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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DEI CONTI, Sez. Giur. Lombardia - 23 dicembre 2005 (c.c. 20.09.2005), n. 804

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA


composta dai magistrati:
Dr. Vito TENORE Presidente f.f.
Dr. Luigi CASO Componente
Dr. Massimiliano ATELLI Componente relatore
ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel giudizio iscritto al n. 20279 del registro di segreteria su istanza della Procura regionale, contro Fabio XXX, elettivamente domiciliato in Milano, via Turati 7, presso l'avv. Maria Carla Minieri dalla quale è rappresentato e difeso.


Letti gli atti introduttivi e gli altri documenti di causa.


Udìti, nella pubblica udienza del 20.9.2005, il relatore dr. Massimiliano Atelli, l’avv. Maria Carla Minieri, e il Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dr. Domenico Spadaro.
Premesso che:
- con atto di citazione depositato in data 26.6.2003, la Procura attrice conveniva innanzi a questa Sezione XXX Fabio, nato a Roma il GG.GG.GGGG, già dirigente responsabile della direzione provinciale INPDAP di Milano e poi direttore generale del compartimento della Lombardia, deducendo che, sulla scorta di indagini effettuate dall'INPDAP e dalla Procura della Repubblica di Milano e delle confessioni rese dall’interessato, era emerso che il convenuto aveva percepito da Luciano YYY la somma complessiva di euro 903.799,57, tramite versamenti mensili di costante importo dal 1998 al 2000 e fruito della disponibilità di una vettura di ingente valore ad altri intestata, al fine di compiere - in qualità di Pubblico Ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni - atti contrari ai doveri d'ufficio, con riferimento a numerosi contratti di appalto per lavori di ristrutturazione, di pulizia e di manutenzione di stabili di proprietà dell'ente, affidati dall'lnpdap o dalla TTT s.p.a. per conto dell'lnpdap ad imprese facenti capo alla famiglia YYY,
- secondo la Procura attrice: a) la condotta del convenuto di seguito descritta avrebbe arrecato un ingente danno erariale diretto con riferimento agli stabili Inpdap di via Circo e via Crespi, quantificabile - per come risultante dalle perizie effettuate da tecnici INPDAP - in complessivi euro 842.921,46; b) la condotta illecita del XXX, in considerazione sia della sua oggettiva gravità che della vasta risonanza giornalistica, avrebbe altresì prodotto un danno all'immagine dell'lnpdap di importo stimato almeno pari alle tangenti percepite, per complessivi euro 903.799,57; c) infine, le giustificazioni fornite dal convenuto in riscontro al notificato invito a dedurre non sarebbe state tali da escludere l'ipotizzato danno erariale,
- l'attrice Procura Regionale - quantificando nella misura del 90 % l’incidenza causale dei comportamenti del convenuto nella causazione dei riferiti danni - ne chiedeva dunque la condanna al pagamento della somma di euro 1.662.428,89, oltre rivalutazione e interessi legali e spese di giudizio, quale risarcimento del danno arrecato alla p.a., opponendosi all'esercizio del potere riduttivo dell'addebito e salva ogni deduzione in sede esecutiva di quanto risultasse eventualmente già risarcito in relazione ai fatti per cui è causa,
- dietro istanza della Procura Regionale, con decreto del 12.3.2003 il Presidente della Sezione giurisdizionale regionale autorizzava il sequestro conservativo - rinnovato con decreto del 10.4.2003 - nei confronti del XXX, sino alla concorrenza di euro 1.462.669,72,
- in ordine ai fatti per cui è causa, secondo la ricostruzione fattane dalla Procura attrice, nel 1995, l’intero patrimonio immobiliare nazionale dell’INPDAP è stato ripartito su base territoriale in 16 lotti, uno dei quali corrispondente all’area geografica di Milano città e un altro alla restante parte del territorio della Regione Lombardia, e mediante apposita convenzione venne affidata alla TTT s.p.a. dapprima la gestione del primo di questi due lotti; indi, anche la gestione del secondo,
- secondo la prospettazione accusatoria, i comportamenti addebitabili all’odierno convenuto riguardano alcuni fabbricati di proprietà dell’INPDAP, che nel periodo 1997-2001 vennero sottoposti ad interventi di ristrutturazione; in particolare, le relazioni peritali rinvenibili in atti, realizzate dall’INPDAP su sollecitazione della Procura regionale al fine della quantificazione dei danni inferti al patrimonio dell’Ente, riguardano gli immobili, siti in Milano, di via Crespi e di via Circo,
- nel caso dell’immobile sito in via Circo, dalla summenzionata relazione ispettiva risulta che, per quanto si trattasse di immobile destinato ad uso strumentale, come tale estraneo alla convenzione anzidetta per espresso disposto di questa, con cinque distinte determinazioni, tutte adottate nel medesimo giorno, il convenuto avrebbe autorizzato la società mandataria TTT s.p.a. ad eseguire lavori; quanto all’immobile di via Crespi, cespite a reddito inserito nella gestione affidata TTT s.p.a. in base alla menzionata convenzione, dalla relativa relazione ispettiva risulta che con nota del 15.12.1997 l’INPDAP autorizzò la messa a norma del 3° e 4° piano dell’edificio, ma TTT, senza motivi apparenti, avrebbe limitato al solo 4° piano il programma di intervento, senza che neppure ciò venisse accompagnato dalla necessaria contabilizzazione, tanto in fase di programmazione che di esecuzione dell’intervento,
- al XXX è stata applicata dal Tribunale di Milano, con sentenza di patteggiamento n. 787 dell’8.4.2003, la pena di anni 1 e mesi 7 di reclusione, per turbativa d’asta e corruzione propria in concorso con altri, per aver compiuto atti contrari ai doveri d'ufficio, con riferimento a numerosi contratti di appalto per lavori di ristrutturazione, di pulizia e di manutenzione di stabili di proprietà dell'ente, e in particolare per aver illegittimamente frazionato lavori relativi alla sede di via Crespi - concretamente affidati alla ZZZ s.r.l., riconducibile al YYY - al fine di ricorrere all’affidamento a trattativa privata e di non dover richiedere una delibera del C.d.A. INPDAP competente per valore, nonché ai fini dell’assegnazione di lavori e dell’omissione di controlli in violazione dei doveri di imparzialità della P.A., anche nella stipula e nell’esecuzione dei contratti di ‘precision cleaning’ fra INPDAP e PPP, impresa anch’essa riconducibile al YYY, nel 1998,
- dalle relazioni del 13.5.2002 e del 7.11.2002, si evince che: la convenzione stipulata fra TTT s.p.a. e gli organi centrali dell’INPDAP comportava l’affidamento alla prima della gestione di una parte del patrimonio immobiliare di proprietà del secondo e, nella veste di società mandataria, con riguardo ai lavori (ad es., di ristrutturazione e manutenzione) eventualmente necessari a consentire l’adempimento del contratto concluso con l’INPDAP, TTT s.p.a. doveva provvedere ad affidarli essa stessa a imprese terze (nella specie, quelle riconducibili al YYY, autore delle dazioni illecite al convenuto), ove non li avesse realizzati in proprio,
- tuttavia, dalle richiamate relazioni si trae che la metodologia seguita sarebbe stata in concreto la seguente: in disparte i casi in cui venne svolta la c.d. gara informale, una volta ravvisata l’esigenza di effettuare un intervento, TTT s.p.a. comunicava al locale Dirigente INPDAP di aver interpellato una delle ditte del YYY e nel contempo richiedeva, al medesimo Dirigente, l’autorizzazione per procedere all’affidamento alla stessa dell’incarico per la stesura di un preventivo conforme a condizioni contrattuali che dalle prefate relazioni risultano più volte evocate, nella documentazione INPDAP, ma non anche identificate; indi, il locale Dirigente INPDAP autorizzava la società mandataria TTT s.p.a ad effettuare i lavori risultanti dal preventivo redatto dalla società del YYY alla quale, come specificato dalla sentenza di patteggiamento n. 787 dell’8.4.2003, è stata ‘concretamente’ affidata l’esecuzione degli interventi,
- tale affidamento sarebbe stato realizzato direttamente dalla società mandataria, cioè da TTT s.p.a, nel caso dell’immobile di via Circo, mentre nel caso dell’immobile di via Crespi l’INPDAP avrebbe provveduto in proprio alla stipulazione del contratto e ai pagamenti dovuti in base ad esso, sicché, nonostante la convenzione di affidamento della gestione del patrimonio immobiliare INPDAP alla TTT s.p.a, tale ultima società non avrebbe in quest’ultima ipotesi instaurato alcun rapporto contrattuale con le imprese esecutrici terze, ma si sarebbe limitata - come dimostrano gli atti delle c.d. gare informali - a gestire, nell’ambito della trattativa privata, la c.d. gara informale (provvedendo financo alla relativa aggiudicazione) conclusasi con la scelta di una società (la ZZZ s.r.l.) riconducibile al YYY,
- ricostruendo, in estrema sintesi, le dazioni illecite per le quali al convenuto, per i fatti per cui è causa, è stata applicata su richiesta la pena di anni 1 e mesi 7 di reclusione dal giudice penale sono state effettuate dal YYY, cioè dal titolare della ditta che in tanto ha stipulato il contratto direttamente con l’INPDAP in quanto si è aggiudicata la gara informale gestita da TTT s.p.a,, laddove questa è stata espletata,
- per la Procura regionale sarebbero addebitabili al convenuto nella vicenda che in questa sede rileva comportamenti violativi tanto della normativa in materia di lavori pubblici [dal perfezionamento della volontà contrattuale al ricorso a procedure consentite dalla legge, dal rispetto della sequenza procedimentale tipica al divieto di frazionamento di lotti unitari], quanto della normativa regolamentare interna dell’Istituto, nella parte concernente le competenze di spesa previste per i dirigenti provinciali e sarebbero inoltre ravvisabili gravi carenze e disfunzioni nell’esercizio delle funzioni di controllo attribuite al convenuto, per la sua posizione in seno agli uffici territoriali dell’INPDAP,
- con memoria depositata in data 1.6.2004 si costituiva il convenuto, deducendo:
a) che la convenzione fra INPDAP ed TTT è stata stipulata dagli uffici centrali dell’ente previdenziale, e non già dagli uffici diretti dal convenuto;
b) che, per il suo ruolo, il convenuto non si sarebbe potuto esimere dai pagamenti ponentesi in relazione di corrispettività, alla luce della convenzione anzidetta, con le prestazioni effettuate dalle imprese esecutrici degli interventi;
c) che i prezzi applicati agli interventi effettuati rientrerebbero in un prezziario reso parte integrante della convenzione stipulata e, come tale, frutto della libera determinazione delle parti contraenti, dal quale il convenuto non avrebbe dunque avuto la possibilità di discostarsi;
d) che, secondo le stesse risultanze della perizia resa dall’ing. Mirra, i lavori contestati erano comunque da considerare quantomeno opportuni, se non indispensabili;
e) che la contestata omissione di controlli da parte del convenuto sarebbe infondata, perché per l’ampiezza e le caratteristiche del patrimonio immobiliare dell’INPDAP occorrerebbero controlli di tipo tecnico, quali effettuabili solamente da uffici e personale specializzati, che si assumono non rientranti nella competenza del convenuto né sotto il profilo dell’istituzione, né sotto quello della dotazione delle risorse occorrenti;
f) che, per quanto in specie attiene all’asserita violazione delle regole dell’evidenza pubblica, essa - ove pure ritenuta sussistente - non potrebbe ex se costituire fonte di danno erariale;
g) che non sarebbero state fornite adeguate indicazioni probatorie idonee a supportare la contestazione del carattere di somma urgenza dei lavori effettuati;
h) che la Procura attrice avrebbe sovrastimato l’apporto causale del convenuto nell’ambito dei molteplici fattori di ordine organizzativo provvisti nella specie di rilevanza eziologia,
i) che sfornito di prova sarebbe anche l’asserito danno all’immagine dell’INPDAP,
l) che, infine, il convenuto avrebbe già versato a titolo riparatorio all’INPDAP oltre 360.000 euro,
- agli atti di causa è acquisito fra gli altri il verbale di interrogatorio in sede penale del YYY del 27.3.2002 (h 10.55), dal quale risulta l’affermazione dell’interrogato secondo la quale - nel periodo 1999-2000 - la proprietà INPDAP aveva ripreso le redini in mano, non soltanto controllando le scelte e le attività di TTT ma addirittura indicando alla società di gestione le imprese cui affidare i lavori, “secondo quanto ho potuto verificare direttamente per quanto mi riguarda”,
- nello stesso verbale, in fine, l’interrogato afferma che dall’inizio del 2001 TTT non aveva più un ruolo di mediazione nei pagamenti dei fornitori, e che - anche per i lavori che detta società poteva gestire in autonomia per conto dell’ente pubblico - gli constava che giungessero telefonate da parte del XXX o di suoi collaboratori per specificare a chi i lavori dovevano essere aggiudicati,
- nel verbale di interrogatorio in sede penale del YYY del 15.10.2002 (h 16.00), risulta che l’interrogato ha affermato che la ZZZ s.r.l. sarebbe stata costituita su sollecitazione del convenuto, con l’intesa che quest’ultimo gli avrebbe fatto affidare dei lavori direttamente da INPDAP per i quali il YYY avrebbe corrisposto al XXX il 10% del valore netto di ogni commessa,
- nello stesso verbale, risulta altresì l’affermazione del YYY secondo la quale le dazioni illecite effettuate a beneficio del XXX avrebbero riguardato una parte soltanto dei contratti affidati a ZZZ s.r.l., e in particolare quelli affidatigli direttamente dall’INPDAP, trattandosi di lavori sui quali le sue ditte non praticavano alcuno sconto,
- all’udienza del 23.6.2004, il P.M. si richiamava agli atti del processo penale e alle perizie tecniche depositate, identificando il danno nelle maggiori somme sborsate sia in ragione delle anomale tecniche di aggiudicazione utilizzate sia in rapporto all’entità delle prestazioni effettivamente eseguite, e chiedendo la condanna del convenuto come in citazione, mentre l’avv. Minieri insisteva nell’eccezione di carenza di prova in ordine alla sussistenza del danno erariale, assumendo che la Procura regionale farebbe in via presuntiva derivare dal mancato ricorso alle procedure di evidenza pubblica la maggiorazione del prezzo dovuto all’appaltatore, contestando altresì, in subordine, la quantificazione del medesimo danno come prospettata dalla Procura regionale, e aggiungendo che le voci di danno riferite agli immobili di Via Crespi e Via Circo non sarebbero imputabili al convenuto,
- con ordinanza del 23.6.2004, il Collegio, ritenuto che, ai fini del decidere, fosse opportuno un approfondimento istruttorio in ordine alla procedure di affidamento in concreto seguite e al ruolo in esse avuto dal XXX e da TTT s.p.a., disponeva l’acquisizione agli atti del processo, ad iniziativa della Procura attrice, dei seguenti documenti: la nota con cui TTT s.p.a. comunicava al XXX di aver interpellato una delle ditte del YYY e nel contempo richiedeva l’autorizzazione per procedere all’affidamento alla stessa dell’incarico per la stesura di un preventivo conforme a condizioni contrattuali prestabilite; la nota con cui il XXX autorizzava la società mandataria TTT s.p.a ad effettuare i lavori risultanti dal preventivo redatto dalla società del YYY; il contratto stipulato fra INPDAP e la società (la ZZZ s.r.l.) riconducibile al YYY; infine, gli atti della c.d. gara informale condotta da TTT s.p.a. nell’ambito della trattativa privata conclusasi con la scelta della società ZZZ s.r.l. riconducibile al YYY,
- con atto depositato in data 4.3.2005, la Procura regionale provvedeva al deposito della documentazione richiesta dal Collegio, fatta eccezione per:
1) il contratto, relativo all’immobile di via Circo, che sarebbe dovuto intercorrere fra la TTT s.p.a e la ZZZ s.r.l., in quanto - secondo ciò che si ricava dalla nota INPDAP del 25.2.2005 - non risulterebbe essere stato neppure stipulato;
2) parte della documentazione relativa all’immobile di via Crespi, concernente in particolare la c.d. GARA 2, in quanto - secondo ciò che si ricava dalla già citata nota INPDAP del 25.2.2005 - non risulterebbe reperibile presso gli uffici INPDAP;
- dalla documentazione depositata si evince che la metodica utilizzata per gli affidamenti è stata in concreto la seguente:
- nel caso dell’immobile di Via Circo (ricadente al di fuori della convenzione stipulata in data 28.4.1997 fra INPDAP ed TTT s.p.a., in quanto destinato ad uso strumentale), TTT s.p.a. non avrebbe espletato alcuna gara informale, affidando direttamente alla ZZZ s.r.l. - previa autorizzazione del convenuto - l’appalto, senza peraltro stipulare alcun contratto con la ZZZ s.r.l. medesima;
- nel caso invece dell’immobile di Via Crespi (rientrante nell’ambito di applicazione della succitata convenzione: v. all. A, pag. 44), la TTT s.p.a. risulta in atti aver espletato, in nome e per conto dell’INPDAP, distinte gare d’appalto informali (nell’ambito delle quali ZZZ ha applicato sconti, di misura variabile), provvedendo altresì all’aggiudicazione, anche se i relativi contratti sono stati stipulati direttamente fra l’INPDAP, rappresentata dal convenuto, e la ZZZ s.r.l..

- con memoria depositata in data 15.7.2005, la difesa del XXX insisteva in via principale per l’assoluzione del convenuto, ribadendo l’estraneità di questi rispetto alla relazione fra TTT s.p.a. e ZZZ s.r.l., nell’ambito della quale - e a partire dalla sua stessa instaurazione - la prima si sarebbe mossa in totale autonomia, trattandosi di società di diritto privato operante in regime di libero mercato per il perseguimento di fini di lucro e non vincolata nell’affidamento di subappalti al ricorso alle regole di evidenza pubblica obbligatorie per le stazioni appaltanti e gli organismi di diritto pubblico; in via subordinata, la difesa contestava la quantificazione del danno erariale come effettuata dalla Procura attrice, instando per il rigetto della domanda e, in via ulteriormente gradata, per la riduzione dell’addebito, con decurtazione di quanto versato dal convenuto a titolo di risarcimento a favore dell’INPDAP e del danno erariale riferito in citazione ai lavori di via Circo, perché ritenuto quantificato in modo erroneo nella relazione ispettiva in atti.


- all’udienza del 20.9.2005 il procuratore regionale insisteva per la condanna evidenziando che:
1) l’immobile di via Circo era destinato ad uso strumentale, e come tale si situava al di fuori del perimetro applicativo della convenzione stipulata fra INPDAP ed TTT s.p.a.;
2) l’artificioso frazionamento del complessivo intervento in distinti lotti era preordinato a creare le condizioni perché ciascuno di essi rimanesse al di sotto della soglia comunitaria;
3) l’immobile di via Crespi rientrava nella categoria B e C, sicché per i relativi lavori sarebbe occorsa l’autorizzazione dell’INPDAP, che invece è mancata, con ciò che ne consegue anche in punto di mancati controlli;
4) in ogni caso, era mancata in concreto la situazione di <<somma urgenza>> che come noto consente il ricorso a procedure snelle e largamente deformalizzate,
- di contro, l’avv. Minieri contestava che TTT s.p.a. fosse tenuta, nella specie, a fare applicazione della normativa in materia di lavori pubblici, giusta la sua qualità di società per azioni di diritto privato con fine di lucro, aggiungendo che la perizia su cui si fonda l’atto di citazione è stata realizzata utilizzando come riferimento i preventivi anziché le determine di affidamento, come invece, a suo dire, dovrebbe essere,
si svolgono i seguenti motivi in


DIRITTO


1. Non essendovi questioni preliminari da esaminare, nel merito si espone quanto segue.


Può pacificamente affermarsi che i fatti di causa, nella loro materiale sussistenza, salva ogni diversa valutazione giuridica da parte di questa sezione giurisdizionale della Corte dei conti, siano quelli accertati nella sentenza di patteggiamento emessa dal tribunale di Milano, in data 8.4.2003, n. 787, a seguito di rito abbreviato, nei confronti dell’odierno convenuto.


Ovviamente, l'efficacia di tali pronunce è limitata agli elementi indicati al primo comma dell'art.651 c.p.p. (accertamento della sussistenza del fatto; della sua illiceità penale; della sua commissione da parte dell'imputato), dovendosi, invece, questa Corte farsi integralmente carico dell'accertamento della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità contabile (danno erariale, nesso causale, colpa grave), conseguenti ai fatti accertati in sede penale.


Tali conclusioni sono necessariamente conseguenti al chiaro disposto dei commi 1 e 2 dell'art.651 c.p.p. La prima norma statuisce l'efficacia delle sentenze penali di condanna, nei giudizi civili ed amministrativi “di danno”, con particolare riferimento a quelli aventi ad oggetto “le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile”. È innegabile che il presente giudizio rientri nel novero di quelli amministrativi di danno di cui parla la citata norma. Parimenti innegabile, in quanto espressamente chiarito dal comma 2, è il riconoscimento della medesima efficacia (con riferimento alla tipologia sia dei fatti accertati, sia dei giudizi in cui tale efficacia si dispiega) in capo alla sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a seguito di giudizio abbreviato.


Conseguentemente, deve ritenersi provato che il convenuto abbia commesso i fatti integranti il reato di corruzione, così come accertati nella citata sentenza penale e posti a fondamento dell'azione di responsabilità proposta dalla Procura regionale.


Venendo all'esame degli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa del convenuto, è indubbia la sussistenza del relativo elemento soggettivo, sub specie di dolo, atteso che il reato dal medesimo commesso è di natura dolosa.


2. Quanto al danno erariale, valga quanto segue.


Nella specie, la convenzione fra INPDAP ed TTT s.p.a stipulata dagli uffici centrali dell’ente previdenziale dava vita, giusta il suo contenuto, ad un contratto di global service, figura ormai da tempo nota anche nel nostro Paese alla pratica dei rapporti commerciali e all’esperienza giurisprudenziale.


Premesso che la figura del global service può in concreto declinarsi in forme assai diverse fra di loro, tanto che non ne esiste una definizione ufficiale, questa particolare tipologia contrattuale consente, nell’ambito di un sistema complesso di gestione immobiliare, di esternalizzare i processi manutentivi, i quali possono comprendere una serie di attività (organizzative, di programmazione, esecutive…), che il committente è tenuto ad individuare nella fase di definizione degli obiettivi.


Secondo le classificazioni convenzionali in uso in ambito aziendalistico, con specifico riferimento al c.d. real estate management, il contratto di global service tende a ricomprendere in sé, più spesso, attività riconducibili al building management, al property management e all’asset management, anche se variabilmente combinate fra di loro. Ribadito che va escluso ogni carattere di tassatività nelle classificazioni al riguardo in uso, le attività più ricorrenti in un contratto di global service possono essere:
anagrafica quali-quantitativa del patrimonio immobiliare;
monitoraggio costante dello stato fisico e prestazionale degli immobili gestiti;
pianificazione temporale degli interventi manutentivi;
progettazione esecutiva degli interventi più onerosi;
esecuzione operativa degli interventi;
gestione delle banche dati su supporto informatico;
report statistici sia di tipo operativo che amministrativo;
analisi dei dati a consuntivo.


Tutto ciò premesso, ai fini del presente giudizio, assume evidentemente rilevanza la natura giuridica dello specifico contratto di global service stipulato fra INPDAP ed TTT s.p.a.


In proposito, va detto - fermo restando che siffatta natura è funzione del concreto atteggiarsi di ciascun regolamento di interessi quale risultante dal testo del contratto predisposto dalle parti nei singoli casi - che sebbene la questione sia oggetto di dibattito in dottrina, sin dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso si è affermato, nella giurisprudenza del giudice amministrativo, l’indirizzo incline a ricondurre tendenzialmente la tipologia contrattuale in discorso alla figura dell’appalto di lavori pubblici.


In particolare, sin dal 1999 (il che non costituisce certo circostanza irrilevante in rapporto alla tempistica di svolgimento delle vicende qui oggetto di giudizio), il Consiglio di Stato ha affermato che costituisce appalto di lavori pubblici e non di servizi quello con cui un ente pubblico <<affida ad un'impresa edile la gestione tecnico-manutentiva del patrimonio immobiliare comunale, le altre prestazioni imposte all'aggiudicataria, comprese la formazione di un'anagrafe informatizzata di tutte le unità abitative di proprietà comunale, essendo meramente strumentali alla manutenzione ordinaria e straordinaria di queste ultime e richieste solo perché la p.a. non è in grado di valutarne la consistenza e di programmare da sola gli interventi necessari, fermo restando che il termine "gestione", equivalente all'amministrazione del patrimonio, non significa null'altro, nell'ambito dell'appalto, che la pura e semplice programmazione di siffatti interventi>> (così, Consiglio Stato sez. V, 11.6.1999, n. 630; ma v. anche Cons. Stato, sez. VI, 16.12.1998, n.1680 e sez. V, 4.5.2001, n. 2518).


In termini non dissimili, la giurisprudenza più recente (Cons. Stato, IV, n. 537 del 2005) ha osservato che <<l’art.3 del D.l.vo n. 157/95, nella versione aggiornata con l’art. 3 del D.L.vo n. 65/2000 ha disposto che nei contratti misti di lavori e servizi e nei contratti di servizi, quando comprendono lavori accessori, si applicano le norme della L.n. 109/94 qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50%.


Già nel vigore della precedente versione dell’art. 3 del D.L.vo n. 157/95 ai fini della qualificazione come appalto di servizi era prevista la concomitanza di tutte e tre le condizioni indicate dalla norma (funzione accessoria dei lavori rispetto ai servizi; importo dei lavori inferiore al 50% del totale; non costituzione di oggetto principale dell’appalto). Di talchè veniva affermato, in dottrina, che la funzione principale dei lavori comportava l’applicazione della disciplina sui lavori anche in caso di subvalenza economica degli stessi>>.


Ha nell’occasione aggiunto il giudice amministrativo di appello che <<giova alla interpretazione indicata la previsione dell’art. 2 comma 1 lett.l) del D.P.R. n. 554 del 1999, contenente regolamento di esecuzione della legge quadro sui lavori pubblici, che, in sede di definizione del concetto di manutenzione, parla di “combinazione di tutte le azioni tecniche, specialistiche e amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un’opera o un impianto nella condizione di svolgere la funzione prevista dal provvedimento di approvazione del progetto”, con ciò individuando nel contratto di manutenzione un’attività intesa prima a definire le esigenze del committente e, poi, ad eseguire gli interventi necessari a restituire funzionalità all’immobile e agli impianti>>, dal che discende la qualificazione come di appalto di lavori pubblici ai sensi della L.n. 109/94 e successive modificazioni che non viene esclusa dalla <<presenza all’interno dell’appalto di prestazioni di segno diverso, aventi rilievo quantitativo o funzionale minoritario rispetto alle prestazioni qualificabili come lavori ovvero natura strumentale rispetto all’attività manutentiva vera e propria>>.


Del resto, l’art. 2, comma 1, della l. n. 109 del 1994 è assolutamente chiaro (e in astratto sarebbe anche autosufficiente, per quanto qui interessa) nello specificare che <<ai sensi e per gli effetti della presente legge e del regolamento di cui all'articolo 3, comma 2, si intendono per lavori pubblici, se affidati dai soggetti di cui al comma 2 del presente articolo, le attività di (…) manutenzione di opere ed impianti…>>.


Il Collegio ritiene di condividere l’impostazione fatta propria dal giudice amministrativo, in particolare alla luce dello schema legale del contratto <<misto>> di lavori, servizi e forniture, da intendersi in senso conforme alla normativa comunitaria, prima ancora che a quella di diritto interno (di fronte alla cui eventuale difformità rispetto alla prima questo Giudice non potrebbe in nessun caso esimersi dall’effettuarne la disapplicazione, sulla scorta del costante insegnamento della Corte di Giustizia, ribadito di recente con sent. del 9.9.2003, in causa C-198/01).


Vale rammentare, in proposito, che la figura dell’appalto <<misto>> con prevalenza di lavori pubblici è nel diritto interno disciplinata dall’art. 2, comma 1, della l. n. 109 del 1994 (e, di riflesso, dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 17 marzo 1995 n.157, recante attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), la quale è stata di recente modificata, sul punto, con la l. n. del 2005, per effetto delle pressioni esercitate dalle autorità comunitarie.


Prima della modifica, le norme sopraindicate prevedevano l’applicazione delle norme della legge quadro sui lavori pubblici (sia nel caso di contratti misti di lavori, forniture e servizi, sia nel caso di contratti di forniture e/o di servizi anche quando comprendano lavori accessori rispetto alle altre prestazioni), qualora i lavori avessero assunto rilievo economico superiore al 50 per cento. In tal modo, il legislatore italiano aveva chiaramente indicato quale dovesse essere il criterio da utilizzare per individuare la prestazione economica prevalente, al fine di stabilire quale normativa dovesse applicarsi in caso di appalti a componente mista di prestazioni: la prestazione economicamente più rilevante (in senso oggettivo) assumeva carattere assorbente, determinando l’assoggettamento del contratto alla propria disciplina di riferimento.


Rispetto a siffatto modello regolamentare, tuttavia, con procedura d’infrazione 2001/2182 ex articolo 226 del Trattato, la Commissione Europea ha formulato, fra gli altri, alcuni rilievi circa la compatibilità con il diritto comunitario, ponendo in particolare l’accento proprio sul criterio da utilizzare per individuare la normativa da applicarsi negli appalti che comprendono tanto una esecuzione di lavori, quanto una prestazione diversa (forniture e/o servizi).


In particolare, la Commissione Europea ha contestato l’utilizzo esclusivo del predetto criterio (riferito cioè all’incidenza percentuale sul valore economico globale), ricordando che il diritto comunitario ha sempre considerato “l’oggetto principale del contratto” quale parametro di riferimento per la determinazione delle regole applicabili agli appalti misti. Sicché, ha osservato la Commissione, la prevalenza economica della componente dei lavori rispetto alle altre prestazioni (servizi e/o forniture) non implica necessariamente che un appalto possa essere qualificato come appalto pubblico di lavori, qualora questi ultimi siano accessori e non costituiscano l’oggetto principale dell’appalto.


Ciò perché, è stato infatti rilevato, all’individuazione dell’oggetto principale in un appalto misto concorrono, tra gli altri, non solo la rilevanza economica delle singole prestazioni, ma anche la connotazione dell’accessorietà o meno della componente lavori rispetto alle altre prestazioni, e viceversa.


Ora, fra le modifiche apportate nel corso del 2005 alla l. n. 109 del 1994 vi è anche la sostituzione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 109/1994 e s.m., con il seguente testo «nei contratti misti di lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o di servizi quando comprendono lavori si applicano le norme della presente legge qualora i lavori assumano rilievo superiore al 50 per cento. Quest'ultima disposizione non si applica ove i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale dedotto in contratto».


Secondo la determinazione dell'Autorità sui lavori pubblici n. 3 del 6 aprile 2005, <<tale disposizione recepisce, dunque, le indicazioni della Direttiva n. 18/2004/CE, sebbene non contenga alcuna precisazione in ordine al significato da attribuire al criterio della «accessorietà», sicché per comprenderlo occorrerà fare riferimento a quanto disposto dalla Direttiva stessa>>.


In sede di analisi delle nuove norme (all’epoca dell’adozione della summenzionata determinazione, ancora in itinere), l’Autorità ha più specificatamente affermato che <<può osservarsi quanto segue:
la normativa sui lavori pubblici troverà applicazione qualora i lavori assumano rilievo superiore al 50 per cento rispetto al valore dell'appalto;
la normativa de qua, ai sensi della nuova e futura versione dell'art. 2, comma 1, legge quadro, non sarà applicabile quando i lavori rivestono carattere accessorio ossia (ai sensi della direttiva n. 18/2004) quando «costituiscono solo una conseguenza eventuale o un completamento del servizio». Sicché troverà applicazione la normativa su servizi o forniture anche qualora i lavori, accessori nel senso appena esplicato, siano di valore economico superiore a questi ultimi>>.


Infine, l’Autorità ha aggiunto, significativamente, <<ma ragionando al contrario, può altresì ammettersi l'applicazione della normativa sui lavori pubblici ove i lavori stessi «caratterizzino» l'appalto (in quanto costituenti l'oggetto principale dello stesso) e (poiché la norma nulla dispone al riguardo), può aggiungersi, anche se di valore inferiore rispetto a quello di servizi e forniture>>.


Alla luce di quanto sopra precede, il Collegio ritiene che la convenzione fra INPDAP ed TTT s.p.a stipulata dagli uffici centrali dell’ente previdenziale integri, giusta il suo contenuto, un contratto di global service classificabile come appalto misto assoggettato alla disciplina, comunitaria e di diritto interno, dei lavori pubblici. E questa conclusione il Collegio ritiene di dover tenere ferma anche alla luce del complessivo testo dell’art. 2, comma 1, della l. n. 109 della 1994 vigente all’epoca dei fatti per cui è causa, il quale, per quanto qui rileva, in forza del consolidato principio del primato del diritto comunitario su quello interno, va quindi in parte qua (limitatamente cioè all’art. 2, comma 1, seconda parte, l. n. 109 del 1994) disapplicato.


Secondo una giurisprudenza costante e consolidata della Corte di giustizia, i giudici nazionali hanno infatti l’obbligo di applicare il diritto comunitario e di disapplicare le disposizioni del diritto nazionale eventualmente contrastanti, quale logica conseguenza del primato applicativo del diritto comunitario. Nella sentenza Simmenthal (sent. 9.3.1978, in causa 106/77), in particolare, la Corte ha osservato al riguardo che il giudice nazionale deve dare applicazione al diritto comunitario «(…) disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria (…)» .


Più in dettaglio, il giudice nazionale deve garantire la piena efficacia del diritto comunitario «disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale».


E, come è stato ulteriormente precisato, con specifico riferimento al problema della disapplicazione di norme di diritto interno in materia penale, il giudice nazionale è tenuto ad astenersi <<dall'applicare qualsiasi norma di diritto interno, di qualunque natura, che si riveli>> contraria al diritto comunitario.


3. Inconferente risulta, in questo contesto, il riferimento operato nelle deduzioni difensive alla sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 778 del 1999, ove può leggersi che “nella specie l'Inpdap, le cui funzioni sono l'erogazione di trattamenti previdenziali e pensionistici ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, conferendo l'incarico di gestire una parte del suo patrimonio immobiliare alla società TTT, non ha ad essa trasferito i poteri concernenti i suoi fini istituzionali, ne' affidato l'esercizio di un servizio pubblico, ma ha assegnato il compito di espletare una complessa attività di natura esclusivamente privata (riscossione canoni, instaurazione dei giudizi contro gli inquilini morosi, perfezionamento e rinnovo dei contratti di locazione delle unità immobiliari ecc.) del tutto estranea alla materia oggetto dei provvedimenti concessori”.


Siffatta decisione potrebbe infatti rilevare, ai fini del presente giudizio, se anche nella vicenda per cui qui è causa l’INPDAP si fosse limitata ad assegnare ad TTT s.p.a. “il compito di espletare una complessa attività di natura esclusivamente privata (riscossione canoni, instaurazione dei giudizi contro gli inquilini morosi, perfezionamento e rinnovo dei contratti di locazione delle unità immobiliari ecc.)…”.


Così, tuttavia, non è.


Nella specie, infatti, con riferimento all’immobile di via Crespi, TTT s.p.a. ha senza dubbio svolto - in nome e per conto dell’INPDAP - la funzione (pacificamente di natura pubblica) di stazione appaltante, svolgendo in proprio la c.d. gara informale e provvedendo persino all’aggiudicazione.


Sennonché, così facendo, trattandosi nella specie - come si è specificato alla luce dello schema legale del contratto <<misto>> di lavori, servizi e forniture - di appalto di lavori pubblici (rectius, regolato, in quanto <<misto>> con prevalenza di lavori, dalla normativa di diritto comunitario e interno concernente i lavori pubblici), è stata platealmente violata la previsione di cui all’art. 19, comma 3, l. n. 109 del 1994, la quale - già all’epoca dei fatti qui in contestazione - prevedeva che <<le amministrazioni aggiudicatrici ed i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, lettera b) non possono affidare a soggetti pubblici o di diritto privato l'espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici>>.


Del resto, lo specifico contratto di global service stipulato fra INPDAP ed TTT s.p.a. non prevede nulla di simile.


Si tratta dunque di una violazione diretta e inequivoca della legislazione vigente all’epoca dei fatti - come puntualizzato nell’atto di citazione - <<in materia di lavori pubblici, per ciò che riguarda le procedure di gara…>> (pag. 9), che vale senz’altro a confortare l’addebito a titolo di dolo del comportamento criminoso già acclarato dal giudice penale. Ed è in un quadro circostanziale dominato da questa eccezionale forma di illegittimità che si contestualizzano anche le ulteriori censure inerenti la trasgressione del divieto di frazionamento in più lotti dell’intervento e il travalicamento dei limiti di competenza per valore fissati per la dirigenza dell’ente con atti interni.


4. Né, in senso contrario all’affermazione della responsabilità del convenuto, ha pregio la deduzione difensiva (pp. 6 e 7 della memoria depositata in data 1.6.2004) concernente l’inconferenza del riferimento, nell’atto di citazione, al prezzario predisposto dalla Camera di commercio di Milano.


In merito, il Collegio osserva che la deduzione difensiva solleva in sostanza la questione del se, in materia di appalti pubblici, e in specie di appalti di lavori, siano rinvenibili indicatori provvisti di un sufficiente grado di attendibilità, anche agli effetti della valutazione della legittimità dei comportamenti attuativi (e, di riflesso, delle responsabilità che eventualmente ne derivino).


Al quesito va data risposta affermativa, alla luce del diritto interno di settore.


In particolare, militano in questo senso le indicazioni contenute nella Legge Quadro in materia di lavori pubblici (n. 109 del 1994) e nel relativo Regolamento d’attuazione (D.P.R. 554 del 1999).


Per un verso, infatti, l’art. 4, comma 4, della Legge Quadro stabilisce che l’Autorità <<predispone ed invia al Governo e al Parlamento una relazione annuale nella quale si evidenziano disfunzioni riscontrate nel settore degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici con particolare riferimento>>, fra l’altro, <<allo scostamento dai costi standardizzati di cui al comma 16, lettera b)>>.


Per altro verso, l’art. 4, comma 16, da ultimo richiamato, assegna all’Osservatorio allocato presso l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici il compito, fra gli altri, di determinare <<annualmente costi standardizzati per tipo di lavoro in relazione a specifiche aree territoriali, facendone oggetto di una specifica pubblicazione>>.


Da ultimo, l’art. 23 del D.P.R. n. 554 reca la prescrizione - rivolta ai responsabili del progetto preliminare - di redigere un calcolo sommario della spesa, applicando alle quantità caratteristiche delle opere e dei lavori i corrispondenti “costi standardizzati” determinati dall’Osservatorio, specificando che, in loro assenza, si applicano parametri desunti da interventi simili o si redige un computo metrico estimativo di massima con prezzi unitari <<ricavati dai prezziari o dai listini ufficiali vigenti nell'area interessata>>.


In proposito, va aggiunto che, come è stato osservato nella Relazione generale del Gruppo di studio designato dal Consiglio dell’Autorità, <<è ormai generalmente acquisito come l’impiego dei “costi standardizzati” riguardi da un lato, la “… rilevazione degli scostamenti (verifica di congruità) e, dall’altro, le modalità di redazione del calcolo sommario di spesa (stima preventiva)”. La prima è ovviamente riferita al “consuntivo dei lavori” ed è quindi correlata con la fase di collaudo, mentre la seconda attiene al “progetto preliminare”>>.


Alla luce di quanto precede, se è vero che eventuali scostamenti da (prezzi unitari ricavati da) <<prezziari o dai listini ufficiali vigenti nell'area interessata>> non hanno dignità legislativa, è anche vero che ciò rileva unicamente in rapporto alle specifiche attribuzioni intestate dalla legge all’Autorità (art. 4 della l. n. 109), non già in termini assoluti. Viceversa, l’art. 23 del D.P.R. n. 554 prevede positivamente il ricorso in materia di lavori pubblici - in specie, ai fini del calcolo sommario di spesa che compone il progetto preliminare (art. 18, comma 1, lett. g, del succitato D.P.R.) - a <<prezziari o listini ufficiali vigenti nell'area interessata>>, ancorché in via sussidiaria rispetto ai costi standardizzati di cui si è detto. Per tal via, la possibilità di ricorrere a detti <<prezziari o listini ufficiali>> è ammessa in modo generalizzato (del resto, essi sono richiamati - sì da poter operare in via integrativa persino nel caso di specie - nella stessa convenzione stipulata fra INPDAP ed TTT s.p.a.: v. ad es. punto 19 dell’atto aggiuntivo del 22.12.2000).


Ciò premesso, il Collegio ritiene che il prezzario predisposto e diffuso dalla Camera di commercio, al quale si rifà l’atto di citazione, rientri fra i <<prezziari o listini ufficiali vigenti nell'area interessata>> di cui all’art. 23 del Regolamento d’attuazione della l. n. 109 del 1994, dai quali devono per legge ricavarsi i prezzi unitari da utilizzare per il computo metrico-estimativo di massima. Né potrebbe seriamente dubitarsi dell’ <<ufficialità>> di simili prezzari, giusta la natura - per consolidato orientamento giurisprudenziale - di ente pubblico non economico delle Camere di commercio predisponenti (Cass., SS.UU., sent. nn. 60389 del 2002 e 21503 del 2004).


Le medesime conclusioni, per ragioni analoghe, ancorché non identiche, si impongono, secondo il Collegio, per il prezzario edito dalla Casa editrice DEI - Tipografia del Genio civile di Roma, utilizzato dall’ing. Mirra - unitamente a quello predisposto dalla Camera di Commercio di Milano - ai fini della stesura delle perizie (pp. 6 e 8, per l’immobile di via Circo; pp. 8 e 10, per l’immobile di via Crespi) dalle quali la Procura attrice ha ricavato la quantificazione del danno erariale per cui è causa. Del resto, il carattere <<ufficiale>> dei prezzari cui ha riguardo l’art. 23 del D.P.R. n. 554 non deve derivare necessariamente dalla qualità di soggetto pubblico del predisponente, potendo contraddistinguere anche prezzari diffusamente in uso (e in questo senso, “vigenti”) predisposti da soggetti di diritto privato.


Ancora, in senso contrario alla dedotta (pretesa) inconferenza di simili prezzari sta la considerazione che essi sono sì idonei ad influire sul (solo) calcolo sommario di spesa che compone il progetto preliminare (art. 23 del D.P.R. n. 554), in luogo eventualmente dei costi standardizzati determinati dall’Autorità, ma - nonostante l’intrinseco grado di approssimazione del valore nel quale quel calcolo sommario esita - la precisa rilevanza giuridica di questo è, indirettamente ma univocamente, dimostrata dall’attenzione che il legislatore mostra proprio per gli scostamenti dal parametro destinato a influire in via prioritaria su detto calcolo (art. 4, comma 4, della l. n. 109).


Ne consegue, ai fini del presente giudizio, che - pur non essendo l’unico parametro utile (a titolo esemplificativo si pensi, evidentemente, ai costi standardizzati rilevati dall’Osservatorio allocato presso l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici) - il prezzario dei lavori edili predisposto e diffuso dalla Camera di commercio di Milano deve ritenersi, per interventi realizzati nel capoluogo lombardo, un attendibile e plausibile punto di riferimento. Naturalmente, esso ha una valenza di tipo indicativo, coerente con la previsione legislativa che ne rende necessitato l’uso, in via sussidiaria rispetto ai costi standardizzati di cui all’art. 4 della l. n. 109 del 1994, ai fini del calcolo sommario di spesa che compone il progetto preliminare. In ragione della sua indicatività, esso si presta ad orientare la valutazione equitativa cui il giudice sia, come nella specie, chiamato a compiere ex art. 1226 c.c..


5. Nel (solo) caso dell’immobile di via Circo, come risulta (pp. 3 e 4) dalla perizia dell’ing. Mirra (perizia integralmente richiamata dall’atto di citazione, unitamente a quella dal medesimo autore redatta con riferimento all’immobile di via Crespi: v. pp. 4 e 11 della domanda attrice), non sono stati rinvenuti computi metrici estimativi elaborati da TTT s.p.a..


Di conseguenza, gli unici documenti riferibili agli interventi effettuati su detto immobile di proprietà INPDAP sono i preventivi prodotti dalla ZZZ s.r.l. alla TTT s.p.a. e da questa trasmessi all’INPDAP medesimo in data 1.12.2000. A tali preventivi si è dichiaratamente rifatta la perizia dell’Ing. Mirra, nel valutare comparativamente i costi degli interventi per cui è causa.


Così stando le cose, non ha pregio la deduzione difensiva secondo la quale la perizia e, per questa via, l’atto di citazione, sarebbero incorsi in un errore metodologico utilizzando come termine di paragone i preventivi prodotti dalla ZZZ s.r.l. piuttosto che le determine dirigenziali del 21.12.1999.


Non solo l’immobile di via Circo, come si è detto, non rientrava nella convenzione stipulata fra INPDAP ed TTT s.p.a., ma la metodologia in concreto seguita ai fini della realizzazione degli interventi (le determine dirigenziali adottate nel dicembre 1999, cui segue dopo quasi un anno la trasmissione da parte di TTT s.p.a. di preventivi di provenienza ZZZ s.r.l.) rendono la vicenda de qua una delle pagine più emblematiche - per spessore e gravità - del fenomeno della corruzione nel settore degli appalti pubblici in Italia, negli ultimi anni.


In estrema sintesi:
- attesa l’estraneità dell’immobile di via Circo rispetto all’oggetto della convenzione stipulata in data 28.4.1997, l’INPDAP non poteva affidare a TTT s.p.a. in via diretta gli interventi su di esso;
- per le medesime ragioni (difetto di presupposti) TTT s.p.a. non aveva titolo a proporsi per la realizzazione di detti interventi prima e a prescindere dall’eventuale esito vittorioso di una procedura di evidenza pubblica condotta in competizione con altri offerenti;
- men che meno TTT s.p.a. poteva proporsi indirizzando a INPDAP preventivi di terzi, anziché propri, assumendo così, sin dal principio, una posizione di pura mediazione, dando ad intendere che la materiale esecuzione degli interventi sarebbe stata interamente rimessa a ZZZ s.r.l. (in completa difformità, oltre che alla normativa vigente, per quanto si è appena detto, persino alla stessa puntuale previsione di cui al punto 21 dell’all. F alla convenzione stipulata fra INPDAP ed TTT s.p.a.);
- lo schema sopra descritto diverge a tal punto dal rispetto delle norme comunitarie e di diritto interno in materia di lavori pubblici, da denotare nei protagonisti un atteggiamento di sprezzante e irriducibile incuranza del principio di legalità, sin dall’inizio della vicenda, ovvero dalla sua stessa formalizzazione.


Di qui, non soltanto l’atteggiarsi a falso problema della questione del controllo dirigenziale (rectius, del dirigente convenuto nel presente giudizio) sulla regolarità della procedura, ma anche l’inconferenza della contestazione difensiva relativa ai preventivi di ZZZ s.r.l. come termine di raffronto assunto nella redazione della perizia, in luogo delle determine dirigenziali. Non soltanto, infatti, il riferimento a detti ultimi atti risulterebbe improprio, giusta quanto sopra si è osservato in ordine allo scostamento dai parametri da usare - secondo la normativa di diritto interno richiamata - per il calcolo sommario della spesa, ma nella specie non si è rinvenuta traccia di computi metrici estimativi e/o preventivi anteriori alle determine di che trattasi (né l’attività difensiva ha dimostrato la loro esistenza), mentre ne risultano di posteriori, per il surplus di spesa quantificato nelle perizie dell’ing. Mirra.


In definitiva, anche nello specifico caso dell’immobile di via Circo i criteri utilizzati per quantificare il danno erariale per cui è causa appaiono plausibili e attendibili.


6. Agli effetti della concreta quantificazione del danno erariale, il Collegio ritiene dunque - per le ragioni complessivamente sopra esposte - attendibili le risultanze delle perizie realizzate dall’ing. Mirra, con riferimento agli immobili di via Circo e via Crespi, recepite nell’atto di citazione.


7. Assorbita rimanendo ogni ulteriore e diversa censura, alla luce di quanto precede, il Collegio concorda con la Procura sul fatto che - tenuto conto anche dell’importo della tangente corrisposta - il danno erariale ammonti nel caso de quo complessivamente ad euro 1.746.720,00 (euro 842.921,46 per la posta di danno diretto ed euro 903,799,57 per danno all’immagine dell’amministrazione) ma ritiene tuttavia che non sia equo porre questa somma interamente a carico dell’odierno convenuto. Considerata la complessa sequenza in cui si è articolata l’eziopatogenesi del danno per cui è causa, infatti, il Collegio ritiene di dover addebitare all’odierno convenuto il 50 % della somma complessivamente stimata dalla Procura attrice.


Con ciò non si vuol dire che siano con sicurezza rinvenibili nella vicenda per cui è causa ulteriori responsabilità e ulteriori responsabili. Tuttavia, se è vero, come risulta dalle dichiarazioni confessorie rese dinanzi al giudice penale (v. verbale di interrogatorio del 15.10.2002, h 16.00), che il XXX sarebbe addirittura l’ispiratore della stessa costituzione della società del YYY che poi effettivamente si aggiudicò le commesse per cui è causa, sarebbe improprio escludere a priori ogni e qualunque ulteriore responsabilità, in specie dei soggetti che, a dispetto della normativa vigente (la l. n. 109 del 1994, ad iniziare dal citato art. 19, comma 3), ebbero un ruolo di primo piano nella sequenza di accadimenti che condussero ai relativi affidamenti.


Ciò premesso, al fine di verificare se fra l’INPDAP e la TTT s.p.a. si sia venuto ad instaurare - giusta quanto sopra esposto - quel rapporto di servizio che tradizionalmente vale a fondare la giurisdizione di questa Corte, e, in via subordinata, se anche ad TTT s.p.a. (e/o alle persone che per essa agirono) sia addebitabile (dal punto di vista della ricorrenza degli ulteriori elementi richiesti per l’affermazione della responsabilità amministrativa) parte del danno erariale per la vicenda qui esaminata, il Collegio demanda alla Procura regionale lo svolgimento della necessaria istruttoria.


Alla luce di quanto sopra esposto, ritiene dunque il Collegio di condannare il convenuto al pagamento, in favore dell’INPDAP, della somma di euro 873.360,00, oltre rivalutazione e interessi legali, dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo, salva deduzione, in sede esecutiva, delle somme che risultassero già versate in favore dell’ente creditore.


P.Q.M.


la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa,


condanna


il convenuto, come identificato in premessa, al pagamento in favore dell’INPDAP della somma di complessivi euro di euro 873.360,00, oltre rivalutazione e interessi legali, dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo, salva deduzione, in sede esecutiva, delle somme che risultassero già versate in favore dell’ente creditore.


Si dispone ai sensi dell'art. 686 c.p.c. la conversione del sequestro effettuato nei confronti del condannato in pignoramento, nei limiti dell'importo stabilito dalla presente decisione.


Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 20.9.2005.


L’ESTENSORE IL PRESIDENTE F.F.
Dr. Massimiliano Atelli Dr. Vito Tenore

Depositata in Segreteria
Il Dirigente

 

M A S S I M E

 Sentenza per esteso

 

1)  Appalti - Appalti misti - Contratto di global service - Qualificazione - Rapporto di accessorietà tra la componente “lavoro” e le altre prestazioni - Assetto normativo - Giurisprudenza. Il contratto di global service, che può in concreto declinarsi in forme assai diverse fra loro (la classificazione corrente in ambito aziendalistico, con esclusione di ogni carattere di tassatività, tende a ricomprendere in sé attività di building management, property management e asset management), è riconducibile alla figura dell’appalto “misto”. Ad esso andrà applicata di volta in volta la disciplina sugli appalti di lavori pubblici o di servizi non solo in rapporto alla rilevanza economica delle singole prestazioni, ma anche alla connotazione dell’accessorietà o meno della componente lavoro rispetto alle altre prestazioni. Ciò in virtù dell’attuale assetto normativo in materia di appalto misto, disciplinata nel diritto interno dall’art. 2, comma 1, della l. n. 109 del 1994 (e, di riflesso, dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 17 marzo 1995 n.157, recante attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), la quale è stata di recente modificata, sul punto, nel corso del 2005, per effetto delle indicazioni comunitarie che avevano posto l’accento sull’”oggetto principale dell’appalto”, quale criterio distintivo dell’appalto di lavori pubblici da quello di servizi (vd.Consiglio Stato sez. V, 11.6.1999, n. 630; ma v. anche Cons. Stato, sez. VI, 16.12.1998, n.1680 e sez. V, 4.5.2001, n. 2518, Cons. Stato, IV, n. 537 del 2005). Pres. Tenore, Est. Atelli - Procura regionale c. XXX (Avv. Minieri) - CORTE DEI CONTI, Sez. Giur. Lombardia - 23 dicembre 2005 (c.c. 20.09.2005), n. 804


2) Procedure e varie - Pubblica amministrazione - Sentenza di patteggiamento - Efficacia della sentenza nel giudizio amministrativo di danno - Art. 651 c.p.p.. La sentenza di patteggiamento emessa a seguito di rito abbreviato ha efficacia nel giudizio amministrativo di danno - con particolare riferimento a quello avente ad oggetto le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile - limitatamente agli elementi indicati dall’art. 651 c.p.p. (accertamento della sussistenza del fatto; della sua illiceità penale; della sua commissione da parte dell’imputato). La Corte dei Conti deve, invece, farsi integralmente carico dell’accertamento della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità contabile (danno erariale, nesso causale, colpa grave) conseguenti ai fatti accertati in sede penale. Pres. Tenore, Est. Atelli - Procura regionale c. XXX (Avv. Minieri) - CORTE DEI CONTI, Sez. Giur. Lombardia - 23 dicembre 2005 (c.c. 20.09.2005), n. 804

3)  Procedure e varie - Liquidazione del danno - Appalti di lavori pubblici - Valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. - Prezziari dei lavori edili delle camere di commercio - Idoneità. La valutazione equitativa del danno cui il giudice sia chiamato a compiere ex art. 1226 c.c. può tener conto dei prezziari dei lavori edili predisposti e diffusi dalle Camere di Commercio, che, pur nella loro valenza di tipo indicativo ai fini del calcolo sommario di spesa, possono considerarsi attendibile e plausibile punto di riferimento. Pres. Tenore, Est. Atelli - Procura regionale c. XXX (Avv. Minieri) - CORTE DEI CONTI, Sez. Giur. Lombardia - 23 dicembre 2005 (c.c. 20.09.2005), n. 804

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