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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. LAZIO, Latina, – 16 maggio 2005, n. 413

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO -

Sezione staccata di Latina


N. Reg. Sent.413/2005
N. Reg. Gen. 401/2001

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, nelle persone di:


Franco BIANCHI Presidente
Davide SORICELLI Componente
Giuseppe ROTONDO Componente Relatore


ha pronunciato la seguente


S E N T E N Z A


sul ricorso n. 401/2001 proposto dal Sig. Marcello RICCARDI, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gerardo Russillo e Mario D’Arienzo, elettivamente domiciliato in Latina, presso lo studio dell’avv. Diomede Marafini, in via Vincenzo Monti, n. 20;


contro


il Comune di Fondi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Fiorella Carloni, elettivamente domiciliato in Latina, via Papiniano n. 3, presso lo studio dell’avv. G. Garofalo;


per l'annullamento
dell’ordinanza n. 1025 del 4 ottobre 1993, emanata dal Sindaco di Fondi ai sensi dell’art 38, II c., L. n. 142/90, quale Autorità sanitaria locale, con la quale è stata disposta, con decorrenza immediata, per motivi di tutela della pubblica salute, la chiusura dell’impianto di tiro a volo gestito dal ricorrente.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Fondi;
Visti gli atti tutti del ricorso;
Relatore alla pubblica udienza del 29 aprile 2005 il Magistrato Dr. Giuseppe Rotondo;
Per le parti come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


Con ricorso notificato il 29 marzo 2001 e depositato il successivo marzo 2001, il sig. Marcello RICCARDI, titolare di una licenza rilasciata ex art. 68 T.U.L.P.S., dal Comune di Fondi, per l’esercizio di un impianto di tiro a piattello su terreno di sua proprietà, in località Curtignano di Fondi, ha adito questo Tribunale per ottenere la revoca e/o l’abrogazione dell’ordinanza sindacale n. 1025 del 4/10/1993, con la quale il Sindaco p.t. di Fondi, quale Autorità sanitaria locale, ha disposto, con decorrenza immediata, per motivi di tutela della salute pubblica, la chiusura dell’impianto di tiro al volo gestito dal ricorrente, a causa di immissioni sonore esterne, eccedenti i limiti di ammissibilità di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991.


Il ricorrente assume l’illegittimità dell’impugnata ordinanza sulla scorta delle seguenti argomentazioni:


1) l’ordinanza, non munita di un termine finale d’efficacia, ha arbitrariamente introdotto una stabile e duratura disciplina della situazione contingente con richiamo a norme del D.P.C.M. 1/3/1991, giù annullate da Corte cost. 19/12/1991, n. 517; essa può essere, pertanto, disapplicata in via incidentale;


2) il Comune di Fondi ha disatteso anche la successiva richiesta di revoca di detta ordinanza – avanzata in data 8/6/2000, con allegate note tecniche del competente Presidio Multizonale di Prevenzione dell’A.S.I. di Latina, prot. n. 292 e 266/A del 5/3/1998, attestanti la piena conformità dell’impianto alla vigente normativa sull’inquinamento acustico; nonostante l’intervenuta caducazione dei presupposti del citato provvedimento contingibile e urgente, il Comune non ha ancora adottato alcun provvedimento in merito;


3) l’emanazione della impugnata ordinanza sindacale e il ritardo nella sua revoca sono assolutamente ingiustificati e lesivi degli interessi dell’istante, per il mancato esercizio del poligono di cui è titolare, stante l’immobilizzazione coatta degli ingenti capitali investiti, le notevoli spese di rinnovo delle prescritte licenze, gli oneri legati alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto, la perdita di clientela, i mancati guadagni ed il deprezzamento dell’immobile;


4) la condotta del Comune viola il principio del “neminem laedere” oltre che le inderogabili regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, nonché di celerità e trasparenza, alle quali l’azione amministrativa deve ispirarsi, e sostanzia, pertanto, fatti illeciti continuati e permanenti, sanzionabili ex artt. 2043 c.c. e 7, 3° comma L. 1034/71.


Per questi motivi, il ricorrente ha concluso chiedendo al Tribunale di accertare, in via principale, gli illeciti commessi dal Comune di Fondi e, per l’effetto, condannarlo, alla revoca e/o abrogazione dell’ordinanza sindacale n. 1025 del 4/10/1993, a titolo di risarcimento del danno in forma specifica;


in subordine e previa disapplicazione incidentale della impugnata ordinanza, ha chiesto di condannare il Comune di Fondi a risarcire tutti i danni subiti e subendi per £. 1.000.000.000 (un miliardo), o per altra somma da determinarsi anche in via equitativa, con rivalutazione ed interessi dalla data dell’illecito sino al soddisfo;


con vittoria di spese ed onorari di giudizio.


Per resistere all’impugnativa si è costituito in giudizio il Comune di Fondi, il quale ha pregiudizialmente eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto i seguenti profili:


a)- avverso la medesima ordinanza, il ricorrente ha già proposto altro gravame (n. 1909/93) in ordine al quale, il Tribunale adito ha respinto l’istanza incidentale di sospensione dell’efficacia della ordinanza stessa (ord. n. 23 del 14 gennaio 2004) e, di seguito, estinto il giudizio con una pronuncia di perenzione (sent. n. 726 del 2 settembre 2004); l’acquisita inoppugnabilità dell’atto impugnato e conseguentemente la sua presunzione di legittimità rende “ex se” inammissibile il ricorso;


b)- non sussisteva l’obbligo del Comune di provvedere sulla diffida di revoca della predetta ordinanza, proposta dal ricorrente, il quale ha notificato l’attuale Ricorso oltre il termine di 60 giorni dalla maturazione del predetto silenzio-rifiuto;


c)- la azionata domanda di risarcimento danni è ugualmente inammissibile, atteso che la potestà risarcitoria del Giudice amministrativo, consentita in via generale dalla novella processuale di cui alla L. n. 205/00, deve trovare il suo indefettibile presupposto nel previo annullamento, da parte dello stesso Giudice amministrativo, del provvedimento che si assume lesivo; lo stesso annullamento è considerato dalla giurisprudenza condizione “necessaria” ma non “sufficiente” a determinare il diritto al risarcimento dell’accampato danno.


Ha chiesto, quindi il rigetto del ricorso, con condanna alle spese di giudizio.


Il ricorrente ed il Comune intimato, con successive memorie, hanno ulteriormente illustrato le contrapposte tesi difensive, insistendo nelle rispettive conclusioni, già rassegnate.


Alla pubblica udienza del 29 aprile 2005, i difensori delle parti presenti hanno illustrato le proprie ragioni difensive; indi il Ricorso è passato in decisione.


DIRITTO


Il ricorrente ha impugnato l’ordinanza n. 1025 del 4 ottobre 1993 con la quale il Sindaco del Comune di Fondi ha disposto, con decorrenza immediata, per motivi di tutela della pubblica salute, la chiusura dell’impianto di tiro a volo da lui gestito.


Nel costituirsi in giudizio, l’Amministrazione comunale ha eccepito l’inammissibilità, sotto vari profili, del proposto gravame.


Nell’ordine di trattazione dei petitum, il Collegio deve farsi carico di esaminare propedeuticamente, secondo l’ordine logico di assorbenza, le eccezioni di inammissibilità.


Il Comune di Fondi sostiene che avverso l’impugnata ordinanza il ricorrente ha già proposto altro gravame (n. 1909/93) nel corso del quale il Tribunale adito ha respinto l’istanza incidentale di sospensione degli effetti del provvedimento (ord. n. 23 del 14/1/04); tale giudizio, poi, si è concluso con una pronuncia di perenzione (sent. n. 726 del 2/9/04): talché, ne sarebbe conseguita l’inoppugnabilità dell’atto e, conseguentemente, la sua presunzione di legittimità avrebbe reso inammissibile il presente gravame.


L’eccezione è infondata.


E’ noto che il provvedimento amministrativo, siccome dotato del carattere di autoritatività, è assistito dalla presunzione di legittimità sicché esso, se non rimosso dall’ordinamento giuridico attraverso una delle modalità tipiche di caducazione dell’atto amministrato (esercizio dei poteri di autotutela ovvero pronuncia giurisdizionale), produce sempre e comunque tutti i suoi effetti costitutivi modificativi e/o estintivi (salva, naturalmente, l’eventuale sospensione degli stessi in via cautelare) consolidandosi definitivamente all’esito o della prestata, spontanea acquiescenza nei suoi confronti da parte del destinatario (decorrenza termini di impugnativa) o di una sentenza di merito del giudice amministrativo che abbia definitivamente acclarato tra le parti del giudizio la sua legittimità (giudicato sostanziale).


Nell’ambito del processo amministrativo, il giudizio cautelare si presenta come fase processuale autonoma, strumentalmente collegato con il giudizio di merito e si conclude con un’ordinanza destinata, per forza e valore, ad esaurire i suoi effetti una volta intervenuta la decisione che definisce il processo. Poiché la sospensione, ove concessa, incide solo sull’atto e non sul rapporto (in ordine al quale l’amministrazione conserva la propria potestà di provvedere) la sua finalità altro non è se non quella di far sì che la decisione definitiva intervenga re adhuc integra.


Orbene, poiché il ricorso n. 1909/93 (evocato dal Comune come giudizio pendente) s’è concluso con sentenza n. 726/04, ne consegue per un verso l’inammissibilità dell’eccezione di litispendenza (per mancanza di oggetto); per l’altro, che l’ordinanza n. 23/04, indipendentemente dal suo contenuto dispositivo, ha ormai perso ogni significato giuridico siccome assorbita dalla pronuncia finale del giudice.


Si tratta, allora, di comprendere quali effetti abbia prodotto la sentenza n. 726/04 tra le parti in causa: in particolare, se essa, nel pronunciare la perenzione del ricorso n. 1909/93, abbia acclarato la definitiva inoppugnabilità dell’ordinanza n. 1025/93 (recte, la sua legittimità) sbarrando, così, la strada ad una seconda pronuncia sul medesimo rapporto controverso in forza del principio del ne bis in idem.


E’ noto che tale principio opera come divieto di una doppia pronuncia sulla medesima controversia ed è proprio di ogni tipo di processo. Gli istituti approntati dalle discipline processuali contemplano diversi rimedi affinché il principio possa realizzarsi in concreto: la revocazione, l’eccezione di litispendenza, il giudicato.


Il giudicato si forma in relazione al dispositivo della sentenza ed in relazione a tutti quegli accertamenti e quelle affermazioni che, contenute nella motivazione, costituiscono la premessa logica e necessaria delle statuizioni del dispositivo.


La cosa giudicata formale (art. 324 Cod. proc. civ.) assiste ogni sentenza che, per l’esperimento o per la decadenza dai mezzi d’impugnazione, acquista un determinato grado di immutabilità, quale che ne sia il contenuto e quale che sia il tipo di pronuncia (in rito o nel merito del rapporto controverso).


La cosa giudicata sostanziale è, invece, quella che l’art. 2909 Cod. civ. definisce come l’accertamento che fa stato ad ogni effetto fra le parti e i loro eredi o aventi causa.


Orbene, poiché la cosa giudicata in senso sostanziale assiste solo le sentenze di merito - in quanto volte, queste soltanto, a regolare il rapporto sostanziale tra le parti attraverso la concretizzazione del comando di legge (volontà del legislatore tradotta in norma agendi) – ne consegue che soltanto una pronuncia definitiva e stabile, resa con la forza ed il valore di cui all’art. 2909 Cod. civ., è in grado di produrre l’effetto sia costitutivo, di rendere definitive fra i partecipanti al processo le posizioni controverse, sia preclusivo di impedire ogni possibilità di chiedere ai giudici di provvedere ad una modifica dell’assetto d’interessi impresso dalla sentenza divenuta giudicato.


Nel caso in esame, la pronuncia di perenzione sul ricorso n. 1909/93 (provocata, evidentemente, dall’inerzia della parte che ha omesso di compiere l’atto d’impulso processuale di sua pertinenza) non costituisce affatto una decisione di merito bensì un provvedimento estintivo del giudizio che ha inciso soltanto sul rapporto processuale tra le parti in causa.


Ne consegue che, in difetto di giudicato sostanziale, neppure può farsi applicazione al caso di specie del principio del ne bis in idem per precludere al giudice di conoscere hodie del rapporto controverso.


Il Comune di Fondi ha eccepito, altresì, l’inammissibilità del ricorso sul presupposto che non sussisteva l’obbligo dell’amministrazione di provvedere sulla diffida di revoca dell’impugnata ordinanza.
La questione, nei termini sollevati, implica l’accertamento in punto di diritto sull’esistenza o meno di un obbligo giuridico a provvedere sull’istanza procedimentale avanzata dal ricorrente volta a conseguire l’esercizio dei poteri di autotutela.


La soluzione del problema postula, nell’ordine, l’inquadramento dei poteri siccome esercitati dall’amministrazione comunale con l’ordinanza n. 1025/93.


Il principio di legalità (fondato sull’art. 97 Cost.: i pubblici uffici sono organizzati per legge) impone, infatti, che nessun potere può essere esercitato se non sia stato attribuito dalla legge. La P.A., in altri termini, non può autoattribuirsi un potere.


L’attribuzione dei poteri in capo all’amministrazione necessita di giustificazione sul piano della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e questa giustificazione è data dall’interesse pubblico. Il momento dell’attribuzione del potere (momento statico) è, dunque, di livello normativo (legalità formale).


Nel passaggio alla fase dinamica (legalità sostanziale – azione concreta) la verifica non involge più la giustificazione dell’attribuzione bensì l’accertamento circa l’esistenza o meno in concreto delle condizioni per l’esercizio del potere in quella data situazione. Si tratta di appurare, cioè, la sussistenza in concreto delle condizioni che solo in astratto erano state previste dalla norma: se esistevano, in altri termini, le condizioni perché potesse essere esercitato in concreto quel determinato potere e proprio quel tipo e non un altro. Si è ancora fuori dal “come” il potere è stato esercitato (eccesso di potere: imparzialità e buon andamento come principi guida dell’azione). La verifica involge il “se” dell’esercizio del potere, vale a dire l’esistenza dei suoi presupposti: essa attiene, quindi, alle ipotesi di sviamento.


Ciò premesso, nel caso in esame il Sindaco di Fondi ha emanato l’ordinanza n. 1025/93 con la quale - accertato sulla base degli accertamenti tecnici formulati dalla USL LT/3 il superamento dei limiti ammessi dal D.P.C.M. , 1/3/91 nonché appurato che il Riccardi non aveva presentato alla Regione alcun piano di risanamento ambientale-acustico – ha ordinato sine die la chiusura dell’impianto di tiro a volo.


A livello normativo, il potere ordinatorio (di natura discrezionale) esercitato dal Sindaco nella veste di Ufficiale di Governo trova la sua legittimazione (legalità astratta) nell’art. 9 della legge quadro sull’inquinamento acustico 26/10/95, n. 447. L’articolato dispone che “Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente il Sindaco … con provvedimento motivato (può) ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività …”.
La disposizione in commento disciplina una materia oggetto di regolamentazione anche da parte dell’art. 38 della L. n. 142/90 (oggi, art. 54 D.Lvo n. 267/00 ) nonché dell’art. 32 della L n. 833/78 di riforma sanitaria.


Il principio di specialità consente, comunque, di individuare nell’art. 9 legge quadro 447/95 la norma attributiva del potere in subiecta materia.


Il presupposto per l’esercizio in concreto di detto potere (legalità sostanziale) è rinvenibile in “eccezionali ed urgenti necessità”, mentre i motivi sono indicati nella tutela della salute pubblica o dell’ambiente nel senso che deve trattarsi di una situazione di pericolo grave, che attenendo alla salute pubblica o costituendo grave pregiudizio all’equilibrio ambientale, ad essa non possa porvi rimedio con i normali mezzi posti a disposizione dall’ordinamento giuridico. Il contenuto dell’ordinanza consiste nel disporre “speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività”.


Orbene, se il Sindaco avesse impartito speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore ritenute opportune allora sicuramente ci saremmo trovati di fronte ad un’ordinanza di necessità (del tipo, cioè, contingibile ed urgente trattandosi, per l’appunto, di “forme” non previamente indicate dal legislatore e rimesse alla valutazione sia tecnica che amministrativa dell’amministrazione procedente).


Il fatto, però, che l’ordinanza in questione abbia disposto la specifica e tipica inibitoria dell’attività, causa dell’inquinamento acustico, induce a ritenere che il provvedimento in questione costituisca, piuttosto, un atto d’urgenza in quanto l’attività dell’amministrazione si concreta e manifesta con l’emanazione del provvedimento previsto dalla norma e con il contenuto dalla stessa definito (id est, inibitoria).


Chiariti quali siano i presupposti per l’esercizio in concreto del potere siccome esercitato nonché la natura giuridica dell’ordinanza emanata dal Sindaco, deve soggiungersi che requisito indefettibile e specifico del provvedimento in esame è la sua temporaneità: l’atto, cioè, è destinato a produrre effetti limitati alla durata della situazione d’emergenza che s’intende fronteggiare.
Appare evidente, allora, che laddove il requisito della temporaneità venga meno, per il venir meno degli stessi presupposti che avevano legittimato l’esercizio in concreto del potere inibitorio, l’autorità amministrativa ha il dovere (e non la facoltà) di riconsiderare la permanenza nell’ordinamento giuridico del provvedimento al fine di verificare se la persistente produzione dei suoi effetti (efficacia durevole) risponda tutt’oggi al principio di legalità sostanziale.


Nel caso in esame, il ricorrente – titolare di una posizione qualificata (diritto affievolito) nei confronti dell’amministrazione comunale in ragione dell’attività economica già assentita con regolare licenza, temporaneamente sospesa, e per questo legittimato procedimentalmente ad interloquire con il Comune – ha prospettato al Sindaco un mutamento (rispetto alle condizioni originarie) dello scenario fattuale siccome causato, assertivamente, dall’avvenuta presentazione del piano di risanamento e dalla relazione di servizio n. 266/A con la quale l’Azienda USL di Latina avrebbe accertato, in data 21/11/97, una nuova tempistica di osservazione e misura delle emissioni sonore nei limiti normativi di tollerabilità.


Così stando le cose, il Comune, diffidato ex art. 25 D.P.R. n. 3/57 a provvedere sull’istanza, aveva un vero e proprio obbligo giuridico di provvedere, recte di avviare (art. 2, L. n. 241/90) il procedimento di riesame circa la verifica della permanenza o meno all’attualità dei presupposti fondanti la conservazione nel mondo giuridico dell’ordinanza n. 1025/93; fosse stato, questo, necessario anche al solo fine di verificare la fondatezza o meno delle asserzioni del privato in punto di sopravvenuta immutazione della realtà fenomenica.


Così non è stato.


L’inerzia del Comune ha dischiuso, dunque, al silenzio rifiuto ed al successivo giudizio volto ad acclarare la legittimità o meno dell’asserito inadempimento.


Di qui, il rigetto dell’eccezione nei termini siccome sollevati.


Per vero, il ricorrente propone sostanzialmente un cumulo di domande che scontano riti diversi.


Da un lato, egli censura l’illegittimo comportamento omissivo serbato dal Comune sulla sua istanza di revoca dell’ordinanza n. 1025/93; dall’altro, sollecita una pronuncia volta ad accertare gli illeciti commessi dal Comune di Fondi in via strumentale alla condanna dell’Ente alla revoca e/o abrogazione dell’ordinanza sindacale come forma specifica di risarcimento.


Non par dubbio al Collegio che quest’ultima istanza - siccome tendente ad una pronuncia sul merito amministrativo affatto insindacabile a fronte di un’ordinanza che la Sezione ha già chiarito non annoverarsi tra quelle contingibili ed urgenti (per le quali, invece, il sindacato di merito è possibile) – s’appalesa affatto inammissibile stanti i noti limiti esterni che s’impongono ai singoli Poteri dello Stato.


Ciò non esclude che il giudizio instaurato dal ricorrente possa farsi salvo, per ragioni di economia processuale e nei limiti dell’interesse fatto valere, con riguardo alla censura formulata sul ritardo a provvedere che il ricorrente assume ingiustificato e lesivo dei propri interessi. Tale giudizio, come sopra illustrato, è ammissibile sotto il profilo del ravvisato obbligo giuridico a provvedere in capo al Comune di Fondi.


Senonché, anche il giudizio sul silenzio finisce per essere inammissibile.


Ed invero, come attentamente rilevato dalla difesa erariale, l’atto introduttivo del giudizio è stato notificato oltre il termine decadenziale di sessanta giorni decorrenti dalla formazione del silenzio rifiuto.


La diffida a provvedere con assegnazione del termine di trenta giorni è stata, infatti, notificata al Comune di Fondi in data 13 novembre 2000. Il termine per provvedere scadeva il successivo 13 dicembre. Da questa data decorrevano i sessanta giorni per la proposizione del rito speciale di cui all’art. 21 bis, della L. n. 1034/71. Il dies ad quem giungeva, pertanto, a scadenza l’11 febbraio 2001. Il ricorso, invece, è stato notificato il 28 marzo 2001. Di qui, la tardività del gravame.


Dalle considerazioni che precedono si evince al dunque:


-l’inammissibilità della domanda di revoca e/o abrogazione dell’ordinanza sindacale n. 1025/93 ed a fortiori della connessa istanza risarcitoria formulata in forma specifica;


-la tardività del ricorso impugnatorio recante ad oggetto il silenzio rifiuto opposto dal Comune di Fondi sull’avvio doveroso dei poteri di autotutela.


La pronuncia che precede rende, ad avviso del Collegio, consequenzialmente inammissibile la domanda risarcitoria che il ricorrente ha formulato in subordine, previa disapplicazione dell’ordinanza in commento.


La Sezione osserva, in limine, come al giudice amministrativo debba ritenersi inibito di conoscere incidenter tantum della illegittimità dell'azione amministrativa e ciò indipendentemente dallo strumento con cui dovrebbe procedere a tale accertamento. Infatti, il divieto al G.A. di disapplicazione dell'atto amministrativo non normativo lesivo di interessi legittimi null'altro esprime che la preclusione a sindacare la funzione amministrativa sotto il profilo della violazione di legge o dell'eccesso di potere in via meramente incidentale, senza cioè efficacia di giudicato.


Appare evidente, allora, che l’accertamento circa l’illegittimità provvedimentale riveste natura di pregiudiziale logica (e non tecnica) in quanto, costituendo un passaggio necessario della controversia, entra a far parte dell'oggetto del giudicato. Non è immaginabile, dunque, che su di essa si formi un accertamento incidentale.


Ne consegue (cfr. Tar Puglia, Bari, Sez. II n. 56/05) che:


a) la questione di illegittimità dell'atto amministrativo lesivo di interessi legittimi non può mai essere definita incidentalmente dal G.O. (come invece sostiene Cass. S.U. 500/99), sicché è del tutto estraneo alla medesima l'istituto della disapplicazione di cui all'art. 5 L.A.C. all. E;


b) tale accertamento rientra, per la sua natura principale, nell'alveo dell'art. 4 L.A.C.;


c) l'art. 4 L.A.C. è norma dettata per disciplinare i poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione.


Pertanto, posto che anche l'accertamento del G.A. in sede risarcitoria non può che operare principaliter, lo stesso non può avvenire né ai sensi dell'art. 5 L.A.C. (che regola la cognizione incidentale) né ai sensi dell'art. 4 L.A.C. (che regola la cognizione del G.O.).


Nessuna delle disposizioni cui tradizionalmente si riferisce il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo è, dunque, applicabile al G.A. in sede risarcitoria.


Il che impone di ritenere come, qualora egli voglia pronunciarsi sul risarcimento del danno da attività illegittima della P.A., non possa prescindere dal previo accertamento dell'illegittimità dell'atto amministrativo nel contesto dell'unico strumento di cui disponga: la cognizione diretta prevista dal processo di annullamento.


Nel caso in esame è mancata siffatta cognizione diretta, principale e logica atteso che l’ordinanza n. 1025/93 non ha costituito oggetto di sindacato giurisdizionale (vuoi per l’inammissibilità del ricorso nei sensi sopra acclarati, vuoi perché il suo scrutinio non è stato sollecitato dal ricorrente: cfr. petitum) mentre la procedura speciale sul silenzio, che avrebbe dischiuso alla pronuncia sull’obbligo di provvedere, ed in prosieguo alla possibilità stessa di appurare l’eventualità del danno da ritardo ove conseguito finalmente il bene della vita, non è andata a buon fine (cfr acclarata tardività dell’azione siccome proposta).


In definitiva, anche la domanda risarcitoria nei sensi formulati in subordine, s’appalesa inammissibile.


Alla stregua delle rassegnate considerazioni e tirando le fila delle argomentazioni sin qui svolte, il ricorso in esame va dichiarato inammissibile.


Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione staccata di Latina - dichiara inammissibile, nei sensi in motivazione, il ricorso n. 401/01 meglio in epigrafe specificato.


Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.


Così deciso in Latina nella Camera di Consiglio del 29 aprile 2005.


Il Presidente Il Giudice Estensore
Franco BIANCHI Giuseppe ROTONDO
IL SEGRETARIO


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 16 MAGGIO 2005
(art.55 L. 27.4.1982 n.186)
IL DIRETTORE DI SEGRETERIA

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso 

1) Procedure – Pronuncia di perenzione – Difetto di giudicato sostanziale – Principio del ne bis in idem – Inapplicabilità. La pronuncia di perenzione non costituisce affatto una decisione di merito bensì un provvedimento estintivo del giudizio che ha inciso soltanto sul rapporto processuale tra le parti in causa. Ne consegue che, in difetto di giudicato sostanziale, non può farsi applicazione del principio del ne bis in idem per precludere al giudice di conoscere hodie del rapporto controverso. Pres. Bianchi, Est. Rotondo – R. (Avv.ti Russillo e D’Arienzo) c. Comune di Fondi (Avv. Carloni) - T.A.R. LAZIO, Latina – 16 maggio 2005, n. 413

2) Inquinamento acustico – Art. 9 L. 447/95 - Potere ordinatorio esercitato dal Sindaco – Natura - Indicazione specifica di forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni – Inibitoria dell’attività fonte di inquinamento acustico – Differenza. Il potere ordinatorio esercitato dal Sindaco ex art. 9 della l. 447/95 può qualificarsi come ordinanza di necessità (id est contingibile e urgente) ove vengano impartite speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore (misure non previamente indicate dal legislatore e rimesse alla valutazione tecnica e amministrativa dell’amministrazione procedente). Quando invece imponga la specifica e tipica inibitoria dell’attività causa di inquinamento acustico, esso assume la natura di atto di urgenza, concretandosi in un provvedimento previsto dalla norma e con contenuto dalla stessa definito. Pres. Bianchi, Est. Rotondo – R. (Avv.ti Russillo e D’Arienzo) c. Comune di Fondi (Avv. Carloni) - T.A.R. LAZIO, Latina – 16 maggio 2005, n. 413

3) Inquinamento acustico – Ordinanza ex art. 9 L. 447/95 – Requisito della temporaneità – Cessazione – Conseguenze – Istanza di riesame – Comune – Obbligo di avviare il procedimento. Requisito dell’ordinanza ex art. 9 L. 447/95 è la temporaneità: l’atto, cioè, è destinato a produrre effetti limitati alla durata della situazione d’emergenza che s’intende fronteggiare; laddove il requisito della temporaneità venga meno, per il venir meno degli stessi presupposti che avevano legittimato l’ordinanza, l’autorità amministrativa ha il dovere di riconsiderare la permanenza nell’ordinamento giuridico del provvedimento al fine di verificare se la persistente produzione dei suoi effetti risponda ancora al principio si legalità sostanziale. Ne consegue che, ove il destinatario dell’ordinanza prospetti all’amministrazione un mutamento delle scenario che aveva dato causa all’esercizio del potere amministrativo (nella specie, per l’avvenuta presentazione del piano di risanamento) il Comune ha l’obbligo giuridico di avviare il procedimento di riesame circa la permanenza attuale dei presupposti fondanti l’ordinanza. Pres. Bianchi, Est. Rotondo – R. (Avv.ti Russillo e D’Arienzo) c. Comune di Fondi (Avv. Carloni) - T.A.R. LAZIO, Latina – 16 maggio 2005, n. 413
 

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