Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sui ricorsi riuniti nn. 11463/2000, 11464/2000, 11465/2000 e 11466/2000,
proposti:
1. quanto al ricorso n. 11463/2000, da Peyla Pietro Stefano, in proprio e quale
legale rappresentante delle società Dafne et Cloe Immobil s.a.s., con sede in
Torino, Immobiliare agricola Isola s.a.s., con sede in Torino, Nuove cave Torino
s.r.l. con sede in Carignano, tutti rappresentati e difesi, tanto congiuntamente
quanto disgiuntamente, dagli avvocati Marco Siniscalco, Riccardo Montanaro e
Paolo Vaiano con domicilio eletto in Roma Lungotevere Marzio n. 3, presso lo
studio Vaiano;
contro
a) Il Comune di Carmagnola, in persona del suo legale rappresentante Sindaco in
carica pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Piero Golinelli del foro di
Mondovì e dall’avv. Riccardo Dalla Vedova, con elezione di domicilio presso il
secondo in Roma via Bachelet n. 12;
b) la Regione Piemonte, in persona del Presidente in carica della Giunta
regionale On. Enzo Ghigo, rappresentato e difeso dagli avv. Anita Ciavarra ed
Gabriele Pafundi con domicilio eletto presso il secondo in Roma viale Giulio
Cesare n. 14;
c) l’Ente parco fluviale del Po torinese, in persona del Presidente in carica
pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Enrichens e Giuseppe
Ramadori presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via Marcello
Prestinari n. 13;
e nei confronti
della Cave Germaire s.p.a. e dell’Escavazione sabbia ed affini Monviso s.p.a.,
in persona, rispettivamente, di Colombino Antonio e Guidone Paolo, entrambe
rappresentate e difese dagli avv. Giorgio Santilli ed Enrico Romanelli presso il
quale sono elettivamente domiciliati in Roma via Cosseria n. 5;
del Comune di Carignano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. 1, del
27 luglio 2000, n. 899, non notificata, con la quale è stato dichiarato
inammissibile il ricorso proposto contro la deliberazione del Consiglio comunale
di Carmagnola n. 25, in data 31 marzo 1999, pubblicata a far data dal 20 aprile
1999, avente ad oggetto: “approvazione P.E.C. delle società Germaire s.p.a. -
Cave Monviso s.p.a. - progetto esecutivo di sistemazione definitiva”; nonché
contro tutti gli atti ed elaborati del piano esecutivo convenzionato così
approvato; nonché contro tutti gli atti della procedura di formazione e
approvazione, tra cui in specie la deliberazione del Consiglio comunale di
Carmagnola n. 24 in data 31 marzo 1999, pubblicata a far data dal 20 aprile
1999, avente ad oggetto: “ambito 15 del piano d’area- piano esecutivo
convenzionato dal subambito di proprietà di Cave Germaire s.p.a e Monviso s.p.a.
controdeduzioni alle osservazioni pervenute”; e contro tutti i pareri acquisiti
nel corso della procedura e richiamati nella motivazione degli atti comunali,
solo in parte conosciuti; nonché, in via subordinata e ove occorre, contro
l’art. 4.1 delle norme di attuazione del piano d’area approvato con
deliberazione del consiglio regionale n. 982-4328 dell’8 marzo 1998.
2. quanto al ricorso n. 11464/2000, da Peyla Pietro Stefano, in proprio e quale
legale rappresentante delle società Dafne et Cloe Immobil s.a.s., con sede in
Torino, Immobiliare agricola Isola s.a.s., con sede in Torino, Nuove cave Torino
s.r.l. con sede in Carignano, tutti rappresentati e difesi, tanto congiuntamente
quanto disgiuntamente, dagli avvocati Marco Siniscalco, Riccardo Montanaro e
Paolo Vaiano con domicilio eletto in Roma Lungotevere Marzio n. 3, presso lo
studio Vaiano;
contro
a) la Regione Piemonte, in persona del presidente in carica della Giunta
regionale On. Enzo Ghigo rappresentato e difeso dagli avv. Anita Ciavarra ed
Gabriele Pafundi con domicilio eletto presso il secondo in Roma viale Giulio
Cesare n. 14;
b) l’Ente parco fluviale del Po torinese, in persona del presidente in carica
pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Enrichens e Giuseppe
Ramadori presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via Marcello
Prestinari n. 13;
c) il comune di Carmagnola, in persona del Sindaco in carica pro-tempore sig.
Elia Angelo, rappresentato e difeso dall’avv. Piero Golinelli del foro di
Mondovì e dall’avv., Riccardo Dalla Vedova e con elezione di domicilio presso il
secondo in Roma via Bachelet, n. 12;
e nei confronti
dell’Escavazione sabbia ed affini Monviso s.p.a., in persona di Ghione comm.
Paolo rappresentate e difese dagli avv. Giorgio Santilli ed Enrico Romanelli
presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma via Cosseria n. 5;
del Comune di Carignano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
delle Cave Germaire s.p.a. non costituita.
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. 1, del
27 luglio 2000, n. 901, non notificata, con la quale è stato dichiarato
inammissibile il ricorso proposto contro tutti gli atti con cui è stata concessa
alla società Monviso l’autorizzazione biennale per l’ampliamento di una cava in
località San Michele del comune di Carmagnola ed in specie:
determinazione del direttore della direzione industria della regione Piemonte n.18
del 22 marzo 1999, avente ad oggetto “l.r. 22 novembre 1979, n.69 -coltivazione
di cave e torbiere; ll.rr. 28/1999, 65/1995 e 38/1998. Autorizzazione per la
prosecuzione ed ampliamento di una cava in località San Michele nel comune di
Carmagnola-Ditta Monviso s.p.a.”;
autorizzazione a firma del direttore di ripartizione programmazione territoriale
ed urbanistica del comune di Carmagnola n. 21 del 23 febbraio 1999, in
applicazione dell’art. 7 l. 1497/1999;
deliberazione del consiglio direttivo dell’Ente di gestione del Sistema delle
aree protette dalla fascia fluviale del Po n. 159/98 del 17 dicembre 1998,
avente ad oggetto “comune di Carmagnola-istanza parere di autorizzazione ai
sensi della l. 431/1998 realizzazione dei lavori previsti primo biennio del
progetto di sistemazione definitiva area delle cave sita in località San Michele
e Germaire comuni di Carignano e Carmagnola. Parere e adozione bozza di
convenzione art. 3.10 delle norme di attuazione attività Cave Monviso”;
atti tutti di cui i ricorrenti sono venuti a conoscenza in data 16 settembre
1999, a seguito di accesso e rilascio di copia presso il settore pianificazione
e verifica attività estrattiva della regione Piemonte,come attestato da nota
prot. n. 8323/16.4 in data 22 settembre 1999 a firma del responsabile di detto
servizio regionale; nonché contro tutti gli altri atti presupposti, connessi e
conseguenti,anche non conosciuti, tra cui il parere espresso dalla commissione
tecnica consultiva regionale perle cave ex art. 6 l.r. 69/1978.
3. quanto al ricorso n. 11465/2000, da Peyla Pietro Stefano, in proprio e quale
legale rappresentante delle società Dafne et Cloe Immobil s.a.s., con sede in
Torino, Immobiliare agricola Isola s.a.s., con sede in Torino, Nuove cave Torino
s.r.l. con sede in Carignano, tutti rappresentati e difesi, tanto congiuntamente
quanto disgiuntamente, dagli avvocati Marco Siniscalco, Riccardo Montanaro e
Paolo Vaiano con domicilio eletto in Roma Lungotevere Marzio n. 3, presso lo
studio Vaiano;
contro
a) la Regione Piemonte, in persona del presidente in carica della Giunta
regionale On. Enzo Ghigo rappresentato e difeso dagli avv. Anita Ciavarra ed
Gabriele Pafundi con domicilio eletto presso il secondo in Roma viale Giulio
Cesare n. 14;
b) l’Ente parco fluviale del Po torinese, in persona del presidente in carica
pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Enrichens e Giuseppe
Ramadori presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via Marcello
Prestinari n. 13;
c) Il Comune di Carmagnola, in persona del suo legale rappresentante Sindaco in
carica pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Piero Golinelli del foro di
Mondovì e dall’avv. Riccardo Dalla Vedova, con elezione di domicilio presso il
secondo in Roma via Bachelet n. 12;
e nei confronti
a) delle Cave Germaire s.p.a., con sede in Carignano, in persona dei Colombino
Antonio, Presidente del c.d.a., rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio
Santilli ed Enrico Romanelli presso il quale in Roma via Cosseria 5 è
elettivamente domiciliata,
b) della Escavazione sabbia ed affini Monviso s.p.a. con sede in Casalgrosso,
non costituita;
del Comune di Carignano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale Piemonte, Sez. I, 27
luglio 2000 n. 902, non notificata, con la quale è stato dichiarato
inammissibile il ricorso proposto contro tutti gli atti con cui è stata concessa
alla società Cave Germaire l’autorizzazione biennale per l’ampliamento di una
cava in località Germaire del Comune di Carmagnola, ed in specie:
determinazione del direttore della direzione industria della Regione Piemonte n.
19 del 22 marzo 1999, avente ad oggetto “l.r. 22 novembre 1979, n.69-
coltivazione di cave e torbiere; ll.rr. 28/1999, 65/1995 e 38/1998.
Autorizzazione per la prosecuzione ed ampliamento di una cava in località
Germaire nel Comune di Carmagnola - Ditta Cave Germaire s.p.a.”;
autorizzazione a firma del direttore di ripartizione programmazione territoriale
ed urbanistica del Comune di Carmagnola n. 20 del 23 febbraio 1999, in
applicazione dell’art. 7 l. 1497/1999;
deliberazione del consiglio direttivo dell’Ente di gestione del Sistema delle
aree protette dalla fascia fluviale del Po n. 159/98 del 17 dicembre 1998,
avente ad oggetto “Comune di Carmagnola-istanza parere di autorizzazione ai
sensi della l. 431/1998 realizzazione dei lavori previsti primo biennio del
progetto di sistemazione definitiva area delle cave sita in località San Michele
e Germaire comuni di Carignano e Carmagnola. Parere e adozione bozza di
convenzione art. 3.10 delle norme di attuazione attività Cave Monviso”;
atti tutti di cui i ricorrenti sono venuti a conoscenza in data 16 settembre
1999, a seguito di accesso e rilascio di copia presso il settore pianificazione
e verifica attività estrattiva della Regione Piemonte, come attestato da nota
prot. n. 8323/16.4 in data 22 settembre 1999 a firma del responsabile di detto
servizio regionale; nonché contro tutti gli altri atti presupposti, connessi e
conseguenti, anche non conosciuti, tra cui il parere espresso dalla commissione
tecnica consultiva regionale per le cave ex art. 6 l.r. 69/1978.
4. quanto al ricorso n. 11466/2000, da Peyla Pietro Stefano, in proprio e quale
legale rappresentante delle società Dafne et Cloe Immobil s.a.s., con sede in
Torino, Immobiliare agricola Isola s.s., con sede in Torino, Nuove cave Torino
s.r.l. con sede in Carignano, tutti rappresentati e difesi, tanto congiuntamente
quanto disgiuntamente, dagli avvocati Marco Siniscalco, Riccardo Montanaro e
Paolo Vaiano con domicilio eletto in Roma Lungotevere Marzio n. 3, presso lo
studio Vaiano;
contro
a) il Comune di Carignano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
b) la Regione Piemonte, in persona del Presidente in carica della Giunta
regionale On. Enzo Ghigo rappresentato e difeso dagli avv. Anita Ciavarra e
Gabriele Pafundi con domicilio eletto presso il secondo in Roma viale Giulio
Cesare n. 14;
c) l’Ente parco fluviale del Po torinese, in persona del Presidente in carica
pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Enrichens e Giuseppe
Ramadori presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via Marcello
Prestinari n. 13;
e nei confronti
delle Cave Germaire s.p.a. e dell’Escavazione sabbia ed affini Monviso s.p.a.,
in persona, rispettivamente, di Colombino Antonio e Guidone Paolo, entrambe
rappresentate e difese dagli avv. Giorgio Santilli ed Enrico Romanelli presso il
quale sono elettivamente domiciliati in Roma via Cosseria n. 5;
del Comune di Carmagnola, in persona del Sindaco pro tempore non costituito;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. I, 27
luglio 2000 n. 900, non notificata,con la quale è stato dichiarato inammissibile
il ricorso proposto contro la deliberazione del Consiglio comunale di Carignano
n. 27 in data 9 aprile 1999, pubblicata a far data dal 30 aprile 1999, avente ad
oggetto “approvazione P.E.C. delle società Germaire s.p.a. - Cave Monviso s.p.a.
-progetto esecutivo di sistemazione definitiva”; nonché contro tutti gli atti ed
elaborati del piano esecutivo convenzionato così approvato; nonché contro nonché
contro tutti gli atti della procedura di formazione e approvazione, tra cui in
specie la deliberazione del Consiglio comunale di Carignano n. 26 in data 9
aprile 1999, pubblicata a far data dal 30 aprile 1999, avente ad oggetto:
“P.E.C. delle società Cave Germaire s.p.a. e Cave Monviso s.p.a. -progetto
esecutivo di sistemazione definitiva- controdeduzioni alle osservazioni
pervenute”; e contro tutti i pareri acquisiti nel corso della procedura e
richiamati nella motivazione degli atti comunali, solo in parte conosciuti;
nonché, in via subordinata e ove occorre, contro l’art. 4.1 delle norme di
attuazione del piano d’area approvato con deliberazione del consiglio regionale
n. 982-4328 dell’8 marzo 1998.
Visto i ricorsi con i relativi allegati.
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle indicate parti intimate.
Visti gli atti tutti di causa.
Udita alla pubblica udienza del 5 novembre 2004 la relazione del consigliere
Sabino Luce e sentiti, altresì, l’avv. Diego Vaiano per delega dell’avv. Paolo
Vaiano, l’avv. Dalla Vedova, l’avv. Pafundi per sé e per delega dell’avv.
Santilli e l’avv. Enrichens;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. Con sentenza n. 899/00, del 5/27 luglio 2000, il Tribunale amministrativo
regionale del Piemonte, Sezione I, dichiarava inammissibile il ricorso (n.
1206/99) proposto da Peyla Stefano, in proprio e quale legale rappresentante
della società Dafne et Cloe Immobil s.a.s., Immobiliare Isola s.s. e Nuove cave
Torino s.r.l. contro il comune di Carmagnola, la Regione Piemonte e l’ente Parco
fluviale del Po torinese e nei confronti della Cave Germaire s.p.a. ed
Escavazione sabbia ed affini Monviso s.p.a., nonché del comune di Carignano. Il
ricorso era stato proposto per l’annullamento della deliberazione del Consiglio
comunale di Carmagnola del 31 marzo 1999, n. 25 avente ad oggetto “ambito 15
piano d’area-piano esecutivo convenzionato del subambito di proprietà di Cave
Germaire s.p.a. e Monviso s.p.a. - approvazione”; nonché di tutti gli atti ed
elaborati del piano esecutivo così approvato; nonché di tutti gli atti della
procedura di formazione ed approvazione, tra cui in specie la deliberazione del
Consiglio comunale di Carmagnola in data 31 marzo 1999, n. 24 avente ad oggetto
“ambito 15 del piano d’area-piano esecutivo convenzionato di subambito di
proprietà Cave Germaire s.p.a. e Monviso s.p.a. - controdeduzioni alle
osservazioni pervenute; e di tutti i pareri acquisiti nel corso della procedura
e richiamati nella motivazione degli atti comunali; nonché, in via subordinata
ed ove occorra dell’art. 4.1. delle norme d’attuazione del piano d’area
approvato con deliberazione del Consiglio regionale in data 8 marzo 1995, n.
982-4328”.
La declaratoria d’inammissibilità del ricorso traeva giustificazione, nella
valutazione del Tribunale amministrativo regionale, dalla mancata dimostrazione
da parte dei soggetti ricorrenti della proprietà o della disponibilità di aree
inserite nell’ambito del piano d’area impugnato, o comunque dall’attuazione
dello stesso pregiudicate.
Contro l’indicata sentenza ha proposto appello a questo Consiglio di Stato Peyla
Stefano in proprio e quale legale rappresentante delle società Dafne et Cloe
Immobil s.a.s., Immobiliare agricola Isola s.s. e Nuove cave Torino chiedendo la
riforma della decisione di primo grado con annullamento degli atti ivi
impugnati. Si sono costituiti per resistere al ricorso il comune di Carmagnola,
la regione Piemonte, l’ente Parco fluviale del Po torinese, le Cave Germaire
s.p.a., l’Escavazione sabbia ed affini s.p.a. ed il comune di Carignano. Il
ricorso è stato chiamato per l’udienza odierna al cui esito è stato trattenuto
in decisione dal collegio.
Con altre tre sentenze, rispettivamente n. 900/00, 901/00 e 902/00, sempre del
5/27 luglio 2000, lo stesso Tribunale amministrativo regionale pronunziava
analoga declaratoria d’inammissibilità di altrettanti ulteriori ricorsi (nn.
1207/99, 1982/99 e 1983/99) proposti da Peyla Stefano, in proprio e
nell’indicata qualità, nei confronti dei medesimi menzionati enti e società ed
intesi ad ottenere, rispettivamente: a) quanto al ricorso n. 1207/99,
l’annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Carignano in data 9
aprile 1999, n. 27 avente ad oggetto “approvazione P.E.C. delle società Germaire
s.p.a. -Cave Monviso s.p.a. -Progetto esecutivo di sistemazione definitiva e di
tutti gli atti della procedura di formazione ed approvazione”; b) quanto al
ricorso n. 1982/99, di tutti gli atti con cui era stata concessa alla società
Monviso s.p.a. l’autorizzazione biennale per l’ampliamento di una cava in
località S. Michele del comune di Carmagnola; c) quanto al ricorso n. 1983/99,
di tutti gli atti con cui era stata concessa alla società Cave Germaire s.p.a.
l’autorizzazione biennale per l’ampliamento di una cava in località Germaire del
comune di Carmagnola.
Anche avverso tali sentenze il Peryla Stefano, in proprio e nell’indicata
qualità, ha proposto appello a questo Consiglio di Stato chiedendone la riforma
con l’annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado. In tali giudizi
si sono costituiti, per resistere all’impugnazione, i medesimi enti e società
precedentemente indicati ed all’esito dell’udienza odierna anche tali ricorsi
sono stati trattenuti in decisione dal collegio.
DIRITTO
I ricorsi, in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, vanno riuniti e
congiuntamente esaminati.
2. La legge regionale del Piemonte n. 28, del 17 aprile 1990, ha previsto
l’istituzione del Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po,
basato su di un Piano d’area che, ai sensi del relativo art. 25, sostituisce i
piani paesistici e territoriali di qualsiasi livello. Il Piano, redatto ed
approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n. 394, dell’8 marzo 1995,
tra gli interventi consentiti all’interno dell’area, definiva quelli relativi
alle cave, in una prospettiva di conciliazione della rilevanza economica
dell’attività estrattiva con l’esigenza di limitare al massimo le perturbazioni
da essa prodotte all’ambiente. Per la composizione di tali contrapposte
esigenze, il Piano vietava l’apertura di nuove cave, ammettendo la sola
prosecuzione di quelle in atto, subordinatamente, tuttavia, al rispetto di
condizioni di sicurezza idraulica ed in quanto inserite in un progetto esecutivo
di finale recupero del territorio. Il Piano individuava le attività estrattive
in corso per le quali era consentita la prosecuzione dell’escavazione; ed
all’interno dell’area definiva distinte categorie di ambiti territoriali: alcuni
d’integrazione operativa di rilievo regionale, altri (in numero di sedici)
definiti in relazione alla complessità delle trasformazioni e/o criticità delle
situazioni in atto. Per la seconda indicata tipologia di ambiti territoriali, il
Piano d’area definiva gli interventi consentiti elencandoli in schede
progettuali e schemi grafici allegati.
Due dei ricorsi proposti al Tribunale amministrativo regionale riguardavano le
delibere del Consiglio comunale di Carmagnola, n. 25, del 31 marzo 1999 e del
Consiglio comunale di Carignano, n. 27, del 9 aprile 1999, di approvazione del
piano esecutivo convenzionato (PEC), relativo alla prosecuzione dell’attività
estrattiva di due cave di proprietà delle società Germaire e Monviso s.p.a. Tale
pianificazione riguardava uno (il quindicesimo) degli indicati sedici ambiti
territoriali individuati dal Piano d’area in relazione alla complessità delle
trasformazioni e/o criticità delle situazioni in atto. Gli altri due ricorsi
riguardavano, invece, le autorizzazioni alle stesse società Germaire e Monviso
s.p.a., nelle more dell’approvazione del progetto esecutivo, alla prosecuzione
ed ampliamento dell’attività estrattiva in atto in località Germaire e San
Michele del comune di Carmagnola, del direttore della direzione industria della
regione Piemonte del 22 marzo 1999, nn. 19 e 22; autorizzazioni concesse ai
sensi dell’art. 1 della legge regionale 20 novembre 1998, n. 38 di modifica del
comma 13 dell’art. 15 della legge regionale 17 aprile 1990, n. 28 ed ai sensi
della legge regionale n. 69/1978. Tutti i ricorsi sono stati proposti da
proprietari di terreni ubicati all’interno dell’ambito territoriale, di cui
alcuni confinanti con quelli interessati dai piani attuativi e dalle attività di
estrazione.
Il Tribunale amministrativo regionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi
relativi a tutti i procedimenti qui riuniti, per una ritenuta carenza di
legittimazione e d’interesse delle parti ricorrenti. Secondo i giudici di primo
grado, il difetto di legittimazione e la carenza d’interesse risultavano
evidenti dalla stessa prospettazione della domanda per i ricorrenti Peyla
Stefano e Nuove cave Torino s.r.l.: il primo non aveva chiarito in base a quale
titolo aveva proposto in proprio il ricorso, la seconda, a sua volta, aveva
prospettato una mera potenziale aspettativa all’eventuale sfruttamento
produttivo di un terreno di sua proprietà altrove ubicato. Le società Dafne et
Cloe s.a.s. e Immobiliare Isola s.s., a loro volta, pur risultando acquirenti di
terreni situati nell’ambito n. 15 del Piano d’area, non avevano, tuttavia,
provato che le loro proprietà erano state incluse nel perimetro dello stesso;
infatti, la Cascina del bosco, di proprietà della prima, era solo confinante con
il perimetro dell’ambito senza esservi inclusa, e non era provato che vi fossero
inclusi i terreni della seconda, siti in prossimità della Cascina Betlemme.
Dette circostanze, in particolare, secondo i giudici di primo grado, rendevano
inammissibili le censure concernenti la mancata estensione del PEC all’intero
territorio dell’ambito n. 15. Inoltre, consentendo il Piano d’area la sola
prosecuzione dell’attività estrattiva delle cave già ivi esistenti e vietando
radicalmente l’apertura di nuove, la Dafne et Cloe e l’Immobiliare Isola, che
non avevano in zona alcun’attività di escavazione, non avevano interesse a
dolersi della mancata inclusione dei loro terreni nel PEC oggetto di
impugnazione. Nessun interesse giuridicamente rilevante potevano, infine- sempre
secondo il Tribunale amministrativo regionale- vantare le due società per quanto
riguardava la previsione del PEC di possibile ampliamento delle cave insistenti
nei terreni delle controinteressate non potendo esse ricavare dall’accoglimento
del ricorso alcuna soddisfazione diretta e personale o pregiudizio ai terreni di
rispettiva proprietà.
La decisione sul punto del Tribunale amministrativo regionale è errata e va
riformata.
E’ pacifico e risulta dalle stesse sentenze impugnate che i ricorrenti in primo
grado ed attuali appellanti erano, alla data di proposizione dei ricorsi,
proprietari di terreni ubicati nell’ambito 15 del Piano d’area del Parco
fluviale del Po, alcuni dei quali confinanti con quelli su cui insistevano le
cave delle società Germaire e Monviso. I ricorsi proposti, inoltre, inerivano ad
una pianificazione attuativa del Piano d’area e concernevano anche
l’autorizzazione a proseguire l’attività estrattiva per le due cave situate
all’interno dell’ambito. Ai fini della verifica della legittimazione dei
ricorrenti occorreva, pertanto, stabilire se agli stessi, in quanto proprietari
di terreni situati all’interno dell’ambito territoriale, alcuni dei quali
confinanti con le due cave interessate dai ricorsi, poteva essere riconosciuto
un interesse qualificato e differenziato rispetto alla generalità dei
consociati. Da considerare, inoltre, che le Nuove cave Torino s.p.a. era
titolare di altra cava situata in un ambito diverso del Piano d’area; la
società, però, rivendicava la legittimazione a ricorrere in considerazione di un
asserito pregiudizio economico che derivava alla sua attività commerciale di
estrazione di materiale. Le autorizzazioni impugnate-secondo la società
ricorrente- sarebbero state rilasciate al fine di ridurre il numero degli
operatori del settore all’interno dell’intera fascia fluviale; e poiché
trattavasi di settore contingentato per legge, risultava evidente la
legittimazione e l’interesse al ricorso in relazione al conseguente pregiudizio
della limitazione alla propria attività di escavazione.
Ciò premesso, ad avviso del collegio, non pare che possa dubitarsi
dell’esistenza in capo ai proprietari di fondi limitrofi a quelli interessati
dall’attività di estrazione della legittimazione ad impugnare gli atti
concernenti gli ampliamenti dell’escavazione; non è dubbio, infatti, che la
posizione di detti proprietari, in considerazione dell’indicata vicinitas, sia
differenziata rispetto a quella degli altri soggetti facenti parte della stessa
comunità locale, in quanto più esposti agli effetti derivanti dall’attività di
escavazione. Ed è, poi, stato già ritenuto dal Consiglio di Stato che va
considerato qualificato, ai fini della legittimazione a ricorrere, l’interesse
del proprietario di un fondo non direttamente interessato dalle prescrizioni di
una variazione urbanistica, qualora la stessa incida, tuttavia, in qualche
misura, sul godimento o sul valore di mercato del bene di sua proprietà o, in
ogni caso, sull’interesse alla conservazione dell’assetto dell’ambiente in cui è
inserito il suo immobile (Cons. St. Sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5312). Allo
stesso modo, non sembra contestabile il diritto di altro soggetto che opera
nello stesso settore dell’escavazione e nella medesima Regione a pretendere la
verifica della legittimità dell’autorizzazione all’ampliamento dell’attività del
concorrente che gli può procurare un concreto pregiudizio economico; e ciò tanto
più in presenza di un contesto normativo di contingentazzione del materiale da
estrarre, come era per il Piemonte ai sensi della legge regionale n. 69/1989. Da
considerare, poi, che, nella prospettazione fattane dai ricorrenti, per ciascun
ambito territoriale, il Piano d’area regionale imponeva una valutazione unitaria
di tutto il territorio; di tal che le specifiche scelte operative avrebbero
dovuto implicare- stando ai ricorsi proposti- una considerazione globale e
complessiva del territorio e non limitarsi alle sole proprietà interessate
dall’attività di escavazione in corso al momento della sua adozione e che
venivano ampliate. Di modo che, per tale profilo, non aveva alcuna rilevanza il
fatto che i ricorrenti non fossero titolari nella zona di alcuna attività di
escavazione in corso di svolgimento; il pregiudizio, infatti, da loro lamentato
non ineriva allo specifico interesse allo svolgimento di tale attività, ma
riguardava la fruizione ottimale del loro territorio ubicato all’interno
dell’ambito in una prospettiva di maggiore valorizzazione ove inserito o
comunque considerato anch’esso nel piano attuativo. La proprietà dei terreni, in
quanto facenti parte dell’ambito, implicava, quindi, anch’essa una posizione
differenziata e qualificata la quale, alla stessa stregua del richiamato
criterio della vicinitas, legittimava alla proposizione del ricorso.
Sul punto in esame va, conseguentemente, accolto l’appello.
3.1. Riconosciuta, in tal modo, la legittimazione a ricorrere degli appellanti e
passando all’esame del merito dei ricorsi nn. 11463/00 e 11466/00, riguardanti
l’approvazione del Piano convenzionato, si rileva che, con il primo e secondo
dei motivi dei ricorsi di primo grado (secondo e terzo motivo d’appello) era
stata dedotta, per un duplice profilo, la violazione e l’erronea applicazione
della legge regionale Piemonte 17 aprile 1990, n. 28, come modificata dalla
legge regionale 13 aprile 1995, n. 65 ed in specie del relativo art. 15;
violazione degli artt. 4 e segg. della legge regionale n. 56/1977 e succ. modd.;
violazione ed erronea applicazione del Piano d’area, approvato con deliberazione
del Consiglio regionale n. 982-42328, dell’8 marzo 1995; eccesso di potere per
vizio del procedimento, errore e difetto di presupposti e di motivazione,
illogicità e ingiustizia manifesta. Quanto al primo profilo delle asserite
violazioni, gli appellanti rilevavano che il Piano d’area della fascia fluviale
del Po, approvato con l’indicata delibera regionale n. 982, dell’8 marzo 1995,
prescriveva, con riferimento all’ambito n. 15, che scopo precipuo della
pianificazione attuativa convenzionata dovesse essere la mitigazione del rischio
idraulico e recupero ambientale dei bacini di cava esistenti e delle aree
circostanti. La prescrizione-secondo i ricorrenti- era vincolante, dato che il
Piano d’area, ai sensi della legge regionale n. 28/1990, costituiva lo strumento
fondamentale di pianificazione territoriale nell’ambito del Sistema delle aree
protette della fascia fluviale del Po. Sennonché, l’impugnato piano esecutivo
convenzionato non riguardava l’intero ambito territoriale, non considerandone,
in particolare, la parte su cui insistevano terreni di essi ricorrenti; lo
stesso, inoltre, sovvertiva le previsioni del Piano d’area e della scheda
dell’ambito n. 15, consentendo un enorme ampliamento dell’attività estrattiva
anche su terreni mai interessati da coltivazione di cava, ed addirittura
costituenti riserva naturale speciale ed assoggettati, come tali, al più alto
livello di controllo ambientale. Né, poi, si poteva ritenere- sempre secondo i
ricorrenti- che le prescrizioni del Piano d’area potessero essere stravolte dal
piano esecutivo convenzionato: lo strumento attuativo doveva, infatti, essere
necessariamente aderente alla disciplina della più generale e sovraordinata
pianificazione (ex art. 4.1 delle relative norme d’attuazione), anche perché la
sua procedura d’approvazione, ai sensi dell’art. 32 legge regionale n. 56/1977,
non prevedeva l’intervento della Regione che era l’unico ente competente alla
tutela complessiva del paesaggio. Infine- sempre secondo i ricorrenti- il Piano
attuativo impugnato non poteva riguardare una parte soltanto del considerato
ambito territoriale dati i principi fondamentali del Piano d’area che ne
imponevano una gestione unitaria mediante ricorso ad una disciplina complessiva
che assicurasse la gestione omogenea dell’intero territorio. Quanto, poi, al
secondo profilo della censura- secondo i ricorrenti- anche ad ammettere che il
Piano esecutivo potesse modificare le previsioni della scheda progettuale
dell’ambito, i Comuni avrebbero dovuto adottare una motivazione precisa,
dettagliata ed esauriente in ordine alle eventuali variazioni relative agli
elementi di valutazione elencati nella norma; motivazione inesistente nel caso
in esame e la cui carenza dimostrerebbe come le Amministrazioni abbiano
proceduto violando le prescrizioni dello strumento territoriale sopraordinato.
La censura è infondata e va respinta in relazione ad entrambi gli indicati
profili.
Nel suddividere, infatti, l’area complessivamente protetta in sedici ambiti
territoriali nei quali gli interventi da effettuare sono coordinati e
specificati in relazione alla complessità delle trasformazioni attese e/o da
criticità delle situazioni in atto (art. 4.1.3), il Piano d’area della regione
Piemonte, stabiliva, altresì, che le indicazioni delle schede progettuali e
degli schemi grafici (d’individuazione degli interventi e della azioni da
compiervi) (art. 4.1.3.) potevano essere variate, senza che ciò costitui(sse)
variante al piano, ai fini della migliore aderenza alle situazioni
effettivamente in atto, di una più efficace rispondenza agli obiettivi
progettuali o della più razionale fattibilità economica degli interventi, sulla
base di adeguate motivazioni e di approfondimenti analitici e progettuali purché
a) sia garantita la sicurezza idraulica ed idrogeologica, anche alla luce degli
approfondimenti indicati dal Piano a tale proposito, nonché delle ulteriori
indicazioni dell’Autorità di bacino; b) siano garantiti gli obiettivi di
riqualificazione ambientale, ecologica e paesistica individuati dalle schede
progettuali; c) non sia pregiudicata l’organizzazione complessiva dell’ambito,
né i confini del medesimo, soprattutto ai fini della fruibilità e della
funzionalità pubblica e con particolare riferimento alla localizzazione di
massima delle infrastrutture, degli impianti, delle attrezzature e dei percorsi
d’ interesse pubblico; d) siano rispettate tutte le altre norme del Piano, con
particolare riferimento alle delimitazioni di cui al tit. 2 delle presenti norme
(art. 4.1. punto n. 5). Con specifico riferimento, poi, alle attività estrattive
presenti in alcuni degli ambiti territoriali, lo stesso Piano d’area (art.
4.1.5. d.), consentiva, ancora, di apportare al contenuto delle schede e degli
schemi previsti: modifiche progettuali che interessino in modo sostanziale il
perimetro, la superficie e la profondità di scavo delle stesse aree estrattive
regolate dalle convenzioni e di cui al detto art. 3.10, nel rispetto delle
indicazioni del Piano di settore previsto dall’art. 2 della L.R.. 69/78 o di
suoi stralci operativi o, fino all’approvazione di questo, di strumenti
urbanistici generali o esecutivi di cui all’art. 32 L.R. 56/77, adeguati al..
Piano. Non è esatto, pertanto, che il Piano esecutivo convenzionato non potesse
apportare variazioni alle indicazioni delle schede allegate al Piano d’area; né
era necessario, al fine di consentire le previste variazioni al perimetro,
superficie e profondità di scavo delle aree estrattive, coinvolgere
necessariamente l’intero ambito territoriale, come pretendono i ricorrenti. Il
Piano d’area, cioè, mentre vietava l’apertura di nuove cave, consentiva la
prosecuzione dell’esercizio di quelle in atto sulla base delle indicazioni della
scheda e dello schema grafico e con gli eventuali adeguamenti in relazione alla
situazione in atto, sia apportando modifiche non sostanziali previste dalla
convenzione attuativa, sia apportando modificazioni sostanziali con la
convenzione di cui all’art. 3.10 ed, in assenza di piano di settore, mediante
Piano esecutivo. Allo stesso modo, e contrariamente a quanto ritenuto dagli
appellanti, non erano preclusi interventi di pianificazione attuativa parziale,
limitata, cioè, a parte soltanto del territorio dell’ambito, anche se in una
prospettiva di compatibilità con l’insieme della pianificazione generale,
dovendo tali interventi essere adeguati al contenuto del Piano ed inseriti
nell’assetto complessivo dell’ambito; tattandosi, anzi, di pianificazione
attuativa concernente le sole attività estrattive in corso, era logico ritenere
che la stessa dovesse concernere le sole aree di localizzazione delle cave e non
già altre non interessate ad un eventuale ampliamento. Quanto, poi, all’asserita
circostanza secondo cui gli interventi ricadevano in zona costituente riserva
naturale, vale il rilievo, innanzitutto, che non tutta la zona era riserva
naturale; inoltre, va considerato che la legge regionale 28/1990, all’art. 10,
stabiliva che nelle zone a riserva naturale era fatto divieto di aprire nuove
cave e coltivare cave di qualsiasi natura fatti salvi (però) gli interventi di
ripristino ambientale e di costituzione di aree d’ interesse naturalistico,
anche attraverso la prosecuzione di attività estrattive autorizzate in atto alla
data di entrata in vigore della presente legge. Ed il Piano attuativo impugnato,
per il considerato profilo, si atteneva perfettamente all’indicate prescrizioni
dal momento che prevedeva interventi di rimodellazione e rinaturalizzazione dei
bacini delle cave esistenti, come è emerso dalla svolta istruttoria e come
risulta dai parei acquisiti il cui richiamo costituisce idonea motivazione
dell’atto.
3.2. Con il terzo e quarto motivo di ricorso di primo grado (rispettivamente,
quarto e quinto motivo dell’appello), i ricorrenti denunziavano, poi, violazione
e mancata applicazione del Piano d’area e delle norme di attuazione; eccesso di
potere per vizio del procedimento; errore e difetto d’istruttoria e di
motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta (quarto motivo di appello);
violazione ed erronea applicazione dell’art. 10 della legge regionale 28/1990,
come sostituito dall’art. 8 della legge regionale n. 65/1995; eccesso di potere
per errore e difetto di presupposti, dell’istruttoria, della motivazione (quinto
motivo di appello). Secondo i ricorrenti, la scheda progettuale n. 15 del Piano
d’area prevedeva la possibilità di realizzare direttamente, nell’ambito
considerato, un solo intervento e stabiliva, per eventuali altri interventi, in
specie per quelli relativi alle attività estrattive, che gli stessi fossero
preceduti da verifica di compatibilità ambientale. La prescrizione- secondo i
ricorrenti- doveva essere rispettata anche se si trattava di modificazioni alle
indicazioni della scheda allegata al Piano d’area ed implicava, in ogni caso, la
necessità di adeguata motivazione; al contrario, il PEC impugnato era stato
predisposto ed approvato con contenuti che andavano molto al di là degli
interventi previsti senza, tuttavia, alcuna preventiva valutazione d’impatto
ambientale. Secondo gli appellanti, inoltre, in un’area qualificata come riserva
naturale speciale, il Piano impugnato non poteva consentire un’attività
estrattiva d’enormi proporzioni (dodici milioni di metri cubi) per molti anni
(venti) e con una modifica radicale dello stato dei luoghi, tanto da ipotizzare
addirittura la realizzazione di due enormi laghi senza indicare come gli stessi
s’inserivano nel tessuto naturale. Il che, oltre a contrastare con il Piano
d’area, che prevedeva la possibilità d’effettuare nell’ambito in esame soltanto
interventi diretti al recupero ambientale secondo le caratteristiche
geomorfologiche e idrografiche dell’area, era, altresì, contrastante con la
normativa dettata dalla legge regionale n. 28/1990 sulle riserve naturali, che
consentiva all’interno della zona esclusivamente opere di ristrutturazione,
restauro e miglioramento delle aree d’interesse naturale. Nessuna motivazione
specifica sarebbe stata poi adottata sulla compatibilità di tali interventi con
la disciplina di piano, neppure in sede di controdeduzioni alle osservazioni di
essi ricorrenti nel procedimento di approvazione del Piano impugnato.
Anche tali censure sono infondate e come tali vanno respinte.
Quanto alla mancata adozione della formale procedura di valutazione d’impatto
ambientale, va rilevato che l’opera in esame ne risultava esentata dal momento
che, alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 40/98 che tale
valutazione imponeva, il procedimento di approvazione del PEC risultava già
avviato; dal che la sufficienza del più semplificato strumento dello studio di
compatibilità ambientale regolarmente effettuato, come riconosciuto dagli stessi
appellanti e regolarmente accluso ai documenti allegati al progetto (cfr.
elaborati al Pec pg1, pg2.1, pg, 2.2). Ad integrazione, poi, di quanto
rappresentato dagli appellanti, va rilevato che, ai sensi dell’art. 10 della
richiamata legge regionale n. 28/1990, come sostituito dall’art. 8 della legge
regionale n. 65/95, nelle aree destinate a riserva naturale, pur essendo vietata
l’apertura di nuove cave, erano, tuttavia, fatti salvi gli interventi di
ripristino ambientale e di costituzione di aree di interesse naturalistico,
anche attraverso la prosecuzione di attività estrattive autorizzate in atto alla
data di entrata in vigore della presente legge; con la considerazione ulteriore
che, nel rispetto di tale disposizione, l’art. 3.10 delle norme di attuazione
del Piano d’area consentiva l’esercizio delle attività estrattive anche in zona
di riserva ai fini della rimodellazione e rinaturalizzazione dei bacini di cava
esistenti. Nessuna violazione di legge poteva, pertanto, ravvisarsi nel piano
d’attuazione convenzionato impugnato, il quale, peraltro, si era adeguatamente
fatto carico della salvaguardia dell’aspetto ambientale prevedendo, nella parte
concernente la relativa valorizzazione, specifiche sistemazioni vegetazionali e
valorizzazione ambientale della Lanca San Michele e del sistema delle acque
basse. La perseguita finalità di migliorare il contesto ambientale emerge anche
dal fatto che l’Ente di gestione del Parco fluviale del Po, rilevato che
l’intervento sulla Lanca di S. Michele costituiva uno dei punti forti del
progetto di risistemazione dell’area, aveva suggerito di apportare modifiche
migliorative (di cui ai punti 7 e 8 della delibera 117 del 15 settembre 1998)
alle quali i proponenti puntualmente si adeguavano; ed anche la commissione
tecnica istituita dall’ente di gestione indicato aveva esaminato in particolare
il relativo aspetto del progetto apprezzandone le soluzioni progettuali (punto
3.4 all. alla delibera 117/98). Da considerare, ancora, che l’area all’interno
della riserva naturale era già interessata per mq. 40.000 da precedente attività
estrattiva ed era coinvolta da future attività nella misura percentuale del
21,4%, destinata ad ospitare non due laghi, come asseriscono gli appellanti, ma
uno specchio d’acqua previsto per partecipare attivamente all’obiettivo di
qualificazione naturalistica che prevedeva al centro del progetto la
sistemazione interna del profilo della Lanca di S. Michele, tutta in riserva,
con la predisposizione di oltre 100.000 mq. di vegetazione idrofila che si
mantiene in acque basse (elaborati del PEC).
3.3. Con il quinto e sesto motivo di ricorso di prima istanza (sesto e settimo
motivo di appello) i ricorrenti deducevano, ancora, violazione e mancata
applicazione di legge: legge 18 maggio 1989, n. 183 e succ, mod., con
particolare riguardo all’art. 17; violazione e mancata applicazione del D.P.C.M.
24 luglio 1998 contenente approvazione del Piano di stralcio delle fasce
fluviali del fiume Po; eccesso di potere per vizio di motivazione, errore e
difetto d’istruttoria e di presupposti, vizio del procedimento (sesto motivo) e
violazione ed erronea applicazione di legge, art. 32 e ss. legge regionale n.
56/77 e succ. mod.; violazione dell’art. 81 del D.P.R. n. 616/77; eccesso di
potere per vizio del procedimento, errore di diritto e difetto d’istruttoria,
dei presupposti, della motivazione, illogicità manifesta (settimo motivo). Gli
appellanti rilevavano che il bacino del Po è inserito dalla legge n. 183/1989
tra quelli idrografici di rilievo nazionale, per i quali è previsto l’obbligo di
approvazione di Piani di bacino che possono essere anche formati per sottobacini
o per stralci relativi a settori funzionali (art. 17 legge n. 183/1989).
Osservavano, poi, che con D.P.C.M. 24 luglio 1998, era stato approvato il piano
stralcio delle fasce fluviali il cui art. 17 delle norme di attuazione
prevedeva: a) che, in attesa dell’approvazione dei Piani di settore (inesistenti
in Piemonte), si potesse autorizzare nell’area interessata l’attività estrattiva
per un periodo massimo di due anni; b) il divieto assoluto di qualsiasi nuova
costruzione nella fascia A del P.S.F.F. ammettendo soltanto interventi di tutela
del patrimonio edilizio esistente. Gli appellanti sottolineavano che, in spregio
a tali prescrizioni, il Piano impugnato prevedeva: a) la durata ventennale per
le cave Germaire e Monviso; b) la costruzione di un nuovo edificio in fascia A
del Piano stralcio in contrasto con l’art. 6, co. 2, lette. A delle norme del
Piano di bacino. Il Piano esecutivo comprendeva, inoltre, aree esterne al suo
perimetro, includendo zone facenti parte del demanio statale e comunale rispetto
alle quali lo stesso non poteva avere efficacia cogente ma solo ipotetica,
essendo necessaria, per la sua applicazione, la previa acquisizione dei beni
dagli enti proprietari. Non si vedeva, pertanto, come la parte di obbligazioni e
risultati da conseguire con il PEC in relazione a dette aree potesse essere
imputata alle società proponenti dipendendo da fattori esterni quali la
sdemanializzazione di esse.
Anche tali censure sono infondate e vanno respinta.
Se è vero, infatti, che, ai sensi dell’art. 17 del D.P.C.M. 24 luglio 1998 nei
territori delle fasce A. e B. del piano stralcio le attività estrattive erano
ammesse soltanto se individuate nell’ambito di Piani di settore (non ancora
attuati in Piemonte) è altrettanto vero che era fatto salvo quanto previsto
dalle leggi regionali per la tutela del territorio. Salvezza, peraltro, ribadita
anche nell’all. 4 delle norme del Piano stralcio approvato secondo cui era fatto
salvo quanto espressamente disposto dalle leggi regionali in materia di parchi e
di aree protette. La normativa generale, pertanto, relativa ai bacini
idrografici di rilievo nazionale, doveva considerarsi integrata dalla
legislazione regionale cui si riconosceva carattere prevalente ed assorbente;
per cui, con riferimento al caso in esame, prevaleva la legge n. 28, del 17
aprile 1990, della regione Piemonte che, come già rilevato, istituiva il Sistema
delle aree protette della fascia fluviale del Po ed il cui art. 15 individuava
nel Piano d’aera il principale strumento di relativa pianificazione. La regione
Piemonte era, quindi, dotata di una propria specifica legislazione che non
riguardava soltanto la tutela degli aspetti paesaggistici e naturalistici della
fascia del Po ma anche quelli ulteriori ai quali era, più limitatamente,
preordinato il P.S.F.F. e che ineriva ai soli obiettivi di sistemazione
idrogeologica e idraulica dell’utilizzazione delle acque. Quanto, infine,
all’estensione del Piano impugnato, le censure proposte appaiono basate su di
un’errata interpretazione dei fatti: le aree cui si riferisco i ricorrenti, pur
essendo riportate nelle tavole allegate al Piano, non facevano, tuttavia, parte
del progetto essendo state indicate al solo scopo di rappresentazione grafica
della finale sistemazione dei luoghi; ed il nuovo edificio cui si riferiscono
gli appellanti è situato nella fascia B e non in quella A del Piano stralcio.
3.4. Con il settimo, ottavo e nono motivo del ricorso di primo grado (ottavo,
nono e decimo motivo di appello) veniva ancora dedotta violazione di legge: art.
16 legge 1150/1942 e succ. mod.; eccesso di potere per vizio del procedimento,
difetto dei presupposti, errore e difetto di motivazione; violazione dei
principi generali in materia di pianificazione urbanistica e territoriale;
illogicità manifesta (ottavo motivo); violazione del Piano d’area, sotto diverso
profili; violazione dell’art. 43 legge regionale n. 56/77 e dell’art. 3 della
legge n. 241/1990; eccesso di potere per contraddittorietà; difetto ed errore di
motivazione e dei presupposti, illogicità manifesta (nono motivo); violazione ed
erronea applicazione degli artt. 43 e ss. della legge regionale n.56/77 e succ.
mod.; violazione del Piano d’area, sotto ulteriore profilo; eccesso di potere
per errore e difetto di motivazione (decimo motivo). L’art. 16 comma 4 della
legge n. 1150/1942 prevede per gli strumenti urbanistici esecutivi una durata
massima di validità di dieci anni, laddove il PEC impugnato aveva durata
ventennale. Il PEC, inoltre, modificava le schede del Piano d’area; e se tali
modifiche erano ritenute legittime in quanto parte integrante del Piano d’area
allora conseguiva l’illegittimità dello stesso perché consentiva ad uno
strumento attuativo di modificare contenuti essenziali del piano sopraordinato.
Se, poi, le modifiche introdotte erano ritenute legittime in quanto le
prescrizioni del Piano sopraordinato erano soltanto mere indicazioni progettuali
e non disposizioni cogenti, allora vi era stata ugualmente illegittimità in
quanto il PEC non poteva adottare previsioni che, variando il piano d’area, lo
sostituivano andando oltre il termine decennale di durata dello strumento
urbanistico. Il PEC, secondo i ricorrenti, non includeva, poi, due aree
strettamente connesse a quelle interessate dall’attività estrattiva prevista e
che erano state individuate in sede procedimentale dall’Ente Parco e segnalate
al comune al fine della loro ricompresione nello stesso. Il mancato inserimento
era avvenuto senza motivazione; ciononostante l’Ente Parco aveva dato parere
favorevole. Gli appellanti rilevavano, infine, che il Piano impugnato prevedeva
la cessione gratuita di aree ai comuni di Carmagnola e Carignano, valutate in
misura di lire 10.000/mq.; tale valore sarebbe stato eccessivo come rilevato in
sede di osservazioni presentate nel corso della procedura di approvazione,
trattandosi di aree vincolate e con limitata possibilità d’utilizzazione. Anche
l’Ente Parco aveva chiesto ai comuni di verificare la congruità del prezzo ma
nulla risultava essere stato fatto in proposito. Dal che l’illegittimità del
piano in quanto basato su di un’errata valutazione dei beni con una stima
costi/benefici in cui il valore dei terreni aveva diretta e principale
rilevanza.
Anche tali censure sono infondate e vanno respinte.
Quanto alla durata ventennale dei previsti interventi, la stessa si giustificava
con la riconosciuta idoneità del Piano esecutivo convenzionati a modificare le
previsioni del Piano d’area; di modo che, ove tali modifiche si riferivano, come
nel caso di specie, alla durata degli interventi, la loro approvazione
comportava automaticamente la deroga anche alla durata decennale del Piano
sopraordinato. Sussisteva, inoltre, come già rilevato precedentemente, la
possibilità che il Piano attuativo modificasse, nei limiti già segnalati, le
prescrizioni della scheda dell’ambito ed ineriva all’apprezzamento discrezionale
del comune la determinazione della dimensione del progetto. In ogni caso, va
rilevato che le particelle catastali per le quali l’Ente Parco aveva ritenuto
opportuno l’inserimento nel progetto, erano esterne ai confini dell’area; per
cui non a caso l’Ente indicato aveva sottolineato la mera opportunità e non la
necessità del loro inserimento nella progettazione. Si trattava, pertanto, di
scelta rimessa alla valutazione discrezionale del comune non sindacabile nel
merito. Quanto, infine, al rilievo riguardante la considerazione dell’aspetto
economico della valutazione del comune, l’infondatezza del motivo si evince
chiaramente dalla svolta istruttoria tutta attenta ai profili ambientali più che
agli introiti economici ipotizzati per i comuni di Carignano e Carmagnola.
3.5. Con il decimo ed undicesimo motivo del ricorso di primo grado (undicesimo e
dodicesimo motivo dell’appello) poi, veniva dedotta violazione di legge: art. 43
l.r. 56/77 e succ. modd.; eccesso di potere per vizio del procedimento, errore e
difetto di istruttoria e di motivazione (undicesimo motivo) e violazione e
mancata applicazione della legge n. 241/1990 (dodicesimo motivo). Il Comune non
aveva ottemperato all’obbligo di controdedurre in ordine alle osservazioni
presentate al PEC, ma si era avvalso di una serie di pareri resi da consulenti
ed enti. Il che era illegittimo perché la legge prevede non solo l’obbligo di
controdedurre ma anche perché alcuni pareri erano tra loro contraddittori.
Secondo gli appellanti, inoltre, era stato disatteso il loro diritto di
partecipazione al procedimento pur avendo essi presentato una serie di
osservazioni al piano senza essere sentiti.
Anche tali censure sono infondate e vanno respinte.
Da osservare, al riguardo, che le valutazioni del comune sulle proposte
osservazioni potevano legittimamente essere esternate con motivazione succinta (Cons.
St. Sez. IV, 28 settembre 1998, n. 1224) e non necessitavano di specifica ed
analitica contestazione di tutte le addotte argomentazioni, bastando il rilievo
del loro contrasto con le linee portanti del Piano e delle considerazioni poste
a base di esso (Cons. St. Sez. IV, 16 marzo 1998, n.437). D’altra parte, le
osservazioni presentate non erano riconducibili a soggetti specificamente
qualificati a proporle, ma provenivano da un architetto che le prospettava
facendosi interprete della volontà ed opinione di alcuni privati cittadini. Si
trattava, pertanto, di osservazioni collaborative che non richiedevano alcuna
specifica considerazione e motivazione. Sulle stesse, tuttavia, il comune
richiedeva un parere all’ente Parco, alla Regione, al proprio legale e ad un
proprio consulente, dimostrando, pertanto, di averle tenute in debita
considerazione. Né è stato violata alcuna disposizione di cui alla legge n.
241/1990, dal momento il PEC impugnato è stato approvato nel pieno rispetto
della normativa regionale che implicava concreta ed efficace pubblicizzazione,
trasparenza e possibilità partecipativa. I ricorrenti, in ogni caso, non erano
portatori di alcuno specifico interesse che potesse giustificare una loro
diretta partecipazione al procedimento di approvazione del PEC, avendo,
peraltro, dichiarato di essere proprietari della cascina Betlemme che
apparteneva, invece, ad altro soggetto.
3.6. Con i restanti motivi d’appello, infine, i ricorrenti riproducono i motivi
aggiunti proposti al ricorso di primo grado relativi, in particolare ad: a)
eccesso di potere per vizio del procedimento; contraddittorietà; travisamento
dei fatti; errore e difetto d’istruttoria e di motivazione; illogicità e
ingiustizia manifesta; violazione ed erronea applicazione delle ll.rr. 28/90 e
65/95 (tredicesimo motivo di appello). Secondo gli appellanti, il parere
dell’Ente Parco- atto fondamentale della procedura, in quanto espressione della
valutazione di conformità dell’intervento con le previsioni del Piano d’area-
divergerebbe sensibilmente dalle risultanze dell’istruttoria tecnica effettuata
per la sua adozione; emergerebbero, in particolare, macroscopiche contraddizioni
tra istruttoria e parere e non si sarebbe tenuto conto della rappresentata
necessità di subordinare l’approvazione del progetto all’acquisizione delle
integrazioni e dei chiarimenti in merito agli aspetti richiamati nelle aree
tematiche; vi sarebbe stata, poi, b) violazione e mancata applicazione della
l.r. 28/1990 e 65/1995; violazione del Piano d’area; erronea valutazione e
motivazione, anche in punto di pubblico interesse; illogicità e ingiustizia
manifesta (quattordicesimo motivo). Il Piano d’area, nell’apposita scheda
progettuale, prevedeva la destinazione della cascina Betlemme a centro studi e
di ricerca ambientale da collegare alle attività del museo di Carmagnola. Nulla,
invece, disponeva in proposito il Piano esecutivo convenzionato; né erano
indicate le ragioni che avevano indotto ad una modifica della detta previsione
di destinazione. I ricorrenti denunziavano ancora: c) violazione e mancata
applicazione di legge; l.r. 69/78 e succ. mod.; eccesso di potere per vizio del
procedimento, errore di presupposti e di motivazione; illogicità e ingiustizia
manifesta; incompetenza; sviamento (quindicesimo motivo). Nel parere dell’Ente
Parco erano state espresse valutazioni ed erano formulati valutazioni di ordine
economico di politica estrattiva, di organizzazione del mercato del settore e di
gestione dello stesso, esorbitanti dalle competenze e funzioni attribuite.
Infine vi sarebbe stata: d) violazione e mancata applicazione di legge: l.r.
28/1990, 65/1995, 38/1998; eccesso di potere per vizio del procedimento,
travisamento, illogicità e ingiustizia manifesta (sedicesimo motivo). Le
criticità emerse nel corso del procedimento avrebbero dovuto essere approfondite
e non rimesse ai pareri ed alle valutazioni di altri enti o soggetti.
Anche tali ultime censure sono, infine, infondate e vanno respinte.
Va considerato, infatti, che a seguito dei rilievi al progetto formulati
nell’iniziale parere dell’Ente Parco, le società resistenti hanno provveduto
all’adeguamento del progetto. La Cascina Betlemme, inoltre, è ubicata su di
un’area distinta rispetto a quella interessata dai bacini di cava; l’intervento
per essa previsto non poteva, quindi, che essere autonomo rispetto a quello
relativo alle cave. Non è dimostrato, poi, che le motivazioni al parere
dell’Ente Parco siano state determinate da considerazioni di tipo economico e
non ambientale. A parte, infine, la genericità dell’ultima censura, va rilevato
che l’asserita necessità di un ulteriore approfondimento del procedimento
costituisce mera opinione dei ricorrenti e non trova giustificazione in alcun
dato o riscontro obiettivo. Peraltro, correttamente, la valutazione riguardante
il suggerimento della commissione tecnica che ha istruito il progetto
sull’opportunità di un approfondimento di carattere idraulico ed idrologico è
stata rinviata alla successiva sede di autorizzazione all’esercizio
dell’attività di estrazione.
4. Quanto, poi, ai ricorsi nn. 11164/2000 e 11165/2000, secondo gli appellanti,
gli atti regionali di autorizzazione anticipatoria dell’escavazione sarebbero
illegittimi per vizi propri (indicati sub lett. A dell’appello) e per
illegittimità derivata per vizi dell’autorizzazione comunale ai sensi dell’art.
7 legge n. 1497/1939 (indicati sub lett. B), della deliberazione dell’Ente di
gestione del Parco fluviale del Po (indicati sub lett. C e D dell’appello) e del
parere favorevole dell’Ente Parco al progetto PEC (indicati sub lett. E del
gravame). La maggior parte delle censure al riguardo proposte, più che ai
provvedimenti di autorizzazione oggetto di gravame, concernono il PEC; di esse,
tuttavia, per ragione di completezza espositiva, è opportuno fare puntuale e
specifico riscontro, anche a costo di ripetere considerazioni ed argomentazioni
già espresse in precedenza.
Ciò premesso, va rilevato che, secondo i ricorrenti, sussisterebbe:
4.A.1.un’illegittimità delle determinazioni della regione Piemonte nn. 18 e 19,
del 22 marzo 1999, di autorizzazione biennale all’esercizio della cava ai sensi
della L.R. 69/1978 per asserita: violazione ed erronea applicazione di legge:
art. 7 e 13 L.R. 69/1978 e succ. mod.; art. 15 c. 13 L.R. 28/1990, come
introdotto dalla L.R. 65/1995 e modificato dalla L.R. 38/1998; art. 3 L.
241/1990; eccesso di potere per vizio del procedimento; difetto di istruttoria,
dei presupposti, della motivazione (primo motivo di appello), nonché violazione
delle stesse indicate norme, per altro profilo, ed ancora violazione ed erronea
applicazione del Piano d’area, approvato con deliberazione del Consiglio
regionale n. 982-42328, dell’8 marzo 1995 (secondo motivo di appello). Non
sarebbe stata data puntuale e circostanziata dimostrazione della ricorrenza
delle condizioni occorrenti per l’autorizzazione anticipatoria alla coltivazione
della cava e d’ampliamento dell’attività estrattiva. Le dimensioni eccezionali
(12 milioni di mc.) dell’escavazione, la diversità della localizzazione rispetto
alla cava in atto, la straordinaria durata prevista (venti anni) e la dichiarata
sopravvivenza della vecchia autorizzazione avrebbero, poi, evidenziato che, più
che d’ampliamento, si trattava d’un nuovo progetto illegittimamente assentito
(primo motivo d’impugnazione). Non sussistevano, inoltre- secondo i ricorrenti-
neppure le condizioni della conformità con il Piano d’area richiesta dall’art.
15, comma 13, legge regionale n. 28/1990, come modificato dalla legge regionale
n. 38/1998, per la concessione dell’anticipazione biennale. Le finalità del
Piano d’area sarebbero state ampiamente disattese, in quanto l’intervento
previsto dal Piano esecutivo riguardava solo parte dell’ambito n. 15, laddove il
Piano d’area organizzava il territorio secondo principi omogenei e coordinati e
riguardava tutta l’area dell’ambito complessivamente considerato. La parte
dell’ambito ove insistevano i terreni di essi ricorrenti era, poi, stata
completamente ignorata dal progetto, violando il detto obbligo di organizzazione
e di considerazione unitaria del territorio. L’attività estrattiva prevista era
mastodontica e mutava profondamente l’ottica del recupero, la riorganizzazione e
la salvaguardia del territorio siccome immaginato in sede di Piano d’area; e
stabiliva che fossero coltivati a cava terreni che non erano mai stati oggetto
di escavazione tra cui persino un’area qualificata come “riserva naturale
speciale”, come tale assoggettata al più alto livello di controllo ambientale.
L’autorizzazione era stata, poi, data in base ad un Piano esecutivo che
sovvertiva l’organizzazione del territorio nell’ambito 15 (secondo motivo di
impugnazione).
Entrambe le censure sono, tuttavia, infondate e vanno respinte.
Come rilevano gli stessi appellanti, ai sensi dell’art. 15, comma 13, della
legge regionale n.28/1990, come modificata dalla legge n. 38/1998,
l’anticipazione biennale dell’autorizzazione definitiva alla coltivazione di
cave, in pendenza dell’approvazione del progetto esecutivo convenzionato, era
consentita nella ricorrenza della condizione dell’avvenuto deposito del progetto
e dopo il parere favorevole, sul progetto, dell’Ente di gestione dell’area
protetta. Nel caso in esame, al momento dell’adozione del provvedimento di
autorizzazione regionale, l’Ente di gestione dell’area aveva valutato
favorevolmente il progetto definitivo (delibera n. 117, del 15 settembre 1998)
delle società resistenti, formulando, tuttavia, suggerimenti e proposte cui le
società si adeguavano pienamente come, poi, riconosciuto dall’Ente Parco nella
successiva delibera G.E. n. 245 del 26 ottobre 1998. Nell’esprimere parere
favorevole l’Ente di gestione verificava, poi, che la documentazione progettuale
allegata all’istanza era conforme al primo lotto biennale dei lavori, secondo la
documentazione progettuale di cui alle richieste deliberazioni del Consiglio
direttivo e della Giunta esecutiva; sicché, in concreto, ricorrevano le
prescritte condizioni per il rilascio dell’autorizzazione anticipatoria
dell’escavazione senza necessità d’ulteriori adempimenti, verifiche e
valutazione. D’altra parte, come già rilevato precedentemente, nel suddividere
l’area in sedici ambiti territoriali nei quali gli interventi da effettuare sono
coordinati e specificati in relazione alla complessità delle trasformazioni
attese e/o da criticità delle situazioni in atto (art. 4.1.3), il Piano d’area
della regione Piemonte, stabiliva, altresì, che le indicazioni delle schede
progettuali e degli schemi grafici (di individuazione degli interventi e della
azioni da compiervi) (art. 4.1.3.) potevano essere variate, senza che ciò
costituisse variante al piano, ai fini della migliore aderenza alle situazioni
effettivamente in atto, di una più efficace rispondenza agli obiettivi
progettuali o della più razionale fattibilità economica degli interventi, sulla
base di adeguate motivazioni e di approfondimenti analitici e progettuali. Con
specifico riferimento, poi, alle attività estrattive presenti in alcuni degli
ambiti territoriali, lo stesso Piano d’area (art. 4.1.5. d.), come pure già
precedentemente rilevato, consentiva, a sua volta, di apportare al contenuto
delle schede e degli schemi previsti modifiche progettuali che interessino in
modo non sostanziale il perimetro, la superficie e la profondità di scavo
dell’area estrattiva.. regolate dalle convenzioni di cui all’art. 3.10;
modifiche progettuali che potevano interessare in modo sostanziale il perimetro,
la superficie e la profondità di scavo delle stesse aree estrattive regolate
dalle convenzioni e di cui al detto art. 3.10, nel rispetto delle indicazioni
del Piano di settore previsto dall’art. 2 della L.R. 69/78 o di suoi stralci
operativi o, fino all’approvazione di questo, di strumenti urbanistici generali
o esecutivi di cui all’art. 32 L.R. 56/77, adeguati al Piano. Come già rilevato
in precedenza, non è, pertanto, vero che il Piano esecutivo convenzionato non
potesse apportare variazioni a quanto previsto nelle schede allegate al Piano
d’area; né era necessario, al fine di consentire le previste variazioni al
perimetro, superficie e profondità di scavo delle aree estrattive, contenere in
limiti prestabiliti l’entità dell’eventuale ampliamento dell’area di cava. Allo
stesso modo, e contrariamente a quanto ritenuto dagli appellanti, non erano
preclusi interventi di pianificazione attuativa parziale, limitata, cioè, a
parte soltanto dell’ambito territoriale, anche se in una prospettiva di
compatibilità con l’insieme della pianificazione dovendo tali interventi essere
adeguati al contenuto del piano ed inseriti nell’assetto complessivo
dell’ambito; trattandosi, anzi, di pianificazione attuativa concernente le sole
attività estrattive in corso di svolgimento, era logico ritenere che la stessa
dovesse concernere le sole aree di localizzazione delle cave e non già altre
superfici non interessate ad un eventuale ampliamento. Quanto, poi, all’asserita
circostanza secondo cui gli interventi ricadevano in zona costituente riserva
naturale, è sufficiente rilevare, innanzitutto, che non tutta la zona era
riserva naturale; inoltre, come già osservato, va considerato che la legge 28/29
all’art. 10 stabilisce che nelle zone a riserva naturale è fatto divieto di
aprire nuove cave e coltivare cave di qualsiasi natura, fatti (però) salvi gli
interventi di ripristino ambientale e di costituzione di aree di interesse
naturalistico, anche attraverso la prosecuzione di attività estrattive
autorizzate in atto alla data di entrata in vigore della presente legge. Il
Piano attuativo si era, quindi, attenuto perfettamente all’indicate prescrizioni
di legge dal momento che prevedeva interventi di rimodellazione e
rinaturalizzazione dei bacini di cave esistenti come risulta dalla svolta
istruttoria e come confermato nei pareri al riguardo acquisiti. Neppure, infine,
sussiste l’asserito difetto di motivazione dal momento che le ragioni
dell’adottato provvedimento sono diffusamente indicate nel parere dell’Ente
Parco esplicitamente richiamato nel testo dell’atto (delibera 117 del 5
settembre 1998).
4. A. 2. Analogamente infondate sono, poi, le censure alle medesime
deliberazioni regionali di cui ai punti 3, 4 e 5 delle proposte impugnazioni
concernenti, in particolare: violazione ed erronea applicazione di legge: art.
15 c. 13 L.R. 28/1990 come modificato dalla L.R. 38/1988; eccesso di potere per
vizio del procedimento, difetto dei presupposti, errore e difetto di
motivazione; illogicità manifesta (terzo motivo); violazione ed erronea
applicazione di legge: art. 7 e 13 L.R. 69/8; eccesso di potere per difetto ed
incongruità della motivazione (quarto motivo); violazione e mancata applicazione
di legge: legge 18 maggio 1989, n. 183 e succ. mod. con particolare riguardo
all’art. 17; violazione e mancata applicazione del D.P.C.M. 24 luglio 1998,
contenente “approvazione del Piano stralcio della fascia fluviale del fiume Po”;
eccesso di potere per vizio di motivazione, errore e difetto di istruttoria e di
presupposti, vizio del procedimento (quinto motivo). Secondo gli appellanti,
l’autorizzazione era stata concessa senza tenere conto delle riserve e delle
osservazioni dell’Ente Parco in merito alla ricorrenza delle condizioni per l’assentibilità
del progetto. L’autorizzazione, inoltre, sarebbe stata concessa senza alcuna
adeguata motivazione e sulla base di affermazioni tautologiche ed indimostrate
che denotavano approssimazione e mancanza d’approfondimento (quarto motivo). Il
bacino del fiume Po era inserito, poi, dalla legge n. 183/1989 tra i bacini
idrografici di rilievo nazionale, per cui era obbligatoria l’approvazione di un
piano di bacino (art. 17 l. 183/1989) che poteva anche essere formato per
sottobacini e per stralci relativi a settori funzionali. E con D.P.C. M. del 24
luglio 1998 era stato approvato il Piano di stralcio delle fasce fluviali le cui
disposizioni erano conseguentemente applicabili e vincolanti nel caso in esame.
In materia di cave detto piano prevedeva una serie di accertamenti inerenti alla
compatibilità dell’intervento con le finalità perseguite dal piano; accertamenti
del tutto carenti nel caso in esame (quinto motivo).
Ripetendo quanto già in precedenza esposto, va, infatti, rilevato che,
effettivamente, con la deliberazione n. 117/98, del 15 settembre 1998, L’Ente di
gestione del Parco fluviale del Po, nell’esprimere parere favorevole sul
progetto esecutivo convenzionato presentato dai resistenti, aveva formulato
osservazioni e proposte operative. I rilievi dell’Ente, tuttavia, venivano
accolti dalle società Cave Germaire e Monviso s.p.a. le quali, il 15 ottobre
successivo, inviavano all’Ente atti di “adeguamento del PEC della sistemazione
definitiva del subambito 15 alle indicazioni che accompagnano il parere
favorevole dell’Ente Parco”. E la Giunta esecutiva del Parco, successivamente
(con deliberazione n. 245/98), riteneva che le modifiche apportate dai
richiedenti apparivano “conformi e congruenti con le osservazioni, indicazioni e
proposte di modifica che l’Ente aveva formulato nel proprio parere espresso con
atto del C.D. n. 117/98”. Di tutto ciò, peraltro, veniva dato puntualmente atto
nel testo dell’impugnato provvedimento, il quale, pertanto, risultava
adeguatamente motivato. Quanto, infine, all’asserita mancata considerazione del
Piano stralcio delle fasce fluviali, va ancora ribadito che la legge regionale
28/29 all’art. 10 stabiliva che nelle zone a riserva naturale era fatto divieto
di aprire nuove cave e coltivare cave di qualsiasi natura; era, tuttavia, fatto
salvo quanto previsto dalle leggi regionali per la tutela del territorio.
Inoltre, l’allegato A alle norme del Piano stralcio delle fasce fluviali, con
specifico riferimento alle attività estrattive nelle aree fluviali del Po,
all’art. 1 ribadiva che era fatto salvo quanto espressamente disposto dalle
leggi regionali in materia di parchi e di aree protette. E la Regione Piemonte,
come pure già rilevato in precedenza, aveva istituito con la legge 17 aprile
1990, n. 28 il Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po basato
su di un Piano d’area che consentiva l’attività di estrazione anche nelle
riserve naturali. Al che va aggiunto il fatto che il Piano attuativo proposto si
era attenuto pienamente alle indicate prescrizioni di legge avendo previsto
interventi di rimodellazione e rinaturalizzazione dei bacini delle cave
esistenti come risulta dagli accertamenti svolti e dai pareri acquisiti.
4.A.3. Infondate, inoltre, sono le censure ai medesimi provvedimenti di cui ai
punti 6, 7 e 8 dell’appello relative ad asserita: violazione e mancata
applicazione del Piano d’area e delle norme di attuazione; eccesso di potere per
vizio del procedimento; errore e difetto di istruttoria e di motivazione,
illogicità e ingiustizia manifesta; violazione di legge: art. 4 L.R. 14 dicembre
1998 n. 40 (sesto motivo); violazione e mancata applicazione degli artt. 9 e 10
L. 241/1990; vizio del procedimento; illogicità e ingiustizia manifesta;
violazione del principio generale d’imparzialità della P.A. (settimo motivo);
eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria, dei
presupposti, della motivazione; vizio del procedimento (ottavo motivo). Secondo
i ricorrenti, illegittimamente era stata omesso il procedimento di verifica
della compatibilità ambientale dell’intervento, che era, invece, obbligatorio in
base allo schema progettuale n. 15 delle norme di attuazione del Piano d’area ed
era imposto dall’art. 4 della legge regionale 14 dicembre 1998, n. 40 (sesto
motivo). Ai ricorrenti, poi, non era stato consentito l’esercizio del diritto di
partecipazione al procedimento, non essendo stato dato riscontro alla loro
richiesta del 2 giugno 1998 (settimo motivo). Dagli atti del procedimento,
infine, non risultava svolta da parte della Regione alcuna attività di verifica
sulla regolarità dell’attività di scavo precedentemente esercitata anche se tale
adempimento era stato ad essa demandato dal comune in sede di rilascio
dell’autorizzazione ambientale ex art. 7 l. 1497/1939 (ottavo motivo).
In proposito, infatti, è sufficiente richiamare quanto già precedentemente
osservato in merito alla non obbligatorietà della procedura di valutazione
d’impatto ambientale dal momento che la legge regionale 14 dicembre 1998, n. 40,
che la prevedeva, era entrata in vigore (il 17 dicembre 1998) in data successiva
all’istanza (del 27 ottobre 1998) di avvio del procedimento di autorizzazione
biennale. Al che va aggiunto, come pure in precedenza già sottolineato, che sul
progetto vi era stata comunque una verifica della compatibilità ambientale.
Quanto, poi, al preteso diritto alla partecipazione al procedimento di
autorizzazione, è sufficiente segnalare che la relativa richiesta era stata
basata sull’erroneo presupposto della proprietà della Cascina Betlemme peraltro
separata dall’area di cava dal torrente Meletta. I chiesti adempimenti alla
Regione, infine, esulavano dallo specifico oggetto dell’autorizzazione e la loro
omissione non ha avuto alcuna incidenza sulla legittimità delle autorizzazioni.
4.B.1. Secondo i ricorrenti, inoltre, vi sarebbe stata illegittimità derivata
dei provvedimenti autorizzatori impugnati per asserita illegittimità
dell’autorizzazione comunale ai sensi dell’art. 7 della legge 1497/1939. In
particolare, vi sarebbe stata violazione ed erronea applicazione di legge; art.
7 legge 1497/1939; art. 1 e ss. legge 431/1985, art. 13 e 14 L.R. 20/1989 e
succ. mod.; violazione del Piano d’area e del P.T.O. approvato con deliberazione
C.R. dell’8 marzo 1985; violazione del D.P.C.M. 24 luglio 1998 (approvazione del
Piano stralcio delle fasce fluviali del bacino del Po); eccesso di potere per
difetto di motivazione, dei presupposti, dell’istruttoria; illogicità manifesta
(nono motivo); errore e difetto di istruttoria, di presupposti, di motivazione;
vizio del procedimento; contraddittorietà; illogicità e ingiustizia manifesta
(decimo motivo). Secondo gli appellanti, prima del rilascio dell’autorizzazione
paesistica, il comune avrebbe dovuto accertare ed eventualmente certificare la
compatibilità dell’intervento con l’insistente vincolo paesistico. Nella
motivazione del provvedimento comunale, invece, non solo risultava che l’ente
aveva omesso di verificare le condizioni necessarie per valutare la
compatibilità dell’intervento con il vincolo ambientale, ma nemmeno erano state
esaminate le integrazioni progettuali richieste dall’Ente Parco nonostante che
esse contenessero importanti elementi in ordine alla valutazione della suddetta
conformità (nono motivo). L’autorizzazione comunale, infine, menzionava una nota
regionale (prot. n. 22727 del 5 novembre 1997) in cui presumibilmente si
richiedeva una verifica della precedente attività estrattiva che era
pregiudiziale per il rilascio di nuovo assenso all’escavazione (decimo motivo).
In proposito va, tuttavia, considerato che l’autorizzazione anticipatoria
costituiva il primo stralcio di un progetto che, anche per i profili paesistici,
era stato già valutato e favorevolmente considerato dall’Ente Parco ai cui
rilievi e suggerimenti si erano attenuti i proponenti. Era, pertanto,
sufficiente per il comune, ai fini delle valutazioni di propria competenza,
l’avvenuta acquisizione del parere dell’Ente di gestione del Parco per la
stretta connessione del vincolo paesistico con quello, più generale, di rilievo
ambientale naturalistico. La nota regionale, inoltre, prot. 22727 del 5 novembre
1997, cui si riferiscono gli appellanti, non indicava specifici accertamenti
commessi al comune, limitandosi ad una mera indicazione di adempimenti per un
migliore coordinamento dell’attività dei due enti. Il comune ha comunque dato
atto di non avere elementi per non ritenere sussistente la conformità delle
opere realizzate col progetto presentato precisando di non disporre degli
strumenti necessari per ulteriori verifiche che, peraltro, erano estranee al
considerato profilo paesaggistico e che, pertanto, potevano essere rimessa alla
Regione.
4.C.D. Gli atti impugnati, poi, sarebbero ancora viziati per l’illegittimità
della deliberazione della Giunta comunale di Carmagnola n. 80, del 23 febbraio
1999, e della deliberazione del Consiglio direttivo dell’Ente di gestione del
Parco fluviale del Po torinese n. 158, del 17 dicembre 1998, per eccesso di
potere e per difetto d’istruttoria, di motivazione, illogicità manifesta;
contraddittorietà; errata e difettosa valutazione del pubblico interesse
(undicesimo motivo) e per violazione ed erronea applicazione di legge: art. 7
legge 1497/1939; artt. 1 e ss. Legge 431/1985; eccesso di potere per errore e
difetto dei presupposti, di istruttoria, di motivazione; violazione del piano
d’area (dodicesimo motivo). Il parere favorevole del comune all’autorizzazione
biennale sarebbe del tutto illogico ed incongruo per la mancata considerazione
del fatto che il testo della convenzione per la disciplina dell’intervento non
contemplava la corresponsione di alcuna indennità. L’ente Parco aveva, poi, reso
un parere che del tutto illegittimamente non verificava la compatibilità
dell’intervento con il Piano d’area, né considerava le integrazioni progettuali
richieste che venivano analizzate dopo il rilascio del parere favorevole.
Anche tali censure sono infondate e vanno respinte.
Infatti, contrariamente a quanto dedotto dagli appellanti, il punto 6 della
determinazione dirigenziale di autorizzazione biennale impugnata imponeva che,
entro il termine di 6 mesi, dovesse essere stipulata una convenzione tra l’Ente
gestore e la ditta Cave Germaire secondo il testo all. C, che riprendeva lo
schema tipo approvato con D.G.R. n. 61-17087 del 3 marzo 1997 e prevedeva
l’obbligo di versare annualmente all’Ente di gestione la somma di lire 200 ogni
mc. estratto. In aggiunta la società era tenuta a corrispondere il contributo di
lire 350/mc. ai comuni di Carignano e Carmagnola per convenzione 24 giugno 1999,
di approvazione del P.E.C. rispetto al quale l’autorizzazione biennale
costituiva stralcio anticipatorio. Il Consiglio di amministrazione dell’Ente
Parco aveva, poi, valutato favorevolmente la compatibilità dell’intervento con
il contenuto del Piano d’area (delibera C.D. 117/98) formulando indicazioni e
proposte cui i proponenti si attenevano. Ed il parere espresso nella delibera n.
158 del 17 dicembre 1998, ai fini e per gli effetti di cui alla legge n.
431/1985, richiamava i due precedenti atti; dal che si evince la completezza
dell’istruttoria e l’adeguatezza della procedura.
4.E. Secondo gli appellanti, sussisterebbe, infine, illegittimità
dell’autorizzazione regionale derivata dalle illegittimità dedotte nel ricorso
R.G. 1207/99 avverso il parere favorevole dell’Ente Parco al progetto di P.E.C.-
(Delibera del consiglio direttivo n. 117/98 del 15 settembre 1998), per asserito
eccesso di potere per vizio del procedimento; contraddittorietà; travisamento
dei fatti; errore e difetto d’istruttoria e di motivazione; illogicità e
ingiustizia manifesta; violazione ed erronea applicazione delle ll. rr. 28/1990
e 65/1995). Il parere dell’ente Parco divergerebbe sensibilmente dalle
risultanze dell’istruttoria tecnica effettuata per la sua emanazione con
riferimento a rilevanti aspetti urbanistici, geomorfologici,
ecologico-ambientali. Sebbene, poi, il punto sub. 4 dell’istruttoria ribadisse
la necessità di subordinare l’approvazione del progetto all’acquisizione
d’integrazioni e chiarimenti in merito agli aspetti richiamati nella aree
tematiche, non era stato svolto alcun ulteriore approfondimento (tredicesimo
motivo). Sussisterebbe, poi, violazione e mancata applicazione delle l.r.
28/1990 e 65/1995; violazione del Piano d’area; erronea valutazione e
motivazione, anche in punto di pubblico interesse; illogicità e ingiustizia
manifesta. Nulla è previsto nel PEC impugnato per la cascina Betlemme che il
Piano d’area prevede come destinata a centro studi e di ricerca ambientale da
collegare alle attività del museo di Carmagnola; né sono indicate contrarie
ragioni che giustificano la diversa decisione di pianificazione attuativa
(quattordicesimo motivo). Vi sarebbe stata ancora violazione e mancata
applicazione di legge: l.r. 69/1978 e succ. mod.; eccesso di potere per vizio
del procedimento, errore di presupposti e di motivazione; illogicità e
ingiustizia manifesta; incompetenza, sviamento. Nel parere dell’Ente Parco
sarebbero espressi valutazioni e criteri economici di politica estrattiva, di
organizzazione del mercato del settore e di gestione del mercato. Dal che
l’evidente illegittimità del parere trattandosi di materia riservata alla
Regione ex l.r. 69/1978 in specie nel caso di cave in zone protette in cui la
Regione assomma alle funzioni tipiche anche quelle relative al rilascio
dell’autorizzazione (quindicesimo motivo). Infine, sussisterebbe violazione e
mancata applicazione di legge: l.r. 28/1990, 65/1995, 38/1998; eccesso di potere
per vizio del procedimento, travisamento, illogicità e ingiustizia manifesta. Vi
sarebbe stata una scelta immotivata di non approfondire i vari punti critici
emersi in sede istruttoria rimettendone la valutazione alle sedi di approvazione
finale. Tale modo di operare risulterebbe illegittimo sotto due profili: perché
il parere dell’Ente Parco atteneva a profili essenziali di compatibilità con la
pianificazione ambientale, il cui accertamento richiedeva necessariamente la
completezza della valutazione e degli elementi; non si era tenuto conto che il
rilascio di un parere favorevole costituiva presupposto essenziale per il
conseguimento delle anticipazioni biennali alla attuazione del progetto, ai
sensi della l.r. 38/1998 e dunque nei fatti consentiva la compromissione
dell’area, in assenza della verifica in ordine al superamento degli elementi
critici sopra evidenziati (sedicesimo motivo.
Anche tali ultime censure sono infondate e vanno respinte.
Non considerano, infatti, gli appellanti che, come più volte in precedenza
sottolineato, dopo i rilievi formulati dall’Ente Parco, il PEC impugnato è stato
modificato ed adeguato alle osservazione dell’Ente, e che a tale adeguamento si
è fatto riferimento nell’autorizzazione regionale, che specificamente
richiamava, non solo il parere iniziale n. 117/98 dell’Ente Parco, ma anche
quello successivo n. 245/98 in cui si prendeva atto dell’intervenuto adeguamento
del progetto. Gli appellanti, inoltre, non hanno tenuto conto del fatto che
l’ambito 15 del Piano d’area comprendeva più parti di territorio, fisicamente
distinte e diversamente regolate; e che l’area sulla quale insisteva la cascina
Betlemme era disciplinata dal punto n. 1 della scheda mentre quelle interessate
dalla attività estrattiva erano regolate dai punti 2.2 e dalla autonoma
disciplina di cui agli artt. 3.10 e 4.1. ultimo comma delle norme del Piano
d’area. La cascina Betlemme non poteva, pertanto, essere acquisita gratuitamente
al comune quale corrispettivo per consentire l’esercizio dell’attività
estrattiva; la stessa, inoltre, risultava di proprietà di tali Rubioli i quali
non avevano manifestato alcuna volontà di farla includere nel progetto esecutivo
impugnato. Né, poi, può ritenersi che le considerazioni, peraltro di carattere
generale, dell’Ente Parco su aspetti economici dell’intervento estrattivo,
potessero far presumere uno sviamento rispetto alle finalità del parere ed
implicare un’illegittimità dello stesso. Quanto, infine, alla motivazione del
provvedimento, vale il rilievo che l’Ente Parco, avendo sulla questione
acquisito pareri di altri soggetti, alla fine tali pareri ha richiamato e fatti
propri giustificando, per relationem, le ragioni della scelta operata.
Per le esposte considerazioni, riconosciuta la legittimazione dei ricorrenti i
proposti ricorsi sono da ritenere infondati nel merito e come tali vanno
respinti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, riuniti i ricorsi,
in riforma delle impugnate sentenze, li dichiara ammissibili respingendoli,
tuttavia, nel merito. Spese compensate.
Ordina che la decisione venga eseguita in via amministrativa.
Così deciso in Roma il 5 novembre 2004 in camera di consiglio dal Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, con l’intervento dei sigg:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sabino LUCE Consigliere
Carmine VOLPE Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Francesco D’OTTAVI Consigliere
1) Aree protette - Aree destinate a riserva naturale - Apertura di nuove cave – Divieto - Piano d’attuazione convenzionato - Esercizio delle attività estrattive ai fini della rimodellazione e rinaturalizzazione dei bacini di cava esistenti - Progetto di risistemazione dell’area - Parco fluviale del Po – L.R. Piemonte n. 28/1990 - n. 65/95. Ai sensi dell’art. 10 della legge regionale Piemonte n. 28/1990, come sostituito dall’art. 8 della legge regionale n. 65/95, nelle aree destinate a riserva naturale, pur essendo vietata l’apertura di nuove cave, erano, tuttavia, fatti salvi gli interventi di ripristino ambientale e di costituzione di aree di interesse naturalistico, anche attraverso la prosecuzione di attività estrattive autorizzate in atto alla data di entrata in vigore della legge; con la considerazione ulteriore che, nel rispetto di tale disposizione, l’art. 3.10 delle norme di attuazione del Piano d’area consentiva l’esercizio delle attività estrattive anche in zona di riserva ai fini della rimodellazione e rinaturalizzazione dei bacini di cava esistenti. Pres. GIOVANNINI - società Dafne et Cloe Immobil s.a.s. (avv.ti Siniscalco, Montanaro e Vaiano) ed altri Comune di Carmagnola (avv. Piero Golinelli) ed altri (dichiara ammissibili i ricorsi riuniti respingendoli, Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. 1, del 27 luglio 2000, n. 899). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16.02.2005 (c.c.5.11.2004), sentenza n. 479
2) Aree protette - Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po - Obiettivi di sistemazione idrogeologica e idraulica dell’utilizzazione delle acque. La normativa generale, relativa ai bacini idrografici di rilievo nazionale, con riferimento al caso in esame, doveva considerarsi integrata dalla legislazione regionale cui si riconosceva carattere prevalente ed assorbente; per cui, prevaleva la legge n. 28, del 17 aprile 1990, della regione Piemonte che, come già rilevato, istituiva il Sistema delle aree protette della fascia fluviale del Po ed il cui art. 15 individuava nel Piano d’aera il principale strumento di relativa pianificazione. La regione Piemonte era, quindi, dotata di una propria specifica legislazione che non riguardava soltanto la tutela degli aspetti paesaggistici e naturalistici della fascia del Po ma anche quelli ulteriori ai quali era, più limitatamente, preordinato il P.S.F.F. e che ineriva ai soli obiettivi di sistemazione idrogeologica e idraulica dell’utilizzazione delle acque. Pres. GIOVANNINI - società Dafne et Cloe Immobil s.a.s. (avv.ti Siniscalco, Montanaro e Vaiano) ed altri Comune di Carmagnola (avv. Piero Golinelli) ed altri (dichiara ammissibili i ricorsi riuniti respingendoli, Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. 1, del 27 luglio 2000, n. 899). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16.02.2005 (c.c.5.11.2004), sentenza n. 479
3) Urbanistica e edilizia – Interesse a ricorrere - Proprietario di un fondo non direttamente interessato dalle prescrizioni di una variazione urbanistica - Interesse alla conservazione dell’assetto dell’ambiente – Sussiste. Va considerato qualificato, ai fini della legittimazione a ricorrere, l’interesse del proprietario di un fondo non direttamente interessato dalle prescrizioni di una variazione urbanistica, qualora la stessa incida, tuttavia, in qualche misura, sul godimento o sul valore di mercato del bene di sua proprietà o, in ogni caso, sull’interesse alla conservazione dell’assetto dell’ambiente in cui è inserito il suo immobile (Cons. St. Sez. V, 8 ottobre 2002, n. 5312). Pres. GIOVANNINI - società Dafne et Cloe Immobil s.a.s. (avv.ti Siniscalco, Montanaro e Vaiano) ed altri Comune di Carmagnola (avv. Piero Golinelli) ed altri (dichiara ammissibili i ricorsi riuniti respingendoli, Tribunale amministrativo regionale del Piemonte sez. 1, del 27 luglio 2000, n. 899). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16.02.2005 (c.c.5.11.2004), sentenza n. 479
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