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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 10 giugno 2005, Sentenza n. 3058

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 3058/05 REG.DEC.
N. 512 REG.RIC

ANNO 2002

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Quinta Sezione ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n.512 del 2002, proposto dalla società GI.GA. S.r.l., con sede in Avellino, in persona dell’amministratore e legale rappresentante in carica, ing. Carmine Gaeta, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Alberto Romano, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3;
contro
- la Regione Campania, in persona del Presidente dalla Giunta Regionale in carica, rappresentata e difesa dall’Avv. Maria d’Elia dell’Avvocatura regionale, con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania, in Roma, via Poli n. 29;
- il Comune di Manocalzati, in persona del Sindaco in carica, n.c.
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sez. II. n. 4459/200 o del 27 novembre 2000, resa fra le parti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 15 febbraio 2005, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; uditi, altresì, l’Avv. A. Romano per l’appellante e l’Avv. Palumbo, in sostituzione dell’Avv. d’Elia, per la regione appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO E DIRITTO


1.1. L’attuale appellante ebbe a stipulare, in data 24 aprile 1996, una convenzione di lottizzazione, con il Comune di Monocalzati, per la costruzione di opere di edilizia residenziale in località denominata “Rio della Chiesa”, in base a piano di lottizzazione presentato dai danti causa in conformità alle previsioni del P.R.G. adottato il 20 dicembre 1986, e di cui il Sindaco, con decreto 24 marzo 1990, aveva attestato l’intervenuta approvazione a seguito del silenzio della Provincia delegata alla approvazione dalla Regine Campania.


In seguito, l’interessata chiese al Comune la concessione edilizia (istanza del 10/5 - 14 /5/1996) per la parziale realizzazione del piano e, rimasto inerte il Comune, chiese alla Regione la nomina di un Commissario ad acta che provvedesse in via sostitutiva (istanza in data 18 luglio 1997, regolarizzata con raccomandata r. r. in data 4 settembre 1997).


Avverso il silenzio di entrambe le Amministrazioni, propose, poi, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, un primo ricorso (rubricato al n. 9837/97 r. r.), in pendenza del quale, peraltro, la Regione nominava il Commissario ad acta, che espressamente negava la concessione edilizia richiesta, in quanto, nelle more, il piano regolatore comunale - inviato alla Regione con decreto sindacale del 19 maggio 1997 per l’accertamento di conformità previsto dall’Allegato alla L. reg. n. 14 del 1982 - era stato bloccato dalla Regione Campania, che aveva formulato rilievi sui criteri applicati dal Comune.


Era avvenuto che il Sindaco, con il citato decreto del 19 maggio 1997, aveva annullato il precedente decreto del 1990 (con il quale era stata attestata l’avvenuta approvazione per silenzio-assenso in ritenuta aplicabilità della procedura semplificata di cui all’art. 2 del decreto legge 20 novembre 1987 n. 474, convertito con modificazioni dalla L. 21 gennaio 1988 n. 12), sulla considerazione del mancato perfezionamento dell’iter procedurale contemplato dal citato allegato - Titolo II, art. 5 della L. reg. n. 14 del 1982, che richiedeva, dopo l’adozione del piano e l’invio dello stesso alla Provincia, per l’approvazione, l’ulteriore controllo di conformità da parte della Regione.


Di ciò la società interessata asseriva di essere venuta a conoscenza solo a seguito del provvedimento negativo del Commissario, impugnato davanti al medesimo Tribunale Amministrativo Regionale, con ricorso rubricato al n. 2214/1998 r.r.


Successivamente, adeguatosi il Comune alle osservazioni regionali con deliberazione consiliare che ha apportato sostanziali modificazioni alle previsioni originarie, la Regione ha rifiutato il visto di conformità, ritenendo necessario, ai fini della valutazione definitiva, l’osservanza del prescritto iter procedurale (con deposito, pubblicazioni, controdeduzioni e quant’altro).


Gli atti regionali e la deliberazione di adeguamento del consiglio comunale, sono stati fatti oggetto di un terzo ricorso, rubricato al n. 7893 r.r. del 1998.


Con il secondo di tali ricorsi era altresì impugnata la deliberazione con la quale il Consiglio comunale di Monocalzati ha fatto propri gli elaborati tecnici di adeguamento del piano ai rilievi regionali (del.c.c. n. 3 del 21 gennaio 1998).


1.2. Il giudice adito, con sentenza n. 4459 del 27 novembre 2000, riuniti i ricorsi, ha dichiarato improcedibile il primo; ha invece respinto, “in quanto inammissibili e, comunque infondati” gli altri due, ed ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese dei giudizi riuniti.


1.3. Avverso l’anzidetta sentenza è proposto l’appello in esame, con cui, l’originaria ricorrente sottopone a sindacato il procedimento logico giuridico attraverso cui il giudice di primo grado è pervenuto alle proprie conclusioni e, nel contempo, ripropone le impugnazioni già proposte in primo grado, sulla base di una dettagliata ricostruzione dei fatti e della puntuale reiterazione dei motivi dedotti in quella sede.


Esso si incentra su censure ed argomenti che possono essere così sinteticamente riassunti:
1°) la pronuncia emanata in forma sempificata sarebbe erronea ed illegittima, per di più dopo che, nel corso dei giudizi riuniti lo stesso giudicante aveva lasciato intendere (con tre ordinanze cautelari) l’esistenza di un consistente fondamento delle censure dedotte; la sintetica motivazione non renderebbe ragione del differente orientamento del collegio giudicante;
2°) la declaratoria di improcedibilità del ricorso proposto avverso il silenzio-rifiuto del Comune e della Regione non terrebbe, illegittimamente, conto del persiste l’interesse dalla società ricorrente alla declaratoria di illegittimità del comportamento inerte del Comune e, successivamente, della Regione, che viceversa assumerebbe rilievo se non altro ai fini del risarcimento del danno derivato dall’inerzia qualificata, in quanto, in forza dell’inutile decorso del tempo, sarebbe derivato il danno di non potersi più avvalere delle disposizioni di un piano regolatore generale la cui approvazione era stata attestata con decreto sindacale del 1997 e che aveva già avuto attuazione in numerosi interventi modificati del territorio;
3°) la mancata impugnazione del decreto sindacale del 19 maggio 1997, non avrebbe rilevanza sulla ammissibilità dei ricorsi successivi (avverso il provvedimento del commissario ad acta e gli atti della Regione e del Comune) attesa la natura non provvedimentale del decreto del 1990 e di quello successivo del 1997 che annulla il primo; invero:
- la definitiva approvazione del piano regolatore comunale non dipende dalla attestazione del Sindaco (decreto del 1990) ma deriverebbe ex lege, dall’inerzia della Provincia protrattasi oltre un certo termine;
- il successivo atto, che annulla l’anzidetta attestazione, ne ripeterebbe la natura e non sarebbe idoneo ad incidere sull’effetto determinatosi per legge;
- tale effetto consisterebbe nella approvazione del piano regolatore comunale, stante la tipizzazione che la normativa applicabile fa discendere dall’inerzia protrattasi oltre un certo termine, ad annullare la quale non gioverebbe un attestato di segno contrario;
- l’effetto del silenzio neppure sarebbe vanificato dalla omissione, da parte della Provincia, dell’invio del piano regolatore generale alla provincia, per il controllo di conformità;
4°) il Commissario ad acta nominato dalla Sezione, d’altra parte, non avrebbe potuto decidere l’istanza sulla base di un programma di fabbricazione remoto e superato dalle prescrizioni di piano regolatore che, sebbene bloccato dalla Regione all’atto della adozione del provvedimento impugnato, aveva, comunque, spiegato efficacia fino a che non era stato emanato il decreto sindacale del 1997, tanto da essere assunto a base di numerosi interventi assentiti sul territorio e dello stesso piano di lottizzazione, cui si riconnette l’istanza di edificazione dell’interessata;
5°) fondate, infine, sarebbero le censure proposte con il ricorso avverso i successivi atti regionali e del Comune, essendo illegittimo il radicale intervento della Regione sull’atto già approvato per il silenzio della Provincia, cui sarebbe, d’altra parte, da addebitare il mancato inoltro alla Regione del piano per la verifica della conformità, senza che il mancato inoltro possa avere un effetto paralizzante sul decorso del termine per la formazione del silenzio-approvazione.


Conclusivamente, pertanto, l’appellante chiede la riforma della sentenza appellata nel senso dell’accoglimento dei tre ricorsi.


1.4. Costituitasi la Regione Campania, per resistere all’impugnazione, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 15 febbraio 2005 e trattenuta in decisione.


2.1. Tanto premesso in fatto, la Sezione, in diritto, deve innanzitutto ritenere irrilevanti le considerazioni con le quali l’appellante denuncia l’erronea ed illegittima applicazione, da parte del giudice di primo grado, dell’art. 26, comma 4, testo vigente, della L. 1034 del 1971.


La norma è esplicita nel rimettere al discrezionale apprezzamento del giudice amministrativo l’adozione della decisione in forma semplificata, allorché ravvisi “la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”, senza che il giudice sia tenuto a giustificare l’apprezzamento che lo ha condotto a preferire la forma anzidetta, a seguito della adozione di una misura cautelare in apparente contrasto con la decisione definitiva di merito.


Quanto alla succinta motivazione, essa nulla toglie, nel caso in esame, alla intelligibilità ed esaustività delle ragioni addotte dal giudice di primo grado a sostegno della decisione.


D’altra parte, sotto differente profilo, è pacifico che il vizio eventuale (e non riscontrato) della motivazione non rileva nel giudizio di appello, pienamente devolutivo.


2.2. Privo di giuridico fondamento è il motivo di appello con cui si sottopone a sindacato la declaratoria di improcedibilità del ricorso (n. 9837/97) proposto in primo grado avverso il silenzio-rifiuto delle Amministrazioni, comunale e provinciale.


Non può essere condivisa la tesi del persistente interesse della società ricorrente alla decisione, malgrado la sopravvenienza del provvedimento esplicito del commissario ad acta, sia pure considerandone la natura meramente strumentale ed in vista del risarcimento del danno ingiusto.


Essa è, infatti, contraddetta dalla tutela che l’ordinamento ha inteso accordare in tale materia.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha messo in chiaro, con la nota decisione n. 1 del 9 gennaio 2002, che l’interesse tutelato dall’ordinamento mediante la tipizzazione del silenzio-rifiuto, è esclusivamente, quello alla definizione del procedimento con il provvedimento esplicito, ed in questi limiti è accordata la tutela giurisdizionale, direttamente rivolta a sindacare l’inerzia dell’Amministrazione.


L’interesse anzidetto si correla al dovere dell’Amministrazione di provvedere, immanente nell’ordinamento, già in forza del dettato costituzionale; desunto, come norma di azione, in via generale, dall’art. 25 T.U. n. 3 del 1957; fissato come regola giuridica puntale, prima della legge generale sul procedimento, soltanto per alcune materie, fra cui quella edilizia; ed ora reso esplicito, per tutte le categorie di procedimenti, dall’art. 2, comma 2, della L. 7 agosto 1990 n. 241.


La circostanza che il giudizio avverso il silenzio rifiuto si avvalga dello schema del giudizio impugnatorio non giustifica, una volta accertati i presupposti della tipizzazione dell’inerzia, l'accertamento immediato, da parte del giudice, della fondatezza della sua pretesa sostanziale.


Precisato questo, è chiaro anche che l’inadempimento dell’amministrazione costituisce condizione per la decisione di accoglimento, il cui contenuto consiste nell’ordine di provvedere impartito all’Amministrazione, restando fuori dal giudizio sul silenzio-rifiuto il contenuto concreto del provvedimento, rispetto al quale l’Amministrazione mantiene integro il suo potere, anche nel caso in cui si perviene alla nomina del commissario ad acta.


Le linee e gli obiettivi del nuovo procedimento giurisdizionale sul silenzio rifiuto, segnano dunque, anche, in via interpretativa, i limiti della tutela sostanziale, difformemente dal filone giurisprudenziale (per tutte, Cons. Stato, IV Sez., 22 giugno 2000 n. 3526; V Sez., 12 ottobre 1999 n. 1446) orientato nel senso della possibilità di una penetrante indagine del giudice in ordine al fondatezza della istanza presentata dal ricorrente all'Amministrazione.


Con la conseguenza ulteriore che, una volta adottato il provvedimento, nel corso del giudizio promosso contro il silenzio-rifiuto, non restano margini di interesse alla decisione giurisdizionale, in capo al ricorrente, ed il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, come correttamente definito dal giudice di primo grado.


Il relativo motivo di impugnazione deve, dunque, essere respinto.


2.3.1. Le residue questioni sollevate con l’appello richiedono innanzitutto una ricostruzione in fatto.


Il piano regolatore di cui si tratta venne adottato dal Comune campano di Manocalzati con deliberazione consiliare del 20 dicembre 1986.


Trattandosi di Comune danneggiato dagli eventi sismici del 1980, l’Ente - muovendosi nell’ambito di applicazione del D.L. 20-11-1987 n. 474 (convertito con modificazioni dall'art. 1, L. 21 gennaio 1988, n. 12) - ritenne di poter fare applicazione dell’art. 2 del decreto legge in questione, i cui commi 2 e 3, in caso di inutile decorso del termine ivi previsto, per l’approvazione, attribuiscono al sindaco il compito di attestare con apposito decreto, affisso per quindici giorni all'albo comunale, l’intervenuto silenzio-approvazione.


E’ stato così adottato dal Sindaco il decreto 24 marzo 1990, in forza del quale il piano regolatore, ritenuto esecutivo, ha invero avuto attuazione nell’assetto urbanistico edilizio del territorio, fino all’intervento del decreto del 19 maggio 1997, con il quale il Sindaco ha annullato il suddetto decreto del 1990, sostituendolo con una nuova attestazione, con contestuale invio degli atti alla Regione Campania, per l’esercizio del c.d. controllo di conformità previsto dalla legge regionale contenente indirizzi programmatici e direttive fondamentali relative all'esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica, ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della legge regionale 1° settembre 1981, n. 65 (L.reg. 20 marzo1982 n. 14, allegato, Titolo II, comma 5).


2.3.2. Muovendo da tali premesse è agevole rilevare che, pur essendo lecito dubitare del contenuto provvedimentale dell’attestato del 1990, non altrettanto può dirsi del successivo decreto del 1997, il quale riveste un indubbio contenuto provvedimentale, per la parte in cui costituisce esercizio di un potere di autotutela, di per sé espressione della potestà propria dell’autorità emanante.


Invero, l’intendimento di tale Autorità, quale, nella specie, emerge chiaramente dalle premesse dell’atto, è rivolto a rimuove, con l’attestato del 1990, anche degli effetti che dallo stesso, con la sua pubblicazione, l’Ente ne aveva fatto impropriamente derivare, ovvero, non soltanto l’esecutività della approvazione desunta dall’inerzia, ma quella dello stesso strumento urbanistico, che, stando alla normativa regionale (non abrogata o derogata, per tale profilo, da qualle statale di riferimento), era condizionata alla sottoposizione dell’atto approvato al controllo successivo di conformità alle prescrizioni della L. n. 14 del 1982 (Allegato, Titolo secondo) ed alla sua pubblicazione sul Bollettino regionale.


Ciò appare chiaro dalla puntuale ricostruzione dei fatti contenuta nel provvedimento e dalla precisazione ulteriore che l’art. 2 della legge n. 12 del 1988 (ovvero del decreto legge convertito con la fonte citata) subordina la procedura semplificata all’inoltro della deliberazione comunale di adozione dello strumento urbanistico nel termine di centoventi giorni dalla adozione, non rispettato dal Comune, cosicché, alla procedura in questione dovevano trovare applicazione le norme ordinarie di cui alla legge regionale n. 14 del 1982, nonché infine dalla sottolineata necessità che il Piano regolatore regionale completasse il suo iter procedimentale con l’invio alla Regione per il dovuto controllo.


Corretta è, pertanto, la conclusione cui è pervenuto il giudice di primo grado circa gli effetti della mancata impugnazione del decreto sindacale del 1997, sul provvedimento commissariale e sui successivi atti dell’Amministrazione regionale (nonché della deliberazione consiliare di adeguamento).


Ed infatti, l’annullamento del provvedimento commissariale e degli stessi atti regionali impugnati, lascerebbe ferma la determinazione del sindaco di ripercorrere l’iter procedurale fissato dalla legge regionale, secondo le previsioni del citato art. 5 dell titolo II dell’allegato, che costituisce una imprescindibile fase del procedimento, integrativa della efficacia del piano.


Cosicché è indubbio che la suddetta mancata impugnazione si riflette sull’interesse ad impugnare le successive determinazioni, oggetto dei ricorsi di primo grado nn. 2214 e 7893 del 1998.


2.3.3. Deve, peraltro, anche essere condiviso il giudizio di merito in ordine alla mancanza di fondamento delle censure dedotte con i due ricorsi da ultimo menzionati.


Contrariamente a quanto mostra di ritenere l’appellante, né la legge nazionale, né quella regionale, attribuiscono alla esecutività dell’approvazione da parte dell’amministrazione delegata un effetto idoneo a definirne l’iter procedimentale del Piano regolatore generale, per quanto attiene la fase integrativa dell’efficacia.


Invero, con la proposizione secondo cui “il silenzio-approvazione è attestato dal sindaco con apposito decreto affisso per quindici giorni all'albo comunale”, la norma statale (art. 2, commi 2 e 3 del D.L. n. 474 del 1987, convertito dall’art. 1 della legge n. 12 del 1988) non chiarisce se acquisti esecutività, puramente e semplicemente l’approvazione in sé, o se debba anche intendersi esecutivo il piano regolatore generale, che, in base a quanto disposto dall’ art. 5 del Titolo II dell’allegato alla legge regionale n. 14 del 1982, “è reso esecutivo a mezzo di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania” dopo che la deliberazione di approvazione dello strumento urbanistico generale è stata trasmessa (entro cinque giorni dalla sua esecutività) alla Giunta regionale, unitamente ai pareri ed alle osservazioni ed opposizioni presentate, per l’accertamento di conformità e che la Regione abbia esercitato, entro i prescritti novanta giorni, i relativi poteri, o sia rimasta inerte.


Confrontando, però, la fonte statale con la legge regionale, l’interpretazione della prima deve essere nel senso che il legislatore nazionale non ha inteso sovvertire (né avrebbe potuto senza incidere sui poteri normativi dell’Ente) l’ordine delle attribuzioni fissato dalla legge regionale, né espropriare la Regione di una fase dalla stessa ritenuta essenziale, ovvero del controllo sulla osservanza degli indirizzi programmatici e delle direttive fondamentali, da parte delle amministrazioni delegate ad esercitare il potere di approvazione degli strumenti urbanistici generali.


Ed infatti, la disciplina nazionale del procedimento, pur contraendo i termini e semplificando le modalità di approvazione degli strumenti urbanistici, si arresta nel punto in cui fissa lo strumento necessario a rendere evidente le conseguenze dell’inerzia dell’Autorità deputata alla approvazione (attestato del Sindaco) lasciando invece alla norma regionale ordinaria (L. n. 14 del 1982, allegato, Titolo II, art. 5) la regolamentazione della fase integrativa della efficacia, che non doveva mancare, dunque, neanche nella ipotesi di applicazione dell’art. 2 del decreto legge del 1987.


2.3.4. Dalla considerazione che precede deriva anche che, indipendentemente dall’annullamento del decreto del 1990, il piano regolatore - in difetto di tale fase - non poteva avere esecuzione, e, dunque, gli atti adottati dal Comune in esecuzione dello strumento urbanistico mancavano, in definitiva, del necessario presupposto, ovvero di un piano regolatore esecutivo ed efficace, oltre che approvato per effetto dell’inutile decorso del termine.


Il successivo decreto del 1997 é intervenuto a ricomporre l’iter procedimentale interrotto e a restituire legalità al governo del territorio.


Ne consegue che il Commissario ad acta, chiamato, in via sostitutiva, a provvedere sulla istanza di concessione edilizia dell’attuale appellante, non poteva attenersi a quanto previsto al piano di lottizzazione e convenuto con la relativa convenzione, ma era tenuto a rinvenire i parametri di valutazione della assentibilità nel programma di fabbricazione dell’Ente locale che, sebbene “superato di fatto”, costituiva la sola regolamentazione allo stato applicabile.


E’ ben noto e pacifico, infatti che il piano di lottizzazione è piano attuativo appartenente al secondo livello della pianificazione urbanistica e presuppone, pertanto, l' esistenza e la vigenza di un piano regolatore generale (fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 1769 del 2 dicembre 1999).


Con la conseguenza ulteriore che l’inefficacia del piano regolatore generale, ancorché soltanto successivamente accertata, si risolve nella inefficacia, altresì del piano particolareggiato ovvero anche (come nella specie), del piano di lottizzazione e nella relativa convenzione che hanno avuto nel piano regolatore generale il loro essenziale ed indefettibile presupposto.


In conclusione, corretto e legittimo è il provvedimento negativo del Commissario ad acta.


2.3.5. Altrettanto legittimo deve ritenersi l’operato della Regione, a seguito della trasmissione del Piano regolatore generale approvato.


I poteri di controllo della Regione sono definiti dal più volte citato art. 5 del Titolo II dell’allegato alla legge regionale n. 14 del 1982, applicabile al caso in esame, al cui interno sono state fissate le direttive in tema di pianificazione territoriale.


La norma testualmente si esprime nel senso che:
“Entro cinque giorni da quello in cui sono divenute esecutive a” “seguito di controllo di legittimità, le deliberazioni di approvazione degli” “strumenti urbanistici generali sono trasmesse alla Giunta regionale,” “unitamente ai pareri ed alle osservazioni ed opposizioni presentate.”


“Il Presidente della Giunta regionale o l'Assessore competente, se” “delegato, su conforme e motivata deliberazione della Giunta può, entro” “novanta giorni dal ricevimento, chiedere alla Provincia od alla Comunità” “montana l'adeguamento dello strumento urbanistico generale, in relazione:”
“a) rispetto delle leggi e dei regolamenti;”
“b) alla conformità con le previsioni degli strumenti urbanistici” “intercomunali, nonché degli atti di pianificazione regionale e territoriale”.


E’ dunque evidente come la volontà legislativa regionale è stata proprio nel senso di un penetrante controllo nella materia delegata alle Province, in assenza del quale il Piano regolatore approvato può acquistare efficacia soltanto a seguito del silenzio serbato dalla Regione oltre il termine di novanta giorni fissato dal secondo comma sopra trascritto, e divenire esecutivo con la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione, come si è già avuto modo di precisare.


Le considerazioni che precedono privano di consistenza le censure dedotte e reiteratamente proposte in questa sede, non potendosi rinvenire alcuna posizione acquisita negli amministrati per effetto del piano non portato al controllo, sebbene approvato, sia con provvedimento esplicito, sia, a maggior ragione, per effetto dell’inerzia dell’Amministrazione delegata.


3. In definitiva, l’appello deve essere respinto.


Ritiene, peraltro, la Sezione che le spese del presene grado del giudizio possano essere interamente compensate fra le parti costituite.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe;
Compensa interamente fra le parti le spese del presente grado del giudizio;


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 15 febbraio 2005, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Sergio SANTORO PRESIDENTE
Giuseppe FARINA CONSIGLIERE
Corrado ALLEGRETTA CONSIGLIERE
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Est. CONSIGLIERE
Goffredo ZACCARDI CONSIGLIERE


L’ESTENSORE                                                        IL PRESIDENTE                                                                 IL SEGRETARIO
F.to Chiarenza Millemaggi Cogliani                            F.to Sergio Santoro                                                    F.to Agatina Maria Vilardo

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10 giugno 2005
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
 

p. IL DIRIGENTE
F.to Livia Patroni Griffi

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Urbanistica e edilizia - Piano regolatore generale - Approvazione - Termine - Funzione - Iter procedimentale - Disciplina. L’art. 2 del decreto legge 20 novembre 1987, n. 474 (convertito con modificazioni dall'art. 1, L. 21 gennaio 1988, n. 12), (commi 2 e 3) in caso di inutile decorso del termine ivi previsto, per l’approvazione del piano regolatore, attribuisce al sindaco il compito di attestare con apposito decreto, affisso per quindici giorni all'albo comunale, l’intervenuto silenzio-approvazione. Né la legge nazionale, né quella regionale, attribuiscono all’esecutività dell’approvazione da parte dell’amministrazione delegata un effetto idoneo a definirne l’iter procedimentale del Piano regolatore generale, per quanto attiene la fase integrativa dell’efficacia. Con la proposizione secondo cui “il silenzio-approvazione è attestato dal sindaco con apposito decreto affisso per quindici giorni all'albo comunale”, la norma statale non chiarisce se acquisti esecutività, puramente e semplicemente l’approvazione in sé, o se debba anche intendersi esecutivo il piano regolatore generale, che, in base a quanto disposto dall’ art. 5 del Titolo II dell’allegato alla legge regionale n. 14 del 1982, “è reso esecutivo a mezzo di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania” dopo che la deliberazione di approvazione dello strumento urbanistico generale è stata trasmessa (entro cinque giorni dalla sua esecutività) alla Giunta regionale, unitamente ai pareri ed alle osservazioni ed opposizioni presentate, per l’accertamento di conformità e che la Regione abbia esercitato, entro i prescritti novanta giorni, i relativi poteri, o sia rimasta inerte. Confrontando la fonte statale con la legge regionale, l’interpretazione della prima deve essere nel senso che il legislatore nazionale non ha inteso sovvertire l’ordine delle attribuzioni fissato dalla legge regionale, né espropriare la Regione di una fase dalla stessa ritenuta essenziale, ovvero del controllo sulla osservanza degli indirizzi programmatici e delle direttive fondamentali, da parte delle amministrazioni delegate ad esercitare il potere di approvazione degli strumenti urbanistici generali. Ed infatti, la disciplina nazionale del procedimento, pur contraendo i termini e semplificando le modalità di approvazione degli strumenti urbanistici, si arresta nel punto in cui fissa lo strumento necessario a rendere evidente le conseguenze dell’inerzia dell’Autorità deputata alla approvazione (attestato del Sindaco) lasciando invece alla norma regionale ordinaria (L. n. 14 del 1982, allegato, Titolo II, art. 5) la regolamentazione della fase integrativa della efficacia, che non doveva mancare, dunque, neanche nella ipotesi di applicazione dell’art. 2 del decreto legge del 1987. Pres. Santoro - Est. Millemaggi Cogliani - società GI.GA. S.r.l. (avv. Romano) c. Regione Campania (avv. d’Elia dell’Avvocatura regionale), (conferma TAR Campania, Sez. II. n. 4459/200 del 27/11/2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 10 giugno 2005 (c.c. 15/02/2005), Sentenza n. 3058

 

2) Urbanistica e edilizia - Piano di lottizzazione - Pianificazione urbanistica - P.R.G. - Piano particolareggiato - Inefficacia - Effetti. Il piano di lottizzazione è piano attuativo appartenente al secondo livello della pianificazione urbanistica e presuppone, pertanto, l'esistenza e la vigenza di un piano regolatore generale (Sez. IV, 1769 del 2 dicembre 1999). Pertanto l’inefficacia del piano regolatore generale, ancorché soltanto successivamente accertata, si risolve nell’inefficacia, altresì del piano particolareggiato ovvero anche del piano di lottizzazione e nella relativa convenzione che hanno avuto nel piano regolatore generale il loro essenziale ed indefettibile presupposto. Pres. Santoro - Est. Millemaggi Cogliani - società GI.GA. S.r.l. (avv. Romano) c. Regione Campania (avv. d’Elia dell’Avvocatura regionale), (conferma TAR Campania, Sez. II. n. 4459/200 del 27/11/2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 10 giugno 2005 (c.c. 15/02/2005), Sentenza n. 3058

 

3) Urbanistica e edilizia - Piano regolatore generale - Poteri di controllo della Regione (Campania) - Direttive di pianificazione territoriale - Termine - Effetti. I poteri di controllo della Regione Campania sul piano regolatore generale sono definiti dall’art. 5 del Titolo II dell’allegato alla legge regionale n. 14 del 1982, al cui interno sono state fissate le direttive in tema di pianificazione territoriale. La volontà legislativa regionale è stata nel senso di un penetrante controllo nella materia delegata alle Province, in assenza del quale il Piano regolatore approvato può acquistare efficacia soltanto a seguito del silenzio serbato dalla Regione oltre il termine di novanta giorni fissato dal secondo comma, e divenire esecutivo con la pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione, come si è già avuto modo di precisare. Pres. Santoro - Est. Millemaggi Cogliani - società GI.GA. S.r.l. (avv. Romano) c. Regione Campania (avv. d’Elia dell’Avvocatura regionale), (conferma TAR Campania, Sez. II. n. 4459/200 del 27/11/2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 10 giugno 2005 (c.c. 15/02/2005), Sentenza n. 3058

 

4) Pubblica amministrazione - Atto e procedimento amministrativo - Silenzio della p.a. - L. n. 241/1990 - Inadempimento dell’amministrazione - Nomina del commissario ad acta - Silenzio rifiuto. L’interesse tutelato dall’ordinamento mediante la tipizzazione del silenzio-rifiuto, è esclusivamente, quello alla definizione del procedimento con il provvedimento esplicito, ed in questi limiti è accordata la tutela giurisdizionale, direttamente rivolta a sindacare l’inerzia dell’Amministrazione. (Ad. Plen. del 9 gennaio 2002, n. 1). L’interesse anzidetto si correla al dovere dell’Amministrazione di provvedere, immanente nell’ordinamento, già in forza del dettato costituzionale; desunto, come norma di azione, in via generale, dall’art. 25 T.U. n. 3 del 1957; fissato come regola giuridica puntale, prima della legge generale sul procedimento, soltanto per alcune materie, fra cui quella edilizia; ed ora reso esplicito, per tutte le categorie di procedimenti, dall’art. 2, comma 2, della L. 7 agosto 1990 n. 241. La circostanza che il giudizio avverso il silenzio rifiuto si avvalga dello schema del giudizio impugnatorio non giustifica, una volta accertati i presupposti della tipizzazione dell’inerzia, l'accertamento immediato, da parte del giudice, della fondatezza della sua pretesa sostanziale. Anche l’inadempimento dell’amministrazione costituisce condizione per la decisione di accoglimento, il cui contenuto consiste nell’ordine di provvedere impartito all’Amministrazione, restando fuori dal giudizio sul silenzio-rifiuto il contenuto concreto del provvedimento, rispetto al quale l’Amministrazione mantiene integro il suo potere, anche nel caso in cui si perviene alla nomina del commissario ad acta. Le linee e gli obiettivi del nuovo procedimento giurisdizionale sul silenzio rifiuto, segnano dunque, anche, in via interpretativa, i limiti della tutela sostanziale, difformemente dal filone giurisprudenziale (Sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3526; Sez. V, 12 ottobre 1999, n. 1446) orientato nel senso della possibilità di una penetrante indagine del giudice in ordine al fondatezza della istanza presentata dal ricorrente all'Amministrazione. Con la conseguenza ulteriore che, una volta adottato il provvedimento, nel corso del giudizio promosso contro il silenzio-rifiuto, non restano margini di interesse alla decisione giurisdizionale, in capo al ricorrente, ed il ricorso deve essere dichiarato improcedibile. Pres. Santoro - Est. Millemaggi Cogliani - società GI.GA. S.r.l. (avv. Romano) c. Regione Campania (avv. d’Elia dell’Avvocatura regionale), (conferma TAR Campania, Sez. II. n. 4459/200 del 27/11/2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 10 giugno 2005 (c.c. 15/02/2005), Sentenza n. 3058

 

5) Procedure e varie - Processo amministrativo - Decisione in forma semplificata - Apprezzamento discrezionale del giudice. L’art. 26, comma 4, testo vigente, della L. 1034 del 1971 è esplicito nel rimettere al discrezionale apprezzamento del giudice amministrativo l’adozione della decisione in forma semplificata, allorché ravvisi “la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”, senza che il giudice sia tenuto a giustificare l’apprezzamento che lo ha condotto a preferire la forma anzidetta, a seguito della adozione di una misura cautelare in apparente contrasto con la decisione definitiva di merito. Pres. Santoro - Est. Millemaggi Cogliani - società GI.GA. S.r.l. (avv. Romano) c. Regione Campania (avv. d’Elia dell’Avvocatura regionale), (conferma TAR Campania, Sez. II. n. 4459/200 del 27/11/2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 10 giugno 2005 (c.c. 15/02/2005), Sentenza n. 3058

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