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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 febbraio 2005, (C.C. 29 ottobre 2004), Sentenza n. 499

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 

DECISIONE


sul ricorso in appello proposto da Bilotta Maria, rappresentata e difesa dall’avv. Modestino Acone con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via Buccari, n. 3, presso Maria Teresa Acone.
contro
Il Ministero per i Beni culturali ed Ambientali, in persona del Ministro pro tempore, non costituitosi in giudizio.
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione II, n. 2624 del 9 maggio 2002.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 2004 relatore il Consigliere Guido Salemi. Udito l’avv. Acone.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 

F A T T O


La sig.ra Maria Bilotta presentava al Comune di Cercola (NA), in data 15 febbraio 1990, domanda di concessione edilizia per la demolizione e la ricostruzione di un fabbricato di sua proprietà, composto di vari negozi a piano terra, di n. 12 appartamenti su tre piani e sottostante garage, per una spesa complessiva preventivata, come da computo metrico estimativo, di lire 1.780.658.708.


Il Sindaco di Cercola, con decreto n. 18 del 23.5.1991, rilasciava il nulla osta ambientale ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939.


Detto provvedimento era annullato dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali con D.M. del 13 luglio 1991.


Avverso il citato decreto, la sig.ra Bilotta proponeva ricorso al T.A.R. Campania.


Con ordinanza n. 500 del 28.4.1992, il T.A.R. accoglieva la domanda incidentale di sospensione e il Sindaco di Cercola, in data 13.11.1992, rilasciava la concessione edilizia n. 8/90, subordinandone l’efficacia alla condizione che l’ordinanza di sospensione del T.A.R. non fosse impugnata.


Il Ministero proponeva appello che era accolto dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 636 del 28.5.1993.


Per effetto del mancato avveramento della condizione, il Sindaco di Cercola, con provvedimento n. 122 del 21.11.1994, annullava la concessione edilizia.


Con sentenza n. 2975 del 13.11.1997, il T.A.R. pronunciandosi nel merito, accoglieva il ricorso, annullando il decreto ministeriale impugnato.


La sentenza non era appellata e, quindi, passava in giudicato.


La sig.ra Bilotta conveniva in giudizio il Ministero davanti al Tribunale civile di Napoli, proponendo domanda di risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittimo decreto ministeriale, danni quantificati in L. 1.319.341.292 per il mancato utile derivante dalla ricostruzione del fabbricato.


Avendo detto giudice declinato la propria giurisdizione, la ricorrente riproponeva la domanda al T.A.R. della Campania.


Con sentenza n. 2697 del 12.6.2001, il T.A.R. accoglieva in parte qua il ricorso, affermando e riconoscendo, in primo luogo, il non corretto esercizio dei poteri pubblici, il nesso di causalità con il nocumento arrecato alla ricorrente, il comportamento illecito della p.a., generatore di responsabilità ex art. 2043 c.c. Quanto alla individuazione del danno risarcibile, detto giudice osservava che, pur consentendo l’art. 2043 c.c. la liquidazione del danno nella sua duplice componente del danno emergente e del lucro cessante, nella specie, rappresentando il decreto sindacale del 23.5.1991 solo un segmento di una fattispecie procedimentale (concessoria) complessa la cui conclusione soltanto avrebbe attribuito definitivamente una posizione di pieno diritto in capo all’interessata, poteva riconoscersi un interesse qualificato ad un corretto esercizio della discrezionale azione amministrativa, per cui la tutela risarcitoria per la riparazione dell’interesse legittimo violato doveva arrestarsi alla “quantificazione del mancato guadagno”.


In tal senso il T.A.R. invitava l’Amministrazione a formulare, ai sensi dell’art. 35, 2° comma, del D.Lgs. n. 80/1990, una congrua proposta risarcitoria in favore dell’istante.


Scaduto inutilmente detto termine e passata in giudicato la sentenza, la ricorrente proponeva ricorso per l’esecuzione del giudicato ex art. 27, n. 4, del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 ( e 35, 2° comma, del D.Lgs. n. 80/98) al fine di conseguire la determinazione del danno da mancato guadagno (all’uopo esibiva una nota del Comune di Cercola del 15.12.1998, dalla quale risultava che il fabbricato non poteva più essere ricostruito in sito, stante il nuovo assetto normativo, conseguente all’annullamento del P.T.P. e all’adozione del nuovo P.R.G.).


Con sentenza n. 2624 del 9 maggio 2002, il T.A.R. accoglieva la domanda limitatamente al rimborso delle spese progettuali, liquidate nella somma complessiva di L. 20 milioni, affermando che, nella concreta quantificazione del danno risarcibile, non si poteva non tenere conto (anche alla luce dell’art. 1227 c.c.) dell’acquiescenza prestata dalla ricorrente all’ordinanza di annullamento della concessione edilizia (il cui comportamento inerte aveva escluso, in radice, ogni possibilità edificatoria) e, quindi, non si poteva fare riferimento ad un utile che la ricorrente non avrebbe mai potuto percepire.


Con atto notificato il 3 gennaio 2003, la ricorrente ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.


L’Amministrazione appellata non si è costituita in giudizio.


Alla pubblica udienza del 29 ottobre 2004, il ricorso è stato trattenuto in decisione.


D I R I T T O


1.- Come si è esposto nelle premesse di fatto, forma oggetto del ricorso in appello, la sentenza n. 2624 del 9 maggio 2002, con la quale il T.A.R. della Campania, Sezione II, ha accolto in parte qua il ricorso proposto dalla sig.ra Maria Bilotta, condannando il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali al pagamento a favore delle ricorrente delle somma complessiva di lire 20 milioni (pari a euro 10.329, 14), danno ragguagliato alle spese progettuali e tecniche sostenute dalla ricorrente.


2.- L’appello è fondato nei sensi e limiti che qui di seguito si espongono.


3.- Con il primo motivo di appello, la sig.ra Bilotta ha dedotto le censure di violazione dell’art. 35, 2 ° comma del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e dell’art. 27, n. 4 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054.


A suo avviso, non poteva il T.A.R. Campania, con l’impugnata sentenza eludere completamente la voce di danno per lucro cessante, rappresentata dal guadagno da essa non conseguito a causa della mancata realizzazione della progettata ricostruzione del fabbricato, avendo lo stesso T.A.R. già statuito con la precedente sentenza n. 2697 del 12 giugno 2001 - peraltro non impugnata dal Ministero e passata in giudicato - che spettava tale voce di danno, tanto che “in tali termine ed in tali misure” aveva invitato il Ministero a formulare “una congrua proposta risarcitoria”.


La decisione appellata avrebbe, perciò, violato il giudicato formatosi sulla sussistenza di un danno da lucro cessante, benché ristretto alla voce del mancato guadagno per la svanita realizzazione dell’investimento programmato ed enunciato nella domanda di concessione edilizia (perdita della chance).


La censura è fondata.


Come si è esposto nelle premesse di fatto, l’istante aveva lamentato un danno quantificato in L. 1.319.341.292 in ragione del fatto che il provvedimento ingiusto ed illecito dell’Amministrazione (il diniego di concessione edilizia) avrebbe impedito la realizzazione legittima del progetto di demolizione e ricostruzione del suo vecchio fabbricato, dal cui notevole investimento avrebbe dovuto conseguire l’utile così qualificato.


La pretesa in questione è stata respinta, perché, come si osserva nella motivazione della sentenza n. 2697/2001, pur consentendo l’art. 2043 c.c. (attraverso il combinato disposto degli artt. 2056 e 1223) la liquidazione del danno nella sua duplice componente del danno emergente e del lucro cessante, non sembra nel caso de quo ravvisabile un danno ulteriore rispetto al mancato guadagno.


Infatti, come si soggiunge, il decreto emanato dal Sindaco di Cercola, in data 23.5.1991, previo parere favorevole della commissione edilizia comunale e della speciale commissione edilizia integrata per l’ambiente, costituiva solo un segmento di una fattispecie procedimentale (concessoria) complessa la cui conclusione soltanto avrebbe definitivamente attribuito una posizione di pieno diritto in capo all’interessata; sicché, malgrado fosse stato allegato alla domanda di concessione il progetto esecutivo recante l’indicazione dell’investimento programmato, in relazione all’ambito provvedimento concessorio, nessuna situazione giuridicamente tutelabile poteva riconoscersi illo tempore in capo all’istante oltre all’interesse qualificato ad un corretto esercizio della discrezionale azione amministrativa.


In definitiva, il lucro cessante effettivamente risarcibile appariva restringersi al guadagno non conseguito e non più conseguibile (se non in via risarcitoria) e dovuto alla tardiva realizzazione del menzionato progetto.


Proprio alla stregua dei principi e criteri direttivi posti dal giudicato non v’è dubbio che la decisione, contenuta nella sentenza appellata, di limitare il danno alla spese progettuali e tecniche sostenute dall’interessata è palesemente illegittima.


4.- Con il secondo motivo di appello la ricorrente critica la sentenza appellata nella parte in cui ha sostenuto che nella concreta quantificazione del danno risarcibile non potesse non tenersi conto dell’acquiescenza prestata dall’istante all’ordinanza di annullamento della concessione edilizia, il cui comportamento inerte aveva escluso, in radice, ogni possibilità edificatoria, con la conseguenza che l’istante non poteva fare riferimento ad un utile che non avrebbe mai potuto percepire.


Ad avviso dell’appellante, il T.A.R. non ha considerato che la concessione edilizia n. 8/90 del 13.11.1992 era stata condizionata, quanto alla decorrenza della sua efficacia, al passaggio in giudicato della ordinanza cautelare di sospensiva ovvero alla conferma della stessa da parte del Consiglio di Stato, laddove, invece, quest’ultimo aveva accolto l’appello ed annullato la sospensiva. Il consecutivo annullamento della concessione edilizia costituiva un vero e proprio provvedimento superfluo, dato che la concessione non era mai divenuto efficace ed anzi era stata caducata ipso iure dall’accoglimento del ricorso proposto avverso la sospensiva disposta dal T.A.R.: più che di accoglimento si trattò di mera constatazione del mancato avveramento della condizione di tal che non era autonomamente impugnabile.


Inoltre, sempre secondo l’appellante, anche volendo superare tale aspetto della questione, deve comunque affermarsi con certezza che sino all’annullamento del passaggio in giudicato della pronuncia del T.A.R. n. 2976 del 13.11.1997 (concernente l’annullamento del decreto ministeriale 13.7.1991, che aveva disposto l’annullamento del nulla osta ambientale rilasciato dal sindaco di Cercola ai sensi dell’art. 7 della legge 26.9.1939 n. 1497), essa non aveva avuto, per colpa dell’Amministrazione dei Beni Culturali ed Ambientali una (valida ed efficace) concessione edilizia e che, anzi, dopo la sentenza, aveva ripetutamente sollecitato il Comune di Cercola al fine di ottenere il rilascio della concessione edilizia, ricevendo, solo in data 15.12.1998, una nota nella quale il Sindaco faceva presente che, a seguito dell’annullamento del P.T.P. ad opera del T.A.R., era ripristinato il regime inibitorio di cui all’art. 1 quinquies L. n. 431/1985 ed inoltre che ostava al rilascio della nuova concessione edilizia l’avvenuta adozione del P.R.G. (delibera n. 31 dell’8.4.1998) che, per la zona in questione, impediva l’attività di demolizione e ricostruzione, oggetto della concessione edilizia n. 8/90 del 13.4 1992, consentendo solo attività di restauro e consolidamento statico.


La censura va accolta nei sensi e limiti che qui di seguito si illustrano.


Ed invero, la mancata impugnazione della summenzionata ordinanza sindacale del 21 novembre 1994 incide sulla portata retroattiva dell’annullamento operato dalla sentenza del T.A.R. n. 2957/1997, ma non nel senso di escludere la possibilità edificatoria, e correlativamente, l’area del danno risarcibile, come erroneamente sostenuto dal giudice di prime cure, bensì nel senso di circoscriverla al periodo temporale che va dal 23 maggio 1991 (rilascio del nulla osta ambientale) al novembre 1994.


5.- Passando alla quantificazione del risarcimento del danno, l’appellante ha chiesto che lo stesso sia quantificato in L. 1.319.341.291 (pari ad euro 681.382, 91), quale mancato guadagno, pari alla differenza tra il ricavo dell’investimento (l. 3.100.000.000) e la spesa complessiva per la demolizione e la ricostruzione del fabbricato, ammontante a L. 1.780.658.708.


Siffatta pretesa non può essere accolta.


Se pur è vero che, in materia di risarcimento del danno per la lesione di un interesse legittimo, occorre considerare come l’eliminazione dell’atto impugnato, che costituisce la reintegrazione in forma specifica della situazione giuridica tutelata, può lasciare un’area coperta ascrivibile alla nozione di danno ingiusto, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., è altrettanto vero che nella liquidazione del risarcimento del danno va applicato il principio dell’art. 1223 cod. civ. “in virtù del quale sono risarcibili i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta illecita” (cfr., di recente, C.d.S., Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 493).


In applicazione del suesposto principio deve escludersi che l’area del risarcimento si possa dilatare sino a comprendere l’utile che l’appellante avrebbe ricavato, ove dopo aver ricostruito il fabbricato, avesse proceduto alla vendita del fabbricato stesso.


Essa, invece, deve essere limitata al mancato godimento dell’immobile, in conformità, del resto, a quanto statuito il giudicato di cui alla ripetuta sentenza del T.A.R. n. 2697/2002, che ha fatto esplicito riferimento alla “quantificazione del mancato guadagno”.


Nella fattispecie in esame il mancato godimento dell’immobile va limitato ad un periodo di 12 mesi, pressoché coincidente col 1994, dovendosi tenere conto che il periodo precedente andava utilizzato per l’abbattimento e la costruzione dell’immobile.


Ai fini del relativo calcolo si può prendere in considerazione il computo metrico estimativo, presentato dall’appellante, che presenta una spesa complessiva di £. 1.780.658.707; a tale costo va aggiunto quello relativo all’area che può stimarsi in circa £ 200.000.000; applicandosi il tasso di capitalizzazione del 3,50%, si ha, quindi, un reddito che, per l’anno 1994, ammonta a £. 70.000.000, pari ad euro 36.152.


Poiché nella specie la valutazione è fatta in via equitativa e poiché, in tale evenienza, è consentito al giudice inglobare in un’unica somma, insieme con la prestazione principale, interessi e rivalutazione monetaria (cfr. Cass. Sez. III, 12.10.1998, n. 10089 e 5.8.2002, n. 11712), il Collegio è dell’avviso che la somma di £. 70.000.000 debba essere complessivamente aumentata a £. 100.000.000, pari ad euro 51.645, importo questo che dovrà essere corrisposto dall’Amministrazione dei Beni Culturali all’appellante.


6.- In conclusione, nei sensi e limiti sopra esposti, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento in parte qua della sentenza appellata.


Le spese e gli altri oneri del doppio grado del giudizio sono posti a carico dell’Amministrazione dei Beni Culturali e sono liquidati a favore dell’appellante in euro 2.000 (duemila).


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie, nei sensi e limiti indicati in motivazione, il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, previo annullamento in parte qua della sentenza appellata, dichiara l’obbligo del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali di corrispondere all’appellante la somma e gli accessori ivi indicati.


Condanna il predetto Dicastero al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese, competenze ed onorari, che sono complessivamente liquidati, per i due gradi di giudizio, in euro 2.000 (due mila).


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Claudio Varrone Presidente
Luigi Maruotti Consigliere
Giuseppe Romeo Consigliere
Giuseppe Minicone Consigliere
Guido Salemi Consigliere, relatore



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 16.02.2005
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
CONSIGLIO DI STATO

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Urbanistica e edilizia - Diniego di concessione edilizia - Provvedimento ingiusto ed illecito dell’Amministrazione - Progetto di demolizione e ricostruzione di un fabbricato - Nesso di causalità con il nocumento arrecato e il comportamento illecito della p.a. - Danno da lucro cessante - Perdita della chance - Mancato guadagno - Risarcimento del danno - Calcolo - Modalità - Limiti. In materia di risarcimento del danno per la lesione di un interesse legittimo, occorre considerare come l’eliminazione dell’atto impugnato, che costituisce la reintegrazione in forma specifica della situazione giuridica tutelata, può lasciare un’area coperta ascrivibile alla nozione di danno ingiusto, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ma è altrettanto vero che nella liquidazione del risarcimento del danno va applicato il principio dell’art. 1223 cod. civ. “in virtù del quale sono risarcibili i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta illecita” (C.d.S., Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 493). Sicché, nello specifico, deve escludersi che l’area del risarcimento si possa dilatare sino a comprendere l’utile ricavabile, ove dopo aver ricostruito il fabbricato, si fosse proceduto alla vendita. Essa, invece, deve essere limitata al mancato godimento dell’immobile, facendo esplicito riferimento alla “quantificazione del mancato guadagno”. Fattispecie: Diniego di concessione edilizia, danno per lucro cessante, rappresentata dal guadagno da essa non conseguito a causa della mancata realizzazione della progettata ricostruzione del fabbricato. Pres. Varrone - Est. Salemi - Consiglio di Stato Sez. VI, Bilotta (avv. Acone) c. Ministero per i Beni culturali ed Ambientali (n.c.) - (annulla parzialmente Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione II, n. 2624 del 9 maggio 2002). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 febbraio 2005, (C.C. 29 ottobre 2004), Sentenza n. 499 

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