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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 15 DICEMBRE 2005 (c.c. 8/08/2005), Sentenza n. 7147

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.7147/05 REG.DEC.
N. 4185 e 5297 REG.RIC.
ANNO 2004

 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 2004 ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sui ricorsi in appello n. 4185/2004 e 5297/2004 R.G. n. 4185/2004 proposto da: CARRINO STENIO CARRINO LUIGI rappresentati e difesi dagli avv.ti Angelo Rosario Schiano, Flavio Fasano con domicilio eletto in Roma via del Babuino 107 presso Angelo Rosario Schiano;
contro
il COMUNE di GALLIPOLI rappresentato e difeso dall’avv.Giovanni Garrisi con domicilio eletto in Roma via Dora n. 2 presso Filippo Manca
e nei confronti di
RUSSO LUCIA rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Messa e Renato Magni con domicilio eletto in Roma via di Porta Cavalleggeri 13 presso Luca Gratteri
per la riforma
previa sospensione dell'efficacia, del dispositivo della sentenza del TAR PUGLIA - LECCE, Sezione II, n. 5/2004, resa tra le parti, concernente AVVISO DI ASTA PUBBLICA PER ALIENAZIONE DI IMMOBILI-PERIZIA DI STIMA.
Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del COMUNE DI GALLIPOLI e RUSSO LUCIA
R.G. n. 5297/2004 proposto da: RUSSO LUCIA rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Messa e l’avv. Renato Magni con domicilio eletto in Roma via di Porta Cavalleggeri n. 13, presso l’avv. Luca Gratteri
contro
il COMUNE di GALLIPOLI rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Garrisi con domicilio eletto in Roma via Dora n. 2 presso Filippo Manca;
nei confronti di
CARRINO STENIO CARRINO LUIGI rappresentati e difesi dall’avv. Angelo Rosario Schiano avv. Flavio Fasano con domicilio eletto in Roma via del Babuino n. 107 presso l’avv. Angelo Rosario Schiano
per la riforma
previa sospensione dell'efficacia, della sentenza del TAR PUGLIA - LECCE, Sezione II, n. 2891/2004, resa tra le parti, concernente ASTA PUBBLICA PER ALIENAZIONE DI IMMOBILE ADIBITO A FALEGNAMERIA - PERIZIA DI STIMA.
Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di: CARRINO LUIGI
CARRINO STENIO il COMUNE DI GALLIPOLI
Vista l’ordinanza n. 2731/04 dell’11 giugno 2004;
Udito il relatore Cons. Nicola Russo e uditi, altresì, per le parti gli avvocati F. Fasano e G. Pellegrino per delega dell’avv. G. Garrisi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


F A T T O


Il Dirigente dell’area delle politiche territoriali ed infrastrutturali del Comune di Gallipoli, con provvedimento 29 agosto 2003 prot. n. 25556, approvava l’avviso di asta pubblica per l’alienazione di alcuni immobili di proprietà comunale, tra cui anche la <<falegnameria>> sita in via Pisanelli.


I sigg. Stenio e Luigi Carrino, premettendo di detenere <<in locazione in via continuativa e senza alcuna interruzione di sorta, un locale di proprietà del Comune di Gallipoli, sito alla via Pisanelli 24/26 e da sempre adibito ad attività artiginanale di falegnameria>>, impugnavano dinanzi al TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, l’avviso di asta pubblica per alienazione di immobili in Gallipoli del 29 agosto 2003 prot. n. 25556 e gli atti presupposti (perizia di stima effettuata in data 27 agosto 2003, ecc.) formulando censure di: 1) violazione della disposizione contenuta nell’atto di provenienza del bene, modus che ne impediva totalmente l’alienazione; 2) violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 38 e ss. della legge 27 luglio 1978 n. 392 e successive modifiche, in ordine al mancato rispetto del diritto di prelazione e dei requisiti necessari per procedere ad una vendita a corpo ed al tempo stesso a vendita cumulativa di più immobili; 3) violazione di legge in materia di autorizzazione alla vendita per i beni immobili sottoposti a vincoli per interesse storico, artistico e ambientale (artt. 3, 13, 23 d.p.r. 283/2000).


Si costituiva l'Amministrazione resistente controdeducendo sul merito del ricorso.


Interveniva ad opponendum la sig.ra Lucia Russo, <<unica partecipante all’avviso di asta pubblica per la vendita di imobili del Comune di Gallipoli>>, controdeducendo sul merito del ricorso.


In data 22 dicembre 2003, l’interveniente sig.ra Lucia Russo depositava “motivi aggiunti” regolarmente notificati e tesi a contestare: a) il provvedimento 22 novembre 2003 del Dirigente del servizio; b) la nota del Sindaco di Gallipoli 26 novembre 2003 prot. n. 36346 indirizzata alla Soprintendenza ai beni ambientali, artistici e storici della Puglia; c) il provvedimento 26 novembre 2003 prot. n. 36370 del Dirigente del servizio; a base dei “motivi aggiunti” poneva censure di: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 107 del t.u. enti locali, nonché dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Gallipoli n. 164 del 2.11.2001; 2) violazione e falsa applicazione del d.p.r. 7.9.2000 n. 283 recante il regolamento di disciplina delle alienazioni di beni immobili appartenenti al demanio storico e artistico; 3) violazione delle norme sulla trasparenza e par condicio tra i concorrenti con evidente responsabilità della p.a. anche in relazione ad una palese malafede precontrattuale e contrattuale.


Con successivi motivi aggiunti depositati in data 27 dicembre 2003, i ricorrenti impugnavano: a) il verbale dd. 3.11.2003 di aggiudicazione provvisoria dell’appalto alla sig.ra Lucia Russo; b) il secondo avviso di asta pubblica 5 novembre 2003 prot. n. 33444; c) il provvedimento dd. 22.11.2003 del Dirigente del servizio; d) la nota del Sindaco di Gallipoli 26 novembre 2003 prot. n. 36346 indirizzata alla Soprintendenza ai beni ambientali, artistici e storici della Puglia; e) il provvedimento 26 novembre 2003 prot. n. 36370 del Dirigente del servizio; f) ogni altro atto presupposto, connesso o comunque conseguenziale.


Con successivi motivi aggiunti depositati in data 6 marzo 2004, i ricorrenti impugnavano: a) il secondo avviso di asta pubblica prot. n. 9167 affisso all’albo comunale in data 4 marzo 2004; b) la determinazione n. 267 del 4 marzo 2004 del dirigente el servizio; c) ogni altro atto presupposto, connesso o comunque conseguenziale.


Con dispositivo di sentenza n. 5/04, pubblicato il 16 aprile 2004, il TAR adito dichiarava inammissibili il ricorso ed i motivi aggiunti rispettivamente proposti dai sigg.ri Carrino e dalla controinteressata sig.ra Lucia Russo.


Con ricorso notificato il 27 aprile 2004 e depositato il 5 maggio successivo, iscritto al n. 4185/04 R.G., i sigg.ri Carrino hanno impugnato il predetto dispositivo con riserva di produrre eventuali ulteriori motivi di gravame al momento della pubblicazione delle motivazioni della sentenza ed hanno chiesto, riproponendo le medesime censure articolate in prime cure, la sospensione dell’efficaicia della sentenza e degli atti impugnati nel primo grado di giudizio.


Successivamente alla instaurazione del giudizio di appello, veniva pubblicata in data 13 maggio 2004 la sentenza n. 2891/04, con cui il TAR adito ha dichiarato inammissibile il ricorso dei sigg.ri Carrino per difetto di legittimazione dei ricorrenti a proporre l’impugnazione, fondando tale pronuncia sul rilievo dell’inesistenza di un contratto di locazione stipulato in forma scritta e, quindi, sull’impossibilità di ravvisare l’unico presupposto che, anche secondo la prospettazione degli stessi ricorrenti, avrebbe legittimato il gravame, ossia l’esistenza di un rapporto contrattuale tra l’autorità comunale di Gallipoli ed i ricorrenti.


Con la stessa sentenza il TAR ha dichiarato inammissibili anche le domande proposte con i motivi aggiunti dalla sig.ra Lucia Russo sotto due distinti profili, e, cioè, secondo la natura di ricorso incidentale o autonomo che si voglia attribuire alla impugnativa de qua, affermando che ove ai motivi aggiunti si attribuisca natura di ricorso incidentale, l’inammissibilità deriverebbe dalla statuizione di difetto di legittimazione dei ricorrenti, non avendo la controinteressata più interesse a difendere la posizione di vantaggio, mentre, ove ai motivi aggiunti si attribuisca natura di impugnazione autonoma, l’inammissibilità deriverebbe dal difetto dei requisiti propri del ricorso autonomo, atteso che in tal caso si sarebbe dovuto adoperare il mezzo processuale tipico del ricorso e non quello speciale e complementare (al ricorso principale) dei motivi aggiunti.


La suddetta pronuncia è stata appellata dalla sig.ra Russo con ricorso, iscritto al n. 5297/04 R.G., notificato il 26 maggio 2004 e depositato il 3 giugno successivo, con il quale ne è stata chiesta la riforma, previa sospensione cautelare.


Con ordinanza n. 2731/04 dell’11 giugno 2004, questa Sezione, riuniti gli appelli, ha respinto le istanze cautelari con i medesimi proposte.


Successivamente, con motivi aggiunti notificati il 24 febbraio 2005, i sigg.ri Carrino hanno impugnato direttamente dinanzi a questo Consiglio di Stato l’aggiudicazione definitiva disposta in favore della sig.ra Russo dei beni immobili messi all’asta.


Le parti hanno depositato memorie, con le quali hanno ulteriormente illustrato il contenuto delle proprie domande, eccezioni e deduzioni, replicato a quelle avversarie ed insistito per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.


Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2005 i ricorsi sono stati spediti in decisione.


D I R I T T O


Il provvedimento di riunione degli appelli in epigrafe è stato già adottato da questa Sezione con ordinanza n. 2731/04, con cui è stata definita la fase cautelare, il che esime il Collegio dal disporne nuovamente la riunione.


Gli appelli non possono trovare accoglimento.


Quanto all’appello dei sigg.ri Carrino, essi lamentano la lesività degli atti impugnati in primo grado sulla loro aspettativa a partecipare alla gara per la vendita dell’immobile di via Pisanelli, sostenendo che alcune modalità di gara sarebbero state ostative alla (avrebbero reso estremamente difficile la) partecipazione alla procedura per l’acquisizione (di uno solo) degli immobili posti in vendita.


L’appello è infondato.


La sentenza di primo grado ha correttamente motivato in ordine alle ragioni per le quali gli odierni appellanti non possano vantare alcun diritto di prelazione, rilevando come nel caso di specie non possa in alcun modo configurarsi un valido rapporto locativo, ossia l’unico presupposto che legittima il conduttore all’esercizio del diritto di prelazione cd. urbana ex art. 38 della L. n. 392/78.


E’ infatti pacifico in giurisprudenza che la prelazione c.d. urbana ex art. 38 della L. n. 392/78 possa essere fatta valere soltanto da colui che detenga l’immobile posto in vendita in forza di un rapporto locativo valido, in corso e de jure (cfr. Cass. Civ. sentt. nn. 10174 e 10115/97).


Nel giudizio di prime cure gli odierni appellanti non hanno dimostrato di essere legittimi conduttori dell’immobile in questione ed è invece emerso che il Comune di Gallipoli non ha mai stipulato un contratto di locazione con i sigg.ri Stenio e Luigi Carrino.


Risulta infatti provato che la Commissione Straordinaria del Comune di Gallipoli, con deibera 30/10/92 n. 435, aveva disposto per la concessione in locazione a tal Ugo Carrino (per il canone mensile di £. 225.000) dell’immobile di via Pisanelli proprio al fine di sanare una situazione di detenzione senza titolo di detto cespite comunale, a tal fine approvando lo schema di un apposito contratto di locazione da stipularsi per l’instaurazione di un valido rapporto locativo.


Senonchè, non essendosi mai concluso alcun contratto di locazione, l’occupazione dell’immobile de quo da parte del sig. Ugo Carrino, continuò senza titolo e senza nemmeno alcun corrispettivo per il godimento del bene all’Amministrazione proprietaria.


Alcuni anni dopo il Dirigente UTC di Gallipoli, dopo aver rilevato l’occupazione senza titolo dell’immobile di via Pisanelli da parte del sig. Stenio Carrino (nota 24/2/99 prot n. 6235) diffidò il “nuovo” detentore a voler rifondere i danni (quantificati in £. 5.512.000) conseguenti all’accertata occupazione abusiva dell’immobile di proprietà comunale (nota 20/9/99 prot. n. 24392).


Senza muovere contestazioni in merito al contenuto dei predetti accertamenti, il sig. Stenio Carrino riscontrò con nota 25/10/99 le pretese del Comune di Gallipoli, limitandosi a chiedere di essere ammesso al beneficio della rateizzazione per il pagamento dei danni per l’occupazione abusiva dell’immobile de quo; successivamente l’A.C. di Gallipoli formulò ulteriori richieste risarcitorie al sig. Stenio Canino, il quale solo a decorrere dall’anno 2000 provvide a corrispondere, senza alcuna regolarità ed in maniera saltuaria, un somma da lui stesso determinata per l’occupazione dell’immobile de quo.


Sulla base di questi elementi di fatto e mancando la prova dell’esistenza del contratto, il giudice di prime cure correttamente ha escluso la sussistenza di alcun valido rapporto locativo ed ha, quindi, del tutto legittimamente dichiarato inammissibile la censura di illegittimità della precedura di alienazione per violazione del diritto di prelazione ex art. 38 e ss. della L. n. 392/78.


D’altro canto non si può sostenere (come sostengono invece gli appellanti) che l’esistenza di un rapporto locativo avrebbe potuto desumersi da facta condudentia, potendosi comunque la dimostrazione dell’esistenza di un rapporto di mero fatto ritenere idonea ad integrare gli estremi per l’esercizio del diritto di prelazione urbana ex art. 38 della L. n. 392/78.


Ciò perché, secondo un costante orientamento della Cassazione, tutti i contratti stipulati dalla PA. (anche quando questa agisca jure privatorum) richiedono la forma scritta ad substantiam.


Tale indirizzo ha anche avuto modo di specificare come non abbia alcuna rilevanza l’eventuale deliberazione collegiale dell’ente pubblico, che sia prodromica alla stipulazione del contratto, atteso che un simile atto deliberativo si connota come mero atto interno e preparatorio del negozio, avente come destinatario solo l’organo rappresentativo legittimato ad esprimere all’esterno la volontà dell’ente.


In particolare si è precisato come la delibera autorizzatoria a contrarre non possa essere sintomatica della reale volontà dell’ente, che deve invece risultare da un atto contrattuale sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente e dal privato e da cui possa desumersi la definitiva e concreta sistemazione del rapporto negoziale con le indispensabili determinazioni del contenuto del contratto.


Sul punto la Suprema Corte ha affermato che il requisito della forma scritta a pena di nullità può ritenersi osservato solo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la volontà contrattuale, perché redatto al precipuo scopo di renderla manifesta, così da impegnare contestualmente sia il privato che la PA. in ordine al contenuto concreto del negozio (cfr. Cass. Civ., sez. II, 25 novembre 2003, n. 17891).


Oltre alla prescrizione essenziale della forma scritta e della cd. contestualità, vi sono altri canoni che, com’è noto, disciplinano la determinazione del contenuto dei contratti stipulati dalla PA., ed in particolare:

- il divieto di cessione del contratto senza 1’autorizzazione della P.A., atteso che la scelta del contraente è sempre fatta intuitu personae;
- il divieto di durata ultranovennale ex art. 12 Legge cont. St.;
- il divieto di rinnovo tacito oltre la scadenza convenuta, per i contratti di durata, atteso che non è ammessa la proroga tacita del contratto stipulato con la PA., anche quando il contratto alla scadenza non sia stato disdettato.


E’ pacifico che tali principi, che presidiano in generale allo svolgmento di qualsiasi attività contrattuale della PA., debbano essere osservati anche nella conclusione dei contratti di locazione nei quali la PA. rivesta (come nella fattispecie) il ruolo di parte locatrice (cfr. Cass. Civ., sez. III, 26 febbraio 2002, n. 2832).


In tale prospettiva è altrettanto evidente che ai contratti di locazione conclusi dalla PA. non può nemmeno applicarsi l’stituto della rinnovazione tacita, oltre che per l’evidente incompatibilità con il procedimento previsto per la manifestazione della volontà di obbligarsi da parte della PA., anche per il fatto che la intenzione di reiterare la validità del vincolo contrattuale non può desumersi da fatti concludenti (come il percepimento di canoni locativi dopo la scadenza del contratto), ma deve essere espressa nelle forme previste dalla legge (in termini Cass. Civ., sez. III, 9 agosto 2002, n. 12087).
Ed inoltre, sempre in ragione dei suesposti principi generali, un contratto di locazione stipulato con una PA. locatrice non può avere durata ultranovennale, né può subire modificazioni soggettive senza preventiva autorizzazione della PA..


Risulta così del tutto inutile il tentativo degli appellanti di ricostruire nel caso di specie un valido rapporto contrattuale sulla base di elementi di fatto e di diritto che non possono rivestire alcun carattere decisivo per la configurazione di un valido rapporto locativo tra i medesimi e l’A.C. di Gallipoli.


Né miglior sorte merita il motivo di censura relativo alla pretesa illegittimità della procedura per l’inosservanza delle norme che regolano la alienazione dei beni immobili del demanio storico ed artistico.


Tale censura si rileva del tutto inconsistente dopo che la Soprintendenza regionale, ente proposto alla gestione del vincolo storico ed artistico, ha reputato che i beni posti in vendita dal Comune di Gallipoli non rivestono alcun interesse storico ed artistico ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 490/99.


Il disconoscimento di qualsiasi valore artistico “meritevole di tutela” con riferimento ai beni immobili comunali de quibus rende infatti del tutto priva di pregio la tesi dei ricorrenti, odierni appellanti, secondo cui l’autorizzazione ex art. 23 del D.P.R. n. 283/2000 avrebbe dovuto essere acquisita preventivamente all’attivazione della procedura di alienazione de qua.


Del pari infondato è il motivo di impugnazione, con cui gli appellanti deducono che la alienazione dell’immobile concreterebbe un inadempimento dell’onere modale apposto alla donazione (avvenuta con atto notarile 26/5/48) dell’immobile di via Pisanelli in favore del soppresso ECA.


A proposito deve innanzitutto evidenziarsi come a tale atto di liberalità verme apposto un modus ex art. 793 c.c., per l’adempimento del quale, com’è noto, sono legittimati ad agire soltanto il donante e chiunque abbia un interesse ex art. 100 c.p.c..


Sotto tale ultimo profilo di interesse va precisato che l’esatta interpretazione del modus apposto all’atto di liberalità de quo consente di stabilire che la relativa clausola imprime un vincolo di destinazione al (e non anche un vincolo di intrasferibilità del) bene immobile donato.


A ciò si aggiunga, inoltre, che nel caso di specie non è possibile ravvisare alcun interesse ad agire per l’accertamento dell’inadempimento del predetto modus, atteso che la situazione di interesse fatta valere dagli odierni appellanti (ossia l’asserita titolarità del diritto di prelazione urbana sull’immobile) appare in contrasto con il vincolo di destinazione del bene.


Gli appellanti - per vedere riformata l’impugnata pronuncia di inammissibilità per carenza di interesse - hanno allegato, successivamente alla proposizione dell’attuale gravame, della documentazione comprovante l’esistenza di un rapporto locativo tra il sig. Stenio Carrino e l’ECA di Gallipoli, ente disciolto al quale appartenevano gli immobili poi transitati nel patrimonio del Comune di Gallipoli e interessati, nel corso dell’anno 2003, della procedura di alienazione censurata nel primo grado di giudizio.


Occorre, tuttavia, al riguardo rilevare, come, del resto, fondatamente eccepito in questa sede dal Comune di Gallipoli, l’inammissibilità di tale produzione documentale allegata alla memoria 28 settembre 2004, atteso che è senz’altro riferibile anche al giudizio amministrativo di secondo grado il principio di cui all’articolo 345 c.p.c. (nel testo attualmente in vigore introdotto dall’articolo 52 della L. n. 353/90), ossia il divieto di allegazione di nuovi documenti, tranne quando la tardiva allegazione sia legittimata dalle ragioni indicate dalla medesima disposizione (cfr., in tal senso, da ult. Cons. St., sez. V, 15 febbraio 2001, n. 789; Cons. St., sez. IV, 2 giugno 1999, n. 963).


Sicché non v’è dubbio che in sede di gravame - ossia nell’ambito di un giudizio impugnatorio inteso come riesame del giudizio di primo grado nei limiti del thema decidendum sottoposto al giudice (c.d. revisio prioris instantiae) non sono ammissibili nuove allegazioni, in conformità all’attuale previsione di cui all’articolo 345 c.p.c., 2° co., (cfr., in termini, Cons. St., sez. IV, 2 giugno 1999, n. 963; id., 30 giugno 1998, n. 1005; id., 6 marzo 1996, n. 292).


Quanto ai motivi aggiunti, notificati il 24 febbraio 2005, con cui gli appellanti sigg.ri Carrino hanno impugnato l’aggiudicazione definitiva alla controinteressata, sig.ra Russo, dei beni immobili posti all’asta, essi sono del pari inammissibili.


L’aggiudicazione definitiva (seguita all’infruttuoso esperimento di miglioria) a favore della sig.ra Lucia Russo, già aggiudicataria (provvisoria) del bando di asta - peraltro non provvedimentale, perché verificatasi automaticamente per la mancanza di offerte migliorative - avvenuta successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado e nelle more del presente giudizio di appello, non può certamente essere impugnata mediante la proposizione di motivi aggiunti direttamente in grado di appello.


Non v’è infatti dubbio che l’annullamento del successivo atto di aggiudicazione definitiva e la prospettata ulteriore lesione della situazione giuridico-soggettiva dei sigg. Carrino dovevano essere dedotte mediante specifica e rituale impugnazione innanzi al TAR di Lecce, non potendo tale questione essere sottoposta per la prima volta al sindacato del giudice di appello.


Tale profilo di inammissibilità dell’attuale gravame consegue al generale divieto di proporre in grado di appello “domande nuove”, nonché all’obbligo, per il giudice di secondo grado, di tutelare il principio della piena eguaglianza processuale delle parti nei cui confronti la sentenza di primo grado fu pronunciata, dichiarando inammissibili d’ufficio le questioni proposte in dispregio ai suesposti precetti.


Né d’altro canto le norme di rito che delimitano l’ambito del giudizio di appello trovano eccezione nel nuovo art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (che stabilisce, al secondo periodo del primo comma, che “tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti”), atteso che le esigenze di economia processale e di speditezza del giudizio alla base delle innovative modalità di utilizzo dell’istituto dei “motivi aggiunti” non possono portare all’affievolimento dei predetti principii ineludibili del processo amministrativo, quali appunto quello del divieto di ampliamento dell’oggetto del giudizio e di introduzione di questioni nuove in appello, nonché del principio del doppio grado di giudizio.


Con la stessa sentenza oggetto del presente gravame, il TAR salentino ha dichiarato inammissibili anche le domande proposte con i motivi aggiunti dalla sig.ra Lucia Russo.


La suddetta pronuncia, come si è detto nella parte in fatto, è stata appellata anche dalla sig.ra Russo con ricorso n. 5297/04, con il quale è stata richiesta la riforma, previa sospensione cautelare, della sentenza di primo grado.


L’appello è inammissibile.


E, infatti, con l’attuale gravame la sig.ra Russo chiede la declaratoria della risoluzione di diritto per inadempimento dell’A.C. di Gallipoli del vincolo derivante dall’aggiudicazione provvisoria in suo favore dei beni posti in vendita nella procedura di alienazione de qua.


Senonchè tale declaratoria, oltre ad essere sicuramente esorbitante la giurisdizione del G.A., non è stata mai espressamente richiesta nel primo grado di giudizio, che ha avuto ad oggetto esclusivamente la legittimità degli atti impugnati e non anche l’accertamento dell’inadempimento del Comune di Gallipoli.


Né appare del tutto convincente il tentativo di giustificare in questo grado di giudizio la (in verità alquanto perplessa) condotta processuale della controinteressata Russo.


Ed infatti ella, aggiudicataria provvisoria dell’asta pubblica de qua, in un primo momento ha ritenuto di intervenire nel giudizio di primo grado ad opponendum e, cioè, a difesa della legittimità della procedura di alienazione e, poi, con un improvviso e totale cambio di rotta, ha mosso contestazioni a tale procedura (anche se in una prospettiva diversa rispetto all’impugnazione dei ricorrenti), tramite i motivi aggiunti, manifestando così di non essere più interessata all’acquisizione degli immobili di cui è aggiudicataria provvisoria.


Tale atteggiamento indeciso sicuramente traspare dalla condotta processuale tenuta dalla sig.ra Russo, che ha in maniera del tutto irrituale ed inammissibile mosso, con motivi aggiunti al ricorso principale, le proprie censure alla procedura di alienazione in questione.


Deve, pertanto, ritenersi indenne dalle censure dell’appellante la sentenza dei primi giudici nella parte in cui dichiara inammissibili le domande della Russo, atteso che non appare revocabile in dubbio la circostanza che le doglianze della controinteressata, ove ammissibili, avrebbero dovuto essere (in maniera rituale e tempestiva) rappresentate con una autonoma impugnativa, e non con i motivi aggiunti, che, in senso tecnico, sono complementari ad un ricorso precedentemente proposto e non possono legittimare la proposizione di una vera e propria impugnazione autonoma da parte di un soggetto diverso dal ricorrente principale.


In conclusione gli appelli in esame ed i motivi aggiunti non possono trovare accoglimento e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere confermata.


Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, così provvede:
1) respinge l’appello proposto dai sigg.ri Carrino;
2) dichiara inammissibili i motivi aggiunti proposti dai sigg.ri Carrino;
3) dichiara inammissibile l’appello proposto dalla sig.ra Russo.


Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio dell’8 marzo 2005 con l’intervento dei Sigg.ri:
Agostino Elefante Presidente
Corrado Allegretta Consigliere
Cesare Lamberti Consigliere
Claudio Marchitiello Consigliere
Nicola Russo Consigliere Est.



                   L’ESTENSORE                                                IL PRESIDENTE                                                            IL SEGRETARIO                 
f.to Nicola Russo                                              f.to Agostino Elefante                                                     f.to Rosi Graziano

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15 dicembre 2005
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

PER IL DIRIGENTE
f.to Livia Patroni Griffi

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Pubblica Amministrazione - Contratti stipulati dalla P.A. - Forma scritta ad substantiam - Necessità - Fondamento. Tutti i contratti stipulati dalla PA. (anche quando questa agisca jure privatorum) richiedono la forma scritta ad substantiam. Tale indirizzo ha anche avuto modo di specificare come non abbia alcuna rilevanza l’eventuale deliberazione collegiale dell’ente pubblico, che sia prodromica alla stipulazione del contratto, atteso che un simile atto deliberativo si connota come mero atto interno e preparatorio del negozio, avente come destinatario solo l’organo rappresentativo legittimato ad esprimere all’esterno la volontà dell’ente. In particolare si è precisato come la delibera autorizzatoria a contrarre non possa essere sintomatica della reale volontà dell’ente, che deve invece risultare da un atto contrattuale sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente e dal privato e da cui possa desumersi la definitiva e concreta sistemazione del rapporto negoziale con le indispensabili determinazioni del contenuto del contratto. Sul punto la Suprema Corte ha affermato che il requisito della forma scritta a pena di nullità può ritenersi osservato solo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la volontà contrattuale, perché redatto al precipuo scopo di renderla manifesta, così da impegnare contestualmente sia il privato che la P.A. in ordine al contenuto concreto del negozio (cfr. Cass. Civ., sez. II, 25 novembre 2003, n. 17891). Pres. Elefante - Est. Russo - CARRINO (avv.ti Schiano, Fasano) c. COMUNE di GALLIPOLI (avv. Garrisi) (conferma TAR PUGLIA - LECCE, Sezione II, n. 5/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 15 DICEMBRE 2005 (c.c. 8/08/2005), Sentenza n. 7147

2) Pubblica Amministrazione - Contratti di locazione - Validità del vincolo contrattuale - Forma - Durata ultranovennale - Modificazioni soggettive senza preventiva autorizzazione della P.A.. Ai contratti di locazione conclusi dalla PA. non può nemmeno applicarsi l’istituto della rinnovazione tacita, oltre che per l’evidente incompatibilità con il procedimento previsto per la manifestazione della volontà di obbligarsi da parte della PA., anche per il fatto che la intenzione di reiterare la validità del vincolo contrattuale non può desumersi da fatti concludenti (come il percepimento di canoni locativi dopo la scadenza del contratto), ma deve essere espressa nelle forme previste dalla legge (in termini Cass. Civ., sez. III, 9 agosto 2002, n. 12087). Inoltre, un contratto di locazione stipulato con una PA. locatrice non può avere durata ultranovennale, né può subire modificazioni soggettive senza preventiva autorizzazione della P.A.. Pres. Elefante - Est. Russo - CARRINO (avv.ti Schiano, Fasano) c. COMUNE di GALLIPOLI (avv. Garrisi) (conferma TAR PUGLIA - LECCE, Sezione II, n. 5/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 15 DICEMBRE 2005 (c.c. 8/08/2005), Sentenza n. 7147

3) Urbanistica e edilizia - Prelazione c.d. urbana - Art. 38 L. n. 392/78. E’ pacifico in giurisprudenza che la prelazione c.d. urbana ex art. 38 della L. n. 392/78 possa essere fatta valere soltanto da colui che detenga l’immobile posto in vendita in forza di un rapporto locativo valido, in corso e de jure (cfr. Cass. Civ. sentt. nn. 10174 e 10115/97). Pres. Elefante - Est. Russo - CARRINO (avv.ti Schiano, Fasano) c. COMUNE di GALLIPOLI (avv. Garrisi) (conferma TAR PUGLIA - LECCE, Sezione II, n. 5/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 15 DICEMBRE 2005 (c.c. 8/08/2005), Sentenza n. 7147

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