Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Reg. Dec. 6201/05
N. 616-761-993 Reg. Ric.
Anno: 2005
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 616 del 2005, proposto dal Comune di
Modugno, rappresentato e difeso dall’avv. Pasquale Menchise e con lui
elettivamente domiciliato presso lo studio Sciumè e Zaccheo, in Roma, via B.
Oriani, n. 32,
sul ricorso in appello n.r.g. 761 del 2005, proposto dalla Provincia di
Bari, rappresentata e difesa dall’avv. Felice Eugenio Lorusso e con lui
elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Ciro Intino, in Roma, via
della Giuliana, n. 50,
sul ricorso in appello n.r.g. 993 del 2005, proposto dalla s.r.l. “L’Euro
immobiliare” e dai sigg. Nicola Di Lillo, Ettore Pepe, Annunziata Accettura,
rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Colavecchio e con lui elettivamente
domiciliati presso lo studio dell’avv. Mauro Mezzetti, in Roma, via Germanico,
n. 197,
contro
la s.p.a. Tersan Puglia & Sud Italia, appellante incidentale, rappresentata e
difesa dall’avv. Luigi Paccione, elettivamente domiciliata presso il sig.
Alfredo Placidi, in Roma, via Cosseria, n. 2,
e nei confronti
nei ricorsi n. 616 e n. 761 del 2005:
della s.r.l. “L’Euro immobiliare” e dei sigg. Annunziata Accettura, Ettore Pepe,
Nicola Di Lillo, costituiti nel ricorso n. 761/2005, e rappresentati e difesi
dagli avv. Paolo Colavecchio e Mauro Mezzetti, con domicilio eletto presso lo
studio del secondo, in Roma, via Germanico, n. 197,
dei sigg. Vito Gabriele Ripa, Santo Scopelliti, Ottaviano Chiocco, Angela Maria
Patrizia Zaffarano, Daniela Licci, non costituiti,
in tutti i ricorsi, della Regione Puglia, dell’A.R.P.A., della Azienda U.S.L.
Bari/4, non costituite,
e nel ricorso n. 761/2005 e 993/2005: del Comune di Modugno non costituito; con
l’intervento, nel ricorso n. 761/2005, dell’Associazione italiana per il World
Wildlife Fund, rappresentata e difesa dall’avv. Alessio Petretti e con lui
elettivamente domiciliata in Roma, via degli Scipioni, n. 268 A,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia - sede di
Bari, Sez. III, n. 4676/2004, pubblicata il 21 ottobre 2004 e notificata il
giorno 8 novembre 2004.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti sopra indicate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’art. 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 4
della legge 21 luglio 2000, n. 205;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 21 giugno 2005, il consigliere
Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avvocati La Pesa, per Menchise, Mezzetti,
Lorusso, Petretti e Paccione, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. È oggetto di impugnazione la sentenza del Tribunale amministrativo regionale
della Puglia - Bari - Sezione III, n. 4676 del 2004, pubblicata il 21 ottobre
2004 e notificata in data 8 novembre dello stesso anno.
La decisione reca annullamento del provvedimento 11 maggio 2004 n. 99 della
Provincia di Bari, che, a sua volta, ha pronunciato l’annullamento di atti
autorizzativi della gestione di un impianto per la produzione, con rifiuti non
pericolosi, di fertilizzanti (compost). Gli atti erano stati emanati dal 1°
marzo 2001 al 18 aprile 2003, nei riguardi della s.p.a. Tersan Puglia, meglio
indicata in epigrafe.
2.1. Il ricorso n. 616 del 2005 è proposto dal Comune di Modugno. È stato
notificato il 5 gennaio 2005 alla società Tersan ed agli altri soggetti indicati
in epigrafe, ed è stato depositato il 25 gennaio.
2.2. A critica della sentenza impugnata sono illustrati cinque motivi, con
richiesta di riforma della decisione e rigetto del ricorso introduttivo.
2.3. La società intimata ha proposto appello incidentale, notificato il 5
febbraio 2005 e depositato il 9 febbraio. Deduce censure contro tre statuizioni
del primo giudice e confuta, poi, analiticamente i motivi dell’appello
principale, con deduzione anche di tardività dell’appello.
3.1. Il ricorso n. 761 del 2005 è proposto dalla Provincia di Bari. È stato
notificato il 3/5 gennaio 2005 alla società Tersan ed agli altri soggetti
indicati in epigrafe. È stato depositato il 28 gennaio.
3.2. È impugnata la stessa sentenza di cui al n. 2.2.
3.3. Sono proposte quattro censure per la sua riforma.
In data 10 giugno 2005 è stata prodotta memoria illustrativa.
3.4. La società intimata ha proposto appello incidentale, notificato in data 2
febbraio 2005, poi depositato il 7 febbraio. L’atto contiene le stesse
argomentazioni e censure di quello sub 2.4.
Ha poi prodotto altre memorie con documentazione il 24 febbraio ed il 15 giugno
2005.
3.5. Si sono costituiti in giudizio:
3.5.1. la soc. “L’Euro immobiliare”, con i sigg. Di Lillo, Pepe, Accettura, che
aderiscono all’appello;
3.5.2. l’associazione W.W.F. con atto depositato il 19 febbraio 2005, nel quale
e del quale non risulta attestata la notificazione ad alcuna parte, e che è
intestato come “domanda di intervento”.
4.1. Il ricorso n. 993 del 2005 è proposto dalla soc. L’Euro immobiliare e dai
signori nominati in epigrafe.
È stato notificato il 7 gennaio 2005 alla s.p.a. Tersan ed alle parti indicate
in epigrafe. È stato depositato il 7 febbraio.
4.2. È impugnata la stessa sentenza sub 2.2.
4.3. Sono dedotte tre censure nei riguardi della decisione.
In data 10 giugno 2005 è stata prodotta memoria conclusiva, nella quale si
controdeduce su eccezioni opposte dalla società appellata.
4.4. Anche in questa causa la Tersan ha notificato appello incidentale in data 4
febbraio 2005, depositato il 10 febbraio.
Censura la statuizione del T.A.R. sull’ammissibilità dello spiegato intervento
in primo grado degli appellanti e ripropone motivi assorbiti e dichiarati
inammissibili.
Con memoria del 24 febbraio 2005 la società ha opposto: tardività dell’appello,
sua improcedibilità, sua inammissibilità per omessa impugnazione di tre capi
autonomi della sentenza del T.A.R. Sostiene, infine, infondatezza ed
inammissibilità dei tre motivi dell’appello.
5. Nella camera di consiglio del 25 febbraio 2005 sono state respinte le domande
di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
6. All’udienza del 21 giugno 2005, i ricorsi sono stati congiuntamente discussi
e, poi, trattenuti in decisione.
DIRITTO
1. I tre ricorsi in appello sono proposti per la riforma della medesima
sentenza. Devono essere perciò riuniti per pronunziare su di essi con unica
decisione.
2. Con il ricorso introduttivo è stato chiesto, da parte della soc. Tersan,
attuale appellata, l’annullamento del provvedimento 11 maggio 2004, n. 99, del
dirigente della Provincia di Bari, che si è determinato di “ritirare, in
autotutela”:
a) la precedente misura - n. 46 del 1° marzo 2001 - di “rinnovo
dell’autorizzazione” all’esercizio “dell’impianto di trattamento, riciclo e
stoccaggio provvisorio di rifiuti speciali” non pericolosi, avente per scopo la
“produzione di fertilizzanti e ammendanti organici (compost)”: così al n. 1 del
provvedimento;
b) l’autorizzazione comprensiva dell’aumento di quantità “trattabile” dei
rifiuti, a seguito di apertura di esercizio, cui era stato dato corso secondo le
procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22.
Il provvedimento dispone anche annullamento di successivi atti nn. 56/18
novembre 2002, 27/10 marzo 2003, 62/18 aprile 2003 di “ricodifica dei rifiuti”,
ritenuti, evidentemente, conseguenziali al primo.
Le ragioni della misura sono state così enunciate:
2.1. mancato esperimento della procedura per la valutazione di impatto
ambientale (VIA), resasi necessaria per l’ampliamento dell’attività;
2.2. nullità dell’istanza di rinnovo, inoltrata il 29 dicembre 2000, perché
sottoscritta dall’amministratore unico pro tempore, “sprovvisto dei poteri di
rappresentanza della società”;
2.3. mancata presentazione, nei termini prescritti, del progetto di copertura
del piazzale dell’impianto;
2.4. assenza di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ex artt. 1 e 12 del
d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203.
3.1. Le attività in questione hanno per oggetto il trattamento, il reinserimento
nel ciclo produttivo (“riciclo”) ed il deposito (“stoccaggio”) provvisorio di
rifiuti - fanghi biologici e residui di industrie agro-alimentari - per produrre
fertilizzanti organici.
Esse partecipano della natura di attività di pubblico interesse, quale è
definita la gestione dei rifiuti nell’art. 2, comma 1, del menzionato d. lgs. 5
febbraio 1997, n. 22. Sono da annoverare, infatti, nella attività di “gestione
dei rifiuti”, poiché li trattano e li modificano, e si configurano, perciò, come
esecuzione di un servizio gestito nell’interesse della collettività, vale a dire
come servizio pubblico.
La controversia in esame attiene, specificamente, ad un esercizio di impianto
inerente ad un servizio pubblico e, di conseguenza, a materia contemplata
dall’art. 23-bis, comma 1, lett. c), della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Ivi
si stabilisce che rientrano nella disciplina processuale acceleratoria, definita
dallo stesso articolo, i provvedimenti riguardanti, fra l’altro, procedure di
affidamento ed esecuzione di servizi pubblici.
Qui si discute, appunto, del diniego di prosecuzione della autorizzazione e
della conseguente inibizione dell’esecuzione del pubblico servizio di gestione
di rifiuti per la produzione di fertilizzanti.
3.2. Da quanto stabilito deriva che ha fondamento la tesi della società
appellata circa la tardività dei tre appelli in esame. L’articolo in questione
dispone, al comma 7, che il termine per la proposizione dell’appello, avverso le
sentenze pronunciate nei giudizi di cui al comma 1, è di trenta giorni dalla
notificazione. Nella specie, la sentenza impugnata è stata notificata al
procuratore domiciliatario di ciascuna delle parti appellanti in data 8 novembre
2004. Il termine per notificare il ricorso in appello è perciò scaduto il 9
dicembre (il giorno 8 era festivo). Le notificazioni dei ricorsi in appello sono
state tutte eseguite, come riferito in fatto, nel gennaio 2005.
Ed anche il deposito di ciascuno dei ricorsi in appello non è stato eseguito nel
termine dimezzato di quindici giorni dall’ultima notificazione, ma in data
successiva (sopra precisata).
3.3. È possibile però riconoscere alle parti appellanti l’errore scusabile, in
considerazione della novità della specifica questione e perciò della intrinseca
difficoltà di definire, per la prima volta, una controversia attinente al ritiro
della autorizzazione a gestire un impianto di trattamento di rifiuti come
controversia riconducibile fra quelle contemplate dall’art. 23-bis menzionato.
3.4. Ciò comporta l’esame dei tre ricorsi per gli altri profili consentiti, con
una pronunzia di reiezione, per quelli della Provincia e quello del Comune, e di
inammissibilità, per quello delle parti private, come si vedrà in prosieguo.
4. La sentenza del T.A.R. di Bari ha accolto il ricorso della Tersan Puglia &
Sud Italia ed ha annullato il provvedimento, del quale si è al n. 2 riferito,
chiarendo che nessuno dei quattro motivi, portati dalla Provincia a sostegno
della sua determinazione, si sottrae a censure di illegittimità.
Ha ritenuto inammissibile invece, per difetto di interesse, l’impugnazione di
due atti, riconosciuti non lesivi e sopravvenuti a quello impugnato, recanti,
precisamente, la data del 3 agosto 2004 e del 7 settembre 2004.
L’annullamento del provvedimento comporta il ripristino dell’atto autorizzativo
e di quelli connessi.
5. Si può, ora, procedere all’esame dei ricorsi in appello.
5.1. Preliminarmente, va dichiarato inammissibile l’appello n. 993 del 2005,
proposto dalla s.r.l. “L’Euro immobiliare” e dalle tre persone menzionate in
epigrafe.
Esse avevano partecipato, tranne la sig.ra Accettura, al giudizio di primo grado
in qualità di intervenienti “ad opponendum” all’accoglimento del ricorso
introduttivo.
Sono, perciò, legittimate a proporre appello, poiché non parti necessarie nel
giudizio di primo grado, solo per i capi della sentenza che direttamente le
possono riguardare, vale a dire per quelli relativi all’ammissibilità
dell’intervento ed alle spese (V Sez. 21 luglio 1995, n. 1114; V Sez. 16 marzo
1995, n. 416; V Sez. 6 marzo 1990, n. 238; Ad. plen. 24 luglio 1997, n. 15; VI
Sez. 1° dicembre 2003, n. 7861; VI Sez. 7 settembre 2004, n. 5843; IV Sez. 2
aprile 2004, n. 1826). Su questi punti non vi sono però capi della sentenza in
relazione ai quali siano rimasti soccombenti. Né criticano la sentenza per i
limitati motivi suddetti.
Per altro verso, non hanno dato alcuna dimostrazione di possesso di una
posizione qualificata e differenziata, vale a dire giuridicamente rilevante, in
ordine alla attività di produzione di fertilizzanti mediante rifiuti, di cui qui
si disputa.
5.2. Altrettanto inammissibile è l’appello della sig.ra Accettura:
a) perché - pur se contraddittoriamente definita, nella sentenza impugnata,
prima come “controinteressata” (pag. 3) e poi come “interveniente” (pag. 20) -
essa non riveste tuttavia una posizione di controinteressata, in senso
processuale, giacché non è contemplata nel provvedimento impugnato, né è
agevolmente individuabile come tale. Sono questi i requisiti per riconoscere la
parte del giudizio legittimata ad opporsi all’annullamento dell’atto impugnato,
stabiliti dalla legge e ripetutamente enunciati da una ferma giurisprudenza, ed
essi non sono rinvenibili, né sono stati dimostrati in capo alla predetta
persona;
b) perché tale persona è stata formalmente intimata in primo grado, ma non si
rileva che sia stato speso un qualche argomento per definire un suo personale
interesse, giuridicamente rilevante, alla pronunzia sulla legittimità del
provvedimento in discussione. In difetto di ciò, non solo non può essere
qualificata come controinteressata, come si è concluso sub a), ma la sua
posizione non può che essere considerata come quella di una mera interessata di
fatto, e perciò “interveniente”, con conseguente dichiarazione di
inammissibilità anche del suo appello.
5.3. A questa pronunzia, segue quella di improcedibilità dell’appello
incidentale della società intimata.
6. Il primo motivo dell’appello n. 616 del 2005 del comune di Modugno propone
una censura che la provincia di Bari - autrice del provvedimento impugnato - non
pone.
Secondo il Comune, il ricorso introduttivo doveva essere considerato
inammissibile, perché il mandato “ad litem” è stato sottoscritto
dall’amministratore della società che era stato nominato nell’assemblea del 7
maggio 2004. La deliberazione era però da considerare affetta da nullità oppure
inesistente, non meramente annullabile, perché non era stata convocata una
persona, che sarebbe titolare della metà del capitale sociale, in base ad una
sentenza della Corte d’appello di Bari, annotata nel registro delle imprese.
Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione.
Come è pacifico, l’onere probatorio in tema di legittimazione processuale
(qualità di organo della persona giuridica, nel caso di specie) non grava su chi
agisce in giudizio, ma l’inesistenza di un rapporto organico va provata da chi
la eccepisce (Cons. St. VI Sez. 5 marzo 1986, n. 231; Cass. 2 aprile 2002, n.
4627).
Nella specie, tale onere non è stato assolto dal Comune appellante.
V’è, anzi, da porre in rilievo che è infondata la tesi sulla quale si basa,
poiché è stato esibito in giudizio tempestivamente, da parte della s.p.a. Tersan
(all. n. 8 del deposito del 24 febbraio 2005), il provvedimento 16 novembre
2004, pronunciato dal tribunale di Bari, che ha invece dichiarato inammissibile
il ricorso, della persona indicata come socio “pretermesso”, mirante alla revoca
degli amministratori della società ex art. 2409 cod. civ. E ciò:
sia perché quel ricorrente “non risulta iscritto nel libro dei soci della Tersan”;
sia perché la sentenza della Corte d’appello, dichiarante la sua qualità di
socio, impugnata per cassazione, risulta emessa con esclusivo riferimento a
circostanze di fatto risalenti al 1979, mentre le “vicende societarie
successive”, evidenziate da chi si è opposto alla domanda, hanno dato luogo ad
azzeramento del capitale sociale nel 1984, “senza alcuna sottoscrizione” del
capitale ricostituito da parte del soggetto in questione.
In ordine a tali risultanze delle vicende societarie, non sono state offerte
prove contrarie da parte del Comune appellante.
Si deve anche precisare che, per la dichiarazione di invalidità delle
deliberazioni di un’assemblea, nelle società per azioni, sono stabiliti
particolari procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, con le
disposizioni degli artt. 2377, 2379 e 2383 cod. civ. Di esse non si può
discutere incidenter tantum dinanzi al giudice amministrativo. E non è
stato neanche dimostrato che tali azioni siano state avviate.
Infine, per quanto riguarda un insieme di fatti societari, è stabilito uno
speciale regime di iscrizione nel registro delle imprese, ai fini della loro
opponibilità a terzi. Fra questi fatti sono annoverati anche quelli riguardanti
le nomine degli amministratori. Ed in questa sede non è stato affatto dimostrato
che sia stata fatta una qualche iscrizione nel registro delle imprese relativa
ad una inesistenza della qualità di amministratore della persona che ha
conferito il mandato a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo.
7. Il secondo motivo del ricorso in appello del Comune, ed il corrispondente
primo motivo della Provincia di Bari, riguardano l’affermazione della necessità
di esperire, per l’impianto in discussione, il procedimento di valutazione di
impatto ambientale (in seguito: VIA), a causa delle sue aumentate potenzialità
produttive, portate da 600 a 800 tonnellate al giorno.
7.1. Le argomentazioni del Comune, ma ancor più quelle della Provincia -
sviluppate in una cospicua esposizione di trentanove pagine - vanno però lette
alla luce del provvedimento impugnato e della sentenza del Tribunale
amministrativo regionale.
Invero, quanto alla necessità di riferirsi al provvedimento, essa deriva dalla
esigenza di esaminare i fatti ed i motivi che l’autorità amministrativa ha posto
a sostegno della misura che ha adottato, sicché non va tenuto conto di eventuali
argomentazioni difensive dedotte in giudizio, ma non contemplate nell’atto che
occorre verificare nella sua legittimità.
Quanto all’esigenza di aver riguardo alla decisione del primo giudice, essa
deriva dalla natura impugnatoria dell’appello (fra le più recenti: VI Sez. 16
marzo 2005, n. 1102; v. anche V Sez. 16 marzo 1999, n. 256 e 29 gennaio 1999, n.
81), sicché è alle puntuali statuizioni motivate dello stesso giudice che si
deve, prima di tutto, porre attenzione per dirimere la controversia.
7.2. Il provvedimento provinciale è così articolato, con riguardo alla specifica
questione:
7.2.1. con nota dell’undici novembre 2003, l’ufficio ha invitato la società a
“formulare osservazioni” sulla “mancanza”, quanto alla rinnovata autorizzazione
n. 46 del 2001, della VIA (n. 3, pag. 5, del provvedimento impugnato);
7.2.2. l’esigenza derivava (lett. C.a, pag. 8 ss. della misura contestata) dalla
autorizzazione data alla società Tersan di trattare altre duecento tonnellate di
rifiuti al giorno, “in aumento rispetto alle 600 tonn. “ autorizzate con
deliberazione della Giunta provinciale n. 1896/1996;
7.2.3. la soc. Tersan aveva risposto, con lettera del 20 novembre, di non avere
l’obbligo di munirsi della VIA, perché svolge tale attività “da circa trenta
anni”;
7.2.4. il Ministero dell’ambiente, nel frattempo interessato dalla Provincia, si
è espresso nel senso che non è “ammissibile un provvedimento postumo di VIA” su
un impianto di compostaggio già in essere, a meno che “non siano previste
modifiche sostanziali dell’impianto”, comportanti “modificazioni strutturali,
e/o funzionali, e/o di processo che possono produrre notevoli ripercussioni
negative sull’ambiente”;
7.2.5. l’ampliamento, secondo la Provincia, richiesto - ed ottenuto (v. lett. A,
n. 2, del provvedimento) - conformemente alla procedura “semplificata”
consentita dagli artt. 31 e 33 d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ha fatto sì che
“l’attività complessiva” della Tersan comportasse “modificazioni al <progetto>
originario che si sono rivelate tali da rendere necessaria la sottoposizione
dell’impianto alla procedura di valutazione di impatto ambientale”. La portata
delle modificazioni intervenute è stata quantitativamente indicata nei 15.552
metri quadrati utilizzati, su un totale di 35 mila metri quadrati, e nel
trattamento di duecento tonnellate in più. “In altri termini, l’esercizio”
autorizzato inizialmente “ha visto accrescere la propria capacità produttiva
fino a 800 t/die, con conseguente incremento dell’impatto negativo complessivo
sull’ambiente”. Da qui la necessità, per la Provincia, di sottoposizione a
verifica;
7.2.6. l’impresa, ha concluso l’amministrazione, ha “violato”, col ricorso alla
predetta procedura semplificata e “proprio al fine di evitare la sottoposizione
dell’impianto alla procedura di VIA”, l’art. 27, comma 8, del d. lgs. n. 22/97
citato, che prescrive le procedure ordinarie, per apportare varianti sostanziali
in corso di esercizio.
7.3. La decisione del T.A.R. ha chiarito, statuendo la illegittimità delle
conclusioni raggiunte dalla Provincia:
7.3.1. che il rinnovo dell’autorizzazione a trattare le 200 tonnellate
aggiuntive di rifiuti è stato negato, dalla stessa amministrazione, con atto n.
148 del 23 ottobre 2003, impugnato ma non sospeso. E quindi anteriore di oltre
sei mesi al provvedimento qui in contestazione (che ha la data dell’undici
maggio 2004);
7.3.2. che le circostanze di fatto, sulle quali la provincia basa la necessità
dell’esperimento della VIA, erano note sin dall’epoca in cui era stato assentito
l’ampliamento. Perciò sino dal 20 agosto 1998, data di iscrizione della società
nell’apposito registro provinciale (v. provvedimento impugnato: lett. A, n. 2);
7.3.3. che le ragioni della rilevata unitarietà del processo produttivo: a) non
sono fondate; b) non sono suffragate da una artificiosa o illegittima
separazione, come se vi fossero due tipi di fertilizzanti da sottoporre a due
normative regolatrici diverse, perché invece si ha lo stesso prodotto attraverso
due differenti processi produttivi, aventi differenti modalità tecniche di
lavorazione;
7.3.4. che, in ogni caso, non è il semplice dato empirico dell’ampliamento
dell’impianto che determina la necessità della VIA, ma la circostanza che abbia
effetto negativo particolare sull’ambiente.
Secondo il primo giudice, manca, nel provvedimento, alcuna concreta motivazione
su un serio e sostanziale aumento dell’incidenza negativa sull’ambiente della
attività svolta.
Ha pertanto accolto la censura che denunciava il difetto di motivazione.
7.3.5. Alla suddetta illegittimità il T.A.R. ha riconosciuto aggiungersi, in
accoglimento di altra censura, quella della contraddizione fra l’affermata
esigenza della VIA, a causa dell’intervenuto ampliamento, ed il ritiro della
autorizzazione quando ormai l’ampliamento non era più in essere da sei mesi.
7.4. Ambedue i profili di illegittimità della misura contestata appaiono da
condividere.
7.4.1.1. Il primo, perché, l’ampliamento, del quale si discute, se poteva essere
considerato una modificazione sostanziale dell’impianto preesistente - questione
che, al momento, può essere trascurata - doveva però essere tale - come aveva
chiarito il Ministero dell’ambiente, nell’interpretare “l’all. II, punto 13 e
art. 4, § 2, dir.va 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE” - da
produrre notevoli ripercussioni negative sull’ ambiente” (sopra § 7.2.4).
La Provincia si è uniformata all’avviso ministeriale, ma ha motivato con una
petizione di principio. Vale a dire (v. sopra: 7.2.5 e lett. C.a del
provvedimento), con l’affermazione che l’accresciuta potenzialità produttiva
dell’impianto - vista in termini quantitativi perciò e soltanto - è stata
“idonea a determinare notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”. Ciò che
doveva dimostrarsi è stato dato per dimostrato.
Sotto questo profilo non va trascurato che il difetto di motivazione si mostra
ancora più evidente, perché l’autorizzazione ottenuta in via “semplificata” nel
1998 - ex art. 33 d. lgs. n. 22/97 - doveva intendersi conforme alla condizione
prescritta dal comma 2, lett. a), n. 3, dell’articolo, vale a dire - per i
rifiuti non pericolosi, come quelli di cui si tratta - alla avvenuta verifica
del rispetto delle “prescrizioni necessarie per assicurare che … i rifiuti siano
recuperati … senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio
all’ambiente”.
Ne segue che, a maggior ragione l’amministrazione provinciale doveva chiarire -
motivando adeguatamente sul punto e non, invece, tacendo - perché l’esercizio
delle operazioni di recupero comportava notevoli ripercussioni negative
sull’ambiente e quali queste fossero.
7.4.1.2. Sul vizio in esame l’appello del Comune di Modugno non si sofferma.
Quanto all’appello della Provincia, se ne tratta al n. 1.5.a, ed ivi si afferma
che esistono precise disposizioni normative che impongono la VIA, sicché si
ignorano le considerazioni specifiche del primo giudice sul difetto di
motivazione in ordine alle circostanze proprie della vicenda. Ma ciò che va
messo in rilievo è che il mezzo, col quale si censura la decisione del T.A.R.,
si atteggia come una non ammissibile integrazione e sostituzione della
motivazione del provvedimento impugnato, nel quale si tratta, appunto, della
necessità di esperire la VIA per i riflessi negativi dell’attività
sull’ambiente.
Non va perciò riconosciuto pregio alle critiche portate con l’appello e, sul
punto, la sentenza deve essere confermata.
7.4.2.1. Anche l’ulteriore illegittimità rilevata dal primo giudice va
condivisa.
Si mostra, infatti, palesemente contraddittorio che si disponga la cessazione di
una attività di trattamento dei rifiuti per produrre fertilizzanti - attività
che nessuna delle parti contesta che risalga anteriormente alla data di entrata
in vigore del d.p.r. n. 915/82 - a causa dell’omesso esperimento della procedura
di VIA, quando ormai dall’ottobre del 2003, a causa del diniego di rinnovo
dell’autorizzazione “semplificata”, era venuta meno la ragione - errata, per
quanto si è considerato sub 7.4.1 - di far luogo al procedimento in questione.
In sostanza, il T.A.R. ha fatto condivisibile applicazione del principio, per il
quale l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio - si concreti esso con un
effetto ex nunc o ex tunc - deve porsi in relazione ad un
interesse pubblico attuale. In questo caso l’attualità, ossia la situazione di
conflitto con l’interesse pubblico, era venuta meno.
7.4.2.2. Anche su questa
statuizione del primo giudice i motivi corrispondenti dei due ricorsi in appello
non hanno pregio.
Quello del Comune esprime una censura contraddittoria: “per essere stata
revocata l’autorizzazione … lo svolgimento di un procedimento di compostaggio
unitario … rendeva doverosa la richiesta della VIA”. Ma ormai era cessata
l’attività “aggiuntiva”.
Il motivo dedotto dalla Provincia si impernia su una recente pronunzia di questo
Consiglio di Stato (IV Sez. 25 maggio 2004, n. 5715), secondo la quale, dopo
l’entrata in vigore del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, la VIA, non
eseguita in sede di prima autorizzazione per lo smaltimento dei rifiuti, deve
necessariamente precedere il primo rinnovo della autorizzazione, successivo alla
nuova normativa.
Orbene - indipendentemente dalla verifica della applicabilità del principio
enunciato nella suddetta decisione con riguardo ai casi di acquisizione delle
autorizzazioni in via “semplificata”, ai sensi dell’art. 33 del d. lgs. 22/97
citato - tutto il motivo in esame è basato sulla necessità di esperire il
procedimento di VIA in discussione. E però, in questo caso si controverte di una
precisa statuizione, vale a dire dell’annullamento di una autorizzazione, per
essere stato omesso l’esperimento della VIA in occasione di un ampliamento
dell’attività di raccolta e trasformazione dei rifiuti, quando ormai più non
sussisteva la ragione individuata dalla Provincia per farvi ricorso, e
precisamente quell’ampliamento, la cui prosecuzione era stata vietata.
La censura dedotta non coglie pertanto nel segno e va confermata la sentenza
impugnata, anche per quel che riguarda il secondo vizio rilevato nel
provvedimento contestato, in ordine alla affermazione dell’esigenza di un VIA.
8.1. Il terzo motivo del ricorso in appello del comune di Modugno ed il
correlativo secondo motivo di quello della Provincia riguardano l’affermata
“nullità” della domanda di rinnovo della autorizzazione.
8.2. Invero, una seconda ragione giustificatrice del “ritiro” della
autorizzazione ad esercitare l’impianto è stata ravvisata (v. sopra al n. 2.2)
nella nullità della domanda di rinnovo, presentata in data 29 dicembre 2000,
perché, ha asserito la Provincia, la persona firmataria “era incapace di
ricoprire la carica di amministratore unico” della società, “ai sensi dell’art.
2382 c.c. - in quanto dichiarata fallita con sentenza” del 31 ottobre 1983.
Tutti gli atti compiuti da quella persona, ivi compresa la domanda di rinnovo,
“devono considerarsi irrimediabilmente nulli”, secondo il provvedimento
impugnato (lett. C.b dell’atto).
8.3. Le censure della società, avverso questa parte del provvedimento, sono
state accolte dal Tribunale amministrativo regionale in questi termini: la
disciplina applicabile è quella dettata dal codice civile per l’ipotesi di
rappresentanza senza poteri. Perciò: a) l’unico soggetto legittimato a far
valere il difetto di rappresentanza era la stessa società; b) è da ritenere
ammissibile anche la ratifica ex art. 1399 cod. civ.
Nel caso di specie, l’assemblea ordinaria dei soci, in data 15 dicembre 2003,
aveva ratificato “in toto” gli atti posti in essere dalla persona in questione
in carenza di poteri rappresentativi, senza che in sede giudiziaria fossero
state, in precedenza, proposte azioni di annullamento degli atti da lei posti in
essere.
L’effetto retroattivo della ratifica ha sanato ex tunc, secondo il primo
giudice, il difetto di rappresentanza, non più suscettibile di essere posto a
fondamento di un intervento in autotutela dell’amministrazione.
8.4.1. Il comune di Modugno afferma la nullità insanabile della nomina,
l’impossibilità per detta persona di riottenere la riabilitazione, l’assoluta
nullità dell’istanza di rinnovo, l’impossibilità della ratifica ex art. 1399
cod. civ. - che non può riguardare atti posti in essere da un soggetto incapace,
come il fallito - perché l’atto posto in essere dal fallito è nullo.
8.4.2. Dal suo canto, la Provincia sostiene che non si può ricorrere alla
fattispecie del negozio compiuto dal falsus procurator:
a) perché lo impediscono le speciali norme dell’art. 2382 c.c. e dell’art. 50
della legge fallimentare;
b) perché quelle sono norme imperative, poste a tutela non solo degli interessi
dei terzi, ma anche della medesima società.
Inoltre, aggiunge la Provincia, la ratifica “esorbita dalle competenze
specifiche dell’assemblea”, perché ad essa non spetta “il compimento degli atti
gestori connessi all’oggetto sociale, rimesso, invece, agli amministratori”.
L’assemblea, sempre secondo l’appellante Provincia, avrebbe dovuto nominare un
nuovo amministratore, per innovare o ratificare gli atti invalidamente posti in
essere.
8.4.3. Fa osservare la parte resistente, fra l’altro:
a) che la nomina della persona dichiarata fallita, intervenuta nell’assemblea
del 20 ottobre 1999, non è stata mai impugnata davanti al giudice ordinario;
b) che la persona dichiarata fallita è stata poi riabilitata con sentenza 28
gennaio 2002. Questa decisione è stata esibita in giudizio in copia;
c) che non è da ammettere una sorta di automatismo di caducazione di atti
negoziali, senza intervento giurisdizionale;
d) che la competenza giurisdizionale sulle domande, volte all’accertamento della
nullità di deliberazioni assembleari di società di capitali, spetta al tribunale
ordinario, a norma dell’art. 2379 cod. civ.;
e) che la persona in discussione è stata confermata nella carica di
amministratore unico, dopo la sua riabilitazione, con deliberazione del 15
ottobre 2003, con la quale è stata ratificata tutta l’attività posta in essere
in precedenza, e quindi anche la domanda di rinnovo del 29 dicembre 2000, per la
quale è controversia;
f) che l’unico soggetto legittimato a far valere il difetto di rappresentanza -
come rilevato dal T.A.R. - è la stessa società.
8.5. I due motivi dei due ricorsi in appello non meritano adesione.
In primo luogo, i due appellanti trascurano di considerare che l’annullabilità
della deliberazione assembleare del 15 dicembre 2003, con la quale sono stati
ratificati gli atti posti in essere dall’amministratore della società dal 1999,
può essere fatta valere, a norma dell’art. 2377 cod. civ., da determinati
soggetti, entro termini precisi e con lo speciale procedimento di cui all’art.
2379 cod. civ.
Non spetta perciò né al Comune, né alla Provincia, mettere in discussione la
validità della ratifica intervenuta, che è “res interna” della società
resistente. Né la questione può essere posta dinanzi al giudice amministrativo.
Né, infine, consistendo la ratifica nella accettazione degli effetti
dell’operato di una specifica persona in favore della società, può intendersi
essere stata dedotta una nullità, per impossibilità o illiceità del suo oggetto.
In ogni caso essa era semmai da impugnare ex art. 2379 cod. civ. e non è,
quindi, verificabile “incidenter tantum” in questo giudizio.
Va pertanto confermata la sentenza impugnata, nella parte in cui ha preso in
esame la predetta deliberazione di ratifica ed ha ravvisato l’effetto sanante
“ex tunc” sulla domanda di rinnovo dell’autorizzazione, ove mai, si può qui
aggiungere, non fosse possibile ricondurre quell’attività, utile per la società,
nell’ambito di una “negotiorum gestio” (artt. 2028 - 2032 cod. civ.).
9.1. Il quarto motivo del ricorso del Comune ed il corrispondente terzo motivo
dell’appello della Provincia riguardano la copertura, a fini di contenimento di
odori molesti, dei “piazzali” destinati alla “maturazione del materiale
trattato”.
9.2. Nel provvedimento impugnato è ravvisata una terza ragione (sopra 2.3) a
giustificazione del ritiro della autorizzazione ad esercitare l’impianto.
Questa la motivazione sullo specifico punto:
9.2.1. nell’autorizzazione n. 46 del 1° marzo 2001, “è stato posto in rilievo il
problema della emissione dei cattivi odori provenienti dall’impianto e la
necessità di provvedere alla copertura e recinzione muraria delle aree di
maturazione, con l’ausilio di idonei aspiratori muniti di filtri” (v. punto A.3
dell’atto), con conseguente imposizione all’impresa di “presentare apposito
progetto”. E (punto A.5) una diffida è stata fatta all’impresa con nota del 14
giugno 2001;
9.2.2. “in un primo tempo, quale termine finale” per adempiere, era stata
fissata la data del 28 novembre 2003 (punto B.1), poi prorogata, insieme ad
altri incombenti, al 15 dicembre 2003 (punto B.4);
9.2.3. riconosciuta (punto B.6) “la necessità di operare approfondimenti con
specifico riguardo”, fra l’altro, alla “idoneità del progetto di copertura dei
piazzali”, il termine, ormai generalizzato, per la conclusione dell’intero
“procedimento di riesame dell’atto autorizzativo è stato prorogato di ulteriori
giorni 60 (sessanta)”;
9.2.4. (punti B.10 e 15) in due riunioni - del 6 febbraio e del 15 aprile 2004 -
della conferenza di servizi per l’esame del progetto per coprire i piazzali, era
emersa, dapprima, una insufficiente specificazione delle modalità tecniche di
captazione degli odori molesti, poi però messa in disparte, dopo la
presentazione della documentazione tecnica (punto B.13). E poi era avvenuto che
il Comune aveva ritenuto inammissibile il progetto, perché “in contrasto con le
norme tecniche del vigente PRG” - senza, però, che siano dati migliori
chiarimenti nel provvedimento impugnato - e ricadente in zone con destinazione
urbanistica parzialmente contrastante, con necessità di “variante rispetto alle
prescrizioni” di piano;
9.2.5. dai fatti su elencati - di nuovo riassunti nella parte motiva qui in
esame (lett. C.c del provvedimento) - la Provincia ha tratto la conclusione
della non ammissibilità, per contrasto con la destinazione urbanistica, del
progetto e per la necessità di por fine alla emissione di odori molesti.
Da qui la terza ragione di ritiro dell’autorizzazione.
9.3. Le censure dell’impresa, condivise dal T.A.R., si possono così riassumere:
9.3.1. nessun termine perentorio era stato fissato nell’autorizzazione del 1°
marzo 2001, n. 46;
9.3.2. illegittimo si deve considerare il giudizio - impugnato col ricorso
introduttivo - espresso dal Comune di inammissibilità del progettato intervento.
È stata, invero, totalmente obliterata la circostanza che i piazzali sono stati
realizzati prima dell’entrata in vigore del piano regolatore generale. Doveva
trovare applicazione il principio per il quale le opere, già eseguite in
conformità della disciplina previgente, conservano la loro precedente e
legittima destinazione, senza che sia possibile impedire gli interventi
necessari per integrarne o mantenerne la funzione (Cons. St. Sez. V, 19 febbraio
1997, n. 176).
9.4.1. Il Comune, a critica della decisione del T.A.R., sostiene:
a) che la prescrizione aveva natura “vincolante”;
b) che il progetto era in contrasto col piano regolatore generale e ne esigeva
una variante;
c) che è “apodittica” l’affermazione che i piazzali erano stati realizzati prima
della entrata in vigore del piano regolatore, ed esibisce un certificato
“storico” di destinazione urbanistica;
9.4.2. La Provincia di Bari (§ 3 dell’appello) insiste:
a) sul fatto del pregresso inadempimento nella presentazione del progetto;
b) sulla “condizione” posta per esercitare l’attività;
c) sulla vincolatività della prescrizione da ottemperare;
d) infine, sulla non adeguatezza del progetto e sulla affermazione “apodittica”
del Tribunale amministrativo regionale circa la realizzazione, sulle aree su cui
sorge l’impianto, dei piazzali di lavorazione da data anteriore al vigente piano
regolatore. Secondo la Provincia, la questione risolta favorevolmente per la
società - con la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 613 del 3 giugno 1996,
V Sezione - riguardava il certificato di agibilità di un opificio industriale.
In particolare, segnala l’appellante, il piazzale n. 3 è stato realizzato su
aree a “destinazione urbanistica inconciliabile” con l’esecuzione della
specifica attività edificatoria richiesta.
9.5. Neppure queste censure possono essere condivise.
9.5.1. È, sul piano logico e processuale, da porre in rilievo che le due
amministrazioni si muovono esattamente su una linea di critica alla decisione
del primo giudice e con riguardo a talune delle argomentazioni esposte dalla
parte nel ricorso introduttivo. Tuttavia, esse devono tenere conto che oggetto
del sindacato giurisdizionale è pur sempre, attraverso il filtro della pronuncia
del T.A.R., la misura amministrativa adottata dalla Provincia e, quanto alla
conferenza di servizi, pronunciata dal Comune.
In questo specifico caso, si discute del ritiro della autorizzazione a gestire
l’impianto, a causa della affermata incompatibilità di un progetto di copertura
di suoi piazzali con le norme di piano regolatore generale vigente nel comune di
Modugno nel 2004.
9.5.2. Sono perciò prive di rilievo, ai fini del decidere, le tesi:
a) sulla natura vincolante dell’obbligo di copertura imposto all’impresa, perché
non è questione affatto controversa;
b) su un termine perentorio di esecuzione, perché - e legittimamente, tenuto
conto dello svolgersi della vicenda dal 2001, come è stata esposta dalla
Provincia (sopra n. 9.2) - non è stato posto a base dell’atto impugnato;
c) sulla inadeguatezza del progetto redatto, sotto il profilo tecnico, perché,
nella seduta conclusiva della conferenza di servizi del 15 aprile 2004, dopo la
presentazione della documentazione tecnica (sopra n. 9.2.4) da parte
dell’azienda, non sono state espresse osservazioni in proposito.
Deve perciò essere soltanto esaminata la legittimità del diniego opposto dal
Comune alla costruzione delle coperture atte ad evitare la diffusione di odori
molesti. Se questo diniego non si mostra legittimo, l’esito della conferenza di
servizi deve essere positivo per la società richiedente, in assenza della
emersione di altri ostacoli.
Il Tribunale amministrativo regionale ha messo in rilievo che l’impianto era
stato realizzato “illo tempore” legittimamente (n. 7.3, lett. a, della
motivazione) e che l’intervento di copertura e recinzione è necessario per
mantenerne la funzionalità.
Comune e Provincia contestano che dalla decisione di questo Consiglio, che si è
sopra citata, possa desumersi quel che il T.A.R. ha riconosciuto, poiché,
affermano, essa riguarda l’opificio industriale che insisteva sull’area.
Omettono, perciò, di considerare che il primo giudice, prendendo appunto le
mosse dalla, ormai giudizialmente accertata, destinazione industriale dei fondi
sui quali è situato l’impianto od “opificio industriale”, ha statuito che non
possono negarsi opere atte a mantenerne la funzionalità, come le coperture e
recinzioni.
Non assume, di conseguenza, rilievo l’attuale destinazione urbanistica della
zona o delle zone in cui sono situati i fondi, ma il fatto che, in data
anteriore all’entrata in vigore del P.R.G. - approvato dalla Regione nel
novembre 1995: v. attestazione esibita in giudizio - in quei luoghi insisteva
legittimamente l’impianto/opificio in discussione. Questa anteriorità risale
quanto meno alla concessione edilizia in sanatoria in data 6 marzo 1980 - fatta
salva nella sentenza del T.A.R. di Bari, II Sez. 15 giugno 1995, n. 468, nella
quale si è dibattuto della conformità di essa alle allora vigenti disposizioni
urbanistiche. Perciò, la legittimità della utilizzazione edilizia della zona e
dell’opera che vi insisteva, desunta dal T.A.R dagli elementi logico-induttivi
tratti dalla pronuncia di questo Consiglio, è stata in appello dimostrata, e va
confermata, anche sulla scorta di altri atti esistenti.
D’altra parte, appare singolare la presa di posizione del Comune, che ha messo
in rilievo il contrasto con parziali destinazioni di vigente P.R.G. del progetto
di copertura e recinzione. Questo è, infatti, un palese intervento accessorio
sulle aree in questione, e non è, di conseguenza, suscettibile di imprimere una
diversa destinazione urbanistica ai “piazzali” dell’impianto. Se questo
contrasto fosse seriamente da riconoscere, sarebbe riconducibile all’impianto
produttivo nella sua interezza, non già ad opere minori di adeguamento e, per di
più, prescritte a tutela del pubblico interesse ad una minima diffusione degli
odori.
L’illegittimità della misura negativa comunale in discussione si configura,
perciò, come una sintomatica figura di eccesso di potere per travisamento dei
fatti, da un lato, e una forma di violazione del giudicato, da altro lato,
formatosi sulle due pronunzie giurisdizionali del 1995 e 1996, che si sono
menzionate avanti.
10.1. Il quarto, ed ultimo, motivo, posto a sostegno del provvedimento
impugnato, è stato indicato nella circostanza che l’impresa non è in possesso di
autorizzazione alle emissioni in atmosfera “per l’attività di compostaggio”.
L’autorizzazione, che va rilasciata dalla Regione, è prevista dall’art. 23 del
d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203.
10.2. Il contestato provvedimento provinciale (punto C.d) rileva che l’impresa
aveva avuto contatti con la Regione, alla quale non aveva poi dato adeguati
riscontri, e che la stessa amministrazione regionale aveva trasmesso “ampia
documentazione”, dalla quale era possibile desumere che la società “non ha mai
richiesto l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, benché vi fosse
obbligata”. Né, continua l’atto, risulta che l’impresa si sia mai adeguata alle
prescrizioni della legge regionale n. 7 del 1999.
10.3. Con riguardo alle censure mosse su tale punto dalla società, il T.A.R. ha
sottolineato che la l. reg. Puglia 22 gennaio 1999, n. 7, nell’esercizio delle
competenze assegnate dal d.p.r. n. 203/1988, esonera dall’obbligo di
autorizzazione in parola gli impianti, “ancorché siti entro 2000 metri dal
perimetro urbano”, che ricadano in area destinata a zona industriale. Tale è,
appunto, la destinazione della zona che interessa la parte privata.
E la conclusione, ha stabilito il primo giudice, è confermata dal fatto che la
Regione non ha adottato nessuna iniziativa repressiva dopo che l’impresa - con
sua lettera del 6 maggio 2002 - aveva dato riscontro alle richieste che le erano
state fatte, facendo riferimento proprio alla suddetta deroga.
10.4.1. Il comune di Modugno critica, col quinto motivo, questa statuizione del
T.A.R. e segnala che lo stabilimento è a 1.500 metri da un centro abitato
(Piscina dei Preti) ed a 900 metri da un centro residenziale (Campolieto),
nonché che esso “non ricade, quanto meno nella sua interezza, nella zona
industriale”. Afferma che la società non ha mai inoltrato una richiesta di
autorizzazione alla Regione, corredata dalla documentazione, come
“normativamente previsto”. Ciò comporta l’obbligo di cessazione di ogni
attività, ex art. 4, comma 4, l. reg. citata.
10.4.2. La provincia di Bari, col quarto motivo, segnala la stessa situazione
circa le distanze dai due luoghi abitati suddetti e circa il non ricadere
l’impianto, almeno nella sua interezza, in zona “tipizzata come industriale”.
Lamenta, poi:
a) che il T.A.R. non ha fornito alcuna indicazione circa i riscontri probatori
sui quali ha maturato il convincimento che la maggior parte dell’impianto ricade
in zona industriale;
b) che il primo giudice ha dato esito ad un vizio diverso da quello dedotto
dalla società, che aveva affermato che la zona aveva destinazione industriale a
seguito della dichiarazione di pubblica utilità, di cui alla deliberazione della
G.P. n. 1802 del 1989, di approvazione del progetto a norma dell’art. 3 bis del
d.l. 31 agosto 1987, n. 361, conv. in l. 29 ottobre 1987, n. 441;
c) che l’impianto “produce incontestabilmente emissioni dirette in atmosfera”
che superano i limiti della soglia olfattiva, come da note della A.S.L. di Bari
del 21 dicembre 2003 e del 20 aprile 2004;
d) che l’impresa non ha mai inoltrato alla Regione adeguata e documentata
richiesta di autorizzazione alle emissioni “odorifere”;
e) che la Regione, con lettera del 17 aprile 2002, aveva reso edotta la società
“della necessità di attivare gli adempimenti di cui al d.p.r. n. 203/88”, vale a
dire “dell’obbligo di dotarsi della autorizzazione”. E che questa nota non è
stata impugnata.
10.5. Nessuna delle censure riferite merita adesione.
10.5.1. Non si può, innanzi tutto, trascurare che le critiche riferite sono, in
larga misura, inammissibili.
Invero, l’esistenza dell’obbligo di dotarsi di una autorizzazione regionale, per
le emissioni in atmosfera, rientra nella sfera di competenze della stessa
Regione. E tuttavia, questa amministrazione, regolarmente intimata in prime cure
e nei riguardi della quale è stata pronunziata la sentenza impugnata, non ha
affatto rimesso in discussione la questione risolta in senso favorevole per
l’impresa dal primo giudice.
Si deve perciò limitare l’esame di questo specifico punto alla sola
ragionevolezza della misura provinciale, nella quale da un asserito obbligo a
carico dell’impresa, ma nei riguardi della Regione - non già nei riguardi della
Provincia o del Comune - si fa discendere il ritiro di un provvedimento di
autorizzazione a gestire l’impianto.
Il primo giudice ha considerato, come fatto sicuramente sintomatico, quello che
l’amministrazione regionale, dopo l’ultimo riscontro fornito dalla società
ricorrente con lettera del 6 maggio 2002, allegata al ricorso introduttivo - e
quindi posteriore alla lettera del 17 aprile 2002, cui si aggancia la tesi sub
10.4.2, lett. c), della Provincia, che ignora il “dictum” del T.A.R. - non ha
eccepito nulla e “nessuna iniziativa repressiva” ha adottato. Non ha, di
conseguenza, serio supporto l’osservazione della Provincia, nel provvedimento
impugnato, che l’impresa non ha mai richiesto l’autorizzazione in parola,
“benché vi fosse obbligata”, come la stessa Provincia ha attestato che si
evinceva dalla documentazione trasmessale dall’amministrazione regionale. Ma lo
ha fatto richiamando soltanto tre lettere - in data 7 settembre, 10 luglio e 26
gennaio 1998 - anteriori all’entrata in vigore della legge regionale n. 7 del 22
gennaio 1999, e perciò con manifesto travisamento dei presupposti di fatto.
10.5.2. Si deve anche smentire l’affermazione della provincia, sub n. 10.4.2,
lett. c) - nel ricorso, non quindi nel provvedimento impugnato - sulla
incontestabilità del superamento della soglia olfattiva delle emissioni,
attestata dalle due citate lettere della A.S.L. di Bari/4, dipartimento di
prevenzione.
Invece, la prima delle due note, in data 2 dicembre 2003, chiarisce che “i
numerosi sopralluoghi effettuati ... non hanno confermato quanto lamentato con i
vari esposti pervenuti ... circa le emissioni maleodoranti” e che, “sebbene gli
accertamenti tecnici ... abbiano evidenziato, per l’ammoniaca, il superamento
dei limiti di emissioni diffuse imposti con” la citata legge regionale n. 7/99,
tuttavia la stessa normativa “esclude che a tale limite debbano attenersi le
attività lavorative ubicate in zone industriali, come risulta essere quella ove
insiste l’attività di che trattasi, nelle cui vicinanze, comunque, con il tempo,
sono stati edificati nuovi insediamenti abitativi”.
Questa nota, che è l’allegato n. 27 del ricorso in appello della Provincia di
Bari, contraddice palesemente le tesi del motivo in esame e del provvedimento
impugnato.
10.5.3. Lo stesso può affermarsi a proposito della lettera in data 20 aprile
2004 della stessa A.S.L. - dipartimento prevenzione - inviata a Provincia e
Comune.
Vi si attesta - pochi giorni prima del provvedimento di cui si discute, che è
stato emesso in data 11 maggio 2004 - che mensilmente, secondo le prescrizioni
della Provincia, si fanno indagini sulle emissioni odorifere, rese note alla
stessa amministrazione, e si chiede ai due enti destinatari di far conoscere se,
anche mediante ulteriori accertamenti tecnici per “un congruo periodo di tempo”,
il superamento dei limiti della soglia olfattiva - che esigerebbero, se reali,
la realizzazione di sistemi di copertura dei cumuli dei materiali in lavorazione
- “possa ritenersi un fatto occasionale” o una condizione prevalente o
permanente.
Le due lettere della A.S.L. citate dalla difesa della Provincia mettono in
evidenza, perciò, un ulteriore travisamento dei fatti posto a base della misura
in discussione.
10.5.4. Resta l’argomentazione riguardante la collocazione dell’impianto in zona
industriale.
Questa collocazione è ammessa dalla stessa Provincia nella premessa al motivo in
esame (sopra 10.4.2).
Essa, inoltre, deriva da quanto chiarito sub 9.5.2 a proposito della evidente
destinazione di zona derivante dall’esistenza della concessione edilizia in data
6 marzo 1980 e dagli accertamenti conseguenti alle sentenze ivi esaminate. Non
occorre perciò soffermarsi oltre sull’argomento, che va risolto nel senso
chiarito dal T.A.R., che ben poteva porre, a dimostrazione del fatto dedotto
dalla parte, elementi di giudizio desunti dagli atti di causa, indipendentemente
da quelli specificamente indicati dalla parte.
11. Il quinto motivo dell’appello della Provincia di Bari critica la decisione
del primo giudice, che ha negato che talune espressioni, contenute negli atti
della società ricorrente, possano qualificarsi come sconvenienti od offensive,
ai fini della loro cancellazione ex art. 89 c.p.c.
Non si può prestare adesione a questa doglianza.
Le formule delle quali ha fatto uso la parte ricorrente privata sono manifeste
espressioni di argomenti difensivi e descrizioni di fatti, situazioni ed
attività, nelle quali il riferimento al dolo o alla colpa grave integra la
denuncia di forme sintomatiche di eccesso di potere per sviamento o per
travisamento, le quali, sul piano delle possibili conseguenze patrimoniali delle
illegittimità denunciate, integrano la definizione dell’elemento soggettivo di
condotte rilevanti a fini risarcitori.
Si tratta, perciò, di espressioni coerenti con gli scopi di annullamento fatti
valere e con eventuali fini risarcitori successivi.
12 Gli appelli incidentali della società intimata riguardano la dichiarazione di
inammissibilità dell’impugnazione di due atti (sopra n. 4) sopravvenuti a quello
originariamente contestato e dichiarati non lesivi.
La pronuncia va confermata.
Si tratta, infatti, di un atto che dà corso ad un accertamento e di un altro che
espone l’opinione di un dirigente della Provincia su una determinata misura
della giunta. Ma nessuno dei due atti regola alcunchè della situazione
dell’impresa ricorrente. In particolare, il secondo né reca una pronuncia di
inefficacia del provvedimento del quale si occupa - che potrebbe non spettargli,
essendo riservata quella pronuncia all’organo collegiale della cui deliberazione
si discute - né dispone nulla circa l’attività della società.
Nessun pregiudizio deriva, perciò, da essi per la società appellante
incidentale.
13. L’intervento in giudizio del World Wildlife Fund, di cui al n. 3.5.2. della
narrativa, va dichiarato inammissibile.
Invero, l’intervento va notificato a tutte le parti in causa. Invece, l’atto
depositato nel fascicolo del ricorso in appello n. 761/2005 non reca alcuna
attestazione di notificazione a chicchessia.
Né possono ritenersi significative due cartoline, separatamente depositate, per
notificazioni giudiziali: v’è difetto di attestazione del contenuto del plico
consegnato. E comunque non riguardano tutte le parti costituite.
14 Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, a carico
degli appellanti e delle altre parti che hanno aderito.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riuniti gli
appelli indicati in epigrafe, dichiara inammissibile quello contrassegnato con
il n. 993/2005 e respinge quelli recanti il n. 616/2005 e n. 761/2005. Dispone
su appelli incidentali ed intervento come da motivazione.
Condanna le parti soccombenti al pagamento, in favore della società resistente,
delle spese del grado che liquida nelle seguenti misure: cinquemila euro a
carico del Comune di Modugno; cinquemila euro a carico della Provincia di Bari;
duemila euro a carico, in solido, della soc. “L’Euro immobiliare” e delle altre
persone che hanno proposto il ricorso n. 993/2005 e si sono costituite nel
ricorso 761/2005; duemila euro a carico del World Wildlife Fund.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), nella camera di consiglio del 21 giugno 2005, con l'intervento dei
Signori:
Raffaele Iannotta Presidente
Giuseppe Farina estens. Consigliere
Corrado Allegretta Consigliere
Claudio Marchitiello Consigliere
Aniello Cerreto Consigliere
L’Estensore Il Presidente
f.to Giuseppe Farina f.to Raffaele Iannotta
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 7 novembre 2005
(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
Il Direttore della Sezione
f.to Antonio Natale
N°. RIC. 616-761-993/2005
1) Valutazione Impatto Ambientale - Autorizzazione per lo smaltimento dei rifiuti - Primo rinnovo della autorizzazione successivo al D. L.vo n. 22/97 - VIA - Necessità. Dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, la VIA, non eseguita in sede di prima autorizzazione per lo smaltimento dei rifiuti, deve necessariamente precedere il primo rinnovo della autorizzazione, successivo alla nuova normativa, (Consiglio di Stato IV Sez. 25 maggio 2004, n. 5715). Pres. Iannotta - Est. Farina - Comune di Modugno (avv. Menchise) ed altri c. S.p.a. Tersan Puglia & Sud Italia (avv. Paccione) ed altri (conferma TAR Puglia - sede di Bari, Sez. III, n. 4676/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 novembre 2005 (c.c. 21/06/2005), Sentenza n. 6201
2) Urbanistica e edilizia - Impianto produttivo - Conformità della disciplina previgente - Destinazione di zona derivante dall’esistenza della concessione edilizia - Fattispecie. Deve trovare applicazione il principio per il quale le opere, già eseguite in conformità della disciplina previgente, conservano la loro precedente e legittima destinazione, senza che sia possibile impedire gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzione (Cons. St. Sez. V, 19 febbraio 1997, n. 176). Fattispecie: progetto di copertura e recinzione dei “piazzali” dell’impianto finalizzati a minimizzare la diffusione degli odori. Pres. Iannotta - Est. Farina - Comune di Modugno (avv. Menchise) ed altri c. S.p.a. Tersan Puglia & Sud Italia (avv. Paccione) ed altri (conferma TAR Puglia - sede di Bari, Sez. III, n. 4676/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 novembre 2005 (c.c. 21/06/2005), Sentenza n. 6201
3) Inquinamento atmosferico - Emissioni in atmosfera - Autorizzazione regionale - Competenza. In tema d’inquinamento atmosferico, l’esistenza dell’obbligo di dotarsi di un’autorizzazione regionale, per le emissioni in atmosfera, rientra nella sfera di competenze della stessa Regione. Sicché, nell’esercizio delle competenze assegnate dal d.p.r. n. 203/1988, esonera dall’obbligo di autorizzazione gli impianti, “ancorché siti entro 2000 metri dal perimetro urbano”, che ricadano in area destinata a zona industriale (l. reg. Puglia 22 gennaio 1999, n. 7). Pres. Iannotta - Est. Farina - Comune di Modugno (avv. Menchise) ed altri c. S.p.a. Tersan Puglia & Sud Italia (avv. Paccione) ed altri (conferma TAR Puglia - sede di Bari, Sez. III, n. 4676/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 novembre 2005 (c.c. 21/06/2005), Sentenza n. 6201
4) Procedure e varie - Legittimazione processuale - Inesistenza di un rapporto organico - Onere probatorio - Fattispecie: persona giuridica. L’onere probatorio in tema di legittimazione processuale (qualità di organo della persona giuridica, nel caso di specie) non grava su chi agisce in giudizio, ma l’inesistenza di un rapporto organico va provata da chi la eccepisce (Cons. St. VI Sez. 5 marzo 1986, n. 231; Cass. 2 aprile 2002, n. 4627). Pres. Iannotta - Est. Farina - Comune di Modugno (avv. Menchise) ed altri c. S.p.a. Tersan Puglia & Sud Italia (avv. Paccione) ed altri (conferma TAR Puglia - sede di Bari, Sez. III, n. 4676/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 novembre 2005 (c.c. 21/06/2005), Sentenza n. 6201
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