Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3677/05 REG.DEC.
N. 5740 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2004 ha
pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n. 5740 del 2004 proposto dal COMUNE DI VERCELLI,
in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ludovico
Szegö e Mario Contaldi, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Pierluigi da
Palestrina n. 63, presso lo studio del secondo difensore;
contro
i signori MARIA RITA VARESE, SIMONA VARESE, MAURIZIO VARESE e PIERGIUSEPPE
VARESE, nella qualità di figli ed eredi del signor DOMENICO VARESE, nonché
contro la signora MARIA MARCHINO, in proprio e nella qualità di coniuge ed erede
del signor DOMENICO VARESE, e i signori GIUSEPPINO VARESE e MARIA SARRA, tutti
rappresentati e difesi dagli avv.ti Andrea Manzi e Franco Enoch, elettivamente
domiciliati in Roma, alla via F. Confalonieri n. 5, presso lo studio del primo
difensore;
per la riforma
della sentenza n. 822 del 17.4.2003/3.6.2003 pronunciata tra le parti dal
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, sez. II;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio degli intimati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visto il decreto istruttorio n. 4558 del 2004;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il consigliere Gabriele Carlotti;
Uditi alla pubblica udienza del 28.1.2005 l’avv. Ricci, su delega dell’avv.
Contaldi, per il Comune di Vercelli e l’avv. Manzi per gli appellati;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Viene in decisione l’appello
interposto dal Comune di Vercelli avverso la sentenza del T.a.r. del Piemonte,
recante l’accoglimento del ricorso promosso dagli odierni appellati onde
ottenere l’annullamento:
- dell’ordinanza-decreto del Sindaco del Comune di Vercelli n. 30 del 29.1.2003,
notificata a tutti i ricorrenti il successivo 30.1.2003, con la quale fu loro
ordinato di adottare, entro 48 ore dalla notifica, «i necessari interventi di
bonifica e ripristino ambientale ai sensi del Decreto Ministeriale 25.10.1999 n.
471», del terreno di loro proprietà, censito a risaia, a pena di esecuzione di
ufficio, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 17, commi 9, 10 e 11 del
D.Lgs. 5.2.1997, n. 22, nonché
- dell’ordinanza-decreto del Sindaco del Comune di Vercelli n. 48 del 19.2.2003,
notificata a tutti i ricorrenti il successivo 26.2.2003, con la quale, a far
data dalla notifica della stessa, venne altresì proibito «di coltivare vegetali
destinati all’alimentazione umana e/o animale nei terreni ubicati sul mappale 27
del Foglio 47 e di utilizzare o commercializzare per scopi alimentari i prodotti
medesimi», con l’avvertimento della protrazione dell’efficacia interdittiva del
provvedimento fino al completamento dei disposti interventi di bonifica e di
ripristino ambientale.
2. Nel giudizio così promosso si sono costituiti gli appellati contestando tutte
le deduzioni avversarie e concludendo per l’integrale reiezione del gravame.
3. All’udienza pubblica del 28.1.2005 parti e causa sono passate in decisione.
4. L’appello è parzialmente fondato nei termini di seguito precisati.
5. L’ordinata esposizione delle ragioni del decidere deve prendere l’abbrivo da
una sintetica ricostruzione della vicenda dedotta in contenzioso, siccome
esposta nella narrativa della decisione appellata.
5.1. In data 11.7.1989 i signori Domenico Varese, Maria Marchino, Giuseppina
Varese e Maria Sarra acquistarono, in forza di atto pubblico da certo signor
Pierfranco Balossino, un fondo agricolo ricadente in territorio del Comune di
Vercelli, censito al mappale 27 del foglio 47 e sito in località denominata
“Cascina Ranza”.
Prima di procedere all’acquisto, i futuri proprietari chiesero ed ottennero dal
Comune di Vercelli l’autorizzazione all’utilizzo del fondo come risaia e si
accordarono con il venditore, affinché questi provvedesse ad una bonifica
dell’area per adattarla ad uso agricolo.
Pochi mesi dopo l’acquisto parte del fondo in questione venne sottoposta a
sequestro da parte del Servizio di Ecologia ed Ambiente del Comune di Vercelli,
essendo emerso che, in passato, l’area era stata impiegata per lo stoccaggio di
rifiuti speciali, rivenienti dalla produzione di concimi chimici.
Da tale accertamento originò un procedimento penale nei confronti del presunto
responsabile dell’inquinamento, mentre il Sindaco di Vercelli notificò ai
signori Varese Domenico, Maria Marchino, Giuseppina Varese e Maria Sarra, in
qualità di proprietari del suolo, un’ordinanza di smaltimento dei rifiuti.
L’efficacia del provvedimento, subito impugnato innanzi al T.a.r. del Piemonte,
fu tuttavia sospesa in via giurisdizionale.
Nel 1994, dopo la definizione del processo penale summenzionato, si dispose la
restituzione ai proprietari dell’area sequestrata.
Il medesimo appezzamento venne però sottoposto nuovamente a misura cautelare
reale nell’aprile del 1995, da parte di agenti della Polizia Municipale di
Vercelli, essendo stato avviato un ulteriore procedimento penale, questa volta
direttamente a carico dei proprietari.
Anche in questo caso l’area fu successivamente restituita, una volta archiviato
il procedimento in questione.
Pendente il sequestro, il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica della A.S.L. 11
di Vercelli aveva tuttavia effettuato sei prelevamenti di campioni sul fondo e,
precisamente, cinque all’interno o nei pressi dell’area di stoccaggio ed il
sesto su parte del terreno, sito pur sempre all’interno del mappale, ma in una
zona differente, risultata non inquinata.
Le analisi, espletate dal Laboratorio di Sanità Pubblica nel novembre del 1995,
rivelarono come la composizione dei primi cinque campioni fosse diversa da
quella oggetto del sesto prelievo; inoltre, anche per le zone inquinate, i test
di laboratorio accertarono che il rilascio di metalli tossici non risultava
avvenuto in misura superiore a quanto stabilito dalla legge allora vigente
(Tabella A della Legge n. 319/1976).
In epoca successiva il terreno degli appellati non fu più sottoposto ad alcuna
attività di accertamento, né parte del Comune di Vercelli, né della A.S.L..
In data 20.1.2003 i proprietari del fondo ricevettero però una comunicazione di
avvio di un procedimento (inviata a mezzo raccomandata in data 17.1.2003), volto
all’adozione nei loro confronti di un’ordinanza di bonifica e di ripristino
ambientale ai sensi dell’art. 8 del D.M. n. 471/99, con fissazione del termine
finale per l’eventuale presentazione di documenti o memorie scritte entro il
giorno 24.1.2003.
Alle rimostranze degli intimati i quali, con lettera del 22.1.2003, non
mancarono di rappresentare l’esiguità del termine loro concesso per i fini di
una reale ed attiva partecipazione procedimentale, l’amministrazione comunale
rispose con l’emanazione dell’ordinanza sindacale n. 30 del 29.1.2003, con cui
ordinò l’effettuazione, entro le successive 48 ore dalla notifica, dei necessari
interventi di bonifica e di ripristino ambientale del terreno, ai sensi del D.M.
25.10.1999 n. 471, pena l’esecuzione di ufficio ai sensi e per gli effetti di
cui all’art. 17, commi 9, 10 e 11 del D.Lgs. 5.2.1997 n. 22 (atto impugnato in
prime cure).
A tale provvedimento fece seguito un’ulteriore ordinanza del Sindaco (la n. 48
del 19.2.2003) con cui venne interdetta ai proprietari dei terreni in questione
e fino al completamento degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, la
coltivazione di vegetali destinati all’alimentazione umana o animale ed altresì
l’utilizzazione e la commercializzazione di detti prodotti per scopi alimentari.
Per tutelarsi avverso detti provvedimenti sindacali i signori Varese adirono il
T.a.r. del Piemonte che, in accoglimento dell’impugnativa, annullò entrambe le
ordinanze-decreto, giusta la sentenza specificata in epigrafe.
5.2. Con la decisione, assunta a norma dell’art. 9 della L. n. 205/2000, il
Tribunale accolse il primo motivo di ricorso, con cui gli odierni appellati
avevano lamentato la carenza di istruttoria e di presupposti con riferimento sia
all’impugnata ordinanza n. 30 del 29.1.2003, avente ad oggetto l’ordine di
bonifica e di ripristino ambientale dei suoli inquinati, sia in relazione alla
successiva ordinanza n. 48 del 19.2.2003, concernente il divieto di coltivazione
di vegetali destinati al consumo umano o animale fino alla ultimazione delle
necessarie opere di bonifica.
Le ragioni della censura poggiavano sul rilievo che la nota dell’ARPAP Piemonte
n. 509 del 20.1.2003, menzionata in entrambi i provvedimenti impugnati, non
consentiva - secondo i ricorrenti - di concludere nel senso della
improcrastinabile urgenza di dar corso ai prescritti interventi di recupero
ambientale, né giustificava l’imposizione di una così rilevante restrizione
dell’uso agricolo del fondo.
La nota dell’ARPAP, a detta degli odierni appellati, pur dando atto della
situazione di inquinamento riscontrata in passato e pur accennando al pericolo
di superamento dei limiti di accettabilità di cui al D.M. 471/99, evidenziava
soltanto la necessità di procedere ad ulteriori accertamenti per verificare,
alla luce della nuova normativa medio tempore sopravvenuta, lo stato del suolo,
del sottosuolo e delle acque sotterranee e per valutare l’effettiva esigenza di
intraprendere azioni di bonifica e di ripristino ambientale.
Il Collegio torinese osservò che l’ordinanza sindacale n. 30 del 29.1.2003 si
fondava, in primo luogo, sull’inserimento di tale appezzamento nel Piano di
Bonifica di cui all’art. 7 della L.R. 7.4.2000 n. 42, come sito inquinato da
bonificare; teneva conto del fatto che, sin dal 1989, la zona di proprietà dei
ricorrenti era stata interessata da fenomeni di inquinamento (da cui gli
interventi di campionamento e di analisi sia nel 1989 che nel 1995) e faceva
pure riferimento alla nota dell’ARPAP del 20.1.2003 summenzionata.
Secondo il primo giudice, tuttavia, la risposta dell’ARPAP - stante la non
attualità degli accertamenti analitici presi in considerazione dall’organo
tecnico - non postulava affatto la condizione di sicuro inquinamento del sito in
parola né prospettava come necessarie le opere di bonifica e di ripristino
ambientale; non a caso - opinò il Tribunale piemontese - la stessa Agenzia aveva
segnalato l’esigenza di rinnovare gli accertamenti, anche in ragione dei
successivi mutamenti intervenuti nel quadro normativo di riferimento.
Alla stregua di tali premesse, il giudice di prime cure pervenne
all’annullamento di entrambi i provvedimenti, in quanto non preceduti da alcuna
idonea valutazione tecnica e, quindi, privi di una congrua base istruttoria
sufficiente a giustificare sul piano logico l’ipotizzata esistenza di una
situazione di rischio ambientale.
In aggiunta, il Collegio torinese negò rilievo dirimente alla circostanza
dell’inserimento della località di “Cascina Ranza” nel Piano di Bonifica dei
siti inquinati di cui all’art. 7 della L.R. 7.4.2000, n. 42, sostenendo che - in
disparte la questione della natura giuridica dell’atto amministrativo approvato
con detto provvedimento legislativo - la funzione del Piano di Bonifica fosse
unicamente quella di monitorare, previo censimento delle zone interessate da
fenomeni di inquinamento, tutto il territorio regionale onde individuare le aree
bisognose d’interventi di ripristino ambientale, ma non anche quella di imporre
obbligatoriamente e direttamente la realizzazione di siffatti interventi di
bonifica, in assenza di comprovati rischi ambientali, da accertare caso per caso
secondo le procedure ed i parametri di riferimento di cui al D.M. n. 471/99. Di
qui l’impossibilità di considerare il provvedimento n. 30 del 29.1.2003 come
atto meramente esecutivo di una vincolante disposizione legislativa promanante
dal superiore livello di governo territoriale.
6. Avverso la decisione, ora sinteticamente riferita, ha proposto appello il
Comune di Vercelli, lamentando l’inadeguata valorizzazione da parte del T.a.r.
piemontese dell’inserimento del sito in discorso nell’anagrafe di quelli
inquinati predisposta dalla L.R. n. 42/2000, in attuazione dell’art. 17, comma
12, del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22: al cospetto di siffatto censimento, secondo
l’ente civico appellante, non era assolutamente indispensabile far precedere le
ordinanze impugnate dagli accertamenti istruttori indicati da Tribunale, né i
provvedimenti avversati richiedevano una diffusa motivazione.
7. Tanto doverosamente premesso in ordine alla complesse vicende della
controversia che occupa il Collegio, va detto che la corretta soluzione delle
questioni dedotte in contenzioso può esclusivamente scaturire dalla nitida
differenziazione dello scopo e del contenuto precettivo dei due atti gravati in
prime cure.
7.1. Ed invero, sia la sentenza impugnata (che automaticamente estende le
considerazioni svolte a proposito dell’ordine di ripristino ambientale anche al
provvedimento d’interdizione della coltivazione) sia le difese del Comune di
Vercelli omettono di soffermarsi sulla diversa base legislativa che
rispettivamente sorregge le due ordinanze, obliterando in tal modo le distinte
finalità perseguite con le due misure cautelari.
7.2. In realtà, l’esatto inquadramento giuridico delle autonome fisionomie dei
due provvedimenti costituisce l’imprescindibile punto di partenza della
disamina: alla luce di questa opzione metodologica trovano coerente
giustificazione gli articolati approdi esegetici ai quali ritiene di poter
giungere la Sezione.
8. Invero, la sentenza appellata ben resiste a tutte le censure dedotte dal
Comune di Vercelli con riguardo all’annullamento del provvedimento sindacale n.
30 del 2003, recante l’ordine di bonifica ai sensi del D.M. n. 471/1999.
8.1. In effetti, occorre prioritariamente osservare come l’intero apparato
logico sotteso a tutte le difese comunali, sintetizzabile negli argomenti
dell’obbligatoria attuazione della L.R. Piemonte 7.4.2000, n. 42 (Bonifica e
ripristino ambientale dei siti inquinati. Approvazione del Piano regionale di
bonifica delle aree inquinate. Abrogazione della legge regionale 28 agosto 1995,
n. 71) e della conseguente natura vincolata dell’ordinanza di bonifica, sia
manifestamente contraddetto dallo stesso provvedimento legislativo regionale
invocato: il punto 10. del Piano licenziato dal Consiglio regionale piemontese,
rubricato «Aggiornamento della situazione dei siti inquinati al mese di aprile
1999», checché ne pensi l’ente appellante, espunge espressamente dal novero dei
siti da bonificare la “Cascina Ranza”, con la seguente motivazione: «l’area,
adibita a risaia coltivata, si può ritenere bonificata in quanto era stata
effettuata una parziale asportazione di terreno contaminato, sino ad una
profondità dove i rifiuti erano assenti».
8.2. Al cospetto di un così chiaro dato normativo si rammostra altresì mal
calibrata, almeno in relazione al tenore ed al finalismo delle deduzioni
comunali, l’adombrata questione di legittimità costituzionale della legge: a ben
vedere, infatti, il thema decidendum devoluto alla cognizione del
Collegio nemmeno sfiora la complessa problematica della costituzionalità delle
cc.dd. “leggi-provvedimento” (quale sicuramente è quella in discorso).
8.3. Quest’ultimo rilievo avvalora, di converso, l’esattezza delle puntuali
considerazioni svolte dal T.a.r. del Piemonte in ordine al vizio di carente
istruttoria dell’ordinanza-decreto n. 30 del 29.1.2003.
Il provvedimento impugnato, infatti, rinviene la sua principale base normativa
nell’art. 8 del D.M. 25.10.1999, n. 471 (Regolamento recante criteri, procedure
e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei
siti inquinati, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e
successive modificazioni ed integrazioni).
La disposizione è inserita in un regolamento ministeriale di attuazione
dell’art. 17 del D.Lgs. 5.2.1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE
sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva
94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), in tema di «Bonifica e
ripristino ambientale dei siti inquinati».
Per quel che interessa la presente controversia, possono di seguito riportarsi i
commi secondo e terzo comma dell’art. 17, che recitano: «2. Chiunque cagiona,
anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1,
lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei
limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa
in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e
degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento. A tal fine:
a) deve essere data, entro 48 ore, notifica al Comune, alla Provincia ed alla
Regione territorialmente competenti, nonché agli organi di controllo sanitario e
ambientale, della situazione di inquinamento ovvero del pericolo concreto ed
attuale di inquinamento del sito;
b) entro le quarantotto ore successive alla notifica di cui alla lettera a),
deve essere data comunicazione al Comune ed alla Provincia ed alla Regione
territorialmente competenti degli interventi di messa in sicurezza adottati per
non aggravare la situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento,
contenere gli effetti e ridurre il rischio sanitario ed ambientale;
c) entro trenta giorni dall'evento che ha determinato l'inquinamento ovvero
dalla individuazione della situazione di pericolo, deve essere presentato al
Comune ed alla Regione il progetto di bonifica delle aree inquinate.
3. I soggetti e gli organi pubblici che nell'esercizio delle proprie funzioni
istituzionali individuano siti nei quali i livelli di inquinamento sono
superiori ai limiti previsti, ne danno comunicazione al Comune, che diffida il
responsabile dell'inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2, nonché alla
Provincia ed alla Regione».
Gli artt. 7 ed 8 del D.M. 471 del 1999, rispettivamente rubricati «Notifica di
pericolo di inquinamento e interventi di messa in sicurezza d'emergenza» e
«Ordinanze», recano poi la disciplina regolamentare dei commi succitati.
In dettaglio, l’art. 8 stabilisce: «1. Qualora i soggetti e gli organi pubblici
accertino nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali una situazione di
pericolo di inquinamento o la presenza di siti nei quali i livelli di
inquinamento sono superiori ai valori di concentrazione limite accettabili di
cui all'Allegato 1 ne danno comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al
Comune.
2. Il Comune, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, con propria ordinanza
diffida il responsabile dell'inquinamento ad adottare i necessari interventi di
messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del
presente regolamento.
3. L'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del
sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 10 e 11, del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni.
4. Il responsabile dell'inquinamento deve provvedere agli adempimenti di cui
all'articolo 7, comma 2, entro le quarantotto ore successive alla notifica
dell'ordinanza. Se il responsabile dell'inquinamento non sia individuabile o non
provveda e non provveda il proprietario del sito inquinato né altro soggetto
interessato, i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di
bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente sono
adottati dalla Regione o dal Comune ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17,
commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22».
8.4. Il rapporto di gerarchia che lega i due formanti impone ovviamente
d’interpretare quello appartenente alla fonte di rango secondario in maniera
coerente con quanto stabilito dalla norma superiore.
In coerenza con siffatte premesse, deve allora ragionevolmente ritenersi che la
diffida comunale da indirizzarsi, ai sensi dei commi 2 e 3 del D.M. n. 471/1999,
al responsabile dell’inquinamento ed ai proprietari del sito da bonificare, non
possa prescindere - stante la penosità, anche in termini economici, delle misure
di messa in sicurezza (che, sia detto incidentalmente, quantunque non vincolino
direttamente i proprietari, a differenza del responsabile dell’inquinamento, ad
un facere, nondimeno ne espongono il patrimonio ad un pati, ossia alla
responsabilità derivante dall’obbligo di rifondere le spese di ripristino
affrontate dal Comune, mercé il dovere d’intervento sostitutivo pubblico
previsto dai commi 9, 10 ed 11 dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997) - da un
accurato accertamento preventivo dei requisiti di adozione dell’ordinanza, ossia
della «presenza di … livelli di inquinamento … superiori ai valori di
concentrazione limite accettabili» o «della situazione di pericolo di
inquinamento».
D’altronde, è lo stesso art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 22/1997 a richiedere,
per l’adozione delle misure di bonifica e di ripristino, la sussistenza di un
pericolo “concreto” ed ”attuale”.
8.5. Orbene, l’attenta e condivisibile valutazione degli atti di causa compiuta
dal Tribunale torinese dimostra invece che dalla nota dell’ARPAP, pure
menzionata (travisandone tuttavia il significato) nel contesto motivazione
dell’ordinanza-sindacale n. 30/2003, non emergeva affatto l’esistenza di una
situazione di pericolo concreto ed attuale; piuttosto l’Agenzia regionale aveva
semplicemente prospettato la “possibilità del pericolo” ossia, in altri termini,
l’ARPAP aveva soltanto denunciato un “sospetto di inquinamento”, non confortato
tuttavia da recenti esami analitici (posto che gli ultimi effettuati risalivano,
come si è detto, al 1995).
8.6. Il Comune di Vercelli, pertanto, non ha correttamente valutato la
sussistenza dei presupposti giuridici per l’adozione dell’ordinanza ex art. 8
del D.M. n. 471/1999, posto che ritenere all’uopo bastante la mera esistenza di
un sospetto di inquinamento, del tutto privo delle indefettibili connotazioni di
concretezza ed attualità richieste dalla D.Lgs. n. 22/1997, si risolverebbe in
un’eccessiva anticipazione della soglia di tutela, in radicale contrasto con il
principio di proporzionalità ed, ancor prima, con la stessa lettera della norma
primaria.
L’amministrazione comunale, una volta avviato il procedimento, avrebbe dovuto
disporre gli accertamenti segnalati dall’ARPAP, tanto più - circostanza
completamente ignorata dal Comune di Vercelli - che la legge-provvedimento
regionale, in disparte l’irrilevante profilo dell’attendibilità, o meno, degli
aggiornamenti al Piano originario, indicati nella L.R. n. 42/2000, aveva
comunque escluso l’area in questione dal novero di quelle da bonificare, con
conseguente rafforzamento dell’esigenza di presidiare la motivazione
dell’ordinanza di ripristino con argomenti fondati sul preventivo esperimento di
un’approfondita istruttoria.
8.7. In questa parte quindi l’appello interposto dal Comune di Vercelli non
merita accoglimento.
9. Sono invece convincenti le difese comunali laddove riferite esclusivamente al
provvedimento n. 48 del 2003, impositivo del divieto di coltivazione sull’area
in discorso di vegetali destinati all’alimentazione umana od animale, fino al
completamento dell’intervento di bonifica e di ripristino ambientale.
9.1. In questo caso il “sospetto d’inquinamento” sopra descritto era più che
sufficiente per l’interdizione dell’uso agricolo del suolo.
9.2. La garanzia della sicurezza dei prodotti destinati all’alimentazione umana,
ed, ancor prima, dei mangimi somministrati agli animali (che rappresentano il
precedente anello della catena nutrizionale), è strumentale alla salvaguardia
del bene della salute e, dunque, mira alla protezione di un valore assoluto -
ovverosia il diritto ad un’alimentazione sana - che esige una sensibile
anticipazione delle tutele.
9.3. Eloquenti in tal senso sono le suggestioni provenienti dal diritto
sopranazionale che - fortemente sollecitato dalla pubblicazione, nel gennaio del
2000, del Libro bianco sulla sicurezza alimentare - ha accolto, con il
Regolamento CE n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28
gennaio 2002 (in materia di principi e di requisiti generali della legislazione
alimentare, d’istituzione dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare e di
fissazione delle procedure nel campo della sicurezza alimentare), il principio
della precauzione come fondamentale criterio guida nella gestione dei rischi
alimentari.
Meritano al riguardo menzione sia il 21° “Considerando” del preambolo al
Regolamento («Nei casi specifici in cui vi è un rischio per la vita o per la
salute, ma permane una situazione di incertezza sul piano scientifico, il
principio di precauzione costituisce un meccanismo per determinare misure di
gestione del rischio o altri interventi volti a garantire il livello elevato di
tutela della salute perseguito nella Comunità») sia il successivo art. 7,
rubricato appunto «Principio di precauzione» (che recita:
«1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle
informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi
per la salute ma permanga una situazione d'incertezza sul piano scientifico,
possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie
per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità
persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione
più esauriente del rischio.
2. Le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono proporzionate e prevedono
le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello
elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della
realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se pertinenti. Tali
misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della
natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di
informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza
scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente»).
9.4. Correttamente pertanto il Comune di Vercelli ha ritenuto che la nota dell’ARPAP
più volte citata fosse sufficiente ai sensi dell’art. 50, comma 5, del D.Lgs. n.
267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per
l’irrogazione dei divieti temporanei di coltivazione e di commercializzazione
dei prodotti vegetali provenienti dall’area di proprietà degli appellati.
9.5. Giova ancora soffermarsi, in particolare, sulla diversa base legislativa
che sorregge i due provvedimenti: l’art. 50 del t.u.e.l., a differenza dell’art.
8 del D.M. n. 471/1999, consente infatti al Sindaco di adottare ordinanze
contingibili ed urgenti ogniqualvolta insorgano in ambito locale emergenze
sanitarie o di igiene pubblica che impongano l’improcrastinabile adozione di
misure di contrasto del pericolo.
9.6. La norma non reca una tassativa individuazione di tali emergenze ed affida
piuttosto al ragionevole e proporzionato esercizio della discrezionalità
amministrativa sindacale il delicato compito di sostanziare in parte qua la
serie aperta dei casi di applicazione della disciplina.
9.7. Calati i surriferiti principi al caso di specie, non v’è dubbio che la
potenziale pericolosità di un diffuso consumo di alimenti provenienti da colture
inquinate, in assenza di un preventivo accertamento dell’esatta entità dei
rischi connessi, giustificasse ampiamente la misura interdittiva in parola.
9.8. Non colgono dunque nel segno, con riferimento alla seconda ordinanza
sindacale, i motivi riproposti dagli appellati con i quali si è denunciata la
carenza istruttoria del provvedimento (invero insussistente alla stregua delle
precedenti considerazioni) ed il difetto di proporzione della misura, per
essersi esteso il divieto di coltivazione a tutto il lotto invece che alla sola
porzione, più limitata, apparentemente inquinata (in realtà, ancor oggi manca
un’esatta perimetrazione della zona a rischio di inquinamento e quindi era
giustificata un’interdizione estesa a tutto il sito).
10. Sul punto non può dunque condividersi la sentenza impugnata laddove estende
automaticamente al provvedimento n. 48 del 2003 le conclusioni raggiunte in
ordine all’ingiunzione di ripristino.
L’appello interposto dal Comune di Vercelli va pertanto accolto sul punto e
conseguentemente deve essere emendata in parte la decisione gravata.
11. Sul piano conformativo, stante la natura intrinsecamente provvisoria di ogni
misura adottata ex art. 50, comma 5, del t.u.e.l., l’amministrazione appellante
dovrà sollecitamente disporre, onde non prolungare eccessivamente il vincolo
all’esercizio dell’attività agricola degli appellati, i necessari accertamenti
sopra indicati.
12. In conclusione, l’impugnazione del Comune di Vercelli è fondata nei termini
sopra precisati e, negli stessi termini, segue la riforma della sentenza
appellata.
13. Sussistono giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le
spese di lite del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, accoglie in parte
l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata,
respinge il ricorso di primo grado nella parte diretta contro
l’ordinanza-decreto del Sindaco del Comune di Vercelli n. 48 del 19.2.2003.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, nella camera di consiglio del 28.1.2005, con l’intervento dei signori
magistrati:
Sergio Santoro - Presidente
Giuseppe Farina - Consigliere
Corrado Alleretta - Consigliere
Claudio Marchitiello - Consigliere
Gabriele Carlotti - Consigliere estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
f.to Gabriele Carlotti
f.to Sergio Santoro
f.to Francesco Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 1° LUGLIO 2005
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale
1) Rifiuti - Inquinamento - Bonifica e ripristino ambientale o messa in sicurezza permanente - Soggetti responsabili - Adozione dell’ordinanza - Requisiti - Responsabile dell'inquinamento (mancata individuazione o non provveda e non provveda il proprietario) - Pericolo “concreto” ed ”attuale” - Proprietari del sito da bonificare - Intervento sostitutivo pubblico - D.M. n. 471/1999 - D. L.vo n. 22/1997. In tema di rifiuti, il responsabile dell'inquinamento deve provvedere agli adempimenti di cui all'articolo 7, comma 2, Decreto 25 ottobre 1999, n. 471, entro le quarantotto ore successive alla notifica dell'ordinanza. Se il responsabile dell'inquinamento non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito inquinato né altro soggetto interessato, i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente sono adottati dalla Regione o dal Comune ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22». Sicché, deve ritenersi che la diffida comunale da indirizzarsi, ai sensi dei commi 2 e 3 del D.M. n. 471/1999, al responsabile dell’inquinamento ed ai proprietari del sito da bonificare, non possa prescindere - stante la penosità, anche in termini economici, delle misure di messa in sicurezza (che, quantunque non vincolino direttamente i proprietari, a differenza del responsabile dell’inquinamento, ad un facere, nondimeno ne espongono il patrimonio ad un pati, ossia alla responsabilità derivante dall’obbligo di rifondere le spese di ripristino affrontate dal Comune, mercé il dovere d’intervento sostitutivo pubblico previsto dai commi 9, 10 ed 11 dell’art. 17 del D.Lgs. n. 22/1997) - da un accurato accertamento preventivo dei requisiti di adozione dell’ordinanza, ossia della «presenza di … livelli di inquinamento … superiori ai valori di concentrazione limite accettabili» o «della situazione di pericolo di inquinamento». D’altronde, è lo stesso art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 22/1997 a richiedere, per l’adozione delle misure di bonifica e di ripristino, la sussistenza di un pericolo “concreto” ed ”attuale”. Pres. Santoro - Est. Carlotti - COMUNE DI VERCELLI (avv.ti Szegö e Contaldi) c. VARESE ed altri (avv.ti Manzi e Enoch) (riforma Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, sez. II sentenza n. 822 del 17.4.2003/3.6.2003). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 1 luglio 2005, (C.C. 28/01/2005), Sentenza n. 3677
2) Rifiuti - Interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente - Sussistenza dei presupposti giuridici - Necessità - Principio di proporzionalità. Non è legittima, per mancanza della sussistenza dei presupposti giuridici, l’adozione di un’ordinanza ex art. 8 del D.M. n. 471/1999, emanata sulla base della mera esistenza di un sospetto di inquinamento, del tutto privo delle indefettibili connotazioni di concretezza ed attualità richieste dalla D.Lgs. n. 22/1997. Tale provvedimento, si risolverebbe in un’eccessiva anticipazione della soglia di tutela, in radicale contrasto con il principio di proporzionalità ed, ancor prima, con la stessa lettera della norma primaria. Pres. Santoro - Est. Carlotti - COMUNE DI VERCELLI (avv.ti Szegö e Contaldi) c. VARESE ed altri (avv.ti Manzi e Enoch) (riforma T. A. R. Piemonte, sez. II sentenza n. 822 del 17.4.2003/3.6.2003). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 1 luglio 2005, (C.C. 28/01/2005), Sentenza n. 3677
3) Rifiuti - Inquinamento - Bonifica di un sito inquinato - Divieto di coltivazione di un’area adibita a vegetali destinati all’alimentazione umana od animale - Interdizione dell’uso agricolo del suolo fino al completamento dell’intervento di bonifica - Legittimità - Sussiste - Principio di precauzione. In tema di bonifica di un sito inquinato, è legittimo fino al completamento dell’intervento di bonifica e di ripristino ambientale il divieto di coltivazione di un’area adibita a vegetali destinati all’alimentazione umana od animale. In questi casi anche il “sospetto d’inquinamento” è più che sufficiente per l’interdizione dell’uso agricolo del suolo. Nella specie, correttamente il Comune ha ritenuto che la nota dell’ARPAP fosse sufficiente ai sensi dell’art. 50, comma 5, del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per l’irrogazione dei divieti temporanei di coltivazione e di commercializzazione dei prodotti vegetali provenienti dall’area di proprietà degli appellati. Pres. Santoro - Est. Carlotti - COMUNE DI VERCELLI (avv.ti Szegö e Contaldi) c. VARESE ed altri (avv.ti Manzi e Enoch) (riforma T. A. R. Piemonte, sez. II sentenza n. 822 del 17.4.2003/3.6.2003). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 1 luglio 2005, (C.C. 28/01/2005), Sentenza n. 3677
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