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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Bilotta Maria, rappresentata e difesa
dall’avv. Modestino Acone con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via
Buccari, n. 3, presso Maria Teresa Acone.
contro
Il Ministero per i Beni culturali ed Ambientali, in persona del Ministro pro
tempore, non costituitosi in giudizio.
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione II,
n. 2624 del 9 maggio 2002.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 2004 relatore il Consigliere Guido Salemi.
Udito l’avv. Acone.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
La sig.ra Maria Bilotta presentava al Comune di Cercola (NA), in data 15
febbraio 1990, domanda di concessione edilizia per la demolizione e la
ricostruzione di un fabbricato di sua proprietà, composto di vari negozi a piano
terra, di n. 12 appartamenti su tre piani e sottostante garage, per una spesa
complessiva preventivata, come da computo metrico estimativo, di lire
1.780.658.708.
Il Sindaco di Cercola, con decreto n. 18 del 23.5.1991, rilasciava il nulla osta
ambientale ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939.
Detto provvedimento era annullato dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali
con D.M. del 13 luglio 1991.
Avverso il citato decreto, la sig.ra Bilotta proponeva ricorso al T.A.R.
Campania.
Con ordinanza n. 500 del 28.4.1992, il T.A.R. accoglieva la domanda incidentale
di sospensione e il Sindaco di Cercola, in data 13.11.1992, rilasciava la
concessione edilizia n. 8/90, subordinandone l’efficacia alla condizione che
l’ordinanza di sospensione del T.A.R. non fosse impugnata.
Il Ministero proponeva appello che era accolto dal Consiglio di Stato con
ordinanza n. 636 del 28.5.1993.
Per effetto del mancato avveramento della condizione, il Sindaco di Cercola, con
provvedimento n. 122 del 21.11.1994, annullava la concessione edilizia.
Con sentenza n. 2975 del 13.11.1997, il T.A.R. pronunciandosi nel merito,
accoglieva il ricorso, annullando il decreto ministeriale impugnato.
La sentenza non era appellata e, quindi, passava in giudicato.
La sig.ra Bilotta conveniva in giudizio il Ministero davanti al Tribunale civile
di Napoli, proponendo domanda di risarcimento dei danni subiti per effetto
dell’illegittimo decreto ministeriale, danni quantificati in L. 1.319.341.292
per il mancato utile derivante dalla ricostruzione del fabbricato.
Avendo detto giudice declinato la propria giurisdizione, la ricorrente
riproponeva la domanda al T.A.R. della Campania.
Con sentenza n. 2697 del 12.6.2001, il T.A.R. accoglieva in parte qua il
ricorso, affermando e riconoscendo, in primo luogo, il non corretto esercizio
dei poteri pubblici, il nesso di causalità con il nocumento arrecato alla
ricorrente, il comportamento illecito della p.a., generatore di responsabilità
ex art. 2043 c.c. Quanto alla individuazione del danno risarcibile, detto
giudice osservava che, pur consentendo l’art. 2043 c.c. la liquidazione del
danno nella sua duplice componente del danno emergente e del lucro cessante,
nella specie, rappresentando il decreto sindacale del 23.5.1991 solo un segmento
di una fattispecie procedimentale (concessoria) complessa la cui conclusione
soltanto avrebbe attribuito definitivamente una posizione di pieno diritto in
capo all’interessata, poteva riconoscersi un interesse qualificato ad un
corretto esercizio della discrezionale azione amministrativa, per cui la tutela
risarcitoria per la riparazione dell’interesse legittimo violato doveva
arrestarsi alla “quantificazione del mancato guadagno”.
In tal senso il T.A.R. invitava l’Amministrazione a formulare, ai sensi
dell’art. 35, 2° comma, del D.Lgs. n. 80/1990, una congrua proposta risarcitoria
in favore dell’istante.
Scaduto inutilmente detto termine e passata in giudicato la sentenza, la
ricorrente proponeva ricorso per l’esecuzione del giudicato ex art. 27, n. 4,
del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 ( e 35, 2° comma, del D.Lgs. n. 80/98) al fine
di conseguire la determinazione del danno da mancato guadagno (all’uopo esibiva
una nota del Comune di Cercola del 15.12.1998, dalla quale risultava che il
fabbricato non poteva più essere ricostruito in sito, stante il nuovo assetto
normativo, conseguente all’annullamento del P.T.P. e all’adozione del nuovo
P.R.G.).
Con sentenza n. 2624 del 9 maggio 2002, il T.A.R. accoglieva la domanda
limitatamente al rimborso delle spese progettuali, liquidate nella somma
complessiva di L. 20 milioni, affermando che, nella concreta quantificazione del
danno risarcibile, non si poteva non tenere conto (anche alla luce dell’art.
1227 c.c.) dell’acquiescenza prestata dalla ricorrente all’ordinanza di
annullamento della concessione edilizia (il cui comportamento inerte aveva
escluso, in radice, ogni possibilità edificatoria) e, quindi, non si poteva fare
riferimento ad un utile che la ricorrente non avrebbe mai potuto percepire.
Con atto notificato il 3 gennaio 2003, la ricorrente ha proposto appello contro
la summenzionata sentenza.
L’Amministrazione appellata non si è costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 2004, il ricorso è stato trattenuto in
decisione.
D I R I T T O
1.- Come si è esposto nelle premesse di fatto, forma oggetto del ricorso in
appello, la sentenza n. 2624 del 9 maggio 2002, con la quale il T.A.R. della
Campania, Sezione II, ha accolto in parte qua il ricorso proposto dalla sig.ra
Maria Bilotta, condannando il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali al
pagamento a favore delle ricorrente delle somma complessiva di lire 20 milioni
(pari a euro 10.329, 14), danno ragguagliato alle spese progettuali e tecniche
sostenute dalla ricorrente.
2.- L’appello è fondato nei sensi e limiti che qui di seguito si espongono.
3.- Con il primo motivo di appello, la sig.ra Bilotta ha dedotto le censure di
violazione dell’art. 35, 2 ° comma del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e dell’art.
27, n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.
A suo avviso, non poteva il T.A.R. Campania, con l’impugnata sentenza eludere
completamente la voce di danno per lucro cessante, rappresentata dal guadagno da
essa non conseguito a causa della mancata realizzazione della progettata
ricostruzione del fabbricato, avendo lo stesso T.A.R. già statuito con la
precedente sentenza n. 2697 del 12 giugno 2001 - peraltro non impugnata dal
Ministero e passata in giudicato - che spettava tale voce di danno, tanto che
“in tali termine ed in tali misure” aveva invitato il Ministero a formulare “una
congrua proposta risarcitoria”.
La decisione appellata avrebbe, perciò, violato il giudicato formatosi sulla
sussistenza di un danno da lucro cessante, benché ristretto alla voce del
mancato guadagno per la svanita realizzazione dell’investimento programmato ed
enunciato nella domanda di concessione edilizia (perdita della chance).
La censura è fondata.
Come si è esposto nelle premesse di fatto, l’istante aveva lamentato un danno
quantificato in L. 1.319.341.292 in ragione del fatto che il provvedimento
ingiusto ed illecito dell’Amministrazione (il diniego di concessione edilizia)
avrebbe impedito la realizzazione legittima del progetto di demolizione e
ricostruzione del suo vecchio fabbricato, dal cui notevole investimento avrebbe
dovuto conseguire l’utile così qualificato.
La pretesa in questione è stata respinta, perché, come si osserva nella
motivazione della sentenza n. 2697/2001, pur consentendo l’art. 2043 c.c.
(attraverso il combinato disposto degli artt. 2056 e 1223) la liquidazione del
danno nella sua duplice componente del danno emergente e del lucro cessante, non
sembra nel caso de quo ravvisabile un danno ulteriore rispetto al mancato
guadagno.
Infatti, come si soggiunge, il decreto emanato dal Sindaco di Cercola, in data
23.5.1991, previo parere favorevole della commissione edilizia comunale e della
speciale commissione edilizia integrata per l’ambiente, costituiva solo un
segmento di una fattispecie procedimentale (concessoria) complessa la cui
conclusione soltanto avrebbe definitivamente attribuito una posizione di pieno
diritto in capo all’interessata; sicché, malgrado fosse stato allegato alla
domanda di concessione il progetto esecutivo recante l’indicazione
dell’investimento programmato, in relazione all’ambito provvedimento concessorio,
nessuna situazione giuridicamente tutelabile poteva riconoscersi illo tempore
in capo all’istante oltre all’interesse qualificato ad un corretto esercizio
della discrezionale azione amministrativa.
In definitiva, il lucro cessante effettivamente risarcibile appariva
restringersi al guadagno non conseguito e non più conseguibile (se non in via
risarcitoria) e dovuto alla tardiva realizzazione del menzionato progetto.
Proprio alla stregua dei principi e criteri direttivi posti dal giudicato non
v’è dubbio che la decisione, contenuta nella sentenza appellata, di limitare il
danno alla spese progettuali e tecniche sostenute dall’interessata è palesemente
illegittima.
4.- Con il secondo motivo di appello la ricorrente critica la sentenza appellata
nella parte in cui ha sostenuto che nella concreta quantificazione del danno
risarcibile non potesse non tenersi conto dell’acquiescenza prestata
dall’istante all’ordinanza di annullamento della concessione edilizia, il cui
comportamento inerte aveva escluso, in radice, ogni possibilità edificatoria,
con la conseguenza che l’istante non poteva fare riferimento ad un utile che non
avrebbe mai potuto percepire.
Ad avviso dell’appellante, il T.A.R. non ha considerato che la concessione
edilizia n. 8/90 del 13.11.1992 era stata condizionata, quanto alla decorrenza
della sua efficacia, al passaggio in giudicato della ordinanza cautelare di
sospensiva ovvero alla conferma della stessa da parte del Consiglio di Stato,
laddove, invece, quest’ultimo aveva accolto l’appello ed annullato la
sospensiva. Il consecutivo annullamento della concessione edilizia costituiva un
vero e proprio provvedimento superfluo, dato che la concessione non era mai
divenuto efficace ed anzi era stata caducata ipso iure dall’accoglimento del
ricorso proposto avverso la sospensiva disposta dal T.A.R.: più che di
accoglimento si trattò di mera constatazione del mancato avveramento della
condizione di tal che non era autonomamente impugnabile.
Inoltre, sempre secondo l’appellante, anche volendo superare tale aspetto della
questione, deve comunque affermarsi con certezza che sino all’annullamento del
passaggio in giudicato della pronuncia del T.A.R. n. 2976 del 13.11.1997
(concernente l’annullamento del decreto ministeriale 13.7.1991, che aveva
disposto l’annullamento del nulla osta ambientale rilasciato dal sindaco di
Cercola ai sensi dell’art. 7 della legge 26.9.1939 n. 1497), essa non aveva
avuto, per colpa dell’Amministrazione dei Beni Culturali ed Ambientali una
(valida ed efficace) concessione edilizia e che, anzi, dopo la sentenza, aveva
ripetutamente sollecitato il Comune di Cercola al fine di ottenere il rilascio
della concessione edilizia, ricevendo, solo in data 15.12.1998, una nota nella
quale il Sindaco faceva presente che, a seguito dell’annullamento del P.T.P. ad
opera del T.A.R., era ripristinato il regime inibitorio di cui all’art. 1
quinquies L. n. 431/1985 ed inoltre che ostava al rilascio della nuova
concessione edilizia l’avvenuta adozione del P.R.G. (delibera n. 31
dell’8.4.1998) che, per la zona in questione, impediva l’attività di demolizione
e ricostruzione, oggetto della concessione edilizia n. 8/90 del 13.4 1992,
consentendo solo attività di restauro e consolidamento statico.
La censura va accolta nei sensi e limiti che qui di seguito si illustrano.
Ed invero, la mancata impugnazione della summenzionata ordinanza sindacale del
21 novembre 1994 incide sulla portata retroattiva dell’annullamento operato
dalla sentenza del T.A.R. n. 2957/1997, ma non nel senso di escludere la
possibilità edificatoria, e correlativamente, l’area del danno risarcibile, come
erroneamente sostenuto dal giudice di prime cure, bensì nel senso di
circoscriverla al periodo temporale che va dal 23 maggio 1991 (rilascio del
nulla osta ambientale) al novembre 1994.
5.- Passando alla quantificazione del risarcimento del danno, l’appellante ha
chiesto che lo stesso sia quantificato in L. 1.319.341.291 (pari ad euro
681.382, 91), quale mancato guadagno, pari alla differenza tra il ricavo
dell’investimento (l. 3.100.000.000) e la spesa complessiva per la demolizione e
la ricostruzione del fabbricato, ammontante a L. 1.780.658.708.
Siffatta pretesa non può essere accolta.
Se pur è vero che, in materia di risarcimento del danno per la lesione di un
interesse legittimo, occorre considerare come l’eliminazione dell’atto
impugnato, che costituisce la reintegrazione in forma specifica della situazione
giuridica tutelata, può lasciare un’area coperta ascrivibile alla nozione di
danno ingiusto, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., è altrettanto vero che nella
liquidazione del risarcimento del danno va applicato il principio dell’art. 1223
cod. civ. “in virtù del quale sono risarcibili i danni che siano conseguenza
immediata e diretta della condotta illecita” (cfr., di recente, C.d.S., Sez. V,
10 febbraio 2004, n. 493).
In applicazione del suesposto principio deve escludersi che l’area del
risarcimento si possa dilatare sino a comprendere l’utile che l’appellante
avrebbe ricavato, ove dopo aver ricostruito il fabbricato, avesse proceduto alla
vendita del fabbricato stesso.
Essa, invece, deve essere limitata al mancato godimento dell’immobile, in
conformità, del resto, a quanto statuito il giudicato di cui alla ripetuta
sentenza del T.A.R. n. 2697/2002, che ha fatto esplicito riferimento alla
“quantificazione del mancato guadagno”.
Nella fattispecie in esame il mancato godimento dell’immobile va limitato ad un
periodo di 12 mesi, pressoché coincidente col 1994, dovendosi tenere conto che
il periodo precedente andava utilizzato per l’abbattimento e la costruzione
dell’immobile.
Ai fini del relativo calcolo si può prendere in considerazione il computo
metrico estimativo, presentato dall’appellante, che presenta una spesa
complessiva di £. 1.780.658.707; a tale costo va aggiunto quello relativo
all’area che può stimarsi in circa £ 200.000.000; applicandosi il tasso di
capitalizzazione del 3,50%, si ha, quindi, un reddito che, per l’anno 1994,
ammonta a £. 70.000.000, pari ad euro 36.152.
Poiché nella specie la valutazione è fatta in via equitativa e poiché, in tale
evenienza, è consentito al giudice inglobare in un’unica somma, insieme con la
prestazione principale, interessi e rivalutazione monetaria (cfr. Cass. Sez. III,
12.10.1998, n. 10089 e 5.8.2002, n. 11712), il Collegio è dell’avviso che la
somma di £. 70.000.000 debba essere complessivamente aumentata a £. 100.000.000,
pari ad euro 51.645, importo questo che dovrà essere corrisposto
dall’Amministrazione dei Beni Culturali all’appellante.
6.- In conclusione, nei sensi e limiti sopra esposti, il ricorso deve essere
accolto, con conseguente annullamento in parte qua della sentenza appellata.
Le spese e gli altri oneri del doppio grado del giudizio sono posti a carico
dell’Amministrazione dei Beni Culturali e sono liquidati a favore
dell’appellante in euro 2.000 (duemila).
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie, nei
sensi e limiti indicati in motivazione, il ricorso in appello indicato in
epigrafe e, per l’effetto, previo annullamento in parte qua della sentenza
appellata, dichiara l’obbligo del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali di
corrispondere all’appellante la somma e gli accessori ivi indicati.
Condanna il predetto Dicastero al pagamento, in favore dell’appellante, delle
spese, competenze ed onorari, che sono complessivamente liquidati, per i due
gradi di giudizio, in euro 2.000 (due mila).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2004 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Claudio Varrone Presidente
Luigi Maruotti Consigliere
Giuseppe Romeo Consigliere
Giuseppe Minicone Consigliere
Guido Salemi Consigliere, relatore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 16.02.2005
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
CONSIGLIO DI STATO
1) Urbanistica e edilizia - Diniego di concessione edilizia - Provvedimento ingiusto ed illecito dell’Amministrazione - Progetto di demolizione e ricostruzione di un fabbricato - Nesso di causalità con il nocumento arrecato e il comportamento illecito della p.a. - Danno da lucro cessante - Perdita della chance - Mancato guadagno - Risarcimento del danno - Calcolo - Modalità - Limiti. In materia di risarcimento del danno per la lesione di un interesse legittimo, occorre considerare come l’eliminazione dell’atto impugnato, che costituisce la reintegrazione in forma specifica della situazione giuridica tutelata, può lasciare un’area coperta ascrivibile alla nozione di danno ingiusto, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ma è altrettanto vero che nella liquidazione del risarcimento del danno va applicato il principio dell’art. 1223 cod. civ. “in virtù del quale sono risarcibili i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta illecita” (C.d.S., Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 493). Sicché, nello specifico, deve escludersi che l’area del risarcimento si possa dilatare sino a comprendere l’utile ricavabile, ove dopo aver ricostruito il fabbricato, si fosse proceduto alla vendita. Essa, invece, deve essere limitata al mancato godimento dell’immobile, facendo esplicito riferimento alla “quantificazione del mancato guadagno”. Fattispecie: Diniego di concessione edilizia, danno per lucro cessante, rappresentata dal guadagno da essa non conseguito a causa della mancata realizzazione della progettata ricostruzione del fabbricato. Pres. Varrone - Est. Salemi - Consiglio di Stato Sez. VI, Bilotta (avv. Acone) c. Ministero per i Beni culturali ed Ambientali (n.c.) - (annulla parzialmente Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione II, n. 2624 del 9 maggio 2002). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 febbraio 2005, (C.C. 29 ottobre 2004), Sentenza n. 499
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