Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO - ROMA
SEZIONE SECONDA BIS
N. Reg. Sent.
N. 6990/7733 Reg. Gen.Anno 2003
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti nn. 6990/2003 e 7733/2003 proposti rispettivamente,
il primo, dal COMUNE DI TOLFA, dal COMUNE DI ALLUMIERE, dal COMUNE DI SANTA
MARINELLA e dal COMUNE DI TARQUINIA, in persona dei rispettivi Sindaci p.t., ed
il secondo, dal COMUNE DI LADISPOLI, in persona del Sindaco p.t., tutti
rappresentati e difesi in giudizio dall’Avv. Paolo STELLA RICHTER, con domicilio
eletto presso il suo studio, in Roma, V.le Mazzini n. 11;
contro
- il COMUNE DI CIVITAVECCHIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e
difeso dall’Avv. Fabrizio URBANI, con domicilio eletto presso il suo studio in
Roma, Via del Poggio Laurentino n. 18;
e nei confronti:
- della Società ENEL s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe DE VERGOTTINI
con domicilio eletto in Roma, in Via Bertoloni n. 44;
- della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’ambiente e del
Ministero delle attività produttive, in persone dei rispettivi legali
rappresentanti p.t., rappresentati e difesi ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, con domicilio eletto presso i relativi uffici in Roma, alla Via dei
Portoghesi n. 12;
- della PROVINCIA DI ROMA, in persona del Presidente p.t., rappresentato e
difeso dagli Avv.ti Antonio FANCELLU e Massimiliano SIENI, con domicilio eletto
presso lo studio del secondo, in ROMA, alla Via 4 Novembre n. 119/A;
- della REGIONE LAZIO, in persona del presidente p.t., rappresentato e difeso in
giudizio dagli Avv.ti Sergio URICCHIO e Claudio FIORE, con domicilio eletto
presso gli uffici dell’Avvocatura regionale, in Roma, alla Via M. Colonna n. 27;
- di ENEL PRODUZIONE s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giuseppe DE VERGOTTINI e Cesare CATURANI,
con domicilio eletto in Roma, presso lo studio del primo, in Via Bertoloni n.
44;
e con l'intervento ad opponendum:
- della FEDERLAZIO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e
difeso dall’Avv. Anna Maria PITZOLU, domicilio eletto in Roma, in Via Lucio
Coilio n. 19;
per l’annullamento previa sospensiva
- della decisione assunta dal Comune di Civitavecchia di convertire a
carbone la centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord, esternata nell’accordo
sottoscritto con l’Enel in data 30/4/2003, nonché di ogni atto comunque connesso
o presupposto e segnatamente della deliberazione del Consiglio Comunale di
Civitavecchia in data 25/3/2003 di approvazione di detta convenzione e del
protocollo di intesa 19/12/2002, e altresì per la dichiarazione del diritto del
comune ricorrente di non subire l’inquinamento derivante dalla suddetta
programmata trasformazione;
con motivi aggiunti, del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio, di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali n.
0680 in data 6 novembre 2003, reso noto con avviso pubblicato sulla G. U. del 29
novembre 2003, del parere n. 545 in data 24 luglio 2003 della Commissione per le
valutazioni di impatto ambientale;
nonché, con ulteriori motivi aggiunti, del decreto n. 55/02/2003 in data 24
dicembre 2003, reso noto con avviso pubblicato sulla G.U. – Foglio delle
Inserzioni del 16 gennaio 2004- con il quale il Ministero delle Attività
Produttive ha autorizzato la con versione a carbone dell’esistente centrale
termo elettrica di Torre Valdaliga Nord;
Visti i ricorsi introduttivi del giudizio nonché i successivi ricorsi per motivi
aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti
nonché dell’ENEL s.p.a. e dell’ENEL Produzioni s.p.a.;
Visti, altresì, gli atti di intervento ad opponendum della Federlazio;
Viste le ordinanze nn. 2208/2004 e 2207/2004 del 22.4.2004;
Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti di causa;
Designato relatore alla pubblica udienza del 14.4.2005 il Primo Referendario
Maria Cristina Quiligotti, ed uditi gli avvocati come da verbale di causa agli
atti del giudizio;
FATTO
Con i ricorsi rg. nn. 6990/2003 e 7733/2003, notificati, il primo, l’1.7.2003 e,
il secondo, il 14.7.2003 e rispettivamente depositati il 4.7.2003 ed il
28.7.2003, i Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia, da un
lato, ed il Comune di Ladispoli, dall’altro, hanno impugnato la decisione del
Comune di Civitavecchia di riconvertire a carbone ( utilizzato quale
combustibile esclusivo) la centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord, di cui
all’accordo sottoscritto con l’ENEL s.p.a. presso la Presidenza del Consiglio
dei Ministri in data 30.4.2003, ma reso noto soltanto il successivo 13.6.2003,
nonché ogni atto presupposto connesso e consequenziale ed in particolare la
deliberazione del Consiglio comunale di Civitavecchia del 25.3.2003 di
approvazione della suddetta conversione ed il protocollo d’intesa del 19.12.2002
( intercorso tra le parti direttamente interessate nonché il Ministero delle
attività produttive, la Regione Lazio e la Provincia di Roma), la cui esistenza
si evince dall’accordo di cui sopra e dei quali non si conosce il contenuto
specifico ( con conseguente richiesta di acquisizione agli atti del presente
giudizio).
Hanno dedotto:
- che i Comuni ricorrenti sono legittimati all’impugnazione in oggetto in quanto
le immissioni nell’atmosfera, conseguenti alla bruciatura del carbone fossile,
utilizzato come combustibile esclusivo della centrale, sono destinate a ricadere
non nel territorio del Comune di Civitavecchia bensì, quasi esclusivamente, nel
territorio dei Comuni finitimi, tra i quali i Comuni ricorrenti, in conseguenza
dell’altissimo camino della centrale, come verrebbe riconosciuto anche in sede
di accordo del 30.4.2003, nella parte in cui viene istituito un osservatorio
ambientale per lo studio, tra l’altro, delle ricadute sulle popolazioni, del
quale dovranno fare parte anche i rappresentanti dei Comuni interessati;
- che i Comuni ricorrenti non sono stati, invece, coinvolti all’atto della
sottoscrizione dell’impugnato accordo, con conseguente violazione e falsa
applicazione degli artt. 7-13 della L. n. 241/1990;
- che il Comune di Civitavecchia sarebbe stato pienamente consapevole
dell’effetto altamente inquinante della progettata centrale a carbone, tanto da
avere ottenuto dall’ENEL tutta una serie consistente di interventi compensativi,
senza considerare che gli effetti inquinanti si propagano ai Comuni limitrofi
che hanno una chiara ed univoca vocazione turistica e che non hanno beneficiato,
comunque, di analoghi incentivi, con conseguente eccesso di potere per la
mancata leale collaborazione tra le istituzioni interessate all’intervento in
questione.
Hanno chiesto, altresì, alla luce della giurisdizione piena del Tribunale nella
materia della urbanistica e dell’edilizia, una pronuncia dichiarativa del
diritto dei Comuni ricorrenti a non subire le immissioni eccedenti la normale
tollerabilità con protezione diretta ed immediata della salute dei propri
cittadini, con riserva della richiesta di risarcimento degli eventuali danni
conseguenti alla realizzazione della suddetta nuova centrale a carbone.
La Provincia di Roma si è costituita in giudizio, sul ricorso rg. n. 6990/2003,
in data 14.7.2003, e, sul ricorso rg. n. 7733/2003 in data 5.8.2003, depositando
il ricorso notificato con la procura in calce.
L’ENEL s.p.a. si è costituito in giudizio, su entrambi i ricorsi,
rispettivamente in data 8.8.2003 e 11.8.2003, con comparsa di mera forma.
Il Ministero dell’ambiente, il Ministero delle attività produttive e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituiti in giudizio,
rispettivamente in data 6.9.2003 e 11.9.2003, con comparsa di mera forma.
Il Comune di Civitavecchia si è, a sua volta, costituito in giudizio, su
entrambi i ricorsi, in data 3.2.2004 con comparsa di mera forma.
I Comuni ricorrenti, con ricorso per motivi aggiunti al ricorso rg. n.
6990/2003, notificato il 28.1.2004 e depositato il successivo 5.2.2004, ed al
ricorso rg. n. 7733/2003, notificato il 27.1.2004 e depositato il 5.2.2004,
hanno impugnato il decreto n. 0680 del 6.11.2003, reso noto con l’avviso
pubblicato nella G.U. del 29.11.2003, con il quale il Ministero dell’ambiente,
di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, ha espresso
giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni in merito al
progetto di conversione a carbone della centrale termo-elettrica nonché ogni
altro atto presupposto, connesso e consequenziale e, in particolare, il parere
della Commissione per le valutazioni di impatto ambientale n. 545 del 24.7.2003.
Hanno dedotto:
- che troverebbe conferma, in detto decreto, la circostanza di cui al ricorso
introduttivo, secondo cui le immissioni inquinanti della nuova centrale
ricadrebbero in modo significativo nei territori dei Comuni limitrofi, con
conseguente obbligo di comunicazione agli stessi dell’avvio procedimentale di
cui all’art. 7 della L. n. 241/1990, atteso che le popolazioni di detti Comuni,
interessate dal conseguente inquinamento, sarebbero “ soggetti individuati o
facilmente individuabili”;
- che la pubblicità di carattere generale prescritta per il procedimento di
impatto ambientale, ossia la pubblicazione su due quotidiani, non potrebbe
ritenersi correttamente assorbente del suddetto obbligo specifico di
comunicazione diretta e che, comunque, la valutazione di impatto ambientale ( da
ora in poi V.I.A.) non rientrerebbe in quegli atti, di cui all’art. 13 della L.
n. 241/1990, per i quali, in considerazione della loro particolare natura, viene
escluso il suddetto obbligo;
- che, comunque, il decreto impugnato sarebbe illegittimo per violazione
dell’art. 3 della L. n. 241/1990, difettando in modo assoluto di una idonea
motivazione in relazione alle osservazioni presentate, in particolare, proprio
dal Comune di Tarquinia in modo assolutamente tempestivo nonché da altri sedici
soggetti, essendosi il parere della Commissione VIA limitato ad evidenziare che
le osservazioni presentate sono state prese in considerazione in seno al
relativo procedimento, con la conseguenza che, dalla lettura del testo
definitivo del decreto impugnato, sembrerebbe emergere una non piena
consapevolezza della gravità dei problemi prospettati;
- che, comunque, vi sarebbe una ampia letteratura, di varia provenienza,
concordante in ordine al pericolo per la salute umana, tra i quali sarebbe
riconducibile lo studio effettuato dall’Osservatorio epidemiologico della
Regione Lazio del 1997, mentre il decreto, in maniera eccessivamente
semplicistica, conclude sul punto evidenziando che il rischio per la salute
umana sarebbe praticamente trascurabile sulla base di una stima effettuata dalla
stessa ENEL s.p.a., ossia dell’impresa proponente l’operazione, con conseguente
violazione dell’art. 8 della L. n. 349/1986, atteso che il Ministero si sarebbe
dovuto avvalere, ai predetti fini, dei servizi tecnici dello Stato e dei servizi
delle A.U.S.L. nonché della collaborazione con enti pubblici specializzati
operanti a livello nazionale e con gli istituti universitari;
- che, comunque, nonostante la riconosciuta esistenza di una situazione di
criticità per alcuni elementi, detta circostanza non avrebbe avuto valenza
ostativa, nella considerazione che la popolazione insistente nel territorio
interessato sarebbe stata, in periodi precedenti, esposta a concentrazioni di
inquinanti ancora superiori, con conseguente violazione dell’art. 6, co. 4,
della L. n. 349/1986, atteso che il Ministero dell’ambiente avrebbe potuto
approvare il progetto in questione a condizione che venissero apportate le
necessarie modificazioni ai fini della tutela della salute umana, non dovendo,
invece, procedere all’approvazione nel caso in cui detta modificazioni
migliorative non fossero in concreto conseguibili, mentre nel caso di specie,
pur essendo stata riconosciuta la non compatibilità del progetto, lo stesso è
stato, tuttavia, comunque, approvato;
- che sarebbe illegittima la prescrizione inerente alle emissioni di CO2, con il
quale si fissa un limite rinviando, tuttavia, ad un futuro accordo, di contenuto
del tutto imprecisato, in quanto, peraltro, non accompagnata da alcun meccanismo
di controllo effettivo nonché l’ulteriore prescrizione relativa alle emissioni
di mercurio e nichel, relativamente alle quali emissioni veniva espressa la
perplessità sulla possibilità di contenimento delle stesse nei limiti
prescritti, con controlli peraltro effettuati solo con cadenza annuale e con
conseguenti interventi, pertanto, sempre in ritardo almeno di un anno con i
conseguenti rischi per la salute umana.
La Provincia di Roma, con memoria in data 18.2.2004 ha dedotto di avere preso
parte al procedimento ministeriale di autorizzazione della riconversione a
carbone della centrale termo-elettrica di Civitavecchia in quanto titolare di
funzioni di controllo ambientale e di avere espresso il proprio parere negativo
alla suddetta conversione in seno alla conferenza di servizi del 29.10.2003, in
assenza dei necessari chiari elementi tecnici in ordine all’effettivo
abbattimento delle emissioni, considerata la ricaduta delle emissioni nei
territori dei Comuni limitrofi nonché l’atteso aumento delle emissioni di ossido
di azoto, con la conseguente necessità di un intervento di programmazione e di
approfondimento, non essendosi ritenuta assolutamente sufficiente la stima
effettuata sul punto dall’ENEL s.p.a. quale unico parametro di valutazione del
rischio per la salute umana.
In particolare le raccomandazioni su cui si fonda la ritenuta compatibilità
ambientale della nuova centrale sarebbero prive di obiettivi riscontri, atteso
che, a fronte della riconosciuta maggiore produzione di polveri inquinanti
pericolose, l’ENEL s.p.a. non avrebbe offerto alcuna specifica prova
sperimentale circa le nuove tecniche di filtraggio spinto per l’abbattimento
delle suddette polveri.
Ha conclusivamente insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
L’ENEL s.p.a. con memoria in data 18.2.2004, ha dedotto la infondatezza nel
merito tanto dei ricorsi introduttivi del giudizio quanto dei successivi ricorsi
per motivi aggiunti, in considerazione della totale assenza del rischio
paventato e, comunque, per la radicale carenza del requisito dell’attualità e
dell’immediatezza dello stesso, in considerazione dell’apposizione di una serie
di prescrizioni ed obblighi da parte del Ministero dell’ambiente, antecedenti
all’avviamento della fase esecutiva, che si presentano estremamente specifici e
dettagliati anche con riferimento ai limiti delle emissioni ed alla qualità
dell’aria.
Ogni aspetto relativo all’impatto sanitario ed ambientale del nuovo impianto
avrebbe trovato una compiuta regolamentazione anche sul piano dei controlli, con
effetto condizionante della realizzazione ed esercizio dell’impianto stesso.
Inoltre non sarebbe stato impugnato da parte dei Comuni ricorrenti anche il
decreto del Ministero delle attività produttive del 24.12.2003 n. 55/02/2003,
pubblicato nella G.U. del 16.1.2004, di autorizzazione alla predetta
conversione, che, in quanto emanato ai sensi dell’art. 1 del D.L. 7.2.2002 n. 7,
convertito in L. 9.4.2002 n. 55, è l’atto conclusivo dell’unico procedimento
all’interno del quale si inseriscono gli atti impugnati, in quanto è il titolo
per costruire ed esercire il nuovo impianto, con conseguenza carenza di un
concreto interesse da parte degli stessi ricorrenti.
I dati informativi sul nuovo impianto, offerti nel documento “ Sintesi non
tecnica” dell’aprile 2002, sarebbero stati comunicati anche ai Comuni ricorrenti
con lettera del 26.7.2002.
Le emissioni complessive prodotte dalla nuova centrale a pieno regime sarebbero
inferiori non solo a quelle attuali ma anche ai valori massimi indicati nella
direttiva UE Nuovi Impianti 2001/80/CE del 23.10.2001, che entrerà in vigore
l’1.1.2008.
Anche le emissioni acustiche resterebbero perfettamente adeguate alle vigenti
norme di cui alla L.R. n. 18/2001 in quanto inferiori rispetto ai limiti di
zona.
Inoltre la riconversione dell’impianto in questione sarebbe in linea con quanto
prescritto ai sensi dell’art. 3 del D.L. 18.2.2003 n. 25, convertito in legge
con modificazioni dall’art. 1 della L. 17.4.2003 n. 83, in quanto comportante
una riduzione delle emissioni complessive nonché il riutilizzo di un sito dotato
di adeguate infrastrutture di collegamento con la rete elettrica nazionale, con
diversificazione delle fonti primarie competitive.
Con memoria del 18.2.2004 si è, altresì, costituita in giudizio anche la
Federlazio- Federazione piccole e medie imprese del Lazio, depositando copia
dell’atto di intervento ad opponendum, regolarmente notificato alle parti del
presente giudizio in data 19.2.2004, con il quale, dopo avere specificato la
propria legittimazione ed interesse- in quanto rappresentante di un elevato
numero di imprese operanti nel territorio del Comune di Civitavecchia nei
settori metalmeccanico ed edile la cui sopravvivenza sarebbe strettamente
connessa con l’importante iniziativa sul territorio rappresentata dalla
riconversione a carbone della centrale termo-elettrica in questione-, ha dedotto
in ordine alla infondatezza nel merito del ricorso.
In particolare, ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti per
carenza di interesse attuale ed immediato all’impugnazione, in considerazione
della natura di atto meramente endoprocedimentale del decreto ministeriale di
VIA impugnato, pertanto da ritenersi non autonomamente impugnabile, in
considerazione delle disposizioni di cui all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002.
Il Comune di Civitavecchia, con memoria difensiva in data 19.2.2004, ha dedotto,
in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, sulla
base delle medesime considerazioni in precedenza esposte anche dalla Federlazio,
e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.
Con particolare riguardo alla dedotta mancata valutazione e motivazione sulle
osservazioni presentate dagli interessati, rileva che, dalla lettura del citato
decreto, si evince come, da un lato, le relative risposte siano contenute
nell’impugnato decreto, e, dall’altro, come, addirittura, alcune delle dette
osservazioni sarebbero state accolte, trasformandosi in prescrizioni di VIA.
Alla camera di consiglio del 19.2.2004, fissata per la trattazione della istanza
cautelare avanzata dai Comuni ricorrenti, la causa è stata rinviata a data da
destinarsi su accordo delle parti al fine di consentire ai ricorrenti
l’impugnazione del decreto ministeriale di definitiva autorizzazione alla
realizzazione dell’intervento in questione, adottato nelle more del presente
giudizio.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato documenti in data
26.2.2004.
La Federlazio ha depositato memoria difensiva in data 27.2.2004, con la quale ha
ribadito quanto in precedenza dedotto nei propri scritti difensivi
Con un ulteriore ricorso per motivi aggiunti, identico per entrambi i ricorsi
introduttivi, notificato in data 11.3.2004 e depositato il 23.3.2004 per
entrambi, i Comuni ricorrenti hanno impugnato, il decreto n. 55/02/2003 del
24.12.2003 del Ministero delle attività produttive, pubblicato sulla G.U. del
16.1.2004, con il quale è stata autorizzata la riconversione a carbone della
centrale termo-elettrica di TorreValdaliga Nord sita nel territorio del Comune
di Civitavecchia nonché ogni atto presupposto, connesso e consequenziale.
Ne hanno dedotto l’illegittimità in via principale e derivata per le medesime considerazioni di cui al ricorso introduttivo ed al primo ricorso per motivi aggiunti.
Hanno dedotto, altresì, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 1,
del D.L. n. 7 del 7.2.2002, cui sarebbe stata data attuazione in difetto dei
necessari presupposti richiesti ai sensi di legge.
In particolare l’autorizzazione unica prevista dalla predetta norma non sarebbe
stata preceduta dalla necessaria intesa in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano,
richiesta espressamente ai fini dell’attribuzione dell’eccezionale potere de quo
al Ministero, in considerazione della formulazione sintattica della norma che
non sembra consentire alternative.
Deducono, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del
citato D.L. n. 7 del 7.2.2002, nella parte in cui prevede che l’autorizzazione
unica viene rilasciata “a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano
le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei
principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990 n.
241”, atteso che appunto il coinvolgimento in seno al relativo procedimento
amministrativo degli enti territoriali interessati sarebbe non solo obbligatorio
ma anche da attuarsi su specifica e puntuale iniziativa da parte
dell’amministrazione procedente; nella specie non potrebbe ritenersi che il
Ministero vi abbia correttamente provveduto con la sola convocazione del Comune
di Civitavecchia, nel cui territorio l’impianto deve essere realizzato, atteso
che deve ritenersi che, tra le amministrazioni interessate da convocare
obbligatoriamente, andassero computati anche i Comuni ricorrenti, in quanto
addirittura più interessati dello stesso Comune di Civitavecchia in ordine alle
possibili ricadute sull’ambiente e sulla salute umana conseguenti all’emissione
di polveri inquinanti pericolose trasportate lontano dall’altissimo camino della
centrale ( di oltre 250 mt. proprio al fine di diluire le emissioni nella area
più vasta possibile).
In via subordinata, deducono l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 2,
del D.L. n. 7 del 7.2.2002, come definitivamente modificato in sede di
conversione, se interpretato nel senso di limitare l’amministrazione locale
interessata al solo Comune presso il cui territorio dovrà essere effettuato
l’intervento in questione, per violazione dell’assetto delle competenze
istituzionale degli enti territoriali di base che impone la leale collaborazione
tra gli stessi nell’esercizio in forma congiunta dei poteri spettanti e che
sarebbe stato, invece, nel caso di specie, violato per il mancato coinvolgimento
delle realtà locali nel procedimento di autorizzazione di un impianto con gravi
ricadute sulle relative popolazioni residenti.
Deducono, ulteriormente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2,
del citato D.L. n. 7/2002 nella parte in cui statuisce che “ l’istruttoria si
conclude una volta acquisita la VIA” e che l’autorizzazione è rilasciata dal
Ministero delle attività produttive “ d’intesa con la Regione interessata”,
atteso che l’intesa con la Regione Lazio sarebbe stata raggiunta con la
deliberazione della Giunta regionale del Lazio del 17.10.2003, nel corso ed a
seguito della riunione conclusiva della Conferenza di servizi del 29.10.2003 e,
pertanto, precedentemente all’emanazione del decreto ministeriale di VIA del
6.11.2003, e, dunque, prima della formale chiusura dell’istruttoria relativa,
mentre l’intesa attiene, invece, alla successiva fase decisionale.
Non si tratterebbe di una vera e propria intesa definitiva, in considerazione
delle perplessità anche successivamente manifestate da parte della Regione alla
realizzazione del progetto in questione, come da verbale dell’ordine del giorno
del Consiglio regionale del 10.12.2003.
Da ciò sarebbe dato di desumere che o l’intesa era solo provvisoria o la stessa
mancava del tutto od ancora che era contraddittoria.
Con l’ultimo motivo di censura hanno dedotto, in particolare, l’illegittimità
dell’art. 2 dell’impugnato decreto per eccesso di potere, nella parte in cui
specifica che “ la costruzione della centrale e delle opere connesse dovrà
avvenire in conformità al progetto preliminare approvato nel corso
dell’istruttoria. La presente autorizzazione è, altresì, subordinata al rispetto
delle prescrizioni formulate dalle Amministrazioni interessate”.
Le prescrizioni apposte in sede di VIA, infatti, illegittimamente riguarderebbe
non correttivi relativi alle modalità costruttive, bensì correttivi inerenti
alle modalità di esercizio dell’attività relativa e, dunque, all’uso concreto in
futuro della nuova centrale, in attesa di trovare la attualmente mancante
soluzione tecnica.
A titolo esemplificativo, con riferimento al CO2 ed al mercurio, nonostante la
riscontrata gravità delle relative immissioni, il Ministero si sarebbe limitato
a prescrivere un uso limitato della nuova centrale, prevedendo un’attività di
monitoraggio con protocolli ancora tutti da concordare.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero per le attività
produttive ed il Ministero dell’ambiente con memoria del 20.4.2004, hanno
dedotto l’infondatezza nel merito dei ricorsi per motivi aggiunti.
In particolare l’Avvocatura Generale dello Stato ha sottolineato che
l’autorizzazione unica, di cui al decreto impugnato con l’ultimo ricorso per
motivi aggiunti, è stata assunta previa individuazione di prescrizioni più
rigorose di quelle prese in considerazione con l’atto conclusivo del
procedimento di compatibilità ambientale.
Quanto ai singoli motivi di censura deduce, in ordine al primo, che la previa
intesa in seno alla Conferenza permanente non può intendersi da acquisirsi in
ordine ad ogni singolo progetto od istanza di rilascio dell’autorizzazione unica
e che, per detto tipo di interventi, detta intesa sarebbe stata acquisita in
data 5.9.2002, con la fissazione dei relativi criteri di valutazione cui i
singoli interventi debbano uniformarsi, non essendo di ausilio alla tesi
avversaria il testo della norma invocata né potendosi condividere la subordinata
dedotta illegittimità costituzionale alla luce proprio dei detti criteri; in
ordine al secondo motivo, che l’interpretazione fornita dai ricorrenti in ordine
ai destinatari della norma sulla partecipazione procedimentale non appare
plausibile in considerazione dell’incertezza che ne conseguirebbe ai fini
dell’individuazione dei concreti destinatari, considerato, peraltro, che l’unico
parere obbligatorio, in seno al detto procedimento, è proprio quello del Comune
e della Provincia nel cui territorio è ubicato l’impianto ai sensi dell’art. 1,
co. 3, del D.L. n. 7 del 7.2.2002, come convertito in L. 9.4.2002 n. 55; in
ordine al terzo motivo, che la proposta interpretazione dell’art. 1, co. 2, del
D.L. n. 7 del 7.2.2002 è stata disattesa dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 6/2004 con la quale è stato affermato che il necessario
coinvolgimento delle Regioni assicura una adeguata partecipazione ai
procedimento interessanti le competenze di amministrazioni anche locali; quanto
al quarto motivo, che il decreto di VIA del Ministero dell’ambiente è un atto
endoprocedimentale, che rappresenta la formalizzazione in un unico atto dei
contenuti dei pareri che seguono, e che, pertanto, la conferenza conclusiva è
stata legittimamente indetta per il giorno 29.10.2003, quando erano stati
acquisiti gli atti tanto il parere del Ministero dell’ambiente quanto quello del
Ministero dei beni culturali nonché quello della Regione Lazio di cui in
precedenza e dunque l’istruttoria per il subprocedimento di VIA era stata oramai
conclusa; in ordine, poi, al quinto motivo, che l’ordine del giorno della
riunione del 10.12.2003 del Consiglio regionale del Lazio, che lo impegna a
continuare il confronto con i Comuni interessati, non assume valenza
prescrittiva e rientra esclusivamente tra le attività di controllo, non
evidenziando alcuna contraddittorietà nel comportamento tenuto nella vicenda di
cui trattasi da parte della Regione; in ordine, infine, al sesto motivo, che,
essendo l’autorizzazione unica strumentale alla realizzazione di un’attività di
produzione di energia elettrica, le prescrizioni correttamente non si
riferiscono alla sola fase di realizzazione dell’impianto ma interessano anche
proprio la successiva fase dell’esercizio dello stesso e che, peraltro, lo
studio sanitario prodotto dall’ENEL s.p.a., quale soggetto proponente, ai sensi
dell’art. 2, co. 3, del D.P.C.M. 27.12.1988, si è basato sulle statistiche
prodotte dall’Agenzia di sanità pubblica della Regione Lazio del 2002 e che,
ulteriormente, detti dati sono stati attentamente vagliati da parte della
Commissione VIA nel corso della relativa istruttoria.
Ha dedotto, infine, che i limiti alle concentrazioni di emissione per i singoli
microinquinanti di cui alle prescrizioni vincolanti apposte in sede di decreto
VIA hanno proprio la funzione di eliminare o ridurre gli eventuali effetti
ambientali negativi derivanti dalla realizzazione di un impianto, ai sensi
dell’art. 6, co. 2, del D.P.C.M. 27.12.1988, con la conseguenza che, attraverso
le modificazioni apportate al progetto dell’opera, viene garantita la
compatibilità ambientale della stessa.
L’ENEL s.p.a. e l’ENEL Produzioni s.p.a. con memoria del 19.4.2004, hanno
dedotto l’infondatezza nel merito dei nuovi motivi aggiunti.
Hanno richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 13.1.2004,
avente ad oggetto proprio il D.L. n. 7 del 7.2.2002, sulla base del quale è
stato emanato il decreto ministeriale impugnato, con la quale è stata ribadita
la necessarietà dell’intervento statale e la celerità della procedura
autorizzatoria.
Hanno ribadito come, con la riconversione a carbone della centrale, si realizza
una riduzione complessiva delle emissioni in atmosfera con rispetto dei limiti
fissati dalle vigenti normative ambientali e soprattutto al di sotto dei limiti
di cui alla direttiva CE del 2001, che entrerà in vigore soltanto nel 2008.
In punto di diritto hanno dedotto, in via preliminare, la inammissibilità
dell’ultimo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso il decreto
ministeriale n. 55 del 24.12.2003, per violazione dell’art. 1 della L. n.
205/2000, nella parte in cui contiene la disciplina dei motivi aggiunti, atteso
che, nel caso di specie, trattasi di provvedimento promanante da autorità
diversa rispetto a quelle che hanno in precedenza emanato gli atti già impugnati
con il ricorso introduttivo del giudizio ed i successivi ricorsi per motivi
aggiunti ed in quanto trattasi dell’unico provvedimento conclusivo dell’intero
procedimento amministrativo contenente l’autorizzazione alla costruzione ed
all’esercizio dell’impianto in questione.
In particolare difetta, per la proposizione del ricorso per motivi aggiunti di
cui da ultimo, la procura speciale da parte dei Comuni ricorrenti, ai sensi
dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054, ritenuta necessaria dalla prevalente
giurisprudenza sul punto; né potrebbe ritenersi sopperita dall’originaria
procura speciale apposta in seno al ricorso introduttivo in quanto questa non
prevede espressamente il potere di presentare i motivi aggiunti in capo al
difensore costituito.
Peraltro il decreto impugnato da ultimo rappresenta, sulla base della normativa
speciale di cui all’art. 1 del D.L. n. 7/2002, il provvedimento conclusivo del
procedimento complesso costituente l’autorizzazione unica alla realizzazione ed
all’esercizio dell’impianto in questione, con la conseguenza che tutti gli atti
che lo precedono assumono esclusivamente una valenza endoprocedimentale,
cosicché proprio il ricorso avente ad oggetto detto decreto avrebbe necessitato
di apposita procura speciale.
Nel merito hanno dedotto:
- quanto al primo motivo di censura, che l’intervento della Conferenza
permanente viene richiesto non quale fase interna a ciascun procedimento
autorizzatorio, bensì ai soli fini della fissazione dei criteri generali di
valutazione dei progetti delle nuove centrali elettriche e che detta intesa è
stata nei fatti in concreto acquisita in data 5.9.2002, con il relativo accordo,
pubblicato sulla G.U. n. 220 del 19.9.2002, in sede di Conferenza unificata
Stato-Regioni, Città ed autonomie locali, che prevede un più ampio
coinvolgimento di più livelli di governo rispetto alla Conferenza permanente,
atteso l’ampliamento del ruolo delle autonomie a seguito dell’entrata in vigore
della L. Cost. n. 3/2001 con conseguente modifica del Titolo V della
Costituzione ed in considerazione dell’accordo sul punto del 20.6.2002;
- quanto al secondo motivo, che la partecipazione dei Comuni ricorrenti è stata
assicurata con la comunicazione in data 26.7.2002 della relazione descrittiva
del progetto e della sintesi non tecnica della studio di impatto ambientale
dell’aprile 2002, che, comunque, l’avviso relativo all’instaurazione del
subprocedimento di VIA è stato pubblicato su due quotidiani ai sensi delle norme
di legge al riguardo, che i Comuni ricorrenti hanno preso parte alla riunione
tenutasi presso il Ministero delle attività produttive in data 19.12.2002 a
conclusione del quale è stato adottato un Protocollo d’intesa ( non ratificato
dai detti Comuni ma dagli stessi sicuramente conosciuto nei suoi contenuti
specifici), che la normativa speciale di cui al D.L. n. 7/2002 in ordine alla
partecipazione procedimentale attiene esclusivamente al Comune direttamente
interessato nel cui territorio deve sorgere l’impianto in questione e che,
infine, i Comuni ricorrenti sono stati, comunque, messi nella condizione di
avere piena cognizione del detto procedimento e di prendervi attivamente parte,
tanto è vero che, in particolare, il Comune di Tarquinia risulta avere
presentato formali osservazioni nell’ambito del procedimento di valutazione
ambientale;
- quanto alla questione di illegittimità costituzionale (terzo motivo), dedotta
in via subordinata, dell’art. 1, co. 2, del D.L. n. 7/2002, che la sentenza
della Corte Costituzionale n. 6/2004 ha riconosciuto la manifesta infondatezza
delle relative questioni avanzate da parte delle Regioni, con particolare
riguardo alla sufficienza degli strumenti previsti dal detto decreto e dalla
relativa legge di conversione ed al rispetto del principio di leale
collaborazione e cooperazione, con conseguente necessità di partecipazione del
solo Comune sul cui territorio ricadano le opere interessate;
- quanto al quarto e quinto motivo di censura, che la Regione Lazio ha preso
parte a tutte le fasi del procedimento autorizzatorio ed ha espresso il proprio
parere favorevole con la piena consapevolezza del progetto e della sua
compatibilità ambientale, considerato che la suddetta Regione ha, in primo
luogo, espresso parere favorevole con prescrizioni in sede di procedimento VIA
in data 27.5.2003 ed ha, in secondo luogo, tenuto conto dell’intervenuto parere
della Commissione VIA in data 24.7.2003, comunicatogli in data 10.9.2003, con
nota di accompagnamento con la quale si preannunciava l’avviata predisposizione
del relativo decreto ministeriale, che, nella sostanza, costituisce la
trasposizione pedissequa del presupposto parere della Commissione VIA, cosicché
il parere favorevole espresso in seno alla Conferenza di servizi la cui ultima
riunione si è svolta in data 29.10.2003, che costituisce espressione della
necessaria intesa richiesta dalla norma di legge ( pertanto raggiunta e
perfezionata soltanto in detta sede di conferenza di servizio), è stato
deliberato ad istruttoria sostanzialmente conclusa; né l’ordine del giorno del
Consiglio regionale del Lazio del 10.12.2003 potrebbe configurarsi come revoca
implicita dell’intesa raggiunta, atteso che, da un lato, non ne ha le
caratteristiche formali e sostanziali e, dall’altro, rappresenta un mero impegno
operante sul piano politico a proseguire in futuro il confronto con i governi
locali;
- quanto al sesto motivo di censura, che le prescrizioni imposte dalle autorità
competenti al progetto in questione, attengono, in via principale, proprio alla
fase di realizzazione dell’impianto e che le prescrizioni inerenti alla
successiva fase dell’esercizio dell’attività produttiva sono finalizzate proprio
a rendere detto esercizio ambientalmente compatibile.
La Regione Lazio con memoria del 21.4.2004 ha dedotto l’infondatezza nel merito
degli ultimi motivi aggiunti.
In particolare, ha argomentato in ordine alla regolarità del procedimento
amministrativo seguito dalla amministrazioni coinvolte nella vicenda di cui
trattasi con particolare attenzione alle istanze partecipative dei Comuni
limitrofi, per le considerazioni già in precedenza espresse dalle altre
amministrazioni resistenti nei propri scritti difensivi, nonché alla completezza
ed alla approfondimento dell’istruttoria espletata soprattutto in ordine alla
tutela dell’ambiente e della salute umana.
Anche il Comune di Civitavecchia in data 22.4.2004 ha depositato memoria, con la
quale, riprendendo le argomentazioni già in precedenza formulate, ha chiesto il
rigetto dei detti motivi aggiunti.
Anche la Federlazio con memoria del 22.4.2004 ha dedotto l’infondatezza nel
merito degli ultimi motivi aggiunti per motivazioni analoghe a quelle di cui ai
precedenti scritti difensivi delle altre amministrazioni resistenti, come in
precedenza sinteticamente riportate.
Con le ordinanze nn. 2207/2004 e 2208/2004 del 22.4.2004 sono state respinte le
istanze di sospensione incidentale dei provvedimenti impugnati con i ricorsi
introduttivi del giudizio nonché con i successivi ricorsi per motivi aggiunti.
I Comuni ricorrenti, con ulteriori ricorsi per motivi aggiunti, notificati il
28.12.2004 e depositati il 5.1.2005 per entrambi i giudizi, hanno dedotto
avverso il medesimo decreto del Ministero delle attività produttive n.
55/02/2003 del 24.12.2003 un’ulteriore motivo di illegittimità.
In particolare, ne hanno ribadito l’illegittimità derivata in relazione al
difetto di istruttoria che vizierebbe la valutazione di impatto ambientale per
l’ assenza delle necessarie propedeutiche verifiche tecniche in ordine alla
effettiva e concreta lesività della salute umana.
Sul punto hanno rilevato che, nelle more del presente giudizio, il Comune di
Ladispoli ha presentato al Tribunale di Civitavecchia ricorso ai sensi dell’art.
700 c.p.c., riportante il n. rg. 521/2004, ai fini dell’assunzione, in via
cautelare, del provvedimento di sospensione dei lavori di riconversione a
carbone della centrale termo-elettrica di Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia e
che, nell’ambito di detto giudizio, allo stato pendente in fase di riserva, é
stata acquisita agli atti una documentata C.T.U., avente ad oggetto la verifica
della determinazione o meno di un danno alla salubrità ambientale, che
documenterebbe inadeguatezze e carenze istruttorie nel procedimento di VIA,
nonchè la nocività per la salute umana dell’utilizzo del carbone quale
combustibile esclusivo per la produzione dell’energia elettrica.
Quindi, con la memoria conclusiva dell’1.2.2005, depositata in vista
dell’udienza di trattazione nel merito del ricorso, i Comuni ricorrenti hanno
controdedotto ai precedenti scritti difensivi delle amministrazioni resistenti e
dell’ENEL s.p.a..
In particolare, hanno argomentato in ordine all’infondatezza dell’eccezione
preliminare di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti avente ad oggetto
il decreto ministeriale n. 55/2003, atteso che, nel caso di specie, si
tratterebbe di diversi provvedimenti emessi da amministrazioni coinvolte sin
dall’inizio nel presente giudizio e, comunque, aventi il medesimo oggetto.
In ordine, poi, alla domanda “ civilistica” di inibitoria delle immissioni
eccedenti la normale tollerabilità e di risarcimento dei danni conseguenti, la
dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di legge attributiva
di una giurisdizione piena a questo Tribunale in materia di urbanistica ed
edilizia non avrebbe rilevanza nella vicenda giurisdizionale de quo, atteso il
chiaro disposto della norma di cui all’art. unico, comma 552, della L.
30.12.2004 n. 311, che la ha espressamente reintrodotta.
Sul punto hanno affermato che il limite delle immissioni che l’ENEL s.p.a. si è
impegnata a rispettare supererebbero i limiti della normale tollerabilità di cui
all’art. 844 c.c., in considerazione del criterio della priorità di un
determinato uso, atteso che la vocazione e la concreta destinazione turistica
dei territori ricadenti nei Comuni ricorrenti sarebbe di gran lunga antecedente
alla costruzione della originaria centrale elettrica da smantellare.
Per quanto attiene, poi, gli specifici motivi di censura di illegittimità dei
provvedimenti impugnati, come articolati nei precedenti scritti difensivi,hanno
ulteriormente argomentato in ordine alla fondatezza dei motivi dedotti
insistendo, in particolare, sull’assunto che l’impianto approvato, immettettendo
nell’atmosfera quantità non ammissibili di co2, di nichel e di mercurio, come
sarebbe comprovato in atti, non sarebbe ambientalmente compatibile e pertanto
non assentibile in seno al procedimento amministrativo in contestazione e che le
prescrizioni inerenti all’uso precauzionale dello stesso impianto non sarebbero
sufficienti ad escluderne la comprovata nocività.
Con memoria del 31.3.2005, la Provincia di Roma ha ulteriormente ribadito quanto
dedotto nei precedenti scritti difensivi, insistendo per l’accoglimento dei
ricorsi e rilevando che il giudizio introdotto dal Comune di Ladispoli dinanzi
al Tribunale di Civitavecchia ai sensi dell’art. 700 c.p.c. è allo stato sospeso
in conseguenza della pendenza della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, co. 552, della legge finanziaria 2004.
Con memoria dell’1.4.2005, la Federlazio ha controdedotto agli ultimi ricorsi
per motivi aggiunti, eccependo, in via preliminare, la inammissibilità nel
presente giudizio o comunque la irrilevanza della C.T.U. di cui sopra, atteso
che i quesiti rivolti ai consulenti tecnici, nel giudizio ordinario ai sensi
dell’art. 700 c.p.c. pendente dinanzi al Tribunale civile di Civitavecchia,
sarebbero stati ultronei rispetto alla normativa in materia, nel senso di avere
avuto ad oggetto, tra gli altri aspetti, anche la eventuale irregolarità dal
punto di vista tecnico ed amministrativo della procedura di valutazione
dell’impatto ambientale, con invasione non solo della sfera tecnica della
pubblica amministrazione ma anche del merito e dell’opportunità alla stessa
riservati per legge.
Con le memorie del 2.4.2005, l’ENEL s.p.a. e l’ENEL Produzione s.p.a., da un
lato, e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’ambiente ed
il Ministero della attività produttive, dall’altro, hanno ancora più
diffusamente argomentato in ordine alla infondatezza nel merito delle censure
avversarie, insistendo per il rigetto dei ricorsi proposti dai Comuni
interessati.
Alla pubblica udienza del 14.4.2005, il ricorso è stato preso in decisione alla
presenza degli avvocati delle parti come da verbale.
DIRITTO
A) Riunione dei ricorsi
In via preliminare, considerata
l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva dei ricorsi in esame, se ne
dispone la riunione ai fini della trattazione congiunta e della decisione con
unica sentenza.
B) Legittimazione attiva ed interesse a ricorrere
1. La legittimazione attiva alla presentazione dei ricorsi in oggetto è stata argomentata da parte dei Comuni ricorrenti ( quanto al primo ricorso rg. n. 6990/2003 e poi ribadita con il secondo ricorso rg. n. 7733/2003) sulla base della circostanza della asserita ricaduta, quasi esclusiva, delle immissioni della nuova centrale elettrica nei territori dei comuni limitrofi a causa dell’altissimo camino della detta nuova centrale ( superiore ai 250 mt.), circostanza, che, peraltro, sarebbe attestata dalla specifica previsione, nell’ambito dell’Accordo del 30.4.2003 di un Osservatorio ambientale del quale sono chiamati a fare parte anche i comuni ricorrenti ( vedi art. 4.2), e, per il primo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso il decreto n. 680 del 6.11.2003 del Ministero dell’ambiente, ulteriormente argomentata sulla base del testo relativo, nella parte in cui specifica che le emissioni “ data l’altezza del camino ….. si diluiscono su un’area molto vasta”.
La questione inerente alla sussistenza o meno della legittimazione processuale
attiva dei Comuni attuali ricorrenti all’impugnazione dei provvedimenti di cui
in epigrafe è stata sollevata dalle società controinteressate solo nei confronti
del Comune di Ladispoli (ric. n. 7733/03).
Sulla predetta questione la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che la
legittimazione processuale attiva del Comune e l'interesse a ricorrere
sussistono, in primo luogo, ove il Comune agisca contro altre amministrazioni a
tutela della propria sfera di attribuzioni o, per la salvaguardia del proprio
territorio e di interessi della collettività legati al territorio medesimo o
contro atti che incidono sull'organizzazione dei servizi che interessano la
comunità locale (Cons. St., sez VI, 29 gennaio 2002, n. 492; 10 gennaio 2002, n.
98; 3 novembre 1999, n. 1712) e che, in conclusione, la legittimazione a
ricorrere spetta al Comune, quale ente esponenziale della comunità municipale,
in tutti i casi in cui agisca a tutela di interessi collettivi, purché si tratti
di interesse differenziato e qualificato che ruota attorno all'incidenza sul
territorio comunale dei provvedimenti impugnati.
Peraltro, nel caso in cui la legittimazione sia ancorata alla "vicinitas" -
criterio elaborato dalla giurisprudenza dapprima in relazione alle concessioni
edilizie e poi esteso alle ipotesi di localizzazione di opere pubbliche ed
impianti produttivi - ed il Comune agisca in via surrogatoria degli interessi
dei cittadini residenti nel proprio territorio, la legittimazione processuale
del Comune, dovendo modellarsi a quella ordinariamente spettante ai soggetti
surrogati, postula la prospettazione di temute ripercussioni sul territorio e
nelle immediate vicinanze in relazione alle quali i ricorrenti sono in posizione
qualificata (Cons. St., sez.VI, 15 dicembre 2002, n. 6657).
E’ stato, quidi, ritenuto che “ La vicinanza di un impianto di consistenti
dimensioni preposto alla produzione di energia elettrica radica in capo al
comune finitimo la legittimazione ad agire, poiché non può essere subordinata
alla produzione di una prova puntuale della concreta pericolosità dell'impianto,
reputandosi sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un
territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze della centrale da
realizzare. ( Consiglio Stato, sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3263).
Il Collegio condivide tale orientamento e ritiene pertanto che tutti i Comuni
ricorrenti siano legittimati a ricorrere avverso i provvedimenti in epigrafe
indicati, con i quali è stata autorizzata la realizzazione della centrale
elettrica in questione.
Non si tratta, infatti, di una (non consentita) azione popolare, volta ad
ottenere un mero controllo oggettivo della legittimità di un provvedimento
amministrativo da parte del giudice, ma dell’azione di enti locali, in quanto
enti esponenziali dei soggetti residenti nei rispettivi territori, che si
affermano interessati dalle emissioni inquinanti dell’impianto, ancorché ubicato
sul territorio di altro Comune.
Tale posizione legittimante va riconosciuta anche al Comune di Ladispoli,
nonostante la eccepita non contiguità del suo territorio con quello del Comune
di Civitavecchia e le risultanze dell’istruttoria sull’impatto ambientale, che
escluderebbero significative ricadute di sostanze inquinanti, poiché la
legittimazione processuale attiva del Comune avverso gli atti autorizzativi
della realizzazione di un impianto industriale, non si può subordinare alla
dimostrazione della concreta pericolosità dell'impianto stesso, dovendosi
reputare sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un
territorio comunale collocato nelle vicinanze (cfr. Cons. Stato, VI, 5.12.2002,
n. 6657).
Ciò, in quanto la questione della concreta pericolosità dell'impianto, valutata
alla luce dei parametri normativi, è questione di merito, mentre, al fine di
radicare la legittimazione e l'interesse ad impugnare è sufficiente la
prospettazione di temuti effetti nocivi sul territorio.
2. L’eccezione di difetto di interesse concreto ed attuale, da parte dei comuni
ricorrenti, al ricorso introduttivo nonché al primo ricorso per motivi aggiunti
per la mancata impugnazione del decreto n. 55 del del 24.12.2003 del Ministero
della attività produttiva- contenente l’autorizzazione unica alla realizzazione
del progetto ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002, formulata da parte
dell’ENEL s.p.a., deve ritenersi superata nei fatti dall’intervenuta
proposizione, nelle more del presente giudizio, del ricorso per motivi aggiunti,
avente ad oggetto specifico proprio l’impugnazione del detto decreto
ministeriale di autorizzazione
C) Ammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti.
L’ENEL s.p.a. e l’ENEL Produzione s.p.a. hanno dedotto l’inammissibilità dei
ricorsi per motivi aggiunti, proposti avverso i decreti del Ministero
dell’Ambiente e del Ministero delle attività produttive, contenenti
rispettivamente la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione unica,
di cui all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002, per la realizzazione della nuova
centrale elettrica a carbone di Torre Valdaliga Nord sita nel territorio del
Comune di Civitavecchia, per la mancata apposizione sui detti ricorsi di
apposita procura speciale al difensore ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924
n. 1054 - trattandosi di motivi aggiunti proposti ai sensi dell’art. 1 della L.
n. 205/2000 ed aventi ad oggetto, fra l’altro, il provvedimento conclusivo del
complesso procedimento in questione e, pertanto, l’unico atto effettivamente
impugnabile nel presente giudizio, per la cui impugnazione non potevano,,
quindi, sopperire le procure speciali rilasciate nel ricorso introduttivo del
giudizio, che, peraltro, non specificano in ordine all’attribuzione al difensore
del potere di proposizione dei detti motivi aggiunti- nonché per la mancanza
della necessaria identità soggettiva delle parti principali del rapporto
controverso - in quanto detti motivi aggiunti hanno ad oggetto provvedimenti
promananti da amministrazioni, ossia il Ministero dell’Ambiente e il Ministero
delle attività produttive, diverse ed autonome rispetto a quella destinataria
del ricorso introduttivo, ossia il Comune di Civitavecchia.
In tale situazione sarebbe stata necessaria la proposizione di un autonomo
ricorso o quanto meno di un ricorso, sebbene per motivi aggiunti, avente tutte
le necessarie caratteristiche formali e sostanziali del ricorso introduttivo di
un autonomo giudizio. Le controinteressate hanno dedotto, conseguentemente, la
inammissibilità del ricorso introduttivo, avverso l’accordo del 30.4.2003 ed il
protocollo di intesa del 19.12.2002, per sopravvenuta carenza di interesse,
atteso che, venuti meno i ricorsi per motivi aggiunti, il ricorso introduttivo
non sarebbe supportato dal necessario interesse concreto ed attuale
all’annullamento degli atti impugnati.
La prospettata eccezione è da respingere.
Si premette che l'art. 21, comma 1, della L. n. 1034/1971, come sostituito
dall'art. 1, della L. n. 205/2000 (secondo cui, tra l'altro, tutti i
provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti , connessi
all'oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi
aggiunti ), non configura a carico del ricorrente un onere di impugnativa
dell'atto connesso mediante motivi aggiunti , che risulterebbe limitativo delle
esigenze di tutela giurisdizionale costituzionalmente garantite dagli art. 24 e
113 Cost., risolvendosi in un aggravamento, anziché in una semplificazione,
degli adempimenti processuali gravanti sullo stesso; con la conseguenza che
l'impugnazione di un provvedimento connesso all'oggetto del giudizio attraverso
motivi aggiunti costituisce una facoltà e non un obbligo per il ricorrente.
I profili, inerenti alla disciplina dei nuovi motivi aggiunti di cui alla L. n.
205/2000, interessati dalle eccezioni di inammissibilità di cui sopra riguardano
specificatamente:
1.-i limiti della necessaria identità soggettiva delle parti, con particolare
riguardo alla pubblica amministrazione resistente;
2.-la ritenuta necessità del rilascio di una nuova procura speciale ai fini
della valida proposizione del ricorso per motivi aggiunti.
1.- Prima di esaminare lo specifico profilo dell’identità soggettiva delle
parti, il Collegio ritiene utile premettere alcune ulteriori considerazioni in
ordine all’istituto dei motivi aggiunti, come disciplinato ora dall’art. 1 della
legge 21 luglio 2000 n. 205, che modifica sul punto l’art. 21 della legge 6
dicembre 1971 n. 1034.
Come noto, prima della riforma di cui al citato art. 1 della L. n. 205/2000, in
base a costruzione giurisprudenziale uniforme o meglio prevalente nella materia
( non potendosi disconoscere la sussistenza di un orientamento minoritario che
riconosceva la legittimità del ricorso all’istituto dei motivi aggiunti ai fini
dell’impugnazione di provvedimenti diversi e distinti rispetto a quello
originariamente oggetto del ricorso introduttivo del giudizio ma con quest’ultimo
collegati da un punto di vista oggettivo e soggettivo), i motivi aggiunti
consentivano di ampliare la causa petendi coinvolgendo profili di illegittimità
dell’atto impugnato non noti al momento della proposizione del ricorso, fermo
restando il petitum originale, costituito dal provvedimento o dai provvedimenti
impugnati con l’atto introduttivo.
Al fine di concentrare il giudizio e risolvere la questione complessiva con
unica sentenza, è stata introdotta la citata norma di cui alla legge n. 205/2000
che permette di impugnare con motivi aggiunti tutti i provvedimenti adottati in
pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso
stesso: in sostanza si adotta per legge lo strumento processuale prima rimesso
alla discrezionalità del giudice, della riunione dei ricorsi connessi, onde
pervenire alla loro soluzione con unica sentenza.
La norma, pertanto, consente di ampliare, nell’ambito dello stesso giudizio,
anche il petitum sostanziale, inserendo la richiesta di annullamento di atti
sopravvenuti.
Sotto un profilo formale si ha, quindi, un giudizio unico, cosicché deve
ritenersi ammessa la notifica dei motivi aggiunti nel domicilio eletto delle
parti già costituite; ma, sotto un profilo sostanziale, si ha una unificazione
per legge di ricorsi autonomi, con applicazione, quindi, dei principi già
affermati in ordine alla connessione. Ciò, in particolare, significa che la
identità delle parti tra i vari giudizi connessi non deve essere vista in senso
assoluto, ben potendo il giudice, prima della riforma, riunire giudizi in cui vi
fosse solo una parziale identità delle parti, e quindi una parziale connessione
soggettiva.
La lettera della norma, che fa riferimento alle “stesse parti” del ricorso
introduttivo, deve, pertanto, essere intesa nel senso di stesse parti chiamate
in giudizio con il ricorso, dovendo una interpretazione restrittiva (solo
ricorrente ed autorità emanante) soggiacere ad una interpretazione logica, che
abbia riguardo alla ratio della norma, tendente, come detto a favorire la
concentrazione dei giudizi, a vantaggio anche della loro celerità.
La condizione in esame risulta, in sostanza, soddisfatta se l’atto
successivamente adottato, che si inserisce nella medesima sequenza
procedimentale di quello inizialmente impugnato e pregiudica gli interessi della
stessa parte lesa da quest’ultimo risulta adottato da una amministrazione che,
pur diversa da quella che ha emanato l’atto impugnato con il ricorso
introduttivo, sia stata comunque chiamata in giudizio con la notificazione del
ricorso stesso. Tale lettura della disposizione si rivela, infatti, l’unica
coerente con le sue finalità di concentrazione e di economia dei rimedi
processuali, mentre ogni opzione ermeneutica che escluda la possibilità di
proporre motivi aggiunti quando tale iniziativa estenda il novero delle parti
necessarie del giudizio risulta inaccettabile in quanto finisce per impedire
alla norma di realizzare proprio quegli interessi che è principalmente
finalizzata a soddisfare.
Deve, pertanto concludersi, secondo l’interpretazione giurisprudenziale
prevalente,che l’impugnazione tramite motivi aggiunti dei provvedimenti
successivi inerenti alla medesima vicenda procedimentale è ammessa pure nel caso
in cui gli stessi promanino da amministrazioni diverse, purchè nell’esercizio di
poteri attinenti alla cura del medesimo interesse pubblico; l’identità di parti,
per quel che riguarda la parte pubblica, va intesa in senso lato, dovendosi
ritenere la “stessa parte pubblica” come comprensiva di tutte le pubbliche
amministrazioni, ancorché soggettivamente distinte, che intervengono nella
medesima vicenda procedimentale per la cura del medesimo interesse pubblico o di
interessi pubblici connessi perché inerenti al medesimo bene della vita appetito
dalla parte privata ( in termini cfr. C.d.S., sez. IV, 22.10.2002, n. 5813, sez.
VI, n. 3187 del 2003 cit.; sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5813 sez. IV, 27.4.2004,
n. 2555).
Tanto premesso l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti,
per difetto della ritenuta necessaria identità soggettiva, è infondata, atteso
che le parti di cui al ricorso introduttivo ed ai detti ricorsi per motivi
aggiunti sono le medesime, essendo stato notificato il ricorso introduttivo non
solo al Ministero delle attività produttive ( nella qualità di firmatario del
predetto protocollo d’intesa), ma anche al Ministero dell’ambiente, che, proprio
in virtù della detta notifica sono divenute parti del presente giudizio a fare
data dalla sua formale instaurazione.
2.- In ordine alla questione inerente la necessità o meno del rilascio di una
nuova apposita procura ai fini della proposizione del ricorso per motivi
aggiunti di cui all’art. 1 della L. n. 205/2000 sussiste un contrasto nella
giurisprudenza in materia.
Ed infatti, secondo un primo orientamento, l'art. 1 della L. 21 luglio 2000 n.
205, che ha modificato l'art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, allo scopo di
concentrare in un unico processo l'impugnazione di provvedimenti diversi da
quello originariamente impugnato ha carattere eminentemente processuale, ma
niente dice in ordine all'ampiezza ed all'estensione delle procure rilasciate e
non può quindi essere invocata per dedurre da essa anche la possibilità di
impugnare mediante motivi aggiunti provvedimenti diversi da quelli
originariamente gravati senza il rilascio di una nuova procura.
Ne deriverebbe che,secondo un primo orientamento, ferma restando la possibilità
di inserire la controversia sul nuovo atto nel processo già instaurato a
proposito dell'atto connesso, ai fini dell'impugnazione di un atto diverso da
quello originariamente impugnato, occorrerebbe, secondo le regole generali, una
nuova procura ad litem “( in termini Cons. Stato, VI sez. 31/7/2003 n° 4440 e
T.A.R. Sardegna, 22 ottobre 2004, n. 1501).
Secondo l’orientamento contrapposto, che il Collegio ritiene di dovere
condividere, il mandato difensivo originario - salve espresse eccezioni - deve
ritenersi comprensivo anche ove non faccia esplicito riferimento alla
proposizione di motivi aggiunti, di tutti i poteri processuali finalizzati alla
rimozione della lesione subita dal ricorrente. Pertanto, per la proposizione di
motivi aggiunti che non si configura come autonomo ricorso, non occorrono,
stante il precedente conferimento al difensore di procura speciale per la
instaurazione della controversia, nè la sottoscrizione del ricorrente nè il
rinnovo della procura” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6 luglio 2002, n. 3717).
D) Motivi di merito.
Con l’intervento in oggetto è prevista la riconversione a carbone di 3 delle 4
sezioni da 660 MW dell’esistente centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord di
Civitavecchia, attualmente alimentata ad olio combustibile, per una capacità
totale di poco inferiore ai 2000 MW, nonché l’installazione di nuove caldaie e
l’inserimento di apparecchiature per l’abbattimento delle sostanze inquinanti ad
elevata efficienza.
La suddetta riconversione risponde all’esigenza di approvvigionamento energetico
tramite la diversificazione delle fonti utilizzate, soddisfacendo, altresì, la
necessità di convertire l’impianto esistente con uno che risponda all’impiego
delle più aggiornate tecnologie e che garantisca al massimo l’esigenza di
riduzione dell’impatto di fattori inquinanti, assicurando nel contempo la
protezione dell’ambiente e della salute umana.
Dette esigenze di approvvigionamento energetico hanno indotto il legislatore a
favorire e semplificare i procedimenti di rilascio delle relative
autorizzazioni, di cui al D.L. n. 7 del 7.2.2002, convertito con modificazioni
nella L. n. 55 del 9.4.2002, il cd. decreto sblocca centrali.
Peraltro la L. 17.4.2003 n. 83, recante la conversione del D.L. n. 25 del
18.2.2003, nell’individuare i criteri generali per aumentare la efficacia delle
disposizioni di cui al D.L. n. 7/2002, cita proprio la diversificazione verso
fonti primarie competitive e, dunque, sostanzialmente, il carbone fossile, come
criterio di selezione dei progetti ritenuti prioritari ai fini dello svolgimento
della valutazione di impatto ambientale.
Infine il D.L. n. 239 del 29.8.2003, convertito in L. n. 290 del 27.10.2003,
prevede, all’art. 1 sexies, comma 8, che, alla costruzione e all’esercizio di
impianti di produzione dell’energia elettrica di potenza superiore a 300 MW, si
applicano le disposizioni di cui al D.L. n. 7/2002, convertito in L. n. 55/2002.
1) Ricorsi introduttivi del giudizio aventi ad oggetto l’impugnazione
dell’accordo ENEL-Comune di Civitavecchia del 30.4.2003, della deliberazione
C.C. di Civitavecchia del 25.3.2003 e del Protocollo di intesa del 19.12.2002
1.1.- Con il primo motivo di censura è stata dedotta la violazione e falsa
applicazione delle norme di cui agli artt. 7-13 della L. 241/1990, inerenti alla
partecipazione procedimentale, atteso che i Comuni ricorrenti sarebbero stati
parti necessarie di detto procedimento volto all’assunzione della decisione da
parte del Comune di Civitavecchia di convertire a carbone la centrale elettrica
di Civitavecchia- Torrevaldaliga Nord.
Il motivo di censura è infondato per le considerazioni che seguono.
1.1.1. Deve, in primo luogo, osservarsi che gli atti impugnati non fanno parte
del “procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e locali
interessate”, disciplinato dall’art. 1 del D.L. 7.2.2002, n. 7 (conv. dalla
legge 9.4.2002, n. 55) e relativo al rilascio dell’autorizzazione per la
costruzione e l’esercizio della centrale elettrica in questione.
Trattasi, invero, di atti che, pur connessi e preordinati all’autonomo
procedimento autorizzatorio della riconversione a carbone della preesistente
centrale, sono unicamente diretti a definire i rapporti tra il Comune di
Civitavecchia ed ENEL, in sostituzione delle precedenti convenzioni (cfr. art. 8
dell’accordo impugnato nonché tra lo stesso Comune, ENEL ed altre
amministrazioni interessate (protocollo di intesa).
I Comune ricorrenti sono, pertanto, estranei al procedimento in questione e agli
effetti degli atti impugnati con il ricorso introduttivo, con la conseguente
insussistenza delle dedotta violazione delle norme generali in materia di
partecipazione al procedimento amministrativo.
1.1.2.In ogni caso, come correttamente rilevato dall’ENEL nei propri scritti
difensivi, la Relazione descrittiva del progetto del luglio 2002 nonché la
Sintesi non tecnica dello studio di impatto ambientale dell’aprile 2002,
contenenti tutti i necessari dati informativi sulle caratteristiche del nuovo
impianto in progetto, é stata messa a disposizione, da parte dell’ENEL s.p.a.,
delle autorità procedenti nonché di ciascuno dei Comuni ricorrenti, con lettere
di identico contenuto riportanti la data del 26.7.2002, facendo seguito a quanto
asseritamene concordato nel corso dell’incontro svoltosi in data 10.7.2002 tra
le medesime parti ( sebbene non risulti depositata agli atti la prova
dell’avvenuta ricezione da parte dei detti comuni della lettera in questione,
tuttavia, nei successivi scritti difensivi, gli stessi non negano di averla
effettivamente ricevuta).
I Comuni ricorrenti dovevano, pertanto, ritenersi a piena conoscenza del
progetto in oggetto e delle relative caratteristiche costruttive e di esercizio,
indipendentemente dalla ricezione di una formale comunicazione di avvio del
procedimento.
Peraltro, il Comune di Allumiere, nell’autunno del 2002 e precisamente con nota
prot. n. 8509 del 15.10.2002, sottoscritta dal Vice Sindaco, ha richiesto
all’ENEL l’installazione sul proprio territorio di una nuova postazione di
monitoraggio dell’inquinamento atmosferico al suolo, cui l’ENEL s.p.a. ha dato
riscontro con la successiva nota del 29.10.2002; ed anche il Comune di Santa
Marinella, con nota prot. n. 15729 dell’11.9.2002, a firma del Sindaco, ha
avanzato all’ENEL Produzioni s.p.a. una analoga richiesta, cui l’ENEL ha dato
riscontro con la nota del 3.10.2002.
Inoltre il testo del Protocollo di intesa sul progetto dell’ENEL Produzioni
s.p.a. di riconversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldaliga
Nord, messo a punto nel corso della riunione del 19.12.2002, indetta dal
Sottosegretario del Ministero delle attività produttive e tenutasi presso il
predetto Ministero, è stato trasmesso, a cura del Ministero stesso, in
comunicazione ai singoli comuni ricorrenti con nota fax del 19.12.2002; e, dal
verbale della predetta riunione, risulta testualmente che, alla stessa, hanno
preso effettivamente parte anche i comuni di Santa Marinella, di Tolfa e di
Tarquinia, i quali ultimi hanno, peraltro, anche sottoscritto il predetto
verbale, sebbene, poi, non abbiano ratificato il Protocollo d’intesa.
Peraltro tutti e quattro i comuni di cui al ricorso n. 6990/03 hanno
sottoscritto, nella persona del rispettivo Sindaco, l’invito del 30.12.2002 a
partecipare all’assemblea pubblica sulla proposta dell’ENEL s.p.a. di
riconversione a carbone della centrale elettrica che si è tenuta, presso l’aula
consiliare del Comune di Civitavecchia, in data 10.1.2003.
Dall’insieme dei fatti come in precedenza riportati è dato, pertanto, di
riscontrare come i Comuni ricorrenti fossero stati messi, comunque, ed
indipendentemente dalla previa comunicazione di avvio procedimentale di cui
all’art. 7 della L. n. 241/1990 da parte del Comune di Civitavecchia o dell’ENEL
s.p.a., nella condizione di avere piena ed effettiva conoscenza della
circostanza relativa all’esame ed alla successiva approvazione da parte del
Comune di Civitavecchia del progetto di riconversione a carbone della centrale
elettrica di Torrevaldaliga Nord nonché dei contenuti del predetto accordo, con
la possibilità di intervenire nel relativo procedimento ai fini di fare valere
le loro eventuali ragioni ostative alla realizzazione del detto progetto.
Ne consegue che, indipendentemente dalla effettiva sussistenza o meno del detto
obbligo di previa comunicazione dell’avvio procedimentale, in concreto, la
stessa non era necessaria, atteso che, comunque, le finalità alla stessa sottese
erano state perseguite per altra via, come dimostrato agli atti.
Ed infatti per giurisprudenza consolidata sul punto “Il mancato rispetto del
principio sancito dall'art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, vizia ineluttabilmente
il provvedimento finale, con il solo temperamento per i casi in cui l'omissione
si riveli, in concreto, irrilevante, giacché il procedimento non potrebbe avere
esito diverso anche con l'intervento dell'interessato, ovvero quest'ultimo sia
stato, comunque, posto in condizione di partecipare per avere avuto conoscenza "
aliunde " del procedimento stesso. “ (Consiglio Stato, sez. VI, 13 febbraio
2004, n. 580).
1.2.- Con il secondo motivo di censura hanno dedotto l’eccesso di potere per
violazione del dovere di leale collaborazione tra le istituzioni, in quanto il
Comune di Civitavecchia avrebbe ottenuto da parte dell’ENEL una serie di
interventi compensativi con rilevante tornaconto di tipo economico, senza
considerare che le immissioni, invece, ricadrebbero quasi esclusivamente proprio
sui territori dei comuni limitrofi.
La circostanza che la ricaduta delle emissioni inquinanti derivanti dalla nuova
centrale interessi esclusivamente o comunque principalmente i comuni limitrofi,
rappresenta una mera affermazione di principio da parte dei detti comuni del
tutto indimostrata, sebbene basata su alcuni elementi circostanziali
riscontrabili agli atti del presente giudizio, quali l’altezza del camino.
Ciò premesso, la circostanza che il Comune di Civitavecchia abbia ottenuto
dall’ENEL s.p.a., in sede di accordo preliminare, tutta una serie di interventi
compensativi a tutela dell’ambiente e a favore del territorio comunale appare
pienamente giustificata dal fatto che è proprio nel territorio del Comune di
Civitavecchia che la centrale verrà realizzata cosicché i relativi
inconvenienti, conseguenti sia alla fase di realizzazione della detta centrale
che al suo successivo esercizio, ricadono, necessariamente sulla popolazione
residente in detto territorio.
Va comunque osservato che i benefici ottenuti dal Comune di Civitavecchia non
incidono sulla legittimità dell’accordo stipulato con ENEL né i Comuni
ricorrenti hanno interesse a contestarli, trattandosi di interventi non lesivi
della posizione di terzi, soggetti alla disciplina in materia di obbligazioni e
contratti, ex art. 11, secondo comma della legge n. 241 del 1990.
2) Motivi aggiunti aventi ad oggetto il decreto n. 680 del 6.11.2003 del
Ministero dell’ambiente di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni
nonché il parere della Commissione VIA n. 545 del 24.7.2003.
2.1.- Con il primo motivo di censura hanno dedotto la violazione e falsa
applicazione dell’art. 7 della L. 241/1990, inerente alla partecipazione
procedimentale ed in particolare all’omessa previa comunicazione diretta ai
singoli comuni limitrofi dell’avvio del procedimento finalizzato all’emanazione
del parere di compatibilità ambientale del progetto da parte del Ministero
dell’ambiente, atteso che proprio detti comuni sarebbero i diretti interessati
dello stesso ( in conseguenza della ricaduta quasi esclusiva delle emissioni
sulle popolazioni ivi residenti) e gli stessi rientrerebbero tra i “ soggetti
individuati o facilmente individuabili” di cui alla norma invocata né la
pubblicità di carattere generale prescritta per il procedimento di valutazione
di impatto ambientale, ossia la pubblicazione dell’avviso di avvio del
procedimento relativo presso il Ministero dell’Ambiente su due quotidiani,
potrebbe ritenersi correttamente assorbente del suddetto obbligo di
comunicazione diretta e specifica.
Detto motivo è infondato per le considerazioni che seguono.
Ed infatti, oltre alle considerazione espresse relativamente al medesimo motivo
di censura proposto con il ricorso introduttivo del giudizio avverso l’accordo
tra l’ENEL s.p.a. ed il Comune di Civitavecchia del 30.4.2003 e gli atti ad esso
presupposti, che si richiamano ai medesimi ( con particolare riguardo alla
partecipazione alla riunione presso il Ministero delle attività produttive alla
conclusione della quale è stato sottoscritto il protocollo d’intesa del
19.12.2002), vale ulteriormente rilevare quanto segue.
L’ENEL s.p.a. ha provveduto alla pubblicazione dell’avviso al pubblico della
richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale del Ministero dell’ambiente e
del Ministero dei beni e delle attività culturali inerente al progetto di
conversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord sita nel
territorio del Comune di Civitavecchia, su due quotidiani a tiratura nazionale e
regionale, ossia sul Corriere della sera e sul Messaggero di lunedì 22.4.2002.
Al riguardo l’art. 6, co. 3, della L. n. 349/1986, dispone testualmente che:
“3. I progetti delle opere di cui al precedente comma 2 sono comunicati, prima
della loro approvazione, al Ministro dell'ambiente, al Ministro per i beni
culturali e ambientali e alla Regione territorialmente interessata, ai fini
della valutazione dell'impatto sull'ambiente. La comunicazione contiene
l'indicazione della localizzazione dell'intervento, la specificazione dei
rifiuti liquidi e solidi, delle emissioni ed immissioni inquinanti
nell'atmosfera e delle emissioni sonore prodotte dall'opera, la descrizione dei
dispositivi di eliminazione o recupero dei danni dell'ambiente ed i piani di
prevenzione dei danni dell'ambiente e di monitoraggio ambientale. L'annuncio
dell'avvenuta comunicazione deve essere pubblicato, a cura del committente, sul
quotidiano più diffuso nella regione territorialmente interessata, nonchè su un
quotidiano a diffusione nazionale.”.
A sua volta l’art. 6, co. 9, della L. n. 349/1986, dispone testualmente che :
“9. Qualsiasi cittadino, in conformità delle leggi vigenti, può presentare, in
forma scritta, al Ministro dell'ambiente, al Ministero per i beni culturali ed
ambientali e alla regione interessata istanze, osservazioni o pareri sull'opera
soggetta a valutazione di impatto ambientale, nel termine di trenta giorni
dall'annuncio della comunicazione del progetto.”
L’art. 5 del D.P.C.M. n. 377 del 10.8.1988, adottato in base all'art. 6 l. n.
349 del 1986, rubricato “ Pubblicità”, dispone, poi, che:
“1. Contestualmente alla comunicazione di cui al comma 3 dell'art. 2, il
committente di opere di cui all'art. 1 provvede alla pubblicazione, sul
quotidiano più diffuso nella regione o provincia autonoma territorialmente
interessata e su un quotidiano a diffusione nazionale, di un annuncio contenente
l'indicazione dell'opera, la sua localizzazione ed una sommaria descrizione del
progetto.
2. Il committente provvede altresì al deposito di una o più copie del progetto e
degli elaborati della comunicazione, così come definiti all'art. 2, presso il
competente ufficio della regione o provincia autonoma interessata, ai fini della
consultazione da parte del pubblico.
3. Le regioni, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, individuano gli uffici di cui al comma 2 provvedendo anche alla
pubblicazione sul Bollettino ufficiale della regione e ad una adeguata
informazione al pubblico. “.
E l’art. 2, co. 3, del D.P.C.M. n. 377 del 10.8.1988, prevede che la
comunicazione di cui al comma 3 dell'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349,
oltre al progetto come individuato al comma 1, comprende un approfondito studio
di impatto ambientale
Alla luce della normativa in materia, come in precedenza testualmente riportata,
si ritiene che la forma di pubblicità, consistente nell’avviso pubblico a mezzo
stampa, sia idonea a soddisfare l’obbligo di cui al citato art. 7 della L. n.
241/1990 di previa comunicazione dell’avvio procedimentale.
Ed infatti, come la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare, sebbene in
fattispecie diversa da quella oggetto della presente controversia, ma con
affermazione di un principio da ritenersi generalmente valido in ordine al
valore da attribuirsi all’avviso pubblico in questione. “Tale forma di
pubblicità appare idonea a soddisfare l'obbligo di comunicazione dell'avvio del
procedimento, non potendosi pretendere, nella specie, in considerazione del
fatto che trattasi di progetti di portata talmente ampia da coinvolgere, come si
è già detto, un numero notevole di soggetti interessati, una comunicazione
personale. In vero, lo stesso art. 8 della L. n. 241 del 1990, che disciplina le
modalità della comunicazione, prevede che "qualora per il numero dei destinatari
la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa,
l'amministrazione provvede ... mediante forme di pubblicità idonee, di volta in
volta stabilite dall'amministrazione medesima". In proposito anche l'Ad.Pl. del
C.d.S., nella decisione del 15.9.1999 n. 14, ha convenuto che, nel caso di
procedimenti di massa, è applicabile il cit. art. 8. “( T.A.R. Lazio, sez. I, 9
febbraio 2000, n. 850).
Può, pertanto, ritenersi che l’art. 7 della L. n. 241/1990, nella parte in cui
prevede l’obbligo per l’amministrazione procedente di dare previa comunicazione
personale dell’avvio procedimentale al diretto interessato, non si applichi alla
fattispecie del procedimento di VIA, attesa la specialità della disposizione di
cui all’art. 6, co. 3, della l. n. 349/1986, nella parte in cui prevede la
pubblicazione dell’avviso su due quotidiani, nei confronti dei soggetti che non
siano direttamente destinatari dell’atto né siano agevolmente individuabili.
Né potrebbe ritenersi, nel caso di specie, che il numero dei comuni interessati
fosse, comunque, contenuto e tale, pertanto, da consentire la comunicazione
personale e diretta dell’avvio del relativo procedimento; sussistendo, comunque,
l’incertezza in ordine ai comuni effettivamente da ritenersi direttamente
interessati in relazione alla potenziale ricaduta delle emissioni inquinanti,
atteso che questa appare influenzata da diversi fattori e quindi, in concreto,
non esattamente predeterminabile.
L’adempimento, previsto dall’art. 6, co. 3, della L. n. 349/1986 e dall’art. 5
del D.P.C.M. n. 377 del 10.8.1988, ha, comunque, in concreto, reso possibile a
tutti i soggetti potenzialmente interessati di prendere parte al relativo
procedimento amministrativo, consultando ed acquisendo la relativa
documentazione nonché presentando le osservazioni ritenute necessarie ed
opportune.
Tanto è vero che il Comune di Tarquinia e la Comunità Montana-Monti della
Tolfa-Allumiere, in particolare, hanno fatto concreto esercizio della predetta
facoltà, presentando le proprie osservazioni rispettivamente, il primo, in data
20.5.2002, 8.11.2002 e 19.6.2003, e la seconda, invece, in data 20.1.2003.
Peraltro hanno concretamente preso parte al procedimento per il rilascio del
parere di compatibilità ambientale, svoltosi presso il Ministero dell’ambiente,
sia la Regione Lazio che la Provincia di Roma, ossia gli enti territoriali
esponenziali delle intere comunità residenti nei rispettivi territori, in quanto
tali ricomprensivi anche delle comunità residenti nei territori dei comuni
ricorrenti.
2.2.- Con il secondo motivo di censura deducono la violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, per difetto assoluto di
motivazione in relazione all’esame delle osservazioni presentate, in
particolare, proprio dal Comune di Tarquinia nonché da altri numerosi soggetti,
poiché il parere della Commissione VIA si sarebbe limitato a fornire una
risposta formale ed elusiva, evidenziando esclusivamente che le osservazioni
presentate sarebbero state prese in considerazione dalla predetta Commissione in
seno al relativo procedimento istruttorio e delle stesse sarebbe stato tenuto
conto nella definizione del parere.
Detto motivo non merita condivisione.
Va rilevato che le osservazioni sui progetti di opere soggette a V.I.A.,
configurandosi come un apporto collaborativo fornito all’Amministrazione da
chiunque vi abbia interesse (cfr. art. 6, comma 9, l. n. 349/86), non
richiedono, in caso di rigetto, una dettagliata confutazione, essendo
sufficiente che dagli atti del procedimento risulti che sono state valutate e
una sintetica motivazione della valutazione negativa, che non deve
necessariamente investire ogni singola argomentazione del proponente.
Nel caso in esame, le risposte alle singole osservazioni presentate sono state
formulate nell’ambito del decreto ministeriale impugnato ed alcune di queste
sono state addirittura trasfuse in specifiche prescrizioni condizionanti la
realizzazione stessa del progetto in questione.
Quanto alle risposte fornite ai due rilievi critici specificamente menzionati
nel ricorso (contrasto con le politiche di sviluppo delle energie alternative e
con i programmi comunali di sviluppo territoriale, risanamento ambientale e
riqualificizone urbana) gli stessi ricorrenti riportano le risposte fornite
dall’Amministrazione, che, anche in relazione alla genericità di detti rilievi,
appaiono sufficienti a soddisfare l’onere di motivazione.
2.3.- Con il terzo motivo di censura deducono l’eccesso di potere per
travisamento dei fatti, per la rilevante incidenza sulla salute delle
popolazioni residenti nei territori dei comuni limitrofi, considerato che vi
sarebbe una ampia letteratura di varia provenienza concordante in ordine alla
pericolosità per la salute umana delle emissioni inquinanti prodotte, alla quale
sarebbe riconducibile lo studio effettuato dall’Osservatorio epidemiologico
della Regione Lazio del 1997.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, in tema di valutazioni
caratterizzate da discrezionalità tecnica il giudice non può sostituire la
propria valutazione tecnica alla valutazione tecnica dell'amministrazione,
dovendo il proprio sindacato sugli apprezzamenti tecnici esercitarsi soprattutto
in relazione a macroscopiche illegittimità ed incongruenze manifeste anche se
senza alcuna aprioristica limitazione derivante dalla natura tecnica
dell'attività che, lungi dall'essere in via di principio insindacabile, è
suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, da parte del giudice
amministrativo, sia per vizi logici, sia per errore di fatto, sia per
travisamento dei presupposti, sia per difetto di istruttoria, sia, infine, per
cattiva applicazione delle regole tecniche (Consiglio Stato, sez. VI, 30 gennaio
2004, n. 316).
Particolari limiti al sindacato del giudice amministrativo sussistono in tema di
valutazione di impatto ambientale, dal momento che la decisione della
amministrazione rientra tra le valutazioni tecniche riservate
all’Amministrazione, in quanto titolare di una specifica competenza legata alla
tutela di particolari valori costituzionali, come si desume dall’art. 17,
secondo comma, della legge n. 241 del 1990, che dispone la non surrogabilità
delle valutazioni tecniche spettanti alle amministrazioni preposte alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 5.3.2001, n. 1207).
Ciò premesso si rileva quanto segue.
Secondo quanto specificatamente rilevato in sede di Sintesi non tecnica di
compatibilità ambientale dell’aprile 2002 dell’ENEL, le emissioni inquinanti
complessive prodotte dalla nuova centrale elettrica a carbone saranno
sensibilmente inferiori non soltanto a quelle dell’attuale impianto alimentato
ad olio combustibile ma anche ai valori indicati nella direttiva UE Nuovi
Impianti 2001/80/CE del 23.10.2001, che entrerà in vigore dall’1.1.2008.
L’ENEL ha sottoscritto volontariamente, con il Ministero dell’ambiente, e a fare
data dal 14.2.2001, un accordo contenente l’impegno a dare attuazione, nella
realizzazione e nell’esercizio dei propri impianti, agli obiettivi del
protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra.
Inoltre saranno rispettati anche i limiti stabiliti per i cd. microinquinanti (
ed in particolare i metalli pesanti) in seno al D.M. 12.7.1990 ed anche quelli
estremamente più restrittivi imposti dal Ministero della salute in sede di
conferenza di servizi in data 29.10.2003, come risulta testualmente dal decreto
di autorizzazione unica impugnato.
Nei ricorsi, peraltro, i Comuni non denunciano, in effetti, relativamente alle
emissioni inquinanti, il mancato rispetto anche di uno solo dei parametri
fissati dalle vigenti normative ambientali, rappresentate dalla direttiva
96/61/CE ( cd. direttiva IPPC che ha introdotto l’autorizzazione integrata
ambientale) e dalla successiva direttiva 2001/80/CE ( sui grandi impianti di
combustione che stabilisce i relativi limiti delle emissioni inquinanti) nonché
in ambito nazionale il D. Lgs. n. 372/1999 ( attuativo della citata direttiva
96/61/CE) ed il D.M. 12.7.1990.
E gli impianti della nuova centrale elettrica a carbone rimangono, dopo la
riconversione, adeguati alle vigenti norme in materia di inquinamento acustico
di cui alla L.R. n. 18 del 3.8.2001, attuativa della L. n. 447 del 26.10.1995,
atteso che, secondo la zonizzazione acustica del Comune di Civitavecchia, l’area
della centrale di Torrevaldaliga Nord è posta nella classe VI- di area
esclusivamente industriale- fino alla linea di costa e secondo i rilevamenti
effettuati dall’A.U.S.L. RM/F i valori diurno e notturno si mantengono inferiori
rispetto ai limiti della predetta zona.
Risultando, pertanto, che l’avversata riconversione a carbone della centrale
determinerà un complessivo miglioramento delle condizioni dell’ambiente,
rispetto alla situazione precedente, i dati dell’Osservatorio epidemiologico
della Regione Lazio, richiamati dai ricorrenti, non appaiono rilevanti ai fini
della dimostrazione dell’affermata incidenza della realizzazione del progetto
sulla salute umana, trattandosi di dati risalenti al 1997 e quindi riferiti alla
situazione ambientale determinata dal precedente impianto alimentato ad olio
combustibile.
Il motivo non può, in conclusione, essere condiviso.
2.4.- Con il quarto motivo di censura deducono la violazione e falsa
applicazione dell’art. 8 della L. n. 349/1986, atteso che il decreto, sulla sola
base di una stima effettuata dalla stessa ENEL s.p.a., ossia dell’impresa
proponente l’operazione in oggetto, in maniera eccessivamente semplicistica,
concluderebbe sul punto evidenziando che il rischio per la salute umana sarebbe
praticamente trascurabile, mentre, invece, il Ministero si sarebbe dovuto
avvalere, ai predetti fini, dei servizi tecnici dello Stato e dei servizi delle
A.U.S.L. nonché della collaborazione con enti pubblici specializzati operanti a
livello nazionale e con gli istituti universitari.
Il detto motivo è infondato.
L’ENEL s.p.a., quale ente proponente il progetto, ha prodotto uno studio
sanitario della popolazione ante operam sulla base delle statistiche nazionali,
regionale e locali; in particolare, ha utilizzato le statistiche elaborate dall’ASP
Lazio-Agenzia di sanità pubblica della Regione Lazio del 2002, che ha
predisposto una analisi dei dati di mortalità locali sia a livello di azienda
sanitaria ( dati 1995-1996 e 1997-1998) che di Comune di residenza ( dati
1993-1996); ha, inoltre, provveduto ad effettuare una stima del rischio
sanitario derivante dall’esposizione umana alle emissioni inquinanti provenienti
dalla centrale sia con riferimento all’esposizione inalatoria che
all’esposizione a contaminanti al suolo.
L’art. 2, co. 3, del D.P.C.M. 27.12.1988 dispone, relativamente alla
documentazione da presentare in allegato alla domanda di parere di compatibilità
ambientale da parte del Ministero dell’ambiente che “ l’esattezza delle
allegazioni è attestata da apposita dichiarazione giurata resa dai
professionisti iscritti agli albi professionali, ove esistenti, ovvero dagli
esperti che firmano lo studio di impatto ambientale”; detta norma è finalizzata
a garantire la veridicità e l’esattezza dei dati forniti da parte degli esperti
di fiducia dell’ente proponente il progetto, con la conseguenza che i
professionisti che sottoscrivono le relazioni e le perizie giurate allegate al
progetto, nel caso di riscontro negativo da parte delle amministrazioni
competenti, rispondono della eventuale non veridicità ed esattezza di quanto
affermato nelle relative sedi civile e penale.
Peraltro, ai sensi dell’art. 6, co. 4, del D.P.C.M. 27.12.1988, “ ove sia
verificata la incompletezza della documentazione presentata, il Ministero
dell’ambiente provvede a richiedere, possibilmente in una unica soluzione, le
integrazioni necessarie”.
E’ quindi del tutto legittimo che il Ministero si sia basato, anche per la
valutazione del rischio sanitario, sui dati forniti dall’ENEL, salvo l’onere di
verificarne l’esattezza, la rilevanza e la completezza in sede istruttoria.
Nel caso in esame il decreto di compatibilità ambientale n. 680 del 6.11.2003
del Ministero dell’ambiente è stato emesso sulla base del conforme parere della
Commissione VIA, quale speciale organo consultivo istituito presso il Ministero
e costituita da qualificatissimi esperti che collaborano in stretta sintonia con
istituti di ricerca quali ENEA, CNR, ISPESL ed Università, rilasciato dopo una
approfondita e lunga istruttoria iniziata il 23.4.2002 nel corso della quale è
stata verificata l’attendibilità di tutta la documentazione prodotta dall’ENEL.
2.5.- Con il quinto motivo di censura deducono la violazione e falsa
applicazione dell’art. 6, co. 4, della L. n. 349/1986, atteso che, nonostante la
riconosciuta esistenza di una situazione di criticità per alcuni elementi
inquinanti, detta circostanza non sarebbe stata riconosciuta avente valenza
ostativa all’emissione del parere ambientale positivo, sebbene con prescrizioni,
in considerazione del fatto che le popolazioni insistenti nei territori
interessati sarebbero state, in periodi precedenti, esposte a concentrazioni di
emissioni inquinanti ancora superiori
Il Ministero dell’ambiente avrebbe potuto approvare il progetto in questione a
condizione che venissero apportate le necessarie modificazioni ai fini della
tutela della salute umana, mentre nel caso di specie, in modo contraddittorio,
pur essendo stata riconosciuta la non compatibilità del progetto, lo stesso
sarebbe stato, tuttavia, comunque, approvato.
Il detto motivo è infondato.
Viene in sostanza dedotta la contraddittorietà del comportamento tenuto da parte
del Ministero dell’ambiente il quale si è favorevolmente espresso al termine
della procedura di VIA, dopo avere riconosciuto la pericolosità delle emissioni
inquinanti della nuova centrale, cui si è ritenuto di poter ovviare con delle
semplici prescrizioni relative all’esercizio dell’impianto.
Tuttavia l’art. 6, co. 2, del D.P.C.M. 27.12.1988 statuisce che “ l’istruttoria
si conclude con parere motivato, tenuto conto degli studi effettuati dal
proponente e previa valutazione degli effetti, anche indotti, dell’opera sul
sistema ambientale, raffrontando la situazione esistente al momento della
comunicazione con la previsione di quella successiva. La commissione identifica,
inoltre, se necessario, le eventuali prescrizioni finalizzate alla compatibilità
ambientale del progetto”.
Pertanto la circostanza che, a seguito di una approfondita istruttoria, sia
emersa tutta una serie di fattori potenzialmente inquinanti, non assume valenza
preclusiva all’adozione di un decreto di compatibilità ambientale favorevole,
potendo essere il relativo giudizio favorevole legittimamente adottato in
relazione alla deteriore situazione preesistente e assistito da prescrizioni-
come previsto dal richiamato art. 6, co. 2, del D.P.C.M. del 27.12.1988.
Il decreto, infatti, formula il conclusivo parere favorevole con l’articolazione
di tutta una serie di prescrizioni specifiche e puntuali, condizionanti,
addirittura, l’inizio dei lavori di realizzazione della nuova centrale, dalle
quali emerge come, per tutte le relative fattispecie di rischio, siano state
previste le relative modalità di ordine tecnico dirette a prevenirne o,
comunque, a ridurne i possibili effetti nocivi conseguenti.
Deve al riguardo ritenersi che la presenza di prescrizioni e condizioni in seno
ad una valutazione di impatto ambientale non può essere automaticamente assunta
come indice, e tanto meno come prova da sola sufficiente, dell'esistenza di vizi
di incompletezza ed insufficienza negli studi compiuti al riguardo dall'ente
proponente, nè vale di per sè a denotare l'inidoneità del progetto originario a
ricevere una valutazione comunque sufficiente.” ( T.A.R. Lazio, sez. I, 31
maggio 2004, n. 5118), poiché l’amministrazione, essendo titolare di un potere
pieno di valutazione e di conformazione della decisione sull'opera, in presenza
di manchevolezze del progetto per le quali l'opera appare di dubbia
compatibilità ambientale non deve necessariamente esprimere una VIA negativa, ma
deve, invece, valutare la possibilità di prescrivere misure mitigative o
modifiche al progetto.
Tale conclusione è giustificata da un insieme di elementi di diritto positivo
tra loro concordanti, che vale la pena indicare appresso.
L'art. 6 l. n. 349, cit. qualifica la pronuncia ministeriale sull'impatto
ambientale come valutazione e solo qualche volta, per una vischiosità di
linguaggio normativo, come parere. Questo fa configurare l'attività della
amministrazione come provvedere.
L'art. 18 comma 5 l. 11 marzo 1988, n. 67 ha istituito un organo specializzato a
composizione tecnica, competente per la istruttoria sulle domande di
valutazione: la Commissione per la valutazione dell'impatto ambientale di cui
già si è detto prima. La legge ha determinato anche lo status e il compenso per
i membri di tale organo. È evidente che se la amministrazione centrale è stata
dotata di specifici mezzi di carattere organizzativo, tra l'altro comportanti
oneri economici per la collettività, è da pensarsi che non si giustifichi da
parte di essa un puro e limitato controllo di adeguatezza sulla domanda
presentata da chi propone l'opera, ma siano invece doverose istruttore
penetranti, attente alla oggettività dei fatti al fine di pervenire alla
definizione di soluzioni compatibili con la tutela dell’ambiente.
Ed infatti Il d.P.C.M. 27 dicembre 1988, nel dettare una disciplina minuziosa
della istruttoria, al comma 2 dell'art. 6 esplicitamente prevede che la
Commissione, ove sia necessario, debba formulare le prescrizioni finalizzate
alla compatibilità ambientale del progetto, il che, evidentemente collega alla
sede della valutazione governativa sulla compatibilità ambientale, un potere ad
esercizio necessario di emendare i progetti, ove carenti o insoddisfacenti.
Tutto ciò, peraltro, costituisce modalità attuativa obbligata dalla direttiva
Cee 85/377, così come modificata dalla successiva 3 marzo 1997, n. 11, per cui
le autorità, nel rilasciare, o nel negare l'autorizzazione dell'opera, devono
dare una «descrizione delle principali misure utili per prevenire, ridurre e se
possibile compensare gli effetti negativi.
2.6.- Con il sesto motivo di censura deducono la violazione e falsa applicazione
dell’art. 1, co. 2, e dell’art. 6, co. 4, della L. n. 349/1986 sotto altro
profilo, ossia per l’illegittimità della prescrizione inerente alle emissioni di
CO2, con il quale si fissa un limite – rappresentato dalle emissioni derivanti
dalla precedente configurazione ad olio combustibile- rinviando, tuttavia, ad un
futuro accordo relativo alla riduzione delle emissioni di gas serra, di
contenuto del tutto imprecisato, in quanto, peraltro, non accompagnata da alcun
meccanismo di controllo effettivo nonché delle ulteriori prescrizioni relative
alle emissioni di mercurio e nichel, relativamente alle quali emissioni, con
riferimento al mercurio veniva espressa perplessità sulla possibilità di
contenimento delle stesse nel valore dichiarato, con controlli, peraltro,
effettuati solo con cadenza annuale e con conseguenti interventi, pertanto,
sempre in ritardo almeno di un anno.
Il motivo è volto, in sostanza, a ribadire quanto dedotto con il precedente
circa la asserita incompatibilità del progetto con la tutela dell’ambiente e
della salute, che n on potrebbe essere legittimamente superata dall’imposizione
di prescrizioni relative a limiti di emissione da osservare in sede di esercizio
dell’impianto.
In proposito possono, pertanto, richiamarsi le considerazioni svolte nel
precedente punto 2.5., con le ulteriori osservazioni che seguono.
Per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, deve rilevarsi che si
tratta di sostanza presente nell’atmosfera e non dannosa alla salute, la cui
produzione su scala mondiale va peraltro limitata, in base al protocollo di
Kyoto, in quanto responsabile del c.d. “effetto serra”. Appare, quindi, non
illogico che si sia stabilito che tali emissioni debbano essere contenute entro
valori antecedenti alla riconversione della centrale, sino ad un nuovo accordo
tra l’ENEL e il Ministero dell’ambiente finalizzato al raggiungimento degli
obiettivi comunitari e nazionali in materia di riduzione delle emissioni di gas
serra.
Circa le emissioni di mercurio e di nichel , i ricorrenti non denunciano la
violazione dei limiti prescritti dalla normativa vigente in materia e comunque,
su richiesta del Ministero della salute, in sede di conferenza di servizi del
29.10.2003 presso il Ministero delle attività produttive, così come riportato
nell’autorizzazione unica finale del detto Ministero, sono stati fissati limiti
di emissione, in modo ancora più restrittivo di quanto previsto in sede di
parere di compatibilità ambientale.
Quanto alla asserita insufficienza dei controlli sulle emissioni e
sull’inquinamento atmosferico, in disparte la considerazione che si tratta di
censura attinente al merito di valutazioni tecnico-discrezionali riservate alla
competenza dell’Amministrazione e, pertanto, inammissibile, è stata prevista la
costituzione di un apposito Comitato di controllo presso il Ministero
dell’ambiente, “ con la funzione di verificare, entro due mesi dalla ricezione
della documentazione, l’adeguatezza degli elaborati presentati e di stabilire le
ulteriori modalità di controllo in corso di opera”.
E’ stata, altresì, prevista anche una serie complementare di prescrizioni
relative al monitoraggio della nuova centrale in esercizio, consistente in
strumenti di misura in continuo delle emissioni installati sui camini dei
singoli gruppi con una rete di rilevamento composta da 12 postazioni installate
fino a 12 KM. dalla centrale, con la conseguente trasmissione in tempo reale dei
relativi dati e con ulteriore potenziamento dell’esistente strumentazione di
monitoraggio e rilevamento della qualità dell’aria.
Anche tale motivo va, in conclusione, respinto.
3) Motivi aggiunti avverso il decreto del Ministero delle attività produttive n.
55/02/2003 del 24.12.2003 di autorizzazione all’ENEL s.p.a. alla riconversione a
carbone della centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia.
3.1- Illegittimità in via principale e derivata per le medesime ragioni di cui
al ricorso introduttivo ed al primo ricorso per motivi aggiunti.
Il motivo è infondato per le considerazioni già esposte in sede di esame dei
predetti ricorsi.
3.2.- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 1, del D.L. n. 7 del
7.2.2002.
In particolare l’autorizzazione unica prevista dalla predetta norma non sarebbe
stata preceduta dalla necessaria intesa in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,
richiesta ai fini dell’attribuzione dell’eccezionale potere de quo al Ministero.
La previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni non costituisce
una fase interna al singolo procedimento autorizzatorio e pertanto non deve
essere acquisita relativamente ad ogni singolo progetto di costruzione o di
ammodernamento delle centrali elettriche di cui al citato D.L. n. 7 del
7.2.2002, ma ha la funzione esclusiva di fissare i criteri generali di
valutazione dei progetti presentati ai sensi della citata normativa.
Né la formulazione sintattica della citata norma consente di ritenere necessaria
la predetta intesa per ogni singolo e specifico, seppure minimo, progetto
inerente le detti centrali elettriche.
Detta intesa, in particolare, è stata raggiunta con l’accordo in sede di
Conferenza unificata Stato-Regioni, Città ed autonomie locali del 5.9.2002,
pubblicato nella G.U. n. 220 del 19.9.2002- “Accordo tra Governo, regioni,
province, comuni e comunità montane per l’esercizio dei compiti e delle funzioni
di rispettiva competenza in materia di produzione dell’energia elettrica”- che,
nell’Allegato A, ha stabilito i criteri generali di valutazione dei progetti in
questione da utilizzare al fine di verificare la maggiore o minore
corrispondenza delle singole richieste di autorizzazione delle centrali
elettriche alle esigenze di uno sviluppo omogeneo e compatibile del sistema
elettrico nazionale, assicurando il coordinamento dell’esercizio delle
rispettive competenze amministrative nella materia della produzione dell’energia
elettrica ai fini di un ottimale svolgimento dei relativi compiti istituzionali,
stabilendo, peraltro, che le amministrazioni procedano all’esame delle richieste
di autorizzazione secondo l’ordine di presentazione.
Peraltro il riconoscimento dei due distinti livelli del raccordo tra il Governo
centrale e le autonomie - il primo relativo alla previa determinazione dei
criteri che presiedono la programmazione di interventi in materia di modifica e
ripotenziamento di impianti di produzione di energia elettrica su tutto il
territorio nazionale, per la quale è richiesta la previa intesa in sede di
Conferenza permanente, ed il secondo, invece, relativo al singolo procedimento
amministrativo finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica del singolo
impianto, per il quale è sufficiente l’intesa con la Regione interessata, ossia
con la regione nel cui territorio deve essere realizzato l’impianto-, è stato
espressamente effettuato nell’ambito della più volte citata sentenza della Corte
Costituzionale n. 6/2004, nella parte in cui ha ritenuto l’adeguatezza dei detti
due livelli di partecipazione delle Regioni, di cui, il primo, all’art. 1, co.
1, ed il secondo, all’art. 1, co. 2.
La Conferenza Unificata, pur essendo indubbiamente un organo distinto ed
autonomo rispetto alla Conferenza permanente Stato-Regioni cui fa espresso e
specifico riferimento la norma di legge invocata, tuttavia, è un organo che, ai
sensi degli artt. 8 e 9 del D.Lgs. n. 281 del 28.8.1997, che ne ha disciplinato
e definito composizione, compiti e modalità organizzative ed operative, riunisce
in sé sia la Conferenza Stato-regioni che la Conferenza Stato-Città ed autonomie
locali, ed in quanto tale si manifesta come un tavolo più ampio di confronto e
decisione per le materie di interesse comune delle regioni e degli enti locali.
La circostanza che, pertanto, l’accordo sia stato raggiunto tra le parti
previste dalla legge, in una sede che comprende anche la Conferenza
Stato-Regioni, rende irrilevante, ai fini della legittimità del decreto
impugnato, il fatto che ciò sia avvenuto in una sede istituzionale non
perfettamente corrispondente a quella individuata nella normativa speciale sulla
materia.
L’individuazione della Conferenza unificata come la sede istituzionalmente
deputata al confronto sui detti temi è stata, peraltro, espressamente effettuata
in sede di “ Accordo recante intesa interistituzionale tra stato, regioni ed
enti locali , ai sensi dell’art. 9, co. 2, lett. c, del D.Lgs. n. 281 del
28.8.1997”, di cui al P.C.M. att. Rep. n. 576 del 20.6.2002, a seguito
dell’entrata in vigore delle modifiche introdotte sul Titolo V della
Costituzione da parte della L. Cost. n. 3/2001, che ha determinato un
ampliamento del ruolo delle autonomie.
3.3.- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del citato D.L. n. 7
del 7.2.2002, nella parte in cui prevede che l’autorizzazione unica viene
rilasciata “a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le
Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi
di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241”,
atteso che, appunto, il coinvolgimento in seno al relativo procedimento
amministrativo degli enti territoriali interessati sarebbe non solo obbligatorio
ma anche da attuarsi su specifica e puntuale iniziativa da parte
dell’amministrazione procedente; nella specie non potrebbe ritenersi che il
Ministero vi abbia correttamente provveduto con la sola convocazione del Comune
di Civitavecchia, nel cui territorio l’impianto deve essere realizzato, atteso
che deve ritenersi che, tra le amministrazioni interessate da convocare
obbligatoriamente, andassero computati anche i Comuni ricorrenti, in quanto
addirittura maggiormente interessati dello stesso Comune di Civitavecchia in
ordine alle possibili ricadute sull’ambiente e sulla salute umana conseguenti
all’emissione di polveri inquinanti pericolose trasportate lontano
dall’altissimo camino della centrale ( di oltre 250 mt. proprio al fine di
diluire le emissioni nella area più vasta possibile).
Si premette che al fine del rilascio della autorizzazione alla costruzione di
una centrale elettrica , l’art. 1 del d.l. 7 febbraio 2002 n. 7, conv. dalla l.
9 aprile 2002 n. 55, prevede la convocazione di una conferenza di servizi di
natura istruttoria, essendo il rilascio della autorizzazione di competenza del
ministero delle attività produttive. ( Consiglio Stato, sez. VI, 4 giugno 2004,
n. 3505).
Le disposizioni di cui al richiamato art. 1, del D.L. n. 7 del 7.2.2002, nel
testo modificato in sede di conversione con la L. n. 55/2002, introducono una
normativa speciale derogatoria delle ordinarie competenze amministrative nella
materia, che riserva un ruolo particolare esclusivamente al Comune nel cui
territorio devono essere realizzate le opere previste in progetto; detto ruolo
si concretizza nell’espressione di un parere obbligatorio motivato da acquisirsi
nel corso della relativa istruttoria per il rilascio dell’autorizzazione unica
da parte del Ministero delle attività produttive.
La previsione del detto parere motivato non solo da parte del Comune di cui
sopra ma anche da parte della singola Provincia interessata, individuata sulla
base del medesimo criterio territoriale di cui sopra, assicura in modo indubbio
un sufficiente coinvolgimento degli enti locali in relazione agli interessi dei
quali gli stessi siano portatori ed alle funzioni amministrative relative ai
medesimi affidati dalle norme di legge in materia ( come, peraltro, testualmente
riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la già citata recente sentenza n.
6/2004 del 16.1.2004, di cui si dirà anche di seguito); gli interessi delle
popolazioni residenti nei territori dei Comuni limitrofi a quello nel cui
territorio ricadono le opere sono stati, pertanto, ritenuti, ai sensi della
richiamata normativa, adeguatamente tutelati dalla partecipazione al
procedimento della Provincia e della Regione.
La locuzione “ amministrazioni interessate” di cui all’art. 1, comma 2 non può,
pertanto, legittimamente estendersi anche ai Comuni ricorrenti, in quanto, al di
fuori del criterio strettamente territoriale, di cui il successivo comma 3 ha
fatto applicazione nel riconoscere la partecipazione necessaria del Comune nel
cui territorio debbono sorgere le opere in oggetto, l’applicazione delle regole
sulla partecipazione procedimentale dipenderebbe,diversamente opinando da
criteri non certi e predeterminati con le conseguenti necessarie incertezze di
tipo applicativo in ordine all’individuazione dei soggetti da coinvolgere
nell’espletamento della Conferenza di servizi, di cui al citato art. 1 del D.L.
n. 7 del 7.2.2002, propedeutica alla decisione finale in ordine
all’autorizzazione unica alla realizzazione di detti impianti.
In particolare, nel caso in esame, l’individuazione delle amministrazioni locali
da convocare obbligatoriamente ai fini del legittimo svolgimento della detta
conferenza di servizi dipenderebbe da alcune circostanze, quali appunto quella
in concreto dedotta dell’altezza eccessiva del camino della nuova centrale e
dunque dell’area di ricaduta delle emissioni inquinanti della stessa, di mero
fatto che si presentano estranee alla logica giuridica sottesa della norma
invocata; la quale, peraltro, in modo estremamente chiaro, come in precedenza
evidenziato, individua, all’art. 1, co. 3, tra i pareri da acquisire
obbligatoriamente in sede di conferenza di servizi soltanto quelli della
Provincia e del Comune nel cui territorio ricadono le opere, limitandosi a
statuire al successivo comma 3, che la regione competente possa promuovere
accordi tra il proponente il progetto e gli enti locali interessati dagli
interventi realizzativi per la sola individuazione di misure di compensazione e
di riequilibrio ambientale.
L’interpretazione prospettata in questa sede è conforme all’orientamento
espresso in precedenza dalla giurisprudenza amministrativa sul punto, sebbene su
di una fattispecie disciplinata da una norma diversa, ossia dal D.P.R. 11
febbraio 1998, n. 53, contenente il “ Regolamento recante disciplina dei
procedimenti relativi alla autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di
impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti convenzionali a
norma dell’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59” –che regolamenta
l'articolata procedura autorizzatoria per le centrali elettriche non
appartenenti all'ENEL- al cui riguardo detta giurisprudenza ha avuto modo di
specificare che la qualità di "comuni interessati" di cui agli artt. 2 comma 4 e
3 comma 2 del d.p.r. n. 53/1998 va interpretata con riferimento al comune in cui
è localizzata la centrale elettrica, non a quelli comunque esposti
potenzialmente alle emissioni provenienti dall'impianto e che ove si
interpretasse la locuzione “comuni interessati” al di fuori del riferimento
territoriale al comune in cui ha sede l'impianto ne deriverebbe una incertezza
sui soggetti da coinvolgere nelle conferenze di servizi propedeutiche alla
decisione. ( Consiglio Stato, sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316).
3.4.- in via subordinata, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 2, del
D.L. n. 7 del 7.2.2002, come definitivamente modificato in sede di conversione,
se interpretato nel senso di limitare l’amministrazione locale interessata al
solo Comune presso il cui territorio dovrà essere effettuato l’intervento in
questione, per violazione dell’assetto delle competenze istituzionale degli enti
territoriali di base che impone la leale collaborazione tra gli stessi
nell’esercizio in forma congiunta dei poteri spettanti.
Il criterio di individuazione delle “ amministrazioni locali interessate” di cui
all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002, propugnato dai Comuni ricorrenti, e
basato sul tipo di provvedimento da adottare e sugli effetti che lo stesso è
destinato a produrre in capo alle popolazioni, e non invece sull’unico criterio
del luogo in cui materialmente deve essere realizzato l’impianto, non risponde
all’interpretazione letterale e logico-giuridica della norma citata e comunque,
è stato sconfessato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 6/2004, nella
parte in cui ha ritenuto che l’intesa con la Regione interessata assicuri il
necessario coinvolgimento delle stesse nell’ambito del procedimento in oggetto,
caratterizzato, peraltro, nell’assetto delle competenze amministrative nello
stesso stabilito in deroga alle norme ordinarie, in modo significativo dalla
finalità specifica di assicurare la necessaria celerità al fine di evitare
l’interruzione della fornitura dell’energia elettrica su tutto il territorio
nazionale.
3.5.- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del citato D.L. n. 7
del 7.2.2002, nella parte in cui statuisce che “ l’istruttoria si conclude una
volta acquisita la VIA” e che l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero delle
attività produttive “ d’intesa con la Regione interessata”, atteso che l’intesa
con la Regione Lazio sarebbe stata raggiunta con la deliberazione della Giunta
regionale del Lazio del 17.10.2003, acquisita nella riunione conclusiva della
Conferenza di servizi del 29.10.2003 e, pertanto, precedentemente all’emanazione
del decreto ministeriale di VIA del 6.11.2003, e, dunque, prima della formale
chiusura dell’istruttoria relativa, mentre l’intesa attiene, invece, alla
successiva fase decisionale, che presuppone, pertanto, proprio la conclusione di
detta fase istruttoria.
Non si tratterebbe, pertanto, di una vera e propria intesa definitiva, anche in
considerazione delle perplessità anche successivamente manifestate da parte
della Regione alla realizzazione del progetto in questione, come da verbale
dell’ordine del giorno del Consiglio regionale del 10.12.2003, e perciò appunto
in data successiva, da valutarsi alla stregua di provvedimento di revoca della
predetta intesa.
E’ irrilevante la circostanza che il decreto ministeriale di compatibilità
ambientale sia stato formalmente adottato alla data del 6.11.2003, successiva
allo svolgimento della conferenza di servizi (29.10.2003), atteso che erano
stati acquisiti agli atti dell’istruttoria della detta conferenza sia il parere
della Commissione VIA n. 545 del 24.7.2003 sia la dichiarazione del
rappresentante del Ministero dell’ambiente della Direzione VIA che dava atto
della circostanza che il detto decreto si trovava alla firma del Ministro ( come
si evince testualmente dal resoconto verbale della riunione conclusiva della
conferenza di servizi del 29.10.2003), sia il parere del Ministro dei beni
culturali che ha confermato e ribadito il parere favorevole della competente
Sovrintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale- dovendosi,
pertanto, ritenere conclusa la istruttoria relativa al subprocedimento di VIA in
epoca antecedente alla data di convocazione della conferenza di servizi
conclusiva.
Va considerato, inoltre, che il decreto ha, nella sua definitiva stesura
sottoposta alla sottoscrizione dei Ministri competenti in data 6.11.2003,
pedissequamente riprodotto il richiamato parere della Commissione VIA, cui,
pertanto, non sono state apportate in alcun modo modificazioni di sorta, come da
specifica dichiarazione resa dal rappresentante del Ministero dell’ambiente,
ossia dal Direttore generale del Dipartimento per la protezione ambientale-
Direzione VIA in sede di conferenza di servizi in data 29.10.2003.
La Regione Lazio, poi, è intervenuta nel procedimento in due diversi momenti,
essendo, in primo luogo, tenuta al rilascio del parere di compatibilità
ambientale di competenza in sede di procedimento di VIA presso il Ministero
dell’ambiente ( in concreto emesso, a seguito di una propria istruttoria, con
deliberazione dirigenziale prot. n. B1058 in data 27.5.2003, trasmessa al
Ministero con la nota di accompagnamento del 5.6.2003) e, quindi, dovendo
esprimere la propria intesa, che assume valore vincolante ai fini della
realizzazione concreta del progetto, in sede di conferenza di servizi presso il
Ministero delle attività produttive.
Con riferimento a questa seconda fase, deve rilevarsi che il parere della
Commissione VIA n. 545 del 24.7.2003 è stato trasmesso alla Regione in data
10.9.2003 a cura della stessa direzione VIA del Ministero, con nota di
accompagnamento prot. n. 10302/VIA/2003, che comunicava l’esito favorevole della
relativa procedura nonché l’avviata predisposizione del decreto ministeriale di
concerto ai fini del completamento del procedimento di competenza.
Da quanto precede emerge con certezza che l’intesa espressa dalla Regione Lazio
in sede di riunione finale della conferenza dei servizi in data 29.10.2003, in
base alla relativa autorizzazione di cui alla delibera regionale del 17.10.2003,
è sopraggiunta a conclusione dell’istruttoria, le cui risultanze definitive
erano già pienamente conosciute dalla Regione stessa.
Quanto all’ordine del giorno del Consiglio regionale del Lazio del 10.12.2003,
nella parte in cui impegna la Giunta regionale a continuare il confronto con i
Comuni, rappresenta un mero impegno sul piano politico o comunque rientra tra le
attività di controllo dell’ente sui risultati dell’attività autorizzata,
concretizzandosi nella garanzia del diritto alla salute ed alla salubrità
dell’ambiente dei cittadini realizzata attraverso la verifica degli esiti
dell’attività di costante monitoraggio delle emissioni inquinanti; esso,
pertanto, non avendo valenza prescrittiva, non assume valenza indicativa della
contraddittorietà del comportamento tenuto dalla Regione nella vicenda di cui
trattasi, non riscontrandosi nello stesso le caratteristiche formali e
sostanziali necessarie a concretizzare la revoca della precedente deliberazione
consiliare contenente l’autorizzazione al rappresentante della Regione di
esprimere in sede di conferenza di servizi l’intesa della stessa ai sensi
dell’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002.
3.6.- illegittimità per eccesso di potere dell’art. 2 dell’impugnato decreto
ministeriale, nella parte in cui specifica che “ la costruzione della centrale e
delle opere connesse dovrà avvenire in conformità al progetto preliminare
approvato nel corso dell’istruttoria. La presente autorizzazione è, altresì,
subordinata al rispetto delle prescrizioni formulate dalle Amministrazioni
interessate”.
Le prescrizioni apposte in sede di Via, infatti, illegittimamente
riguarderebbero non correttivi da apportare al progetto, bensì correttivi
inerenti alle modalità di esercizio della nuova centrale, in attesa di trovare
la mancante soluzione tecnica al fine di evitare che i paventati rischi per la
salute umana conseguenti alle emissioni inquinanti si concretizzino.
Il motivo ripropone doglianze già dedotte nei confronti del giudizio di
compatibilità ambientale emesso dal Ministero dell’ambiente e già esaminate e
respinte al punto 2.5.
A quanto già osservato può aggiungersi che l’autorizzazione unica di cui
all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002 riguarda non solo la realizzazione e
quindi la costruzione della nuova centrale elettrica ma anche il suo esercizio,
avendo ad oggetto l’attività di produzione dell’energia elettrica, pertanto,
legittimamente sono state apposte prescrizioni condizionanti l’autorizzazione
inerenti non solamente alla fase della realizzazione e pertanto della
costruzione della centrale ma anche a quella successiva del suo esercizio, in
quanto l’autorizzazione unica che viene rilasciata a conclusione del
procedimento complesso attiene proprio all’attività di produzione di energia
elettrica rispetto alla quale deve essere valutata la compatibilità ambientale,
assicurando, peraltro, anche un costante adeguamento ai progressi della
tecnologia in materia di controllo delle emissioni inquinanti.
4) Ulteriori motivi aggiunti avverso il decreto del Ministero delle attività
produttive n. 55/02/2003 del 24.12.2003 di autorizzazione all’ENEL s.p.a. alla
riconversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldiga Nord a
Civitavecchia.
- Illegittimità derivata dalla carenza istruttoria del decreto di compatibilità
ambientale n. 680 del 6.11.2003, nella parte in cui ha pedissequamente seguito
quanto dedotto nella stima presentata dall’ENEL sp.a., ossia dall’ente
proponente il progetto, senza alcun controllo o verifica sull’esattezza dei
relativi dati, alla luce della CTU disposta dal Tribunale di Civitavecchia,
adito dal Comune di Ladispoli, ai sensi dell’art. 700 c.p.c..
Questi ultimi motivi aggiunti, notificati in data 28 dicembre 2004 sono volti a
denunciare asserite carenze istruttorie della valutazione di impatto ambientale
e traggono ragione da una CTU disposta nel corso del sopramenzionato giudizio
civile al fine di stabilire se “i valori di emissione e i valori di
concentrazione al suolo (qualità dell’aria) previsti siano superiori a quelli
stabiliti dalle normative statale o comunitarie”.
Tali motivi ripropongono in buona sostanza questioni già proposte con i
precedenti mezzi di gravame e che sono state già ritenute infondate.
Il Collegio ritiene che anche questi ulteriori rilievi non possano essere
condivisi.
Va in primo luogo rilevato che il giudizio conclusivo dei consulenti, pur
critico nei confronti del procedimento e dell’istruttoria svolta e pur
evidenziando l’esistenza di inaccettabili livelli (attuali) di inquinamento,
afferma che “gli elementi disponibili per la valutazione dell’impatto del
progetto sulla qualità dell’aria e sulla salute della popolazione non sono
sufficienti per un giudizio di non nocività” e che “ non è possibile stabilire
se effettivamente la riconversione della centrale di Torre Valdaliga Nord possa
determinare o meno un danno alla salubrità ambientale”.
Risulta, pertanto evidente che i rilievi formulati dai consulenti e proposti in
questa sede come motivi aggiunti non sono tali da inficiare la legittimità delle
valutazioni tecnico-discrezionali compiute dall’Amministrazione.
Trattasi infatti di questioni o già esaminate in relazione a precedenti motivi
(emissioni di mercurio e anidride carbonica; inattendibilità di dati forniti
dall’ENEL) o di scarso rilievo in questa sede (dati sanitari e rilevamenti
dell’inquinamento relativi alla precedente configurazione dell’impianto) o
basate su affermazioni generiche o non dimostrate (obsolescenza dei parametri
indicati dall’ENEL per il rilevamento delle polveri sospese; aumento della
emissione di polveri; compromissione per il futuro della situazione sanitaria
della popolazione).
E) Domanda di pronuncia dichiarativa del diritto dei Comuni ricorrenti a non
subire immissioni eccedenti la normale tollerabilità, ai fini della protezione
della salute dei propri cittadini.
Tale domanda è stata proposta col ricorso introduttivo nell’ambito della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed
edilizia introdotta dall’art. 34 del D.Lvo 31.31998, n. 80, come sostituito
dall’art. 7, lett. a) della legge 21.7.2000, n. 205 ed è stata poi confermata
nella memoria conclusiva, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale
6.7.2004, n. 204, in base al comma 552 della legge 30.12.2004, n. 311 (legge
finanziaria per il 2005), che ha ristabilito detta giurisdizione esclusiva nella
materia “de qua”, disponendo che “le controversie aventi ad oggetto le procedure
ed i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di
cui al decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla
legge 9 aprile 2003, n. 55, e le relative questioni risarcitorie sono devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
Trattasi in sostanza, non della richiesta di una sentenza meramente dichiarativa
bensì di una vera e propria azione inibitoria dell’attività di costruzione della
nuova centrale a tutela del diritto alla salute dei cittadini residenti nei
Comuni limitrofi, come si desume dal richiamo ai “parametri normalmente
impiegati nell’interpretazione dell’art. 844 c.c.”, contenuto nella memoria
conclusiva.
La domanda non può essere accolta, poiché, a parte ogni questione relativa alla
natura dell’azione ex art. 844 c.c., pacificamente rientrante fra le azioni
negatorie di natura reale a tutela della proprietà, esperibile dal proprietario
del fondo danneggiato (cfr., ex multis, Cass. S.S.U.U. 9.4.1973, n. 999; Sez. II,
23.3.1996, n. 2598; Sez. II, 4.8.1995, n. 8602), essa risulta proposta in base
al generico assunto che le emissioni della nuova centrale supereranno la normale
tollerabilità, senza fornire alcun principio d prova in ordine alla eventuale
violazione di limiti stabiliti dalle vigenti norme statali o comunitarie,
tenendo conto delle prescrizioni e delle condizioni imposte dal Ministro delle
Attività Produttive in sede di autorizzazione.
Né, in proposito, risulta significativa la CTU presentata al Tribunale Civile di
Civitavecchia, di cui si è trattato in relazione agli ultimi motivi aggiunti,
che, come si è visto, non ha ritenuto di poter pervenire a conclusioni certe in
ordine ad eventuali danni alla salubrità dell’ambiente.
Per le esposte considerazioni i ricorsi, con i successivi motivi aggiunti,
devono essere respinti.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese
del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda bis, riuniti
i ricorsi in epigrafe, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma il 14.4.2005, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
signori magistrati:
- Patrizio Giulia, Presidente
- Renzo Conti, Consigliere
- Maria Cristina Quiligotti, Primo Referendario estensore
Presidente
Estensore
1)
Inquinamento – Impianto industriale – Progetto – Impugnazione – Legittimazione –
Dimostrazione della concreta pericolosità dell’impianto – Necessità –
Esclusione. La legittimazione processuale attiva del Comune avverso gli atti
autorizzativi della realizzazione di un impianto industriale, non si può
subordinare alla dimostrazione della concreta pericolosità dell'impianto stesso,
dovendosi reputare sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su
un territorio comunale collocato nelle vicinanze (cfr. Cons. Stato, VI,
5.12.2002, n. 6657). Ciò, in quanto la questione della concreta pericolosità
dell'impianto, valutata alla luce dei parametri normativi, è questione di
merito, mentre, al fine di radicare la legittimazione e l'interesse ad impugnare
è sufficiente la prospettazione di temuti effetti nocivi sul territorio. Pres.
Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e
Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun.
ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
2) V.I.A. – Procedimento di V.I.A. – Comunicazione personale dell’avvio del
procedimento – Art. 7 L. 241/90 – Applicabilità – Esclusione. L’art. 7 della
L. n. 241/1990, nella parte in cui prevede l’obbligo per l’amministrazione
procedente di dare previa comunicazione personale dell’avvio procedimentale al
diretto interessato, non si applica alla procedimento di VIA, attesa la
specialità della disposizione di cui all’art. 6, co. 3, della l. n. 349/1986.
Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e
Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun.
ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
3) V.I.A. – Progetti di opere soggette a V.I.A. – Osservazioni – Rigetto –
Analitica confutazione – Necessità – Esclusione. Le osservazioni sui
progetti di opere soggette a V.I.A., configurandosi come un apporto
collaborativo fornito all’Amministrazione da chiunque vi abbia interesse (cfr.
art. 6, comma 9, l. n. 349/86), non richiedono, in caso di rigetto, una
dettagliata confutazione, essendo sufficiente che dagli atti del procedimento
risulti che sono state valutate e una sintetica motivazione della valutazione
negativa, che non deve necessariamente investire ogni singola argomentazione del
proponente. Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa
Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv.
Urbani) riun. ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
4) V.I.A. – Sindacato del giudice amministrativo – Limiti. In tema di
V.I.A., il sindacato del giudice amministrativo è circoscritto da limiti
particolarmente rigorosi, dal momento che le decisioni degli enti competenti
rientrano tra le valutazioni tecniche riservate all’Amministrazione, in quanto
titolare di una specifica competenza legata alla tutela di particolari valori
costituzionali, come si desume dall’art. 17, secondo comma, della legge n. 241
del 1990, che dispone la non surrogabilità delle valutazioni tecniche spettanti
alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale
e della salute dei cittadini (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5.3.2001, n. 1207).
Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e
Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun.
ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
5) Inquinamento – Energia – D.L: 7/2/2002 – Previa intesa in sede di
conferenza Stato-Regioni – Acquisizione relativamente ad ogni singolo progetto –
Non è richiesta. La previa intesa in sede di Conferenza permanente
Stato-Regioni non costituisce una fase interna al singolo procedimento
autorizzatorio e pertanto non deve essere acquisita relativamente ad ogni
singolo progetto di costruzione o di ammodernamento delle centrali elettriche di
cui al D.L. n. 7 del 7.2.2002, ma ha la funzione esclusiva di fissare i criteri
generali di valutazione dei progetti presentati ai sensi della citata normativa.
Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e
Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun.
ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
6) Inquinamento – Energia – D.L. 7/2/2002 – Interventi di modifica degli
impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW –
Procedimento autorizzatorio - Amministrazioni interessate – Comuni limitrofi –
Non rientrano – Fattispecie: conversione a carbone centrale ENEL di
Civitavecchia. Il D.L. n. 7 del 7.2.2002, nel testo modificato in sede di
conversione con la L. n. 55/2002, ha introdotto una normativa speciale
derogatoria delle ordinarie competenze amministrative nella materia. Esso,
all’art. 1, c. 3, ha individuato, tra i soggetti da coinvolgere
nell’espletamento della Conferenza di servizi, il Comune nel cui territorio
devono essere realizzate le opere previste in progetto, nonché la provincia
interessata, individuata sulla base del medesimo criterio territoriale. Gli
interessi delle popolazioni residenti nei territori dei Comuni limitrofi a
quello nel cui territorio ricadono le opere, sono stati ritenuti adeguatamente
tutelati dalla partecipazione di Provincia e Regione. La locuzione
“Amministrazioni interessate” di cui all’articolo 1, comma 2, non può pertanto
legittimamente estendersi ai comuni limitrofi. (Fattispecie relativa alla
conversione a carbone della centrale elettrica ENEL di Civitavecchia, la cui
ricaduta di emissioni inquinanti, secondo la prospettazione attorea, avrebbe
inevitabilmente interessato il territorio dei comuni limitrofi) Pres. Giulia,
Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv.
Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro – T.A.R.
LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
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