Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
- sul ricorso in appello n. 10708/2003, proposto dalla Società
Multiprogress s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e
difesa dagli avv.ti prof. M. P. Chiti e M. Giannini, elettivamente domiciliata
in Roma, via Germanico n. 96, presso avv. B. Taverniti;
- sul ricorso in appello n. 11036/2003, proposto dal Comune di Levanto,
in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. prof. M. A.
Quaglia, elettivamente domiciliato presso di lui in Roma, via Carducci n. 4;
CONTRO
I sigg. Taddio Margherita, Acerbis Lodovico, Boggiali Roberto, Toscani
Mariarosa, Boffi Pierugo, Pansardi Anna, Camera Enzo, Bogza Nicole, Lazzati G.
Paolo, Stella Rodolfo, Maisetti Massimo, Olivieri Fulvio, Tencalla Ivonne,
Bianchi Rosanna Merlo Nino, e Del Pesco Badessi Claudia, rappresentati e difesi
dagli Avv.ti Corrado Mauceri e E. Romanelli, con domicilio eletto presso quest’ultimo
in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14, sc. A int. 4; Graziano Olimpia, Pellegrini
Giancarlo, Grassi Wilma, Di Terlizzi Rita, Baron Arturo, Piccoli Rosanna, Lemmi
M. Antonietta, Sala Marco, Sala Enrico non costituiti
e nei confronti
- Ministeri per i beni e le attività culturali e dell’economia e delle
finanze, rapprresentato e difeso dall’Avv.tura Generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
- Regione Liguria, Provincia di La Spezia ed altri, non costituitisi;
per la riforma
della sentenza TAR Liguria, sez. I, n. 225 del 21.2.2003, con la quale è
stato accolto il ricorso proposto dai sigg. Taddio Margherita, Lazzati G. Paolo
ed altri;
Visti i ricorsi in appello e relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei sigg. Taddio Margherita ed altri e
dei Ministeri intimati;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 18.3.2005, relatore il Consigliere Aniello Cerreto ed
uditi, altresì, gli avvocati Giannini, Chiti, Mauceri Quaglia,
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto:
FATTO
Con il primo appello, la società Multiprogress ha fatto presente che era
proprietaria di un’area in località Vallesanta, sita nel comune di Levanto; che
in detta area esistevano fino al 1992 un albergo ed un campeggio, che poi erano
stati demoliti in vista del rilascio di una nuova concessione edilizia; che
secondo il vigente P.R.G., approvato con decreto P.G.R. Luiguria del 30.12.1977,
la zona di Vallesanta aveva qualificazione D3 “aree turistiche di tipo
alberghiero”, con possibilità di realizzare una volumetria per 18.000 mc.,
previa predisposizione ed adozione di piano particolareggiato; che tale zona
rientrava nella delimitazione del centro edificato del comune di Levanto, per
espressa previsione della deliberazione G.C. n.205 del 30.10.2001; che con
delibera C.C. n. 62 del 9.8.1997 veniva adottata variante al PRG che, senza
mutare la qualificazione dell’area e confermando le strutture turistiche
esistenti (tra cui il Club Cala Cristina, ove avevano proprietà i ricorrenti di
1° grado), aveva suddiviso l’area (ora AIU3) in quattro comparti e riunito tutta
la volumetria edificabile in un unico complesso edilizio, con destinazione
turistico-ricettiva, prevedendo il previo strumento attuativo anche per il
singolo comparto; che tali indirizzi pianificatori venivano confermati con
successive delibere consiliari del 30.6.2000 e 17.7.2000; che il progetto
elaborato dalla Società per la realizzazione di un complesso alberghiero
residenziale non era frutto di un’innovazione urbanistica successiva al 1999,
quando alcuni dei terreni in questione vennero percorsi dal fuoco, ma era
l’espressione di una vicenda urbanistica già definita fin dal 1977 e che si
concludeva con il rilascio della concessione edilizia n. 29/2002; che avverso
tale concessione ed atti presupposti proponevano ricorso al TAR Liguria alcuni
proprietari di immobili del complesso turistico Club Cala Cristina, integrandolo
poi con motivi aggiunti; che il TAR accoglieva il ricorso con la sentenza n.
225/2003.
Ha quindi dedotto quanto segue:
- il ricorso originario era inammissibile in quanto i ricorrenti non avevano un
interesse qualificato per contestare il rilascio della concessione edilizia in
riferimento alla legge n. 353/2000 sugli incendi boschivi; che i ricorrenti
avevano dichiarato solo di essere proprietari di immobili siti in zone non
lontane dall’erigendo complesso alberghiero-residenziale senza dimostrare alcun
interesse specifico connesso alla normativa sugli incendi; che il TAR aveva
rigettato l’eccezione di inammissibilità, già sollevata 1° grado, in un’ottica
urbanistica di contiguità con il complesso da realizzare senza alcun riferimento
all’interesse a combattere gli incendi boschivi, mentre le prescrizioni della L.
n. 353/2000 erano garantite da un autonomo sistema di controlli e divieti, che
non consentivano la sussistenza di un interesse oppositivo di tipo urbanistico
(ad es. carico urbanistico) ad ulteriori insedianti nella zona;
- il TAR aveva errato nell’accogliere il primo motivo di ricorso, ritenendo
illegittimi la concessione edilizia e ed i provvedimenti urbanistici
presupposti, per violazione della L. n. 353/2000 in quanto, pur ammettendosi l’applicabilitàa
della L n. 353/2000 nella regione Liguria che possedeva una specifica normativa
sugli incendi boschivi, nella zona Vallesanta non esisteva una zona boscata o di
pascolo, per cui era inapplicabile la L. n. 353/2000; né il TAR aveva compiuto
un’autonoma verifica tecnica, essendosi limitato a considerazioni erronee ed in
conferenti;
- comunque, nel caso si trattasse di zona boscata, la L n. 353/2000 era
inapplicabile, essendo la materia regolata dall’art. 46 L.R. n. 4/1999 il quale,
a differenza della normativa statale, non poneva il divieto di edificare per
dieci anni nelle zone percorse dal fuoco per l’ipotesi in cui l’edificazione
fosse consentita dai previgenti strumenti urgsanistici; che in tal senso del
resto si erano orientate anche le Amministrazioni pubbliche coinvolte nel
procedimento, il che corrispondeva al quadro costituzionale all’epoca vigente,
anche prima della riforma del titolo V; né poteva condividersi l’assunto del TAR
in ordine alla sussistenza in materia di una competenza esclusiva dello Stato,
che si poneva in contraddizione con la qualificazione da parte dello stesso
legislatore della legge n. 353/2000 come legge quadro e le cui disposizioni
valevano come principi fondamentali dell’ordinamento, secondo lo schema tipico
della competenza legislativa concorrente;
- il TAR aveva ritenuto che l’art. 10 L. n. 353/2000 fosse applicabile pur in
mancanza dello specifico censimento, tramite apposito catasto, dei soprassuoli
già percorsi dal fuoco, ma quegli atti comunali erano necessari per la
definizione delle zone vincolate ed in tal senso era la giurisprudenza formatasi
sull’analoga normativa di cui alla L. n. 47/1975;
- la materia del governo del territorio era rimasta di competenza legislativa
concorrente con la riforma di cui alla L. cost. n. 3/2001, ma in tale materia
non erano consentite disposizioni legislative statali di tipo direttamente
prescrittivo, per cui il TAR avrebbe dovuto interpretare la relativa normativa
di riferimento statale e regionale in senso conforme alla Costituzione;
- il conteggio dei volumi oggetto di demolizione e ricostruzione non era erroneo
e comunque il relativo calcolo non poteva ritenersi carente;
- neppure vi era stata violazione degli standard urbanistici, atteso che il
Comune aveva correttamente tenuto conto della natura di residenza
turistico-alberghiera dell’edificio da realizzare;
- neppure vi era stata errata progettazione del verde pubblico.
Con il secondo appello, il comune di Levanto ha in particolare precisato che la
variante C.C. n. 62/1997 era decaduta per decorrenza dei termini di legge ed era
stata confermata con deliberazioni C.C. n. 57/2000 e n. 69/2000; che il
contratto d’area della provincia di La Spezia in data 22.6.1999 aveva previsto
l’iniziativa imprenditoriale della società Multiprogress per l’edificazione di
un complesso alberghiero in località Vallesanta e che il Comune di Levanto, con
deliberazione C.C. n. 4 del 26.1.2001 relativo all’intera zona D3 Vallesanta,
aveva adottato uno strumento di attuazione con un lieve allargamento del
perimetro della zona D3 fino alla strada provinciale e funzionale ad una più
corretta sistemazione dell’area verde; che la Provincia aveva negato
l’approvazione di detto strumento attuativo ed il Comune di Levanto aveva
recepito i rilievi dell’Amministrazione provinciale con deliberazione C.C. n. 91
del 11.12.2001 e quindi lo strumento attuativo veniva approvato, con alcune
osservazioni, con decreto P.G.P. n. 1792 del 25.3.2002; che il Comune di Levanto,
con deliberazione C.C. n. 28 del 2.4.2002, adeguava lo strumento attuativo alle
oseervazioni provinciali; che la C.E.I., con parere del 31.5.2002, si esprimeva
favorevolmente all’intervento; che la G.R. Liguria, con delibera n. 633 del
21.6.2002, escludeva l’assoggettabilità a VIA dell’intervento in questione e
quindi la Conferenza dei servizi in sede deliberante, con prescrizioni, dava
mandato al Comune di redigere i provvedeimentoi fromali; che pertanto il comune
rilasciava la concessione edilizia n. 29 del 31.7.2002 e quindi stipulava la
convenzione con il soggetto attuatore. Ha infine confermato che in sede di
conferenza dei servizi, alla presenza dei rappresentanti degli enti portatori
degli interessi coinvolti ed in particolare dei rappresentanti della Regione e
della Provincia, la L. n. 353/2000 non era stata ritenuta applicabile e tale
orientamento era stato confermato dalla Regione e dalla Provincia anche dopo la
proposizione del ricorso al TAR.
Il Comune ha quindi dedotto doglianze analoghe a quelle proposte dalla società
Multiprogress ed in particolare ha rilevato che il TAR aveva errato nel
rigettare la questione di costituzionalità dell’art. 10 L. n. 353/2000 per
violazione art. 117, comma 3°, Cost. per non essersi detta disposizione statale
limitata a determinare i principi fondamentali.
In entrambi gli appelli, si sono costituiti i sigg. Lazzati Giampiero ed altri
che hanno in particolare evidenziato che era stato disposto dall’autorità
giudiziaria il sequestro preventivo del cantiere, confermato dalla Corte di
Cassazione penale con sentenza n. 27779 del 27.6.2003.
Hanno poi controdedotto quanto segue:
- correttamente il TAR aveva riconosciuto il loro interesse al ricorso in quanto
proprietari o titolari di dirriti reali di godimento nell’ambito del complesso
residenziale Club Cala Cristina, che era ricompresso all’interno della zona D3
di Vallesanta, e la realizzazione del complesso progettato avrebbe comportato
una lesione diretta della loro sfera giuridica sotto forma di peggioramento
della qualità della vita e perdita di valore delle unità immobiliari in
relazione alle pesanti ricadute in termini ambientali ed urbanistici; che i
vincoli ex lege n. 353/2000 incidevano comunque sull’edificabilità della zona;
- la zona in contestazione doveva considerarsi senz’altro boscata ed essa era
stata percorsa per la maggior parte dal fuoco in esito agli eventi incendiari
del 25-27.7.1999, come ritenuto dal TAR e come documentato dalla nota del
31.5.2002 della provincia di La Spezia, dalla certificazione del comune di
Levanto del 31.5.2002, dal verbale di sopralluogo del Corpo Forestale dello
Stato del 18.10.2002 e dalle prescrizioni del piano territoriale di
coordinamento;
- nella specie non erano applicabili le più favorevoli disposizioni di cui alla
L.R. n. 4/1999, in quanto l’entrata in vigore della Legge quadro n. 353/2000
imponeva alle Regioni di adeguare i rispettivi ordinamenti ai principi
fondamentali posti dalla legge statale, con conseguente abrogazione delle
disposizioni regionali incompatabili, ai sensi dell’art. 10 L. n. 63/1953;
- la legge costituzionale n. 3/2001 aveva ascritto alla legislazione esclusiva
dello Stato la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, per
cui il Comune non poteva adottare nel 2001 lo strumento attuativo né procede al
rilascio della concessione edilizia nel 2002, essendo gà entrata in vigore la L
n. 353/2000;
- nel corso del 2002 era stato presentato al Consiglio regionale della Liguria
un disegno di legge di iniziativa della Giunta volto nella sostanza a superare
la disciplina vincolistica di cui alla L. n. 353/2000, ma in senso contrario si
era espressa l’Avvocatura distrettuale dello Stato con parere in data 12.5.2003;
che anche in sede nazionale era stata presentata una proposta di modifica
dell’art. 10 L. n. 353/2000;
- la lotta agli incendi boschivi atteneva alla tutela dell’ambiente in quanto
diretta alla difesa del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile
per la qualità della vita e perciò non rientrava nella legislazione concorrente
del governo del territorio/urbanistica;
- il TAR non doveva sollevare alcuna questione di costituzionalità dell’art. 10
L. n. 353/2000;
- il TAR aveva correttamente escluso la subordinazione del vincolo di
inedificabilità di cui alla L. n. 353/2000 alla concreta attuazione del catasto
delle aree incendiate;
- il TAR aveva correttamente accolto le censure in ordine al conteggio delle
volumetrie esistenti, sul rispetto degli standards e del verde pubblico.
In vista dell’udienza pubblica, sia gli appellanti che le parti resistenti hanno
presentato memoria conclusiva.
Gli appellanti hanno fatto presente che la disciplina di cui alla L. n. 353/2000
era stata superata dalla L. n. 350/2003, per cui si era determinata cessazione
della materia del contendere sul punto centrale della controversia, tanto è vero
che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di La Spezia, con decreto
P.M. del 29.1.2004, aveva revocato il sequestro preventivo della proprietà
Multiprogress; che le altre censure dei ricorrenti originari erano infondate.
I resistenti a loro volta rilevato che la sopravvenuta L. n. 353/2003 non poteva
sanare l’illegttimità degli atti impugnati e che il venir meno del divieto di
edificazione poteva eventualmente rilevare nell’ambito dell’approvazione di un
nuovo strumento urbanistico attuativo e conseguente rilascio del relativo titolo
abilitativi. Hanno poi riproposto i motivi ritenuti assorbiti dal TAR; che
d’altronde era intervenuto nel frattempo il Piano di Bacino approvato con D.C.P.
n. 51/2003, il quale prevedeva che nelle aree a suscettività di dissesto elevata
(P3), in cui era compresa la zona di Vallesanta, fossero vietate gli interventi
di nuova costruzione, per cui attualmente il progetto sarebbe ora del tutto
irrealizzabile.
A quest’ultimi rilievi si è opposta la Società Multiprogress facendo presente
che l’area in contestazione ricadeva in zone P1 e P0, ovvero in zone a basso o
nullo rischio frane, e che la riproposizione dei motivi assorbiti da parte dei
ricorrenti originari era inammissibile.
All’udienza pubblica del 18.3.2005 i due ricorsi sono stati trattenuti per la
decisione.
DIRITTO
1. Con sentenza TAR Liguria, sez. I, n. 225 del 21.2.2003 è stato accolto il
ricorso proposto dai sigg. Taddio Margherita, Lazzati G. Paolo ed altri avverso
avverso la concessione edilizia n. 29 del 31.7.2002 rilasciata dal comune di
Levanto a favore della società Multiprogress ed atti presupposti.
Avverso detta sentenza hanno proposto autonomo appello sia la società
Multiprogress che il comune di Levanto.
Resistono agli appelli i sigg. Lazzati G. Paolo ed altri.
2. Detti appelli vanno riuniti ai fini di un’unica decisione essendo rivolti
avverso la stessa sentenza.
3. Gli appelli sono infondati.
3.1. Priva di pregio è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di
legittimazione e di interesse.
Gli appellanti contestano la legittimazione e l’interesse dei ricorrenti
originari mettendo in discussione non tanto la sussistenza di uno stabile
collegamento con la zona oggetto di intervento, ma la mancanza di un interesse
qualificato all’osservanza della normativa a tutela del patrimonio boschivo
percorso dal fuoco, essendo essa garantita da un autonomo sistema di controlli e
sanzioni amministrative, civili e penali.
Si osserva al riguardo che l’art. 31, comma 9, L. 17 agosto 1942 n. 1150, come
modificato dall’art. 10 L. 6 agosto 1967 n. 765, ha riconosciuto una posizione
qualificata e differenziata in capo a coloro che si trovano in una situazione di
stabile collegamento con la zona di intervento edilizio e fanno valere
l’osservanza delle prescrizioni che regolano l’edificazione (cfr., le decisioni
di questo Consiglio, sez. V n. 4790 del del 28.6.2004, sez. VI n. 5458 del
5.8.2004), in quanto vi sia contrasto “con le disposizioni di legge o dei
regolamenti o con le prescrizioni del piano regolatore e dei piani
particolareggiati di esecuzione”.
Per cui, quello che rileva è che sussistano delle prescrizioni limitative dell’edificabilità
delle aree, a prescindere dagli specifici interessi pubblici che si intendono
tutelare direttamente (ad es. urbanistici, sanitari, di pubblica incolumità, di
carattere sociale e ambientale). Ininfluente è poi la circostanza che le
relative prescrizioni siano autonomamente tutelate con controlli d’ufficio e
sanzioni amministrative, civili e penali, in quanto ciò non esclude la
collaborazione dei privati al fine di meglio tutelare gli interessi pubblici
coinvolti.
3.2. Non possono condividersi neppure le doglianze fondamentali degli
appellanti, con le quali sostengono da un lato l’irrilevanza della norma statale
di cui all’art. 10 L. 21.11.2000 n. 353 in relazione alla salla asserita
prevalenza della normativa regionale (art. 46 L.R. Liguria 22.1.1999 n. 4) e
dall’altro lato la necessità di fornire un’interpretazione ragionevole, pena
l’incostituzionalità, della menzionata disposizione statale, tale quindi da
circoscriverne gli effetti; viene comunque rilevata l’insussistenza nel caso di
specie di un’area boscata con conseguente inapplicabiltià dell’art. 10 L. n.
353/2000.
3.2. 1. Innanzitutto, è necessario ribadire, in adesione a quanto ritenuto dal
TAR, che la zona oggetto di intervento è stata interessata e percorsa dagli
incendi del luglio 1999. Inoltre, la natura di area boscata emerge da una serie
di elementi: in via di fatto, assumono rilievo le circostanze desumibili dai
verbali e dall’attività di accertamento svolta dal Corpo forestale dello Stato,
nonché le risultanze fotografiche acquisite in atti; in linea di diritto,
risulta che l’area in questione è sottoposta a vincolo paesistico ambientale,
per effetto dei decreti ministeriali 3.8.1959 e 24.4.1985, a norma della legge
1497/1939. In generale poi, la natura della zona emerge altresì dall’analisi
dello studio organico d’insieme predisposto dal comune di Levanto nel dicembre
del 2000 (versato in atti dai ricorrenti originari), in cui si asserisce che la
parte superiore era caratterizzata dalla presenza di macchia mediterranea nonché
di alberi di pino; che l’incendio del 1999 aveva percorso in modo consistente
anche i terreni interessati dalla costruzione in esame (complesso alberghiero),
con elevatissimo tasso di mortalità a carico del soprassuolo forestale,
soprattutto pino marittimo, specie largamente prevalente.
La conferma discende anche dalla copiosa documentazione dalla quale emerge come
le Amministrazioni pubbliche coinvolte si siano poste il relativo problema nel
corso del complesso iter procedimentale, giungendo ad un esito negativo non
sulla scorta dell’assenza di un’area boscata, ma sotto un profilo strettamente
normativo di asserita prevalenza delle disposizioni di livello regionale, come
del resto ribadito dalla Regione Liguria e dalla provincia di La Spezia con note
dell’ottobre 2002 in riferimento a specifico quesito posto del comune di Levanto.
Né in senso contrario può valere la relazione tecnica redatta su incarico della
società Multiprogress in data 9.12.2002, in quanto essa si limita a concludere
in senso dubitativo, affermandosi che “non esistono le condizioni oggettive per
verificare con precisione le aree interessate dal passaggio del fuoco e quali di
queste fossero superfici boschive”.
3.2.2. Al fine di stabilire la normativa applicabile nel caso in esame (legge
statale n. 353/2000 o L.R. n. 4/1999, è opportuno innanzitutto richiamare il
testo dell’art. 1 della L. n. 353/2000, a tenore del quale “le disposizioni
della presente legge sono finalizzate alla conservazione e alla difesa dagli
incendi del patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la
qualità della vita e costituiscono princìpi fondamentali dell'ordinamento ai
sensi dell'art. 117 della Costituzione” (comma 1); “Le regioni a statuto
ordinario provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti sulla base delle
disposizioni di principio della presente entro e non oltre un anno dalla data di
entrata in vigore della stessa” (comma 3).
La norma rilevante è l’art. 10 comma 1 della legge 353 cit., che così dispone:
“Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco
non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio
per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere
pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e
dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati
nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal
presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo
periodo, pena la nullità dell'atto. È inoltre vietata per dieci anni, sui
predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e
infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti
salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data
precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale
data, la relativa autorizzazione o concessione. Sono vietate per cinque anni,
sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria
ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica
autorizzazione concessa dal Ministro dell'ambiente, per le aree naturali
protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate
situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un
intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono
altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate
percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia”.
Il successivo comma 2 statuisce che: “i comuni provvedono, entro novanta giorni
dalla data di approvazione del piano regionale di cui al comma 1 dell'art. 3, a
censire, tramite apposito catasto, i soprassuoli già percorsi dal fuoco
nell'ultimo quinquennio, avvalendosi anche dei rilievi effettuati dal Corpo
forestale dello Stato”.
Sulla base di tale ultima disposizione, gli appellanti ritengono comunque non
operativi i limiti ed i divieti precedenti in quanto le Amministrazioni tenute
non avrebbero ancora ottemperato ai suddetti obblighi amministrativi di
accertamento. Tuttavia, tale prospettazione non è condivisibile, in quanto
sarebbe incoerente rispetto alla ratio della norma, ai principi generali
dell’ordinamento ed al corretto perseguimento degli interessi pubblici connessi
e desumibili altresì dall’art. 1 della medesima legge 353, ritenere che
l’operatività dei divieti e, più in generale delle prescrizioni fondamentali
della norma, oltretutto caratterizzati dalla sanzione penale in caso di
violazione (dettata dal successivo comma 4 del menzionato art. 10), possa essere
subordinata all’effettivo adempimento di un’attività amministrativa di mera
certificazione ed elencazione, e perciò di carattere dichiarativo e non
costitutivo.
Gli appellanti sostengono che ogni caso sarebbe applicabile nella specie la più
favorevole disposizione di cui all’art. 46 L.R. 4/ 1999, la quale, a differenza
della normativa statale, non poneva il divieto di edificare per dieci anni nelle
zone percorse dal fuoco per l’ipotesi in cui l’edificazione fosse consentita dai
previgenti strumenti urbanistici, limitandosi a sancire che “tutte le zone
boscate distrutte o danneggiate dal fuoco non possono avere per almeno quindici
anni una disciplina urbanistica che introduca uno sfruttamento edificatorio
delle relative aree ovvero una loro maggiore potenzialità edificatoria rispetto
a quella vigente al momento dell'incendio, fatta eccezione per i mutamenti di
destinazione d'uso che si rendano necessari ai fini della realizzazione di:
a) opere pubbliche o spazi pubblici;
b) opere volte all'antincendio boschivo;
c) impianti tecnologici, in condotta o in cavo, compresi quelli aerei, anche se
realizzati da soggetti privati”.
Tale tesi non può essere seguita.
Invero, deve ritenersi prevalente l’art. 10 della legge statale n. 353/2000,
quale disposizione di legge successiva, nonché quale norma diretta a
disciplinare ambiti ed a perseguire interessi attribuiti alla sfera di
cognizione principale dello Stato.
Invero, la norma statale in esame appare riconducibile, da un lato, alla tutela
dell’ambiente (rappresentato in particolare dal patrimonio boschivo nazionale),
di esclusiva competenza statale ai sensi dell’art. 117, comma 2 lett. s), Cost.,
dall’altro costituisce principio fondamentale ex art. 117, comma 3, Cost. per
gli ambiti di competenza concorrente (in quanto incidente anche su governo del
territorio e valorizzazione dei beni ambientali). Da ciò discende che, comunque,
il valore ambiente protetto con la presente disposizione, dettata nell’ambito
delle scelte discrezionali del legislatore, ed i relativi principi non possono
che investire anche gli ambiti eventualmente rimessi alla potestà normativa
regionale: quest’ultima pertanto non può evidentemente derogare alle indicazioni
fondamentali connesse alla tutela del valore suddetto.
Del pari manifestamente infondate appaiono le conseguenti eccezioni di presunta
incostituzionalità della disposizione statale. A tale proposito, premesso quanto
sopra precisato in ordine al riparto di competenze, la norma contestata appare
consona ai parametri costituzionali di ragionevolezza sia in quanto generalmente
diretta a tutelare principi fondamentali dell’ordinamento, sia in quanto le
singole prescrizioni appaiono sostanzialmente rientranti nella discrezionalità
del legislatore: non c’è alcune palese illogicità, atteso che una volta
conferita preminenza alla tutela dei beni collettivi suddetti costituzionalmente
rilevanti, l’imposizione di un limite alle attività edificatorie svolte
nell’interesse strettamente privatistico appare razionale e comunque rientrante
nel richiamato ambito di discrezionalità.
Peraltro, quand’anche si dovesse considerare il settore degli incendi boschivi
quale facente parte di ambiti oggetto di legislazione concorrente e non di
legislazione esclusiva statale, secondo quanto sostenuto dagli appellanti,
trovano applicazione ratione temporis, essendo la normativa statale successiva a
quella regionale, i principi consolidati dalla giurisprudenza costituzionale con
riferimento al previgente art. 117 cost. (prima della L. cost. n. 3/2001), in
base ai quali il sopravvenire di disposizioni statali aventi natura di principi
fondamentali comporta, ai sensi dell’art. 10 L. 10.2.1953 n. 62, l’effetto
dell’abrogazione delle disposizioni regionali incompatibili, anche se non è
preclusa una successiva diversa disciplina della materia nel rispetto dei nuovi
principi (cfr. Corte cost. n. 153 dell’8.5.1995e n.171 del 18.5.1999).
Inoltre, la normativa statale di cui all’art. 10 L. n. 353/2000 era vigente alla
data di entrata in vigore della L. 5.6.2003 n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale
18.10.2001 n. 3), per cui essa continua ad applicarsi in ciascuna regione fino
alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia, ai sensi
dell’art. 1, 2° comma, L. n. 131/2003.
In conclusione, in adesione a quanto ritenuto dal TAR, deve ritenersi
applicabile nella specie il divieto di cui all’art. 10, comma 1, L. n. 353/2000;
infatti, accertato il passaggio del fuoco nel luglio del 1999 e la natura
boscata dell’area, risulta del pari che, pur a fronte della astratta
edificabilità (nei termini invero ristretti e rispettosi delle peculiarità
ambientali del sito) di cui alla pianificazione preesistente, all’epoca
dell’incendio non era stata rilasciata alcuna concessione edilizia né risultava
proposto ovvero comunque in itinere un piano attuativo, necessario
preliminarmente per la realizzazione di qualsiasi intervento di tale natura in
zona.
3.2.3. Una volta stabilito che la concessione edilizia non poteva essere
rilasciata, debbono considerarsi assorbite le ulteriori questioni sollevate in
ordine al contenuto specifico della concessione rilasciata.
3.2.4. Nelle more del giudizio l’art. 10 L. n. 353/2000 è stato parzialmente
modificato dall’art. 4, comma 173, L. 24.12.2003 n. 350, consentendosi l’edificabilità
nelle zone boscate percorse da fuoco nei casi in cui l’intervento edilizio fosse
previsto “in data precedente l’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a
tale data”; ma tale nuova normativa, contrariamente a quanto richiesto dagli
appellanti, non può comportare alcuna cessazione della materia del contendere
nel presente giudizio, trattandosi di disciplina normativa sopravvenuta e non
retroattiva rispetto agli atti in questa sede impugnati, salvo il riesame della
situazione da parte delle Amministrazioni competenti.
Analogamente, l’approvazione del Piano di Bacino con D.C.P n. 51/2003, non può
comportare improcedibilità degli appelli per il fatto che esso, secondo i
resistenti, sancirebbe che nelle aree a suscettività di dissesto elevata (P3),
in cui sarebbe compresa la zona di Vallesanta, fossero vietate gli interventi di
nuova costruzione, per cui attualmente il progetto sarebbe ora del tutto
irrealizzabile, trattandosi di normativa urbanistica successiva che potrà essere
valutata in sede di riesame della situazione.
3. Per quanto considerato, i due appelli debbono essere respinti.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado
di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. V), previa riunione,
respinge gli appelli indicati in epigrafe.
Spese compensate.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 18.3.2005 con l’intervento
dei signori:
Sergio Santoro Presidente
Cesare Lamberti Consigliere
Claudio Marchitiello Consigliere
Aniello Cerreto Consigliere Est.
Nicola Russo Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
f.to Aniello Cerreto
f.to Sergio Santoro
f.to Francesco Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 1° LUGLIO 2005
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale
1) Incendi – L. 353/2000 – Art. 10 – Catasto dei terreni percorsi da incendio – Possibilità di subordinare l’operatività dei divieti all’effettiva redazione del catasto – Esclusione – Mera attività di certificazione. L’operatività dei divieti di cui all’art. 10 della legge quadro sugli incendi boschivi (L. 353/2000) e, più in generale, delle prescrizioni fondamentali della norma, peraltro caratterizzati dalla sanzione penale in caso di violazione, non può essere subordinata all’effettivo adempimento dell’attività di censimento dei soprassuoli percorsi dal fuoco tramite apposito catasto, attività amministrativa di mera certificazione ed elencazione, e perciò di carattere dichiarativo e non costitutivo. Pres. Santoro, Est. Cerreto – M. s.r.l. (Avv.ti Chiti e Giannini) c. T.M. e altri (Avv.ti Maceri e Romanelli) e altri (n.c.) – (Conferma T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 225/2003) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 1 luglio 2005 (C.C. 18.3.2005), sentenza n. 3674
2 ) Incendi – L. 353/2000 – Prevalenza rispetto alla normativa regionale – Fondamento - Valore ambiente. Le norme di cui alla L. 353/2000, sono prevalenti rispetto alle disposizioni regionali, atteso che la materia degli incendi boschivi appare riconducibile, da un lato, alla tutela dell’ambiente (rappresentato in particolare dal patrimonio boschivo nazionale), di esclusiva competenza statale ai sensi dell’art. 117, comma 2 lett. s), Cost., dall’altro costituisce principio fondamentale ex art. 117, comma 3, Cost. per gli ambiti di competenza concorrente (in quanto incidente anche su governo del territorio e valorizzazione dei beni ambientali). Il valore ambiente protetto con la disposizione in esame, dettata nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, ed i relativi principi, non possono che investire anche gli ambiti eventualmente rimessi alla potestà normativa regionale: quest’ultima non può pertanto derogare alle indicazioni fondamentali connesse alla tutela del valore suddetto. Pres. Santoro, Est. Cerreto – M. s.r.l. (Avv.ti Chiti e Giannini) c. T.M. e altri (Avv.ti Maceri e Romanelli) e altri (n.c.) – (Conferma T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 225/2003) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 1 luglio 2005, n. 3674 (C.C. 18.3.2005), sentenza n. 3674
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