi sanitari e i rifugi per il ricovero devono
consentire, senza bisogno di speciali procedure o autorizzazioni, l’accesso dei
responsabili dei locali delle associazioni protezionistiche o animaliste per il
controllo della gestione della struttura”; tale norma (inserita in una legge
diretta alla tutela degli animali da affezione ed alla prevenzione del
randagismo) ha dunque istituzionalizzato, con l’espressione “devono consentire“,
l’inopponibilità dello jus excludendi, da parte dei gestori dei rifugi sanitari
pubblici e dei rifugi per il ricovero degli animali costituiti ed organizzati ai
sensi degli articoli 11 e 12 della stessa legge), all’accesso dei responsabili
locali delle associazioni protezionistiche o animaliste intesi al controllo
della gestione delle strutture.
In tali termini, la legge ha ricondotto a piena legittimità l’accesso di
particolari soggetti, per finalità ispettive e “senza bisogno di speciali
procedure o autorizzazioni”, alle strutture pubbliche (rifugi sanitari) e
private (rifugi per il ricovero), negando radicalmente, in tali ipotesi, un
diritto ad excludendum in capo al titolare delle strutture e rilevanza, dunque,
ad ogni effetto, alla volontà contraria, espressa o tacita, alla condotta
dell’introdursi o del trattenersi da parte dell’agente, ove la condotta sia
finalizzata al controllo della gestione “pubblica o privata”; e, in definitiva,
annullando, in tali specialissime fattispecie, il disvalore penale rispetto al
tatto commesso, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della
condotta punibile.
La sopravvenuta norma regionale, pertanto, ha regolato una specifica condotta -
presentante connotazioni, oggettivamente e soggettivamente, del tutto peculiari
-
incidendo significativamente, per tali singole ipotesi, sulla norma penale a
tutela dei luoghi “di privata dimora”, sì da rendersi riconducibile nell’ambito
dì applicazione dell’articolo 2 C.p..
Nel caso in esame, peraltro, non risulta chiaramente, né dal testo delle
sentenze di merito, né dal capo di imputazione - che, pure, enuncia in capo
all’imputato una “falsa intenzione di prendere in affidamento un cane” ed in
realtà una finalità ispettiva falsamente rappresentata come “autorizzata”
(producendo una comunicazione inidonea, in tal senso, del comune di Modica) - la
sicura riconducibilità della condotta del Battaglia alla finalità di controllo
della gestione della struttura della cooperativa Maia né, ed ancor prima, che
l’imputato rivestisse la qualifica di responsabile di una associazione
protezionistica o animalista.
Consegue che (assorbito il secondo motivo in punto di pena), tale accertamento
investendo un apprezzamento tipico del giudizio di merito, l’impugnata. sentenza
deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Catania per nuovo esame.
PQM
La Corte, annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Catania per nuovo esame.
1) Caccia e pesca - Tutela degli animali - Ispezione da parte di un rappresentante di una associazione locale di difesa degli animali - Accesso con l'inganno in un canile - Reato di violazione di domicilio - Esclusione - Art. 614 c.p. - Art. 13 c. 3 L. R.Sicilia 19/2000. In tema di tutela degli animali, l'accesso ad un canile per procedere ad una ispezione da parte di un rappresentante di una associazione locale di difesa e tutela degli animali non configura il reato di violazione di domicilio sanzionato dall'articolo 614 c.p.. Sicché, costituisce dovere dei responsabili di canili pubblici e privati consentirne l'accesso con le modalità prescritte dalle normativa in materia. In specie, l'articolo 13 comma 3 della legge della regione Sicilia 19/2000 - rubricata come “apertura al pubblico dei rifugi sanitari e dei rifugi per il ricovero”- ha previsto che i rifugi sanitari e i rifugi per il ricovero devono consentire, senza bisogno di speciali procedure o autorizzazioni, l’accesso dei responsabili dei locali delle associazioni protezionistiche o animaliste per il controllo della gestione della struttura”; tale norma (inserita in una legge diretta alla tutela degli animali da affezione ed alla prevenzione del randagismo) ha dunque istituzionalizzato, con l’espressione “devono consentire“, l’inopponibilità dello jus excludendi, da parte dei gestori dei rifugi sanitari pubblici e dei rifugi per il ricovero degli animali costituiti ed organizzati ai sensi degli articoli 11 e 12 della stessa legge), all’accesso dei responsabili locali delle associazioni protezionistiche o animaliste intesi al controllo della gestione delle strutture). Pres. Providenti - Rel. Marini - P.g. Fratialli - Ric. Battaglia. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. V, del 2 marzo 2005, Sentenza n. 8045
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