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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO Sezione V, 28 luglio 2005 (c.c. 13/07/2004), Sentenza n. 4057

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2000 ha pronunciato la seguente


decisione


sul ricorso in appello n. 1820/2000 proposto dall’avv. Heinz Cora, rappresentato e difeso dagli avv.ti Köllensperger Hans Jürgen e Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via Flaminia n. 79;
contro
il Comune di Bolzano in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dagli avv.ti Salvatore Giambò, Marco Cappello ed Ettore Prosperi con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via Panisperna n. 104,
e nei confronti
- della Provincia Autonoma di Bolzano, non costituitasi;
- dell’Azienda speciale U.S.L. Centro Sud, non costituitasi;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano n. 270/99 del 14.07.1999 - 05.10.1999;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Udita alla pubblica udienza del 13.07.2004 la relazione del Consigliere Roland Ernst Bernabè e uditi, altresì, l’avv. Lubrano e l’avv.Prosperi.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, l’avv. Heinz Cora ha impugnato la concessione n. 24517 rif. N. 442/98 rilasciatagli in data 14 ottobre 1998 dal Comune di Bolzano ed autorizzante il cambio di destinazione d’uso dell’unità immobiliare p.m. 33 in p. ed 1697 C.C. Gries, situata in Bolzano al Corso Libertà n. 35.


Intendendo il ricorrente adibire tale unità immobiliare ad ufficio aperto al pubblico, aveva chiesto al Comune di Bolzano, con istanza 26.05.1998, il cambio di destinazione d’uso da abitazione ad attività terziaria eccettuato il commercio, senza interventi edilizi, il tutto come previsto dall’art. 75, II comma della legge provinciale 11.08.1997 n. 13.


Il Comune ha rilasciato la concessione come richiesta, però con la limitazione che “gli uffici previsti in progetto non potranno essere destinati ad enti pubblici o a privati che svolgono attività aperte al pubblico o ad aziende soggette al collocamento obbligatorio in quanto non è dimostrata l’accessibilità degli stessi alle persone disabili”.


Tale limitazione, ritenuta illegittima, veniva impugnata dal ricorrente per i seguenti motivi:
1) Illegittimità del parere sanitario su progetto edilizio dd. 16.06.1998 del medico igienista distrettuale dott. Paolo Conci (e conseguentemente anche delle relative e collegate prescrizioni particolari nella concessione).
Violazione e falsa applicazione dell’art. 220 del R.D. 27.07.1934 n. 1265. Incompetenza per materia. Eccesso di potere per travalicamento di poteri. Eccesso di potere per mancanza di motivazione (violazione dell’art. 4 legge regionale 31.07.1993 n. 13).


Le censure erano rivolte agli accertamenti e valutazioni fatte dal medico igienista distrettuale le quali, secondo il ricorrente dovevano riferirsi esclusivamente all’igiene dei fabbricati in sé e per sé considerati (c.d. salubrità degli edifici) e non ad altri aspetti tecnico-urbanistici in relazione ai quali l’ufficiale sanitario (medico igienista) non avrebbe alcuna competenza.


2) Illegittimità del parere sanitario su progetto edilizio dd. 16.06.1998 del medico igienista e dei successivi provvedimenti della Commissione edilizia comunale. Eccesso di potere per mancata adeguata istruttoria da parte del medico igienista. Eccesso di potere per mancanza di motivazione. Eccesso di potere per sviamento di fatto e mancato accertamento di fatto.


Ritiene il ricorrente che per singole unità immobiliari (e non edifici) non vi sia la necessità di eseguire le opere relative all’accessibilità degli uffici alle persone disabili.


In via subordinata il ricorrente evidenziava un errore di fatto e un mancato accertamento di fatto, nonchè sviamento di fatto in quanto il tecnico di fiducia del ricorrente, contestualmente alla presentazione della domanda di concessione edilizia, ha prodotto la dichiarazione ai sensi dell’art. 1 della legge 13 del 09.01.1989 con la quale lo steso tecnico dichiara che sono state rispettate le norme per favorire il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati. Come ultima carenza di istruttoria il ricorrente deduceva l’omesso sopralluogo. L’Amministrazione non ha mai verificato, sul luogo, l’accessibilità o meno degli uffici alle persone disabili.


Il ricorrente denunciava, inoltre, difetto di motivazione, in quanto gli organi comunali avrebbero dovuto specificare e motivare espressamente quali erano i motivi per cui non sarebbe stata dimostrata l’accessibilità agli edifici alle persone disabili e quali erano gli interventi necessari e non rispettati.


3) Violazione e falsa applicazione:
dell’art. 1 della legge 09.01.1989 n. 13, dell’art.24 della legge 05.02.1992 n. 104, dell’art. 1 del D.P.R. 24.07.1996 n. 503, degli artt. 1 e 2 del D.M. 14.06.1989 n. 236, dell’art. 5 legge 28.01.1977 n. 10, dell’art. 75, II comma legge provinciale 11.08.1997 n. 13.


Con riferimento alle norme precitate il ricorrente evidenziava che la prescrizione del medico igienista distrettuale e della concessione edilizia n. 351/98, non era applicabile a singole unità immobiliari, peraltro costruite 40 anni prima che intervenisse qualsiasi normativa relativa ai disabili. In ogni modo la limitazione imposta dal Comune di Bolzano sarebbe illegittima in quanto l’accessibilità alle persone disabili non sarebbe prevista, nel caso concreto, da alcuna norma di legge, in quanto si tratterebbe di una mera modifica di destinazione d’uso, senza alcuna opera edilizia, e relativa a una singola unità immobiliare e non ad un ufficio.


4) Eccesso di potere per disparità di trattamento.


5) Violazione del principio di regolarizzabilità o integrabilità della domanda o della documentazione prodotta. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 12 e 13 della L.R. 30.07.1993 n. 13 nonché art. 6 della L.P. 22.10.1993 n. 17.


6) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 59 della L.P. n. 13 dell’11.08.1997 nonché dell’art. 75 della stessa legge. Eccesso di potere per sviamento ed errore di fatto.


7) Eccesso di potere per travisamento dei fatti e violazione dell’art. 75 L.P. 11.08.1997 n. 13.


Con sentenza n. 270 del 14.07.1999 il Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma per la Provincia di Bolzano - ha respinto il ricorso.


Avverso tale decisione ha proposto appello l’avv. Heinz Cora denunciando l’erronea interpretazione fatta dai giudici di primo grado delle norme da applicarsi al cambiamento di destinazione d’uso in questione, nonché delle disposizioni che dovevano essere rispettate nel relativo procedimento amministrativo. L’appellante, in sostanza, deduce e reitera le censure già proposte in primo grado e come riportate in narrativa.


Si è costituito il Comune di Bolzano controdeducendo e chiedendo il rigetto dell’appello.


Non si sono costituiti né la Provincia di Bolzano né l’U.S.L. Centro Sud.


All’udienza del 13 luglio 2004 il ricorso in appello è passato in decisione.


DIRITTO


L’appello è fondato.


L’appellante deduce le seguenti censure relativamente al procedimento amministrativo in esame:
- mancanza di istruttorie, in quanto sarebbe stato compito del medico igienista distrettuale effettuare un sopralluogo e verificare l’accessibilità dell’ufficio alle persone disabili;
- difetto di motivazione in quanto il medico igienista prima e successivamente gli organi comunali avrebbero dovuto specificare e motivare espressamente quali erano le ragioni per cui non sarebbe stata dimostrata l’accessibilità all’ufficio alle persone disabili, quali erano gli interventi necessari e non rispettati, e ciò a maggior ragione di fronte ad una dichiarazione espressa del tecnico del ricorrente che confermava il contrario;
- violazione dei principi della regolarizzabilità e integrabilità della domanda e documentazione prodotta.


Le censure hanno fondamento.


1. A fronte di una precisa domanda del cittadino l’Amministrazione può negare o limitare la concessione richiesta soltanto in seguito a una approfondita verifica della mancanza dei relativi presupposti. E’ opportuno ricordare che sotto il profilo probatorio il richiedente un atto amministrativo ha oneri minori rispetto a quelli previsti in ambito processuale e ciò comporta l’ampliamento dei doveri del responsabile del procedimento, il quale deve attivarsi - in ossequio al principio inquisitorio applicabile nell’ambito dell’ordinamento amministrativo - al fine di acquisire tutti gli elementi di valutazione necessari o comunque, utili per consentire l’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento. Qualora la normativa applicabile sia dettagliata e specifica, il margine di autonomia del responsabile del procedimento sarà ridotto ed egli non potrà fare altro che seguire la strada tracciata dalla disciplina applicabile al caso concreto sotto il profilo dei requisiti e dei fatti da accertare (sono un esempio le procedure concorsuali caratterizzate dalla salvaguardia della par condicio dei concorrenti). Nei relativi procedimenti il rapporto fra istante e Autorità amministrativa è condizionato da criteri che impongono all’Amministrazione comportamenti neutri, tali da precluderle addirittura, in certi casi, di interloquire attivamente con l’istante stesso.


Non è il caso in esame. Anzi, nei procedimenti che si concludono con un atto concessorio, soltanto la massima apertura e disponibilità dell’Amministrazione al dialogo con il richiedente, nonché la spontanea istruttoria d’ufficio saranno sufficiente garanzia del buon funzionamento dell’azione amministrativa. E’ quindi a criteri di massima cooperazione che dovrà essere informato il comportamento dell’Amministrazione nell’esercizio dei relativi poteri al fine di dare al richiedente tutte le possibilità per esporre, illustrare e chiarire le proprie ragioni e per dimostrare il proprio diritto alla concessione.


Sono questi i principi che discendono dalla lettura della normativa sul procedimento amministrativo e della relativa giurisprudenza.


Nella fattispecie, pertanto, dovendo essere informata l’istruttoria al principio della iniziativa d’ufficio, il responsabile del procedimento aveva il potere-dovere di acquisire d’ufficio, (nell’ottica della tutela della buona fede e dell’affidamento del cittadino) ogni elemento utile e di invitare l’interessato a regolarizzare a sua volta la documentazione prodotta, in ossequio ai principi generali di leale cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.


2. Rievocare queste riflessioni è utile ai fini del giudizio sulla correttezza del procedimento in esame, riguardante il cambiamento della destinazione d’uso di un immobile.


Risulta dagli atti che è stata presentata dall’interessato una documentazione non in tutto rispondente a quanto ritenuto necessario dall’Amministrazione comunale di Bolzano. Accertato che la dichiarazione relativa all’eliminazione delle barriere architettoniche era incompleta - almeno ad avviso dell’Ufficio competente - il Comune ha adottato un provvedimento concessorio limitato e condizionato, sulla base della documentazione in atti, senza preoccuparsi però se quanto concesso era anche in sintonia con quanto richiesto dall’interessato, il quale aveva presentato una domanda chiara e precisa.


Alla luce delle riflessioni che precedono si ritiene che l’Amministrazione, prima di adottare il provvedimento, avrebbe dovuto interpellare il richiedente e chiedere precisazioni documentali atte a integrare la dichiarazione sulle barriere architettoniche, ritenuta insufficiente. Così come il Comune avrebbe potuto, anzi dovuto, fare accertamenti sul posto, essendo il sopralluogo un mezzo istruttorio da adottarsi d’ufficio in caso di incertezze e dubbi sulla portata della documentazione prodotta. Infine l’Ufficio comunale avrebbe dovuto dare le opportune spiegazioni, con apposita comunicazione e a procedimento ancora aperto, circa la effettiva realizzabilità o meno delle intenzioni del richiedente invitandolo a una nuova valutazione della richiesta stessa. Trattasi di misure che rientrano tutte nei poteri-doveri del responsabile del procedimento come delineati dalla legge n. 241/90 e dalle norme ad essa corrispondenti, ai fini di un’azione amministrativa coerente con i principi della massima cooperazione fra Amministrazione e cittadini. Al riguardo si rileva che la dizione “può chiedere……” di cui all’art. 6, lett. B, della citata legge n. 241/90 è sempre stata intesa come potere discrezionale solo per la scelta dei mezzi, non però relativamente alla sostanza del dovere del funzionario (ritenuto comportamento vincolato) di attivarsi per chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete, e per esperire accertamenti tecnici ed ispezioni e ordinare esibizioni documentali.


Diversamente da quanto opinato dal Comune appellato, l’esperimento dell’accertamento tecnico, anche tramite sopralluogo se necessario, è quindi un obbligo previsto da una norma generale e va pertanto osservato, a prescindere da norme specifiche che lo prevedano espressamente per il caso concreto. Nella fattispecie, un sopralluogo non è mai stato fatto, e lo stesso Comune lo ammette. Sulle contestate barriere architettoniche non si è, pertanto, mai avuto una completa e definitiva certezza istruttoria, atteso che soltanto un accertamento tecnico sul posto avrebbe potuto comportare un chiarimento conclusivo.


Nella propria memoria difensiva il Comune appellato non fornisce elementi che possano validamente confutare la denunciata carenza istruttoria. Il Comune, infatti, non dà alcuna prova né di effettuati accertamenti tecnici in loco, né della richiesta d’ufficio di documenti più precisi che avessero potuto integrare e regolarizzare la documentazione già in atti, né infine di comunicazioni informative ed esplicative che fossero state trasmesse all’interessato prima dell’adozione del provvedimento.


3. Orbene, il provvedimento concessorio adottato dal Comune di Bolzano non è quello che avrebbe voluto l’appellante, il quale si duole perciò dell’errata percezione delle sue intenzioni da parte dell’Amministrazione. Sarebbe stata travisata la domanda proposta.


La doglianza è fondata.


Infatti, se l’Amministrazione non era in grado di conoscere e di intuire tutto quello che l’interessato aveva richiesto si imponeva una verifica della domanda in contraddittorio con il richiedente stesso, onde evitare che quest’ultimo alla fine non si trovasse davanti al fatto compiuto di un risultato mai voluto. Al riguardo va osservato che il cittadino potrebbe, in ipotesi, avere interesse a rinunciare al rilascio di una concessione già chiesta, una volta resosi conto che quanto concedibile dall’Amministrazione non comporta il vantaggio da lui sperato.


La concessione contenente un parziale diniego potrebbe risolversi addirittura in un peggioramento rispetto alla situazione originaria. Anche nella fattispecie è ipotizzabile che l’appellante, in definitiva, potesse avere dei motivi per lasciare le cose come erano, considerando che l’uso dell’immobile come abitazione non era - in termini di rendita - meno conveniente di un ufficio con utilizzabilità limitata. Era, comunque, un’ipotesi che avrebbe dovuto essere verificata dal responsabile del procedimento. Invero, nel nuovo procedimento amministrativo, che voglia essere veramente “buergernah” (una espressione spesso usata nelle Amministrazioni della provincia di Bolzano) non dovrebbe più avere cittadinanza la rigidità del vecchio principio “electa una via, non datur recursus ad alteram”(in versione amministrativa, si intende). Non sempre, infatti, la semplice rinuncia al provvedimento di concessione già adottato - ed è il caso in esame - rimette l’interessato nei diritti di prima.


Il giusto procedimento dovrebbe garantire, quindi, al cittadino la facoltà di disporre, in qualsiasi momento, della propria iniziativa. Tale facoltà e la possibilità di adeguare le proprie scelte a situazioni mutate nel corso del procedimento, risultano vanificate quando l’Autorità amministrativa omette di rendere il procedimento sufficientemente trasparente, con le dovure comunicazioni interlocutorie.


4. L’appellante ha censurato il provvedimento impugnato anche per difetto di motivazione. E’ fondato pure tale motivo.


Siccome il provvedimento concessorio in questione, per le limitazioni e condizioni apposte, contiene anche dei dinieghi, le ragioni di tali dinieghi avrebbero dovuto essere spiegati con puntuali riferimenti normativi ed istruttori. Il provvedimento è privo di una siffatta motivazione.


Attesa l’assorbente fondatezza delle censure sopra esaminate, si può prescindere da un approfondimento degli ulteriori motivi dedotti.


Il ricorso in appello, in definitiva, deve essere accolto, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.


Le spese, tuttavia, possono essere compensate.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quinta) definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.


Spese compensate.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, addì 13 luglio 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione quinta - in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti magistrati:
Emidio Frascione Presidente
Rosalia Maria Pietronilla Bellavia Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere
Roland Ernst Bernabè Consigliere, est.
Cesare Lamberti Consigliere

 

L'ESTENSORE                                        IL PRESIDENTE                                               IL DIRIGENTE
f.to Roland Ernst Bernabè                         f.to Emidio Frascione                                         f.to Antonio Natale
 


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28 luglio 2005
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)



 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Pubblica amministrazione - Procedimento amministrativo - Emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento - Presupposti - Responsabile del procedimento - Autonomia - Limiti - Principio di neutralità del comportamento. A fronte di una precisa domanda del cittadino l’Amministrazione può negare o limitare la concessione richiesta soltanto in seguito a una approfondita verifica della mancanza dei relativi presupposti. E’ opportuno ricordare che sotto il profilo probatorio il richiedente un atto amministrativo ha oneri minori rispetto a quelli previsti in ambito processuale e ciò comporta l’ampliamento dei doveri del responsabile del procedimento, il quale deve attivarsi - in ossequio al principio inquisitorio applicabile nell’ambito dell’ordinamento amministrativo - al fine di acquisire tutti gli elementi di valutazione necessari o comunque, utili per consentire l’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento. Qualora la normativa applicabile sia dettagliata e specifica, il margine di autonomia del responsabile del procedimento sarà ridotto ed egli non potrà fare altro che seguire la strada tracciata dalla disciplina applicabile al caso concreto sotto il profilo dei requisiti e dei fatti da accertare (sono un esempio le procedure concorsuali caratterizzate dalla salvaguardia della par condicio dei concorrenti). Nei relativi procedimenti il rapporto fra istante e Autorità amministrativa è condizionato da criteri che impongono all’Amministrazione comportamenti neutri, tali da precluderle addirittura, in certi casi, di interloquire attivamente con l’istante stesso. Pres. Frascione - Est. Bernabè - Cora (avv.ti Jürgen e Lubrano) c. Comune di Bolzano (avv.ti Giambò, Cappello e Prosperi), (annulla Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano n. 270/99 del 14.07.1999 - 05.10.1999). CONSIGLIO DI STATO Sezione V, 28 luglio 2005 (c.c. 13/07/2004), Sentenza n. 4057

2) Pubblica amministrazione - Procedimento amministrativo - Procedimenti che si concludono con un atto concessorio - Garanzia del buon funzionamento dell’azione amministrativa - Criteri di massima cooperazione - Istruttoria - Principio della iniziativa d’ufficio - Principio d’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. Nei procedimenti che si concludono con un atto concessorio, soltanto la massima apertura e disponibilità dell’Amministrazione al dialogo con il richiedente, nonché la spontanea istruttoria d’ufficio saranno sufficiente garanzia del buon funzionamento dell’azione amministrativa. E’ quindi a criteri di massima cooperazione che dovrà essere informato il comportamento dell’Amministrazione nell’esercizio dei relativi poteri al fine di dare al richiedente tutte le possibilità per esporre, illustrare e chiarire le proprie ragioni e per dimostrare il proprio diritto alla concessione. Sono questi i principi che discendono dalla lettura della normativa sul procedimento amministrativo e della relativa giurisprudenza. Nella fattispecie, pertanto, dovendo essere informata l’istruttoria al principio della iniziativa d’ufficio, il responsabile del procedimento aveva il potere-dovere di acquisire d’ufficio, (nell’ottica della tutela della buona fede e dell’affidamento del cittadino) ogni elemento utile e di invitare l’interessato a regolarizzare a sua volta la documentazione prodotta, in ossequio ai principi generali di leale cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. . Pres. Frascione - Est. Bernabè - Cora (avv.ti Jürgen e Lubrano) c. Comune di Bolzano (avv.ti Giambò, Cappello e Prosperi), (annulla Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano n. 270/99 del 14.07.1999 - 05.10.1999). CONSIGLIO DI STATO Sezione V, 28 luglio 2005 (c.c. 13/07/2004), Sentenza n. 4057

3) Pubblica amministrazione - Giusto procedimento amministrativo - Dichiarazioni ritenute insufficienti - Richiesta d’integrazione documentale o precisazioni - Necessità - Urbanistica e edilizia - Fattispecie: cambiamento della destinazione d’uso di un immobile, con contestazione delle barriere architettoniche. In tema di corretto procedimento, l'Amministrazione, prima di adottare un provvedimento, deve interpellare il richiedente e chiedere precisazioni documentali atte a integrare le dichiarazioni ritenute insufficienti. Nello specifico, il Comune avrebbe potuto, anzi dovuto, fare accertamenti sul posto, essendo il sopralluogo un mezzo istruttorio da adottarsi d’ufficio in caso di incertezze e dubbi sulla portata della documentazione prodotta. Infine l’Ufficio comunale avrebbe dovuto dare le opportune spiegazioni, con apposita comunicazione e a procedimento ancora aperto, circa la effettiva realizzabilità o meno delle intenzioni del richiedente invitandolo a una nuova valutazione della richiesta stessa. Trattasi di misure che rientrano tutte nei poteri-doveri del responsabile del procedimento come delineati dalla legge n. 241/90 e dalle norme ad essa corrispondenti, ai fini di un’azione amministrativa coerente con i principi della massima cooperazione fra Amministrazione e cittadini. Fattispecie: cambiamento della destinazione d’uso di un immobile, con contestazione delle barriere architettoniche. . Pres. Frascione - Est. Bernabè - Cora (avv.ti Jürgen e Lubrano) c. Comune di Bolzano (avv.ti Giambò, Cappello e Prosperi), (annulla Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano n. 270/99 del 14.07.1999 - 05.10.1999). CONSIGLIO DI STATO Sezione V, 28 luglio 2005 (c.c. 13/07/2004), Sentenza n. 4057

4) Pubblica amministrazione - Giusto procedimento - Garanzie. Il giusto procedimento deve garantire, al cittadino la facoltà di disporre, in qualsiasi momento, della propria iniziativa. Tale facoltà e la possibilità di adeguare le proprie scelte a situazioni mutate nel corso del procedimento, risultano vanificate quando l’Autorità amministrativa omette di rendere il procedimento sufficientemente trasparente, con le dovute comunicazioni interlocutorie. Pres. Frascione - Est. Bernabè - Cora (avv.ti Jürgen e Lubrano) c. Comune di Bolzano (avv.ti Giambò, Cappello e Prosperi), (annulla Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano n. 270/99 del 14.07.1999 - 05.10.1999). CONSIGLIO DI STATO Sezione V, 28 luglio 2005 (c.c. 13/07/2004), Sentenza n. 4057

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