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T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO - ROMA
SEZIONE SECONDA BIS


N. Reg. Sent.
N. 6990/7733 Reg. Gen.Anno 2003

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA


sui ricorsi riuniti nn. 6990/2003 e 7733/2003 proposti rispettivamente, il primo, dal COMUNE DI TOLFA, dal COMUNE DI ALLUMIERE, dal COMUNE DI SANTA MARINELLA e dal COMUNE DI TARQUINIA, in persona dei rispettivi Sindaci p.t., ed il secondo, dal COMUNE DI LADISPOLI, in persona del Sindaco p.t., tutti rappresentati e difesi in giudizio dall’Avv. Paolo STELLA RICHTER, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, V.le Mazzini n. 11;


contro


- il COMUNE DI CIVITAVECCHIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Fabrizio URBANI, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via del Poggio Laurentino n. 18;
e nei confronti:
- della Società ENEL s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe DE VERGOTTINI
con domicilio eletto in Roma, in Via Bertoloni n. 44;
- della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’ambiente e del Ministero delle attività produttive, in persone dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, con domicilio eletto presso i relativi uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;
- della PROVINCIA DI ROMA, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Antonio FANCELLU e Massimiliano SIENI, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in ROMA, alla Via 4 Novembre n. 119/A;
- della REGIONE LAZIO, in persona del presidente p.t., rappresentato e difeso in giudizio dagli Avv.ti Sergio URICCHIO e Claudio FIORE, con domicilio eletto presso gli uffici dell’Avvocatura regionale, in Roma, alla Via M. Colonna n. 27;
- di ENEL PRODUZIONE s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giuseppe DE VERGOTTINI e Cesare CATURANI, con domicilio eletto in Roma, presso lo studio del primo, in Via Bertoloni n. 44;

e con l'intervento ad opponendum:


- della FEDERLAZIO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Maria PITZOLU, domicilio eletto in Roma, in Via Lucio Coilio n. 19;


per l’annullamento previa sospensiva
- della decisione assunta dal Comune di Civitavecchia di convertire a carbone la centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord, esternata nell’accordo sottoscritto con l’Enel in data 30/4/2003, nonché di ogni atto comunque connesso o presupposto e segnatamente della deliberazione del Consiglio Comunale di Civitavecchia in data 25/3/2003 di approvazione di detta convenzione e del protocollo di intesa 19/12/2002, e altresì per la dichiarazione del diritto del comune ricorrente di non subire l’inquinamento derivante dalla suddetta programmata trasformazione;
con motivi aggiunti, del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali n. 0680 in data 6 novembre 2003, reso noto con avviso pubblicato sulla G. U. del 29 novembre 2003, del parere n. 545 in data 24 luglio 2003 della Commissione per le valutazioni di impatto ambientale;
nonché, con ulteriori motivi aggiunti, del decreto n. 55/02/2003 in data 24 dicembre 2003, reso noto con avviso pubblicato sulla G.U. – Foglio delle Inserzioni del 16 gennaio 2004- con il quale il Ministero delle Attività Produttive ha autorizzato la con versione a carbone dell’esistente centrale termo elettrica di Torre Valdaliga Nord;


Visti i ricorsi introduttivi del giudizio nonché i successivi ricorsi per motivi aggiunti, con i relativi allegati;


Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti nonché dell’ENEL s.p.a. e dell’ENEL Produzioni s.p.a.;


Visti, altresì, gli atti di intervento ad opponendum della Federlazio;


Viste le ordinanze nn. 2208/2004 e 2207/2004 del 22.4.2004;


Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;


Visti gli atti tutti di causa;


Designato relatore alla pubblica udienza del 14.4.2005 il Primo Referendario Maria Cristina Quiligotti, ed uditi gli avvocati come da verbale di causa agli atti del giudizio;


FATTO


Con i ricorsi rg. nn. 6990/2003 e 7733/2003, notificati, il primo, l’1.7.2003 e, il secondo, il 14.7.2003 e rispettivamente depositati il 4.7.2003 ed il 28.7.2003, i Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia, da un lato, ed il Comune di Ladispoli, dall’altro, hanno impugnato la decisione del Comune di Civitavecchia di riconvertire a carbone ( utilizzato quale combustibile esclusivo) la centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord, di cui all’accordo sottoscritto con l’ENEL s.p.a. presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 30.4.2003, ma reso noto soltanto il successivo 13.6.2003, nonché ogni atto presupposto connesso e consequenziale ed in particolare la deliberazione del Consiglio comunale di Civitavecchia del 25.3.2003 di approvazione della suddetta conversione ed il protocollo d’intesa del 19.12.2002 ( intercorso tra le parti direttamente interessate nonché il Ministero delle attività produttive, la Regione Lazio e la Provincia di Roma), la cui esistenza si evince dall’accordo di cui sopra e dei quali non si conosce il contenuto specifico ( con conseguente richiesta di acquisizione agli atti del presente giudizio).


Hanno dedotto:


- che i Comuni ricorrenti sono legittimati all’impugnazione in oggetto in quanto le immissioni nell’atmosfera, conseguenti alla bruciatura del carbone fossile, utilizzato come combustibile esclusivo della centrale, sono destinate a ricadere non nel territorio del Comune di Civitavecchia bensì, quasi esclusivamente, nel territorio dei Comuni finitimi, tra i quali i Comuni ricorrenti, in conseguenza dell’altissimo camino della centrale, come verrebbe riconosciuto anche in sede di accordo del 30.4.2003, nella parte in cui viene istituito un osservatorio ambientale per lo studio, tra l’altro, delle ricadute sulle popolazioni, del quale dovranno fare parte anche i rappresentanti dei Comuni interessati;


- che i Comuni ricorrenti non sono stati, invece, coinvolti all’atto della sottoscrizione dell’impugnato accordo, con conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 7-13 della L. n. 241/1990;


- che il Comune di Civitavecchia sarebbe stato pienamente consapevole dell’effetto altamente inquinante della progettata centrale a carbone, tanto da avere ottenuto dall’ENEL tutta una serie consistente di interventi compensativi, senza considerare che gli effetti inquinanti si propagano ai Comuni limitrofi che hanno una chiara ed univoca vocazione turistica e che non hanno beneficiato, comunque, di analoghi incentivi, con conseguente eccesso di potere per la mancata leale collaborazione tra le istituzioni interessate all’intervento in questione.


Hanno chiesto, altresì, alla luce della giurisdizione piena del Tribunale nella materia della urbanistica e dell’edilizia, una pronuncia dichiarativa del diritto dei Comuni ricorrenti a non subire le immissioni eccedenti la normale tollerabilità con protezione diretta ed immediata della salute dei propri cittadini, con riserva della richiesta di risarcimento degli eventuali danni conseguenti alla realizzazione della suddetta nuova centrale a carbone.


La Provincia di Roma si è costituita in giudizio, sul ricorso rg. n. 6990/2003, in data 14.7.2003, e, sul ricorso rg. n. 7733/2003 in data 5.8.2003, depositando il ricorso notificato con la procura in calce.
L’ENEL s.p.a. si è costituito in giudizio, su entrambi i ricorsi, rispettivamente in data 8.8.2003 e 11.8.2003, con comparsa di mera forma.


Il Ministero dell’ambiente, il Ministero delle attività produttive e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituiti in giudizio, rispettivamente in data 6.9.2003 e 11.9.2003, con comparsa di mera forma.


Il Comune di Civitavecchia si è, a sua volta, costituito in giudizio, su entrambi i ricorsi, in data 3.2.2004 con comparsa di mera forma.


I Comuni ricorrenti, con ricorso per motivi aggiunti al ricorso rg. n. 6990/2003, notificato il 28.1.2004 e depositato il successivo 5.2.2004, ed al ricorso rg. n. 7733/2003, notificato il 27.1.2004 e depositato il 5.2.2004, hanno impugnato il decreto n. 0680 del 6.11.2003, reso noto con l’avviso pubblicato nella G.U. del 29.11.2003, con il quale il Ministero dell’ambiente, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, ha espresso giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni in merito al progetto di conversione a carbone della centrale termo-elettrica nonché ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale e, in particolare, il parere della Commissione per le valutazioni di impatto ambientale n. 545 del 24.7.2003.


Hanno dedotto:


- che troverebbe conferma, in detto decreto, la circostanza di cui al ricorso introduttivo, secondo cui le immissioni inquinanti della nuova centrale ricadrebbero in modo significativo nei territori dei Comuni limitrofi, con conseguente obbligo di comunicazione agli stessi dell’avvio procedimentale di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990, atteso che le popolazioni di detti Comuni, interessate dal conseguente inquinamento, sarebbero “ soggetti individuati o facilmente individuabili”;


- che la pubblicità di carattere generale prescritta per il procedimento di impatto ambientale, ossia la pubblicazione su due quotidiani, non potrebbe ritenersi correttamente assorbente del suddetto obbligo specifico di comunicazione diretta e che, comunque, la valutazione di impatto ambientale ( da ora in poi V.I.A.) non rientrerebbe in quegli atti, di cui all’art. 13 della L. n. 241/1990, per i quali, in considerazione della loro particolare natura, viene escluso il suddetto obbligo;


- che, comunque, il decreto impugnato sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, difettando in modo assoluto di una idonea motivazione in relazione alle osservazioni presentate, in particolare, proprio dal Comune di Tarquinia in modo assolutamente tempestivo nonché da altri sedici soggetti, essendosi il parere della Commissione VIA limitato ad evidenziare che le osservazioni presentate sono state prese in considerazione in seno al relativo procedimento, con la conseguenza che, dalla lettura del testo definitivo del decreto impugnato, sembrerebbe emergere una non piena consapevolezza della gravità dei problemi prospettati;


- che, comunque, vi sarebbe una ampia letteratura, di varia provenienza, concordante in ordine al pericolo per la salute umana, tra i quali sarebbe riconducibile lo studio effettuato dall’Osservatorio epidemiologico della Regione Lazio del 1997, mentre il decreto, in maniera eccessivamente semplicistica, conclude sul punto evidenziando che il rischio per la salute umana sarebbe praticamente trascurabile sulla base di una stima effettuata dalla stessa ENEL s.p.a., ossia dell’impresa proponente l’operazione, con conseguente violazione dell’art. 8 della L. n. 349/1986, atteso che il Ministero si sarebbe dovuto avvalere, ai predetti fini, dei servizi tecnici dello Stato e dei servizi delle A.U.S.L. nonché della collaborazione con enti pubblici specializzati operanti a livello nazionale e con gli istituti universitari;


- che, comunque, nonostante la riconosciuta esistenza di una situazione di criticità per alcuni elementi, detta circostanza non avrebbe avuto valenza ostativa, nella considerazione che la popolazione insistente nel territorio interessato sarebbe stata, in periodi precedenti, esposta a concentrazioni di inquinanti ancora superiori, con conseguente violazione dell’art. 6, co. 4, della L. n. 349/1986, atteso che il Ministero dell’ambiente avrebbe potuto approvare il progetto in questione a condizione che venissero apportate le necessarie modificazioni ai fini della tutela della salute umana, non dovendo, invece, procedere all’approvazione nel caso in cui detta modificazioni migliorative non fossero in concreto conseguibili, mentre nel caso di specie, pur essendo stata riconosciuta la non compatibilità del progetto, lo stesso è stato, tuttavia, comunque, approvato;


- che sarebbe illegittima la prescrizione inerente alle emissioni di CO2, con il quale si fissa un limite rinviando, tuttavia, ad un futuro accordo, di contenuto del tutto imprecisato, in quanto, peraltro, non accompagnata da alcun meccanismo di controllo effettivo nonché l’ulteriore prescrizione relativa alle emissioni di mercurio e nichel, relativamente alle quali emissioni veniva espressa la perplessità sulla possibilità di contenimento delle stesse nei limiti prescritti, con controlli peraltro effettuati solo con cadenza annuale e con conseguenti interventi, pertanto, sempre in ritardo almeno di un anno con i conseguenti rischi per la salute umana.


La Provincia di Roma, con memoria in data 18.2.2004 ha dedotto di avere preso parte al procedimento ministeriale di autorizzazione della riconversione a carbone della centrale termo-elettrica di Civitavecchia in quanto titolare di funzioni di controllo ambientale e di avere espresso il proprio parere negativo alla suddetta conversione in seno alla conferenza di servizi del 29.10.2003, in assenza dei necessari chiari elementi tecnici in ordine all’effettivo abbattimento delle emissioni, considerata la ricaduta delle emissioni nei territori dei Comuni limitrofi nonché l’atteso aumento delle emissioni di ossido di azoto, con la conseguente necessità di un intervento di programmazione e di approfondimento, non essendosi ritenuta assolutamente sufficiente la stima effettuata sul punto dall’ENEL s.p.a. quale unico parametro di valutazione del rischio per la salute umana.


In particolare le raccomandazioni su cui si fonda la ritenuta compatibilità ambientale della nuova centrale sarebbero prive di obiettivi riscontri, atteso che, a fronte della riconosciuta maggiore produzione di polveri inquinanti pericolose, l’ENEL s.p.a. non avrebbe offerto alcuna specifica prova sperimentale circa le nuove tecniche di filtraggio spinto per l’abbattimento delle suddette polveri.
Ha conclusivamente insistito per l’accoglimento dei ricorsi.


L’ENEL s.p.a. con memoria in data 18.2.2004, ha dedotto la infondatezza nel merito tanto dei ricorsi introduttivi del giudizio quanto dei successivi ricorsi per motivi aggiunti, in considerazione della totale assenza del rischio paventato e, comunque, per la radicale carenza del requisito dell’attualità e dell’immediatezza dello stesso, in considerazione dell’apposizione di una serie di prescrizioni ed obblighi da parte del Ministero dell’ambiente, antecedenti all’avviamento della fase esecutiva, che si presentano estremamente specifici e dettagliati anche con riferimento ai limiti delle emissioni ed alla qualità dell’aria.


Ogni aspetto relativo all’impatto sanitario ed ambientale del nuovo impianto avrebbe trovato una compiuta regolamentazione anche sul piano dei controlli, con effetto condizionante della realizzazione ed esercizio dell’impianto stesso.


Inoltre non sarebbe stato impugnato da parte dei Comuni ricorrenti anche il decreto del Ministero delle attività produttive del 24.12.2003 n. 55/02/2003, pubblicato nella G.U. del 16.1.2004, di autorizzazione alla predetta conversione, che, in quanto emanato ai sensi dell’art. 1 del D.L. 7.2.2002 n. 7, convertito in L. 9.4.2002 n. 55, è l’atto conclusivo dell’unico procedimento all’interno del quale si inseriscono gli atti impugnati, in quanto è il titolo per costruire ed esercire il nuovo impianto, con conseguenza carenza di un concreto interesse da parte degli stessi ricorrenti.


I dati informativi sul nuovo impianto, offerti nel documento “ Sintesi non tecnica” dell’aprile 2002, sarebbero stati comunicati anche ai Comuni ricorrenti con lettera del 26.7.2002.


Le emissioni complessive prodotte dalla nuova centrale a pieno regime sarebbero inferiori non solo a quelle attuali ma anche ai valori massimi indicati nella direttiva UE Nuovi Impianti 2001/80/CE del 23.10.2001, che entrerà in vigore l’1.1.2008.


Anche le emissioni acustiche resterebbero perfettamente adeguate alle vigenti norme di cui alla L.R. n. 18/2001 in quanto inferiori rispetto ai limiti di zona.


Inoltre la riconversione dell’impianto in questione sarebbe in linea con quanto prescritto ai sensi dell’art. 3 del D.L. 18.2.2003 n. 25, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1 della L. 17.4.2003 n. 83, in quanto comportante una riduzione delle emissioni complessive nonché il riutilizzo di un sito dotato di adeguate infrastrutture di collegamento con la rete elettrica nazionale, con diversificazione delle fonti primarie competitive.


Con memoria del 18.2.2004 si è, altresì, costituita in giudizio anche la Federlazio- Federazione piccole e medie imprese del Lazio, depositando copia dell’atto di intervento ad opponendum, regolarmente notificato alle parti del presente giudizio in data 19.2.2004, con il quale, dopo avere specificato la propria legittimazione ed interesse- in quanto rappresentante di un elevato numero di imprese operanti nel territorio del Comune di Civitavecchia nei settori metalmeccanico ed edile la cui sopravvivenza sarebbe strettamente connessa con l’importante iniziativa sul territorio rappresentata dalla riconversione a carbone della centrale termo-elettrica in questione-, ha dedotto in ordine alla infondatezza nel merito del ricorso.


In particolare, ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti per carenza di interesse attuale ed immediato all’impugnazione, in considerazione della natura di atto meramente endoprocedimentale del decreto ministeriale di VIA impugnato, pertanto da ritenersi non autonomamente impugnabile, in considerazione delle disposizioni di cui all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002.


Il Comune di Civitavecchia, con memoria difensiva in data 19.2.2004, ha dedotto, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, sulla base delle medesime considerazioni in precedenza esposte anche dalla Federlazio, e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.


Con particolare riguardo alla dedotta mancata valutazione e motivazione sulle osservazioni presentate dagli interessati, rileva che, dalla lettura del citato decreto, si evince come, da un lato, le relative risposte siano contenute nell’impugnato decreto, e, dall’altro, come, addirittura, alcune delle dette osservazioni sarebbero state accolte, trasformandosi in prescrizioni di VIA.


Alla camera di consiglio del 19.2.2004, fissata per la trattazione della istanza cautelare avanzata dai Comuni ricorrenti, la causa è stata rinviata a data da destinarsi su accordo delle parti al fine di consentire ai ricorrenti l’impugnazione del decreto ministeriale di definitiva autorizzazione alla realizzazione dell’intervento in questione, adottato nelle more del presente giudizio.


La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato documenti in data 26.2.2004.


La Federlazio ha depositato memoria difensiva in data 27.2.2004, con la quale ha ribadito quanto in precedenza dedotto nei propri scritti difensivi


Con un ulteriore ricorso per motivi aggiunti, identico per entrambi i ricorsi introduttivi, notificato in data 11.3.2004 e depositato il 23.3.2004 per entrambi, i Comuni ricorrenti hanno impugnato, il decreto n. 55/02/2003 del 24.12.2003 del Ministero delle attività produttive, pubblicato sulla G.U. del 16.1.2004, con il quale è stata autorizzata la riconversione a carbone della centrale termo-elettrica di TorreValdaliga Nord sita nel territorio del Comune di Civitavecchia nonché ogni atto presupposto, connesso e consequenziale.

 

Ne hanno dedotto l’illegittimità in via principale e derivata per le medesime considerazioni di cui al ricorso introduttivo ed al primo ricorso per motivi aggiunti.


Hanno dedotto, altresì, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 1, del D.L. n. 7 del 7.2.2002, cui sarebbe stata data attuazione in difetto dei necessari presupposti richiesti ai sensi di legge.


In particolare l’autorizzazione unica prevista dalla predetta norma non sarebbe stata preceduta dalla necessaria intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, richiesta espressamente ai fini dell’attribuzione dell’eccezionale potere de quo al Ministero, in considerazione della formulazione sintattica della norma che non sembra consentire alternative.


Deducono, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del citato D.L. n. 7 del 7.2.2002, nella parte in cui prevede che l’autorizzazione unica viene rilasciata “a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241”, atteso che appunto il coinvolgimento in seno al relativo procedimento amministrativo degli enti territoriali interessati sarebbe non solo obbligatorio ma anche da attuarsi su specifica e puntuale iniziativa da parte dell’amministrazione procedente; nella specie non potrebbe ritenersi che il Ministero vi abbia correttamente provveduto con la sola convocazione del Comune di Civitavecchia, nel cui territorio l’impianto deve essere realizzato, atteso che deve ritenersi che, tra le amministrazioni interessate da convocare obbligatoriamente, andassero computati anche i Comuni ricorrenti, in quanto addirittura più interessati dello stesso Comune di Civitavecchia in ordine alle possibili ricadute sull’ambiente e sulla salute umana conseguenti all’emissione di polveri inquinanti pericolose trasportate lontano dall’altissimo camino della centrale ( di oltre 250 mt. proprio al fine di diluire le emissioni nella area più vasta possibile).


In via subordinata, deducono l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 2, del D.L. n. 7 del 7.2.2002, come definitivamente modificato in sede di conversione, se interpretato nel senso di limitare l’amministrazione locale interessata al solo Comune presso il cui territorio dovrà essere effettuato l’intervento in questione, per violazione dell’assetto delle competenze istituzionale degli enti territoriali di base che impone la leale collaborazione tra gli stessi nell’esercizio in forma congiunta dei poteri spettanti e che sarebbe stato, invece, nel caso di specie, violato per il mancato coinvolgimento delle realtà locali nel procedimento di autorizzazione di un impianto con gravi ricadute sulle relative popolazioni residenti.


Deducono, ulteriormente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del citato D.L. n. 7/2002 nella parte in cui statuisce che “ l’istruttoria si conclude una volta acquisita la VIA” e che l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero delle attività produttive “ d’intesa con la Regione interessata”, atteso che l’intesa con la Regione Lazio sarebbe stata raggiunta con la deliberazione della Giunta regionale del Lazio del 17.10.2003, nel corso ed a seguito della riunione conclusiva della Conferenza di servizi del 29.10.2003 e, pertanto, precedentemente all’emanazione del decreto ministeriale di VIA del 6.11.2003, e, dunque, prima della formale chiusura dell’istruttoria relativa, mentre l’intesa attiene, invece, alla successiva fase decisionale.


Non si tratterebbe di una vera e propria intesa definitiva, in considerazione delle perplessità anche successivamente manifestate da parte della Regione alla realizzazione del progetto in questione, come da verbale dell’ordine del giorno del Consiglio regionale del 10.12.2003.


Da ciò sarebbe dato di desumere che o l’intesa era solo provvisoria o la stessa mancava del tutto od ancora che era contraddittoria.


Con l’ultimo motivo di censura hanno dedotto, in particolare, l’illegittimità dell’art. 2 dell’impugnato decreto per eccesso di potere, nella parte in cui specifica che “ la costruzione della centrale e delle opere connesse dovrà avvenire in conformità al progetto preliminare approvato nel corso dell’istruttoria. La presente autorizzazione è, altresì, subordinata al rispetto delle prescrizioni formulate dalle Amministrazioni interessate”.


Le prescrizioni apposte in sede di VIA, infatti, illegittimamente riguarderebbe non correttivi relativi alle modalità costruttive, bensì correttivi inerenti alle modalità di esercizio dell’attività relativa e, dunque, all’uso concreto in futuro della nuova centrale, in attesa di trovare la attualmente mancante soluzione tecnica.


A titolo esemplificativo, con riferimento al CO2 ed al mercurio, nonostante la riscontrata gravità delle relative immissioni, il Ministero si sarebbe limitato a prescrivere un uso limitato della nuova centrale, prevedendo un’attività di monitoraggio con protocolli ancora tutti da concordare.


La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero per le attività produttive ed il Ministero dell’ambiente con memoria del 20.4.2004, hanno dedotto l’infondatezza nel merito dei ricorsi per motivi aggiunti.


In particolare l’Avvocatura Generale dello Stato ha sottolineato che l’autorizzazione unica, di cui al decreto impugnato con l’ultimo ricorso per motivi aggiunti, è stata assunta previa individuazione di prescrizioni più rigorose di quelle prese in considerazione con l’atto conclusivo del procedimento di compatibilità ambientale.


Quanto ai singoli motivi di censura deduce, in ordine al primo, che la previa intesa in seno alla Conferenza permanente non può intendersi da acquisirsi in ordine ad ogni singolo progetto od istanza di rilascio dell’autorizzazione unica e che, per detto tipo di interventi, detta intesa sarebbe stata acquisita in data 5.9.2002, con la fissazione dei relativi criteri di valutazione cui i singoli interventi debbano uniformarsi, non essendo di ausilio alla tesi avversaria il testo della norma invocata né potendosi condividere la subordinata dedotta illegittimità costituzionale alla luce proprio dei detti criteri; in ordine al secondo motivo, che l’interpretazione fornita dai ricorrenti in ordine ai destinatari della norma sulla partecipazione procedimentale non appare plausibile in considerazione dell’incertezza che ne conseguirebbe ai fini dell’individuazione dei concreti destinatari, considerato, peraltro, che l’unico parere obbligatorio, in seno al detto procedimento, è proprio quello del Comune e della Provincia nel cui territorio è ubicato l’impianto ai sensi dell’art. 1, co. 3, del D.L. n. 7 del 7.2.2002, come convertito in L. 9.4.2002 n. 55; in ordine al terzo motivo, che la proposta interpretazione dell’art. 1, co. 2, del D.L. n. 7 del 7.2.2002 è stata disattesa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 6/2004 con la quale è stato affermato che il necessario coinvolgimento delle Regioni assicura una adeguata partecipazione ai procedimento interessanti le competenze di amministrazioni anche locali; quanto al quarto motivo, che il decreto di VIA del Ministero dell’ambiente è un atto endoprocedimentale, che rappresenta la formalizzazione in un unico atto dei contenuti dei pareri che seguono, e che, pertanto, la conferenza conclusiva è stata legittimamente indetta per il giorno 29.10.2003, quando erano stati acquisiti gli atti tanto il parere del Ministero dell’ambiente quanto quello del Ministero dei beni culturali nonché quello della Regione Lazio di cui in precedenza e dunque l’istruttoria per il subprocedimento di VIA era stata oramai conclusa; in ordine, poi, al quinto motivo, che l’ordine del giorno della riunione del 10.12.2003 del Consiglio regionale del Lazio, che lo impegna a continuare il confronto con i Comuni interessati, non assume valenza prescrittiva e rientra esclusivamente tra le attività di controllo, non evidenziando alcuna contraddittorietà nel comportamento tenuto nella vicenda di cui trattasi da parte della Regione; in ordine, infine, al sesto motivo, che, essendo l’autorizzazione unica strumentale alla realizzazione di un’attività di produzione di energia elettrica, le prescrizioni correttamente non si riferiscono alla sola fase di realizzazione dell’impianto ma interessano anche proprio la successiva fase dell’esercizio dello stesso e che, peraltro, lo studio sanitario prodotto dall’ENEL s.p.a., quale soggetto proponente, ai sensi dell’art. 2, co. 3, del D.P.C.M. 27.12.1988, si è basato sulle statistiche prodotte dall’Agenzia di sanità pubblica della Regione Lazio del 2002 e che, ulteriormente, detti dati sono stati attentamente vagliati da parte della Commissione VIA nel corso della relativa istruttoria.


Ha dedotto, infine, che i limiti alle concentrazioni di emissione per i singoli microinquinanti di cui alle prescrizioni vincolanti apposte in sede di decreto VIA hanno proprio la funzione di eliminare o ridurre gli eventuali effetti ambientali negativi derivanti dalla realizzazione di un impianto, ai sensi dell’art. 6, co. 2, del D.P.C.M. 27.12.1988, con la conseguenza che, attraverso le modificazioni apportate al progetto dell’opera, viene garantita la compatibilità ambientale della stessa.


L’ENEL s.p.a. e l’ENEL Produzioni s.p.a. con memoria del 19.4.2004, hanno dedotto l’infondatezza nel merito dei nuovi motivi aggiunti.


Hanno richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 13.1.2004, avente ad oggetto proprio il D.L. n. 7 del 7.2.2002, sulla base del quale è stato emanato il decreto ministeriale impugnato, con la quale è stata ribadita la necessarietà dell’intervento statale e la celerità della procedura autorizzatoria.


Hanno ribadito come, con la riconversione a carbone della centrale, si realizza una riduzione complessiva delle emissioni in atmosfera con rispetto dei limiti fissati dalle vigenti normative ambientali e soprattutto al di sotto dei limiti di cui alla direttiva CE del 2001, che entrerà in vigore soltanto nel 2008.


In punto di diritto hanno dedotto, in via preliminare, la inammissibilità dell’ultimo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso il decreto ministeriale n. 55 del 24.12.2003, per violazione dell’art. 1 della L. n. 205/2000, nella parte in cui contiene la disciplina dei motivi aggiunti, atteso che, nel caso di specie, trattasi di provvedimento promanante da autorità diversa rispetto a quelle che hanno in precedenza emanato gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio ed i successivi ricorsi per motivi aggiunti ed in quanto trattasi dell’unico provvedimento conclusivo dell’intero procedimento amministrativo contenente l’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto in questione.


In particolare difetta, per la proposizione del ricorso per motivi aggiunti di cui da ultimo, la procura speciale da parte dei Comuni ricorrenti, ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054, ritenuta necessaria dalla prevalente giurisprudenza sul punto; né potrebbe ritenersi sopperita dall’originaria procura speciale apposta in seno al ricorso introduttivo in quanto questa non prevede espressamente il potere di presentare i motivi aggiunti in capo al difensore costituito.


Peraltro il decreto impugnato da ultimo rappresenta, sulla base della normativa speciale di cui all’art. 1 del D.L. n. 7/2002, il provvedimento conclusivo del procedimento complesso costituente l’autorizzazione unica alla realizzazione ed all’esercizio dell’impianto in questione, con la conseguenza che tutti gli atti che lo precedono assumono esclusivamente una valenza endoprocedimentale, cosicché proprio il ricorso avente ad oggetto detto decreto avrebbe necessitato di apposita procura speciale.


Nel merito hanno dedotto:


- quanto al primo motivo di censura, che l’intervento della Conferenza permanente viene richiesto non quale fase interna a ciascun procedimento autorizzatorio, bensì ai soli fini della fissazione dei criteri generali di valutazione dei progetti delle nuove centrali elettriche e che detta intesa è stata nei fatti in concreto acquisita in data 5.9.2002, con il relativo accordo, pubblicato sulla G.U. n. 220 del 19.9.2002, in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni, Città ed autonomie locali, che prevede un più ampio coinvolgimento di più livelli di governo rispetto alla Conferenza permanente, atteso l’ampliamento del ruolo delle autonomie a seguito dell’entrata in vigore della L. Cost. n. 3/2001 con conseguente modifica del Titolo V della Costituzione ed in considerazione dell’accordo sul punto del 20.6.2002;


- quanto al secondo motivo, che la partecipazione dei Comuni ricorrenti è stata assicurata con la comunicazione in data 26.7.2002 della relazione descrittiva del progetto e della sintesi non tecnica della studio di impatto ambientale dell’aprile 2002, che, comunque, l’avviso relativo all’instaurazione del subprocedimento di VIA è stato pubblicato su due quotidiani ai sensi delle norme di legge al riguardo, che i Comuni ricorrenti hanno preso parte alla riunione tenutasi presso il Ministero delle attività produttive in data 19.12.2002 a conclusione del quale è stato adottato un Protocollo d’intesa ( non ratificato dai detti Comuni ma dagli stessi sicuramente conosciuto nei suoi contenuti specifici), che la normativa speciale di cui al D.L. n. 7/2002 in ordine alla partecipazione procedimentale attiene esclusivamente al Comune direttamente interessato nel cui territorio deve sorgere l’impianto in questione e che, infine, i Comuni ricorrenti sono stati, comunque, messi nella condizione di avere piena cognizione del detto procedimento e di prendervi attivamente parte, tanto è vero che, in particolare, il Comune di Tarquinia risulta avere presentato formali osservazioni nell’ambito del procedimento di valutazione ambientale;


- quanto alla questione di illegittimità costituzionale (terzo motivo), dedotta in via subordinata, dell’art. 1, co. 2, del D.L. n. 7/2002, che la sentenza della Corte Costituzionale n. 6/2004 ha riconosciuto la manifesta infondatezza delle relative questioni avanzate da parte delle Regioni, con particolare riguardo alla sufficienza degli strumenti previsti dal detto decreto e dalla relativa legge di conversione ed al rispetto del principio di leale collaborazione e cooperazione, con conseguente necessità di partecipazione del solo Comune sul cui territorio ricadano le opere interessate;


- quanto al quarto e quinto motivo di censura, che la Regione Lazio ha preso parte a tutte le fasi del procedimento autorizzatorio ed ha espresso il proprio parere favorevole con la piena consapevolezza del progetto e della sua compatibilità ambientale, considerato che la suddetta Regione ha, in primo luogo, espresso parere favorevole con prescrizioni in sede di procedimento VIA in data 27.5.2003 ed ha, in secondo luogo, tenuto conto dell’intervenuto parere della Commissione VIA in data 24.7.2003, comunicatogli in data 10.9.2003, con nota di accompagnamento con la quale si preannunciava l’avviata predisposizione del relativo decreto ministeriale, che, nella sostanza, costituisce la trasposizione pedissequa del presupposto parere della Commissione VIA, cosicché il parere favorevole espresso in seno alla Conferenza di servizi la cui ultima riunione si è svolta in data 29.10.2003, che costituisce espressione della necessaria intesa richiesta dalla norma di legge ( pertanto raggiunta e perfezionata soltanto in detta sede di conferenza di servizio), è stato deliberato ad istruttoria sostanzialmente conclusa; né l’ordine del giorno del Consiglio regionale del Lazio del 10.12.2003 potrebbe configurarsi come revoca implicita dell’intesa raggiunta, atteso che, da un lato, non ne ha le caratteristiche formali e sostanziali e, dall’altro, rappresenta un mero impegno operante sul piano politico a proseguire in futuro il confronto con i governi locali;


- quanto al sesto motivo di censura, che le prescrizioni imposte dalle autorità competenti al progetto in questione, attengono, in via principale, proprio alla fase di realizzazione dell’impianto e che le prescrizioni inerenti alla successiva fase dell’esercizio dell’attività produttiva sono finalizzate proprio a rendere detto esercizio ambientalmente compatibile.


La Regione Lazio con memoria del 21.4.2004 ha dedotto l’infondatezza nel merito degli ultimi motivi aggiunti.


In particolare, ha argomentato in ordine alla regolarità del procedimento amministrativo seguito dalla amministrazioni coinvolte nella vicenda di cui trattasi con particolare attenzione alle istanze partecipative dei Comuni limitrofi, per le considerazioni già in precedenza espresse dalle altre amministrazioni resistenti nei propri scritti difensivi, nonché alla completezza ed alla approfondimento dell’istruttoria espletata soprattutto in ordine alla tutela dell’ambiente e della salute umana.


Anche il Comune di Civitavecchia in data 22.4.2004 ha depositato memoria, con la quale, riprendendo le argomentazioni già in precedenza formulate, ha chiesto il rigetto dei detti motivi aggiunti.
Anche la Federlazio con memoria del 22.4.2004 ha dedotto l’infondatezza nel merito degli ultimi motivi aggiunti per motivazioni analoghe a quelle di cui ai precedenti scritti difensivi delle altre amministrazioni resistenti, come in precedenza sinteticamente riportate.


Con le ordinanze nn. 2207/2004 e 2208/2004 del 22.4.2004 sono state respinte le istanze di sospensione incidentale dei provvedimenti impugnati con i ricorsi introduttivi del giudizio nonché con i successivi ricorsi per motivi aggiunti.


I Comuni ricorrenti, con ulteriori ricorsi per motivi aggiunti, notificati il 28.12.2004 e depositati il 5.1.2005 per entrambi i giudizi, hanno dedotto avverso il medesimo decreto del Ministero delle attività produttive n. 55/02/2003 del 24.12.2003 un’ulteriore motivo di illegittimità.


In particolare, ne hanno ribadito l’illegittimità derivata in relazione al difetto di istruttoria che vizierebbe la valutazione di impatto ambientale per l’ assenza delle necessarie propedeutiche verifiche tecniche in ordine alla effettiva e concreta lesività della salute umana.


Sul punto hanno rilevato che, nelle more del presente giudizio, il Comune di Ladispoli ha presentato al Tribunale di Civitavecchia ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c., riportante il n. rg. 521/2004, ai fini dell’assunzione, in via cautelare, del provvedimento di sospensione dei lavori di riconversione a carbone della centrale termo-elettrica di Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia e che, nell’ambito di detto giudizio, allo stato pendente in fase di riserva, é stata acquisita agli atti una documentata C.T.U., avente ad oggetto la verifica della determinazione o meno di un danno alla salubrità ambientale, che documenterebbe inadeguatezze e carenze istruttorie nel procedimento di VIA, nonchè la nocività per la salute umana dell’utilizzo del carbone quale combustibile esclusivo per la produzione dell’energia elettrica.


Quindi, con la memoria conclusiva dell’1.2.2005, depositata in vista dell’udienza di trattazione nel merito del ricorso, i Comuni ricorrenti hanno controdedotto ai precedenti scritti difensivi delle amministrazioni resistenti e dell’ENEL s.p.a..


In particolare, hanno argomentato in ordine all’infondatezza dell’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti avente ad oggetto il decreto ministeriale n. 55/2003, atteso che, nel caso di specie, si tratterebbe di diversi provvedimenti emessi da amministrazioni coinvolte sin dall’inizio nel presente giudizio e, comunque, aventi il medesimo oggetto.


In ordine, poi, alla domanda “ civilistica” di inibitoria delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità e di risarcimento dei danni conseguenti, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma di legge attributiva di una giurisdizione piena a questo Tribunale in materia di urbanistica ed edilizia non avrebbe rilevanza nella vicenda giurisdizionale de quo, atteso il chiaro disposto della norma di cui all’art. unico, comma 552, della L. 30.12.2004 n. 311, che la ha espressamente reintrodotta.


Sul punto hanno affermato che il limite delle immissioni che l’ENEL s.p.a. si è impegnata a rispettare supererebbero i limiti della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., in considerazione del criterio della priorità di un determinato uso, atteso che la vocazione e la concreta destinazione turistica dei territori ricadenti nei Comuni ricorrenti sarebbe di gran lunga antecedente alla costruzione della originaria centrale elettrica da smantellare.


Per quanto attiene, poi, gli specifici motivi di censura di illegittimità dei provvedimenti impugnati, come articolati nei precedenti scritti difensivi,hanno ulteriormente argomentato in ordine alla fondatezza dei motivi dedotti insistendo, in particolare, sull’assunto che l’impianto approvato, immettettendo nell’atmosfera quantità non ammissibili di co2, di nichel e di mercurio, come sarebbe comprovato in atti, non sarebbe ambientalmente compatibile e pertanto non assentibile in seno al procedimento amministrativo in contestazione e che le prescrizioni inerenti all’uso precauzionale dello stesso impianto non sarebbero sufficienti ad escluderne la comprovata nocività.


Con memoria del 31.3.2005, la Provincia di Roma ha ulteriormente ribadito quanto dedotto nei precedenti scritti difensivi, insistendo per l’accoglimento dei ricorsi e rilevando che il giudizio introdotto dal Comune di Ladispoli dinanzi al Tribunale di Civitavecchia ai sensi dell’art. 700 c.p.c. è allo stato sospeso in conseguenza della pendenza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 552, della legge finanziaria 2004.


Con memoria dell’1.4.2005, la Federlazio ha controdedotto agli ultimi ricorsi per motivi aggiunti, eccependo, in via preliminare, la inammissibilità nel presente giudizio o comunque la irrilevanza della C.T.U. di cui sopra, atteso che i quesiti rivolti ai consulenti tecnici, nel giudizio ordinario ai sensi dell’art. 700 c.p.c. pendente dinanzi al Tribunale civile di Civitavecchia, sarebbero stati ultronei rispetto alla normativa in materia, nel senso di avere avuto ad oggetto, tra gli altri aspetti, anche la eventuale irregolarità dal punto di vista tecnico ed amministrativo della procedura di valutazione dell’impatto ambientale, con invasione non solo della sfera tecnica della pubblica amministrazione ma anche del merito e dell’opportunità alla stessa riservati per legge.


Con le memorie del 2.4.2005, l’ENEL s.p.a. e l’ENEL Produzione s.p.a., da un lato, e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’ambiente ed il Ministero della attività produttive, dall’altro, hanno ancora più diffusamente argomentato in ordine alla infondatezza nel merito delle censure avversarie, insistendo per il rigetto dei ricorsi proposti dai Comuni interessati.


Alla pubblica udienza del 14.4.2005, il ricorso è stato preso in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale.


DIRITTO


A) Riunione dei ricorsi

In via preliminare, considerata l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva dei ricorsi in esame, se ne dispone la riunione ai fini della trattazione congiunta e della decisione con unica sentenza.

B) Legittimazione attiva ed interesse a ricorrere

1. La legittimazione attiva alla presentazione dei ricorsi in oggetto è stata argomentata da parte dei Comuni ricorrenti ( quanto al primo ricorso rg. n. 6990/2003 e poi ribadita con il secondo ricorso rg. n. 7733/2003) sulla base della circostanza della asserita ricaduta, quasi esclusiva, delle immissioni della nuova centrale elettrica nei territori dei comuni limitrofi a causa dell’altissimo camino della detta nuova centrale ( superiore ai 250 mt.), circostanza, che, peraltro, sarebbe attestata dalla specifica previsione, nell’ambito dell’Accordo del 30.4.2003 di un Osservatorio ambientale del quale sono chiamati a fare parte anche i comuni ricorrenti ( vedi art. 4.2), e, per il primo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso il decreto n. 680 del 6.11.2003 del Ministero dell’ambiente, ulteriormente argomentata sulla base del testo relativo, nella parte in cui specifica che le emissioni “ data l’altezza del camino ….. si diluiscono su un’area molto vasta”.


La questione inerente alla sussistenza o meno della legittimazione processuale attiva dei Comuni attuali ricorrenti all’impugnazione dei provvedimenti di cui in epigrafe è stata sollevata dalle società controinteressate solo nei confronti del Comune di Ladispoli (ric. n. 7733/03).


Sulla predetta questione la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che la legittimazione processuale attiva del Comune e l'interesse a ricorrere sussistono, in primo luogo, ove il Comune agisca contro altre amministrazioni a tutela della propria sfera di attribuzioni o, per la salvaguardia del proprio territorio e di interessi della collettività legati al territorio medesimo o contro atti che incidono sull'organizzazione dei servizi che interessano la comunità locale (Cons. St., sez VI, 29 gennaio 2002, n. 492; 10 gennaio 2002, n. 98; 3 novembre 1999, n. 1712) e che, in conclusione, la legittimazione a ricorrere spetta al Comune, quale ente esponenziale della comunità municipale, in tutti i casi in cui agisca a tutela di interessi collettivi, purché si tratti di interesse differenziato e qualificato che ruota attorno all'incidenza sul territorio comunale dei provvedimenti impugnati.


Peraltro, nel caso in cui la legittimazione sia ancorata alla "vicinitas" - criterio elaborato dalla giurisprudenza dapprima in relazione alle concessioni edilizie e poi esteso alle ipotesi di localizzazione di opere pubbliche ed impianti produttivi - ed il Comune agisca in via surrogatoria degli interessi dei cittadini residenti nel proprio territorio, la legittimazione processuale del Comune, dovendo modellarsi a quella ordinariamente spettante ai soggetti surrogati, postula la prospettazione di temute ripercussioni sul territorio e nelle immediate vicinanze in relazione alle quali i ricorrenti sono in posizione qualificata (Cons. St., sez.VI, 15 dicembre 2002, n. 6657).


E’ stato, quidi, ritenuto che “ La vicinanza di un impianto di consistenti dimensioni preposto alla produzione di energia elettrica radica in capo al comune finitimo la legittimazione ad agire, poiché non può essere subordinata alla produzione di una prova puntuale della concreta pericolosità dell'impianto, reputandosi sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze della centrale da realizzare. ( Consiglio Stato, sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3263).


Il Collegio condivide tale orientamento e ritiene pertanto che tutti i Comuni ricorrenti siano legittimati a ricorrere avverso i provvedimenti in epigrafe indicati, con i quali è stata autorizzata la realizzazione della centrale elettrica in questione.


Non si tratta, infatti, di una (non consentita) azione popolare, volta ad ottenere un mero controllo oggettivo della legittimità di un provvedimento amministrativo da parte del giudice, ma dell’azione di enti locali, in quanto enti esponenziali dei soggetti residenti nei rispettivi territori, che si affermano interessati dalle emissioni inquinanti dell’impianto, ancorché ubicato sul territorio di altro Comune.


Tale posizione legittimante va riconosciuta anche al Comune di Ladispoli, nonostante la eccepita non contiguità del suo territorio con quello del Comune di Civitavecchia e le risultanze dell’istruttoria sull’impatto ambientale, che escluderebbero significative ricadute di sostanze inquinanti, poiché la legittimazione processuale attiva del Comune avverso gli atti autorizzativi della realizzazione di un impianto industriale, non si può subordinare alla dimostrazione della concreta pericolosità dell'impianto stesso, dovendosi reputare sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle vicinanze (cfr. Cons. Stato, VI, 5.12.2002, n. 6657).


Ciò, in quanto la questione della concreta pericolosità dell'impianto, valutata alla luce dei parametri normativi, è questione di merito, mentre, al fine di radicare la legittimazione e l'interesse ad impugnare è sufficiente la prospettazione di temuti effetti nocivi sul territorio.


2. L’eccezione di difetto di interesse concreto ed attuale, da parte dei comuni ricorrenti, al ricorso introduttivo nonché al primo ricorso per motivi aggiunti per la mancata impugnazione del decreto n. 55 del del 24.12.2003 del Ministero della attività produttiva- contenente l’autorizzazione unica alla realizzazione del progetto ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002, formulata da parte dell’ENEL s.p.a., deve ritenersi superata nei fatti dall’intervenuta proposizione, nelle more del presente giudizio, del ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto specifico proprio l’impugnazione del detto decreto ministeriale di autorizzazione


C) Ammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti.
L’ENEL s.p.a. e l’ENEL Produzione s.p.a. hanno dedotto l’inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti, proposti avverso i decreti del Ministero dell’Ambiente e del Ministero delle attività produttive, contenenti rispettivamente la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione unica, di cui all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002, per la realizzazione della nuova centrale elettrica a carbone di Torre Valdaliga Nord sita nel territorio del Comune di Civitavecchia, per la mancata apposizione sui detti ricorsi di apposita procura speciale al difensore ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054 - trattandosi di motivi aggiunti proposti ai sensi dell’art. 1 della L. n. 205/2000 ed aventi ad oggetto, fra l’altro, il provvedimento conclusivo del complesso procedimento in questione e, pertanto, l’unico atto effettivamente impugnabile nel presente giudizio, per la cui impugnazione non potevano,, quindi, sopperire le procure speciali rilasciate nel ricorso introduttivo del giudizio, che, peraltro, non specificano in ordine all’attribuzione al difensore del potere di proposizione dei detti motivi aggiunti- nonché per la mancanza della necessaria identità soggettiva delle parti principali del rapporto controverso - in quanto detti motivi aggiunti hanno ad oggetto provvedimenti promananti da amministrazioni, ossia il Ministero dell’Ambiente e il Ministero delle attività produttive, diverse ed autonome rispetto a quella destinataria del ricorso introduttivo, ossia il Comune di Civitavecchia.


In tale situazione sarebbe stata necessaria la proposizione di un autonomo ricorso o quanto meno di un ricorso, sebbene per motivi aggiunti, avente tutte le necessarie caratteristiche formali e sostanziali del ricorso introduttivo di un autonomo giudizio. Le controinteressate hanno dedotto, conseguentemente, la inammissibilità del ricorso introduttivo, avverso l’accordo del 30.4.2003 ed il protocollo di intesa del 19.12.2002, per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che, venuti meno i ricorsi per motivi aggiunti, il ricorso introduttivo non sarebbe supportato dal necessario interesse concreto ed attuale all’annullamento degli atti impugnati.


La prospettata eccezione è da respingere.


Si premette che l'art. 21, comma 1, della L. n. 1034/1971, come sostituito dall'art. 1, della L. n. 205/2000 (secondo cui, tra l'altro, tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti , connessi all'oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti ), non configura a carico del ricorrente un onere di impugnativa dell'atto connesso mediante motivi aggiunti , che risulterebbe limitativo delle esigenze di tutela giurisdizionale costituzionalmente garantite dagli art. 24 e 113 Cost., risolvendosi in un aggravamento, anziché in una semplificazione, degli adempimenti processuali gravanti sullo stesso; con la conseguenza che l'impugnazione di un provvedimento connesso all'oggetto del giudizio attraverso motivi aggiunti costituisce una facoltà e non un obbligo per il ricorrente.


I profili, inerenti alla disciplina dei nuovi motivi aggiunti di cui alla L. n. 205/2000, interessati dalle eccezioni di inammissibilità di cui sopra riguardano specificatamente:


1.-i limiti della necessaria identità soggettiva delle parti, con particolare riguardo alla pubblica amministrazione resistente;


2.-la ritenuta necessità del rilascio di una nuova procura speciale ai fini della valida proposizione del ricorso per motivi aggiunti.


1.- Prima di esaminare lo specifico profilo dell’identità soggettiva delle parti, il Collegio ritiene utile premettere alcune ulteriori considerazioni in ordine all’istituto dei motivi aggiunti, come disciplinato ora dall’art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205, che modifica sul punto l’art. 21 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034.


Come noto, prima della riforma di cui al citato art. 1 della L. n. 205/2000, in base a costruzione giurisprudenziale uniforme o meglio prevalente nella materia ( non potendosi disconoscere la sussistenza di un orientamento minoritario che riconosceva la legittimità del ricorso all’istituto dei motivi aggiunti ai fini dell’impugnazione di provvedimenti diversi e distinti rispetto a quello originariamente oggetto del ricorso introduttivo del giudizio ma con quest’ultimo collegati da un punto di vista oggettivo e soggettivo), i motivi aggiunti consentivano di ampliare la causa petendi coinvolgendo profili di illegittimità dell’atto impugnato non noti al momento della proposizione del ricorso, fermo restando il petitum originale, costituito dal provvedimento o dai provvedimenti impugnati con l’atto introduttivo.


Al fine di concentrare il giudizio e risolvere la questione complessiva con unica sentenza, è stata introdotta la citata norma di cui alla legge n. 205/2000 che permette di impugnare con motivi aggiunti tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso: in sostanza si adotta per legge lo strumento processuale prima rimesso alla discrezionalità del giudice, della riunione dei ricorsi connessi, onde pervenire alla loro soluzione con unica sentenza.


La norma, pertanto, consente di ampliare, nell’ambito dello stesso giudizio, anche il petitum sostanziale, inserendo la richiesta di annullamento di atti sopravvenuti.


Sotto un profilo formale si ha, quindi, un giudizio unico, cosicché deve ritenersi ammessa la notifica dei motivi aggiunti nel domicilio eletto delle parti già costituite; ma, sotto un profilo sostanziale, si ha una unificazione per legge di ricorsi autonomi, con applicazione, quindi, dei principi già affermati in ordine alla connessione. Ciò, in particolare, significa che la identità delle parti tra i vari giudizi connessi non deve essere vista in senso assoluto, ben potendo il giudice, prima della riforma, riunire giudizi in cui vi fosse solo una parziale identità delle parti, e quindi una parziale connessione soggettiva.


La lettera della norma, che fa riferimento alle “stesse parti” del ricorso introduttivo, deve, pertanto, essere intesa nel senso di stesse parti chiamate in giudizio con il ricorso, dovendo una interpretazione restrittiva (solo ricorrente ed autorità emanante) soggiacere ad una interpretazione logica, che abbia riguardo alla ratio della norma, tendente, come detto a favorire la concentrazione dei giudizi, a vantaggio anche della loro celerità.


La condizione in esame risulta, in sostanza, soddisfatta se l’atto successivamente adottato, che si inserisce nella medesima sequenza procedimentale di quello inizialmente impugnato e pregiudica gli interessi della stessa parte lesa da quest’ultimo risulta adottato da una amministrazione che, pur diversa da quella che ha emanato l’atto impugnato con il ricorso introduttivo, sia stata comunque chiamata in giudizio con la notificazione del ricorso stesso. Tale lettura della disposizione si rivela, infatti, l’unica coerente con le sue finalità di concentrazione e di economia dei rimedi processuali, mentre ogni opzione ermeneutica che escluda la possibilità di proporre motivi aggiunti quando tale iniziativa estenda il novero delle parti necessarie del giudizio risulta inaccettabile in quanto finisce per impedire alla norma di realizzare proprio quegli interessi che è principalmente finalizzata a soddisfare.


Deve, pertanto concludersi, secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente,che l’impugnazione tramite motivi aggiunti dei provvedimenti successivi inerenti alla medesima vicenda procedimentale è ammessa pure nel caso in cui gli stessi promanino da amministrazioni diverse, purchè nell’esercizio di poteri attinenti alla cura del medesimo interesse pubblico; l’identità di parti, per quel che riguarda la parte pubblica, va intesa in senso lato, dovendosi ritenere la “stessa parte pubblica” come comprensiva di tutte le pubbliche amministrazioni, ancorché soggettivamente distinte, che intervengono nella medesima vicenda procedimentale per la cura del medesimo interesse pubblico o di interessi pubblici connessi perché inerenti al medesimo bene della vita appetito dalla parte privata ( in termini cfr. C.d.S., sez. IV, 22.10.2002, n. 5813, sez. VI, n. 3187 del 2003 cit.; sez. VI, 22 ottobre 2002, n. 5813 sez. IV, 27.4.2004, n. 2555).


Tanto premesso l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti, per difetto della ritenuta necessaria identità soggettiva, è infondata, atteso che le parti di cui al ricorso introduttivo ed ai detti ricorsi per motivi aggiunti sono le medesime, essendo stato notificato il ricorso introduttivo non solo al Ministero delle attività produttive ( nella qualità di firmatario del predetto protocollo d’intesa), ma anche al Ministero dell’ambiente, che, proprio in virtù della detta notifica sono divenute parti del presente giudizio a fare data dalla sua formale instaurazione.


2.- In ordine alla questione inerente la necessità o meno del rilascio di una nuova apposita procura ai fini della proposizione del ricorso per motivi aggiunti di cui all’art. 1 della L. n. 205/2000 sussiste un contrasto nella giurisprudenza in materia.


Ed infatti, secondo un primo orientamento, l'art. 1 della L. 21 luglio 2000 n. 205, che ha modificato l'art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, allo scopo di concentrare in un unico processo l'impugnazione di provvedimenti diversi da quello originariamente impugnato ha carattere eminentemente processuale, ma niente dice in ordine all'ampiezza ed all'estensione delle procure rilasciate e non può quindi essere invocata per dedurre da essa anche la possibilità di impugnare mediante motivi aggiunti provvedimenti diversi da quelli originariamente gravati senza il rilascio di una nuova procura.


Ne deriverebbe che,secondo un primo orientamento, ferma restando la possibilità di inserire la controversia sul nuovo atto nel processo già instaurato a proposito dell'atto connesso, ai fini dell'impugnazione di un atto diverso da quello originariamente impugnato, occorrerebbe, secondo le regole generali, una nuova procura ad litem “( in termini Cons. Stato, VI sez. 31/7/2003 n° 4440 e T.A.R. Sardegna, 22 ottobre 2004, n. 1501).


Secondo l’orientamento contrapposto, che il Collegio ritiene di dovere condividere, il mandato difensivo originario - salve espresse eccezioni - deve ritenersi comprensivo anche ove non faccia esplicito riferimento alla proposizione di motivi aggiunti, di tutti i poteri processuali finalizzati alla rimozione della lesione subita dal ricorrente. Pertanto, per la proposizione di motivi aggiunti che non si configura come autonomo ricorso, non occorrono, stante il precedente conferimento al difensore di procura speciale per la instaurazione della controversia, nè la sottoscrizione del ricorrente nè il rinnovo della procura” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6 luglio 2002, n. 3717).


D) Motivi di merito.
Con l’intervento in oggetto è prevista la riconversione a carbone di 3 delle 4 sezioni da 660 MW dell’esistente centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia, attualmente alimentata ad olio combustibile, per una capacità totale di poco inferiore ai 2000 MW, nonché l’installazione di nuove caldaie e l’inserimento di apparecchiature per l’abbattimento delle sostanze inquinanti ad elevata efficienza.


La suddetta riconversione risponde all’esigenza di approvvigionamento energetico tramite la diversificazione delle fonti utilizzate, soddisfacendo, altresì, la necessità di convertire l’impianto esistente con uno che risponda all’impiego delle più aggiornate tecnologie e che garantisca al massimo l’esigenza di riduzione dell’impatto di fattori inquinanti, assicurando nel contempo la protezione dell’ambiente e della salute umana.


Dette esigenze di approvvigionamento energetico hanno indotto il legislatore a favorire e semplificare i procedimenti di rilascio delle relative autorizzazioni, di cui al D.L. n. 7 del 7.2.2002, convertito con modificazioni nella L. n. 55 del 9.4.2002, il cd. decreto sblocca centrali.


Peraltro la L. 17.4.2003 n. 83, recante la conversione del D.L. n. 25 del 18.2.2003, nell’individuare i criteri generali per aumentare la efficacia delle disposizioni di cui al D.L. n. 7/2002, cita proprio la diversificazione verso fonti primarie competitive e, dunque, sostanzialmente, il carbone fossile, come criterio di selezione dei progetti ritenuti prioritari ai fini dello svolgimento della valutazione di impatto ambientale.


Infine il D.L. n. 239 del 29.8.2003, convertito in L. n. 290 del 27.10.2003, prevede, all’art. 1 sexies, comma 8, che, alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione dell’energia elettrica di potenza superiore a 300 MW, si applicano le disposizioni di cui al D.L. n. 7/2002, convertito in L. n. 55/2002.



1) Ricorsi introduttivi del giudizio aventi ad oggetto l’impugnazione dell’accordo ENEL-Comune di Civitavecchia del 30.4.2003, della deliberazione C.C. di Civitavecchia del 25.3.2003 e del Protocollo di intesa del 19.12.2002

1.1.- Con il primo motivo di censura è stata dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 7-13 della L. 241/1990, inerenti alla partecipazione procedimentale, atteso che i Comuni ricorrenti sarebbero stati parti necessarie di detto procedimento volto all’assunzione della decisione da parte del Comune di Civitavecchia di convertire a carbone la centrale elettrica di Civitavecchia- Torrevaldaliga Nord.

Il motivo di censura è infondato per le considerazioni che seguono.


1.1.1. Deve, in primo luogo, osservarsi che gli atti impugnati non fanno parte del “procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e locali interessate”, disciplinato dall’art. 1 del D.L. 7.2.2002, n. 7 (conv. dalla legge 9.4.2002, n. 55) e relativo al rilascio dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio della centrale elettrica in questione.


Trattasi, invero, di atti che, pur connessi e preordinati all’autonomo procedimento autorizzatorio della riconversione a carbone della preesistente centrale, sono unicamente diretti a definire i rapporti tra il Comune di Civitavecchia ed ENEL, in sostituzione delle precedenti convenzioni (cfr. art. 8 dell’accordo impugnato nonché tra lo stesso Comune, ENEL ed altre amministrazioni interessate (protocollo di intesa).


I Comune ricorrenti sono, pertanto, estranei al procedimento in questione e agli effetti degli atti impugnati con il ricorso introduttivo, con la conseguente insussistenza delle dedotta violazione delle norme generali in materia di partecipazione al procedimento amministrativo.


1.1.2.In ogni caso, come correttamente rilevato dall’ENEL nei propri scritti difensivi, la Relazione descrittiva del progetto del luglio 2002 nonché la Sintesi non tecnica dello studio di impatto ambientale dell’aprile 2002, contenenti tutti i necessari dati informativi sulle caratteristiche del nuovo impianto in progetto, é stata messa a disposizione, da parte dell’ENEL s.p.a., delle autorità procedenti nonché di ciascuno dei Comuni ricorrenti, con lettere di identico contenuto riportanti la data del 26.7.2002, facendo seguito a quanto asseritamene concordato nel corso dell’incontro svoltosi in data 10.7.2002 tra le medesime parti ( sebbene non risulti depositata agli atti la prova dell’avvenuta ricezione da parte dei detti comuni della lettera in questione, tuttavia, nei successivi scritti difensivi, gli stessi non negano di averla effettivamente ricevuta).


I Comuni ricorrenti dovevano, pertanto, ritenersi a piena conoscenza del progetto in oggetto e delle relative caratteristiche costruttive e di esercizio, indipendentemente dalla ricezione di una formale comunicazione di avvio del procedimento.


Peraltro, il Comune di Allumiere, nell’autunno del 2002 e precisamente con nota prot. n. 8509 del 15.10.2002, sottoscritta dal Vice Sindaco, ha richiesto all’ENEL l’installazione sul proprio territorio di una nuova postazione di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico al suolo, cui l’ENEL s.p.a. ha dato riscontro con la successiva nota del 29.10.2002; ed anche il Comune di Santa Marinella, con nota prot. n. 15729 dell’11.9.2002, a firma del Sindaco, ha avanzato all’ENEL Produzioni s.p.a. una analoga richiesta, cui l’ENEL ha dato riscontro con la nota del 3.10.2002.


Inoltre il testo del Protocollo di intesa sul progetto dell’ENEL Produzioni s.p.a. di riconversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord, messo a punto nel corso della riunione del 19.12.2002, indetta dal Sottosegretario del Ministero delle attività produttive e tenutasi presso il predetto Ministero, è stato trasmesso, a cura del Ministero stesso, in comunicazione ai singoli comuni ricorrenti con nota fax del 19.12.2002; e, dal verbale della predetta riunione, risulta testualmente che, alla stessa, hanno preso effettivamente parte anche i comuni di Santa Marinella, di Tolfa e di Tarquinia, i quali ultimi hanno, peraltro, anche sottoscritto il predetto verbale, sebbene, poi, non abbiano ratificato il Protocollo d’intesa.


Peraltro tutti e quattro i comuni di cui al ricorso n. 6990/03 hanno sottoscritto, nella persona del rispettivo Sindaco, l’invito del 30.12.2002 a partecipare all’assemblea pubblica sulla proposta dell’ENEL s.p.a. di riconversione a carbone della centrale elettrica che si è tenuta, presso l’aula consiliare del Comune di Civitavecchia, in data 10.1.2003.


Dall’insieme dei fatti come in precedenza riportati è dato, pertanto, di riscontrare come i Comuni ricorrenti fossero stati messi, comunque, ed indipendentemente dalla previa comunicazione di avvio procedimentale di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990 da parte del Comune di Civitavecchia o dell’ENEL s.p.a., nella condizione di avere piena ed effettiva conoscenza della circostanza relativa all’esame ed alla successiva approvazione da parte del Comune di Civitavecchia del progetto di riconversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord nonché dei contenuti del predetto accordo, con la possibilità di intervenire nel relativo procedimento ai fini di fare valere le loro eventuali ragioni ostative alla realizzazione del detto progetto.


Ne consegue che, indipendentemente dalla effettiva sussistenza o meno del detto obbligo di previa comunicazione dell’avvio procedimentale, in concreto, la stessa non era necessaria, atteso che, comunque, le finalità alla stessa sottese erano state perseguite per altra via, come dimostrato agli atti.


Ed infatti per giurisprudenza consolidata sul punto “Il mancato rispetto del principio sancito dall'art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, vizia ineluttabilmente il provvedimento finale, con il solo temperamento per i casi in cui l'omissione si riveli, in concreto, irrilevante, giacché il procedimento non potrebbe avere esito diverso anche con l'intervento dell'interessato, ovvero quest'ultimo sia stato, comunque, posto in condizione di partecipare per avere avuto conoscenza " aliunde " del procedimento stesso. “ (Consiglio Stato, sez. VI, 13 febbraio 2004, n. 580).



1.2.- Con il secondo motivo di censura hanno dedotto l’eccesso di potere per violazione del dovere di leale collaborazione tra le istituzioni, in quanto il Comune di Civitavecchia avrebbe ottenuto da parte dell’ENEL una serie di interventi compensativi con rilevante tornaconto di tipo economico, senza considerare che le immissioni, invece, ricadrebbero quasi esclusivamente proprio sui territori dei comuni limitrofi.


La circostanza che la ricaduta delle emissioni inquinanti derivanti dalla nuova centrale interessi esclusivamente o comunque principalmente i comuni limitrofi, rappresenta una mera affermazione di principio da parte dei detti comuni del tutto indimostrata, sebbene basata su alcuni elementi circostanziali riscontrabili agli atti del presente giudizio, quali l’altezza del camino.
Ciò premesso, la circostanza che il Comune di Civitavecchia abbia ottenuto dall’ENEL s.p.a., in sede di accordo preliminare, tutta una serie di interventi compensativi a tutela dell’ambiente e a favore del territorio comunale appare pienamente giustificata dal fatto che è proprio nel territorio del Comune di Civitavecchia che la centrale verrà realizzata cosicché i relativi inconvenienti, conseguenti sia alla fase di realizzazione della detta centrale che al suo successivo esercizio, ricadono, necessariamente sulla popolazione residente in detto territorio.
Va comunque osservato che i benefici ottenuti dal Comune di Civitavecchia non incidono sulla legittimità dell’accordo stipulato con ENEL né i Comuni ricorrenti hanno interesse a contestarli, trattandosi di interventi non lesivi della posizione di terzi, soggetti alla disciplina in materia di obbligazioni e contratti, ex art. 11, secondo comma della legge n. 241 del 1990.

2) Motivi aggiunti aventi ad oggetto il decreto n. 680 del 6.11.2003 del Ministero dell’ambiente di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni nonché il parere della Commissione VIA n. 545 del 24.7.2003.

2.1.- Con il primo motivo di censura hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. 241/1990, inerente alla partecipazione procedimentale ed in particolare all’omessa previa comunicazione diretta ai singoli comuni limitrofi dell’avvio del procedimento finalizzato all’emanazione del parere di compatibilità ambientale del progetto da parte del Ministero dell’ambiente, atteso che proprio detti comuni sarebbero i diretti interessati dello stesso ( in conseguenza della ricaduta quasi esclusiva delle emissioni sulle popolazioni ivi residenti) e gli stessi rientrerebbero tra i “ soggetti individuati o facilmente individuabili” di cui alla norma invocata né la pubblicità di carattere generale prescritta per il procedimento di valutazione di impatto ambientale, ossia la pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento relativo presso il Ministero dell’Ambiente su due quotidiani, potrebbe ritenersi correttamente assorbente del suddetto obbligo di comunicazione diretta e specifica.


Detto motivo è infondato per le considerazioni che seguono.


Ed infatti, oltre alle considerazione espresse relativamente al medesimo motivo di censura proposto con il ricorso introduttivo del giudizio avverso l’accordo tra l’ENEL s.p.a. ed il Comune di Civitavecchia del 30.4.2003 e gli atti ad esso presupposti, che si richiamano ai medesimi ( con particolare riguardo alla partecipazione alla riunione presso il Ministero delle attività produttive alla conclusione della quale è stato sottoscritto il protocollo d’intesa del 19.12.2002), vale ulteriormente rilevare quanto segue.


L’ENEL s.p.a. ha provveduto alla pubblicazione dell’avviso al pubblico della richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale del Ministero dell’ambiente e del Ministero dei beni e delle attività culturali inerente al progetto di conversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord sita nel territorio del Comune di Civitavecchia, su due quotidiani a tiratura nazionale e regionale, ossia sul Corriere della sera e sul Messaggero di lunedì 22.4.2002.


Al riguardo l’art. 6, co. 3, della L. n. 349/1986, dispone testualmente che:


“3. I progetti delle opere di cui al precedente comma 2 sono comunicati, prima della loro approvazione, al Ministro dell'ambiente, al Ministro per i beni culturali e ambientali e alla Regione territorialmente interessata, ai fini della valutazione dell'impatto sull'ambiente. La comunicazione contiene l'indicazione della localizzazione dell'intervento, la specificazione dei rifiuti liquidi e solidi, delle emissioni ed immissioni inquinanti nell'atmosfera e delle emissioni sonore prodotte dall'opera, la descrizione dei dispositivi di eliminazione o recupero dei danni dell'ambiente ed i piani di prevenzione dei danni dell'ambiente e di monitoraggio ambientale. L'annuncio dell'avvenuta comunicazione deve essere pubblicato, a cura del committente, sul quotidiano più diffuso nella regione territorialmente interessata, nonchè su un quotidiano a diffusione nazionale.”.


A sua volta l’art. 6, co. 9, della L. n. 349/1986, dispone testualmente che :


“9. Qualsiasi cittadino, in conformità delle leggi vigenti, può presentare, in forma scritta, al Ministro dell'ambiente, al Ministero per i beni culturali ed ambientali e alla regione interessata istanze, osservazioni o pareri sull'opera soggetta a valutazione di impatto ambientale, nel termine di trenta giorni dall'annuncio della comunicazione del progetto.”


L’art. 5 del D.P.C.M. n. 377 del 10.8.1988, adottato in base all'art. 6 l. n. 349 del 1986, rubricato “ Pubblicità”, dispone, poi, che:


“1. Contestualmente alla comunicazione di cui al comma 3 dell'art. 2, il committente di opere di cui all'art. 1 provvede alla pubblicazione, sul quotidiano più diffuso nella regione o provincia autonoma territorialmente interessata e su un quotidiano a diffusione nazionale, di un annuncio contenente l'indicazione dell'opera, la sua localizzazione ed una sommaria descrizione del progetto.


2. Il committente provvede altresì al deposito di una o più copie del progetto e degli elaborati della comunicazione, così come definiti all'art. 2, presso il competente ufficio della regione o provincia autonoma interessata, ai fini della consultazione da parte del pubblico.


3. Le regioni, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, individuano gli uffici di cui al comma 2 provvedendo anche alla pubblicazione sul Bollettino ufficiale della regione e ad una adeguata informazione al pubblico. “.


E l’art. 2, co. 3, del D.P.C.M. n. 377 del 10.8.1988, prevede che la comunicazione di cui al comma 3 dell'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, oltre al progetto come individuato al comma 1, comprende un approfondito studio di impatto ambientale


Alla luce della normativa in materia, come in precedenza testualmente riportata, si ritiene che la forma di pubblicità, consistente nell’avviso pubblico a mezzo stampa, sia idonea a soddisfare l’obbligo di cui al citato art. 7 della L. n. 241/1990 di previa comunicazione dell’avvio procedimentale.


Ed infatti, come la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare, sebbene in fattispecie diversa da quella oggetto della presente controversia, ma con affermazione di un principio da ritenersi generalmente valido in ordine al valore da attribuirsi all’avviso pubblico in questione. “Tale forma di pubblicità appare idonea a soddisfare l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, non potendosi pretendere, nella specie, in considerazione del fatto che trattasi di progetti di portata talmente ampia da coinvolgere, come si è già detto, un numero notevole di soggetti interessati, una comunicazione personale. In vero, lo stesso art. 8 della L. n. 241 del 1990, che disciplina le modalità della comunicazione, prevede che "qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede ... mediante forme di pubblicità idonee, di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima". In proposito anche l'Ad.Pl. del C.d.S., nella decisione del 15.9.1999 n. 14, ha convenuto che, nel caso di procedimenti di massa, è applicabile il cit. art. 8. “( T.A.R. Lazio, sez. I, 9 febbraio 2000, n. 850).


Può, pertanto, ritenersi che l’art. 7 della L. n. 241/1990, nella parte in cui prevede l’obbligo per l’amministrazione procedente di dare previa comunicazione personale dell’avvio procedimentale al diretto interessato, non si applichi alla fattispecie del procedimento di VIA, attesa la specialità della disposizione di cui all’art. 6, co. 3, della l. n. 349/1986, nella parte in cui prevede la pubblicazione dell’avviso su due quotidiani, nei confronti dei soggetti che non siano direttamente destinatari dell’atto né siano agevolmente individuabili.


Né potrebbe ritenersi, nel caso di specie, che il numero dei comuni interessati fosse, comunque, contenuto e tale, pertanto, da consentire la comunicazione personale e diretta dell’avvio del relativo procedimento; sussistendo, comunque, l’incertezza in ordine ai comuni effettivamente da ritenersi direttamente interessati in relazione alla potenziale ricaduta delle emissioni inquinanti, atteso che questa appare influenzata da diversi fattori e quindi, in concreto, non esattamente predeterminabile.


L’adempimento, previsto dall’art. 6, co. 3, della L. n. 349/1986 e dall’art. 5 del D.P.C.M. n. 377 del 10.8.1988, ha, comunque, in concreto, reso possibile a tutti i soggetti potenzialmente interessati di prendere parte al relativo procedimento amministrativo, consultando ed acquisendo la relativa documentazione nonché presentando le osservazioni ritenute necessarie ed opportune.


Tanto è vero che il Comune di Tarquinia e la Comunità Montana-Monti della Tolfa-Allumiere, in particolare, hanno fatto concreto esercizio della predetta facoltà, presentando le proprie osservazioni rispettivamente, il primo, in data 20.5.2002, 8.11.2002 e 19.6.2003, e la seconda, invece, in data 20.1.2003. Peraltro hanno concretamente preso parte al procedimento per il rilascio del parere di compatibilità ambientale, svoltosi presso il Ministero dell’ambiente, sia la Regione Lazio che la Provincia di Roma, ossia gli enti territoriali esponenziali delle intere comunità residenti nei rispettivi territori, in quanto tali ricomprensivi anche delle comunità residenti nei territori dei comuni ricorrenti.


2.2.- Con il secondo motivo di censura deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, per difetto assoluto di motivazione in relazione all’esame delle osservazioni presentate, in particolare, proprio dal Comune di Tarquinia nonché da altri numerosi soggetti, poiché il parere della Commissione VIA si sarebbe limitato a fornire una risposta formale ed elusiva, evidenziando esclusivamente che le osservazioni presentate sarebbero state prese in considerazione dalla predetta Commissione in seno al relativo procedimento istruttorio e delle stesse sarebbe stato tenuto conto nella definizione del parere.


Detto motivo non merita condivisione.


Va rilevato che le osservazioni sui progetti di opere soggette a V.I.A., configurandosi come un apporto collaborativo fornito all’Amministrazione da chiunque vi abbia interesse (cfr. art. 6, comma 9, l. n. 349/86), non richiedono, in caso di rigetto, una dettagliata confutazione, essendo sufficiente che dagli atti del procedimento risulti che sono state valutate e una sintetica motivazione della valutazione negativa, che non deve necessariamente investire ogni singola argomentazione del proponente.


Nel caso in esame, le risposte alle singole osservazioni presentate sono state formulate nell’ambito del decreto ministeriale impugnato ed alcune di queste sono state addirittura trasfuse in specifiche prescrizioni condizionanti la realizzazione stessa del progetto in questione.


Quanto alle risposte fornite ai due rilievi critici specificamente menzionati nel ricorso (contrasto con le politiche di sviluppo delle energie alternative e con i programmi comunali di sviluppo territoriale, risanamento ambientale e riqualificizone urbana) gli stessi ricorrenti riportano le risposte fornite dall’Amministrazione, che, anche in relazione alla genericità di detti rilievi, appaiono sufficienti a soddisfare l’onere di motivazione.


2.3.- Con il terzo motivo di censura deducono l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, per la rilevante incidenza sulla salute delle popolazioni residenti nei territori dei comuni limitrofi, considerato che vi sarebbe una ampia letteratura di varia provenienza concordante in ordine alla pericolosità per la salute umana delle emissioni inquinanti prodotte, alla quale sarebbe riconducibile lo studio effettuato dall’Osservatorio epidemiologico della Regione Lazio del 1997.


Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, in tema di valutazioni caratterizzate da discrezionalità tecnica il giudice non può sostituire la propria valutazione tecnica alla valutazione tecnica dell'amministrazione, dovendo il proprio sindacato sugli apprezzamenti tecnici esercitarsi soprattutto in relazione a macroscopiche illegittimità ed incongruenze manifeste anche se senza alcuna aprioristica limitazione derivante dalla natura tecnica dell'attività che, lungi dall'essere in via di principio insindacabile, è suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, da parte del giudice amministrativo, sia per vizi logici, sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti, sia per difetto di istruttoria, sia, infine, per cattiva applicazione delle regole tecniche (Consiglio Stato, sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316).


Particolari limiti al sindacato del giudice amministrativo sussistono in tema di valutazione di impatto ambientale, dal momento che la decisione della amministrazione rientra tra le valutazioni tecniche riservate all’Amministrazione, in quanto titolare di una specifica competenza legata alla tutela di particolari valori costituzionali, come si desume dall’art. 17, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, che dispone la non surrogabilità delle valutazioni tecniche spettanti alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5.3.2001, n. 1207).


Ciò premesso si rileva quanto segue.


Secondo quanto specificatamente rilevato in sede di Sintesi non tecnica di compatibilità ambientale dell’aprile 2002 dell’ENEL, le emissioni inquinanti complessive prodotte dalla nuova centrale elettrica a carbone saranno sensibilmente inferiori non soltanto a quelle dell’attuale impianto alimentato ad olio combustibile ma anche ai valori indicati nella direttiva UE Nuovi Impianti 2001/80/CE del 23.10.2001, che entrerà in vigore dall’1.1.2008.


L’ENEL ha sottoscritto volontariamente, con il Ministero dell’ambiente, e a fare data dal 14.2.2001, un accordo contenente l’impegno a dare attuazione, nella realizzazione e nell’esercizio dei propri impianti, agli obiettivi del protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra.


Inoltre saranno rispettati anche i limiti stabiliti per i cd. microinquinanti ( ed in particolare i metalli pesanti) in seno al D.M. 12.7.1990 ed anche quelli estremamente più restrittivi imposti dal Ministero della salute in sede di conferenza di servizi in data 29.10.2003, come risulta testualmente dal decreto di autorizzazione unica impugnato.


Nei ricorsi, peraltro, i Comuni non denunciano, in effetti, relativamente alle emissioni inquinanti, il mancato rispetto anche di uno solo dei parametri fissati dalle vigenti normative ambientali, rappresentate dalla direttiva 96/61/CE ( cd. direttiva IPPC che ha introdotto l’autorizzazione integrata ambientale) e dalla successiva direttiva 2001/80/CE ( sui grandi impianti di combustione che stabilisce i relativi limiti delle emissioni inquinanti) nonché in ambito nazionale il D. Lgs. n. 372/1999 ( attuativo della citata direttiva 96/61/CE) ed il D.M. 12.7.1990.


E gli impianti della nuova centrale elettrica a carbone rimangono, dopo la riconversione, adeguati alle vigenti norme in materia di inquinamento acustico di cui alla L.R. n. 18 del 3.8.2001, attuativa della L. n. 447 del 26.10.1995, atteso che, secondo la zonizzazione acustica del Comune di Civitavecchia, l’area della centrale di Torrevaldaliga Nord è posta nella classe VI- di area esclusivamente industriale- fino alla linea di costa e secondo i rilevamenti effettuati dall’A.U.S.L. RM/F i valori diurno e notturno si mantengono inferiori rispetto ai limiti della predetta zona.


Risultando, pertanto, che l’avversata riconversione a carbone della centrale determinerà un complessivo miglioramento delle condizioni dell’ambiente, rispetto alla situazione precedente, i dati dell’Osservatorio epidemiologico della Regione Lazio, richiamati dai ricorrenti, non appaiono rilevanti ai fini della dimostrazione dell’affermata incidenza della realizzazione del progetto sulla salute umana, trattandosi di dati risalenti al 1997 e quindi riferiti alla situazione ambientale determinata dal precedente impianto alimentato ad olio combustibile.


Il motivo non può, in conclusione, essere condiviso.


2.4.- Con il quarto motivo di censura deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della L. n. 349/1986, atteso che il decreto, sulla sola base di una stima effettuata dalla stessa ENEL s.p.a., ossia dell’impresa proponente l’operazione in oggetto, in maniera eccessivamente semplicistica, concluderebbe sul punto evidenziando che il rischio per la salute umana sarebbe praticamente trascurabile, mentre, invece, il Ministero si sarebbe dovuto avvalere, ai predetti fini, dei servizi tecnici dello Stato e dei servizi delle A.U.S.L. nonché della collaborazione con enti pubblici specializzati operanti a livello nazionale e con gli istituti universitari.


Il detto motivo è infondato.


L’ENEL s.p.a., quale ente proponente il progetto, ha prodotto uno studio sanitario della popolazione ante operam sulla base delle statistiche nazionali, regionale e locali; in particolare, ha utilizzato le statistiche elaborate dall’ASP Lazio-Agenzia di sanità pubblica della Regione Lazio del 2002, che ha predisposto una analisi dei dati di mortalità locali sia a livello di azienda sanitaria ( dati 1995-1996 e 1997-1998) che di Comune di residenza ( dati 1993-1996); ha, inoltre, provveduto ad effettuare una stima del rischio sanitario derivante dall’esposizione umana alle emissioni inquinanti provenienti dalla centrale sia con riferimento all’esposizione inalatoria che all’esposizione a contaminanti al suolo.


L’art. 2, co. 3, del D.P.C.M. 27.12.1988 dispone, relativamente alla documentazione da presentare in allegato alla domanda di parere di compatibilità ambientale da parte del Ministero dell’ambiente che “ l’esattezza delle allegazioni è attestata da apposita dichiarazione giurata resa dai professionisti iscritti agli albi professionali, ove esistenti, ovvero dagli esperti che firmano lo studio di impatto ambientale”; detta norma è finalizzata a garantire la veridicità e l’esattezza dei dati forniti da parte degli esperti di fiducia dell’ente proponente il progetto, con la conseguenza che i professionisti che sottoscrivono le relazioni e le perizie giurate allegate al progetto, nel caso di riscontro negativo da parte delle amministrazioni competenti, rispondono della eventuale non veridicità ed esattezza di quanto affermato nelle relative sedi civile e penale.


Peraltro, ai sensi dell’art. 6, co. 4, del D.P.C.M. 27.12.1988, “ ove sia verificata la incompletezza della documentazione presentata, il Ministero dell’ambiente provvede a richiedere, possibilmente in una unica soluzione, le integrazioni necessarie”.


E’ quindi del tutto legittimo che il Ministero si sia basato, anche per la valutazione del rischio sanitario, sui dati forniti dall’ENEL, salvo l’onere di verificarne l’esattezza, la rilevanza e la completezza in sede istruttoria.


Nel caso in esame il decreto di compatibilità ambientale n. 680 del 6.11.2003 del Ministero dell’ambiente è stato emesso sulla base del conforme parere della Commissione VIA, quale speciale organo consultivo istituito presso il Ministero e costituita da qualificatissimi esperti che collaborano in stretta sintonia con istituti di ricerca quali ENEA, CNR, ISPESL ed Università, rilasciato dopo una approfondita e lunga istruttoria iniziata il 23.4.2002 nel corso della quale è stata verificata l’attendibilità di tutta la documentazione prodotta dall’ENEL.


2.5.- Con il quinto motivo di censura deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, co. 4, della L. n. 349/1986, atteso che, nonostante la riconosciuta esistenza di una situazione di criticità per alcuni elementi inquinanti, detta circostanza non sarebbe stata riconosciuta avente valenza ostativa all’emissione del parere ambientale positivo, sebbene con prescrizioni, in considerazione del fatto che le popolazioni insistenti nei territori interessati sarebbero state, in periodi precedenti, esposte a concentrazioni di emissioni inquinanti ancora superiori
Il Ministero dell’ambiente avrebbe potuto approvare il progetto in questione a condizione che venissero apportate le necessarie modificazioni ai fini della tutela della salute umana, mentre nel caso di specie, in modo contraddittorio, pur essendo stata riconosciuta la non compatibilità del progetto, lo stesso sarebbe stato, tuttavia, comunque, approvato.

Il detto motivo è infondato.


Viene in sostanza dedotta la contraddittorietà del comportamento tenuto da parte del Ministero dell’ambiente il quale si è favorevolmente espresso al termine della procedura di VIA, dopo avere riconosciuto la pericolosità delle emissioni inquinanti della nuova centrale, cui si è ritenuto di poter ovviare con delle semplici prescrizioni relative all’esercizio dell’impianto.
Tuttavia l’art. 6, co. 2, del D.P.C.M. 27.12.1988 statuisce che “ l’istruttoria si conclude con parere motivato, tenuto conto degli studi effettuati dal proponente e previa valutazione degli effetti, anche indotti, dell’opera sul sistema ambientale, raffrontando la situazione esistente al momento della comunicazione con la previsione di quella successiva. La commissione identifica, inoltre, se necessario, le eventuali prescrizioni finalizzate alla compatibilità ambientale del progetto”.


Pertanto la circostanza che, a seguito di una approfondita istruttoria, sia emersa tutta una serie di fattori potenzialmente inquinanti, non assume valenza preclusiva all’adozione di un decreto di compatibilità ambientale favorevole, potendo essere il relativo giudizio favorevole legittimamente adottato in relazione alla deteriore situazione preesistente e assistito da prescrizioni- come previsto dal richiamato art. 6, co. 2, del D.P.C.M. del 27.12.1988.


Il decreto, infatti, formula il conclusivo parere favorevole con l’articolazione di tutta una serie di prescrizioni specifiche e puntuali, condizionanti, addirittura, l’inizio dei lavori di realizzazione della nuova centrale, dalle quali emerge come, per tutte le relative fattispecie di rischio, siano state previste le relative modalità di ordine tecnico dirette a prevenirne o, comunque, a ridurne i possibili effetti nocivi conseguenti.


Deve al riguardo ritenersi che la presenza di prescrizioni e condizioni in seno ad una valutazione di impatto ambientale non può essere automaticamente assunta come indice, e tanto meno come prova da sola sufficiente, dell'esistenza di vizi di incompletezza ed insufficienza negli studi compiuti al riguardo dall'ente proponente, nè vale di per sè a denotare l'inidoneità del progetto originario a ricevere una valutazione comunque sufficiente.” ( T.A.R. Lazio, sez. I, 31 maggio 2004, n. 5118), poiché l’amministrazione, essendo titolare di un potere pieno di valutazione e di conformazione della decisione sull'opera, in presenza di manchevolezze del progetto per le quali l'opera appare di dubbia compatibilità ambientale non deve necessariamente esprimere una VIA negativa, ma deve, invece, valutare la possibilità di prescrivere misure mitigative o modifiche al progetto.


Tale conclusione è giustificata da un insieme di elementi di diritto positivo tra loro concordanti, che vale la pena indicare appresso.


L'art. 6 l. n. 349, cit. qualifica la pronuncia ministeriale sull'impatto ambientale come valutazione e solo qualche volta, per una vischiosità di linguaggio normativo, come parere. Questo fa configurare l'attività della amministrazione come provvedere.


L'art. 18 comma 5 l. 11 marzo 1988, n. 67 ha istituito un organo specializzato a composizione tecnica, competente per la istruttoria sulle domande di valutazione: la Commissione per la valutazione dell'impatto ambientale di cui già si è detto prima. La legge ha determinato anche lo status e il compenso per i membri di tale organo. È evidente che se la amministrazione centrale è stata dotata di specifici mezzi di carattere organizzativo, tra l'altro comportanti oneri economici per la collettività, è da pensarsi che non si giustifichi da parte di essa un puro e limitato controllo di adeguatezza sulla domanda presentata da chi propone l'opera, ma siano invece doverose istruttore penetranti, attente alla oggettività dei fatti al fine di pervenire alla definizione di soluzioni compatibili con la tutela dell’ambiente.


Ed infatti Il d.P.C.M. 27 dicembre 1988, nel dettare una disciplina minuziosa della istruttoria, al comma 2 dell'art. 6 esplicitamente prevede che la Commissione, ove sia necessario, debba formulare le prescrizioni finalizzate alla compatibilità ambientale del progetto, il che, evidentemente collega alla sede della valutazione governativa sulla compatibilità ambientale, un potere ad esercizio necessario di emendare i progetti, ove carenti o insoddisfacenti.


Tutto ciò, peraltro, costituisce modalità attuativa obbligata dalla direttiva Cee 85/377, così come modificata dalla successiva 3 marzo 1997, n. 11, per cui le autorità, nel rilasciare, o nel negare l'autorizzazione dell'opera, devono dare una «descrizione delle principali misure utili per prevenire, ridurre e se possibile compensare gli effetti negativi.


2.6.- Con il sesto motivo di censura deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, e dell’art. 6, co. 4, della L. n. 349/1986 sotto altro profilo, ossia per l’illegittimità della prescrizione inerente alle emissioni di CO2, con il quale si fissa un limite – rappresentato dalle emissioni derivanti dalla precedente configurazione ad olio combustibile- rinviando, tuttavia, ad un futuro accordo relativo alla riduzione delle emissioni di gas serra, di contenuto del tutto imprecisato, in quanto, peraltro, non accompagnata da alcun meccanismo di controllo effettivo nonché delle ulteriori prescrizioni relative alle emissioni di mercurio e nichel, relativamente alle quali emissioni, con riferimento al mercurio veniva espressa perplessità sulla possibilità di contenimento delle stesse nel valore dichiarato, con controlli, peraltro, effettuati solo con cadenza annuale e con conseguenti interventi, pertanto, sempre in ritardo almeno di un anno.


Il motivo è volto, in sostanza, a ribadire quanto dedotto con il precedente circa la asserita incompatibilità del progetto con la tutela dell’ambiente e della salute, che n on potrebbe essere legittimamente superata dall’imposizione di prescrizioni relative a limiti di emissione da osservare in sede di esercizio dell’impianto.


In proposito possono, pertanto, richiamarsi le considerazioni svolte nel precedente punto 2.5., con le ulteriori osservazioni che seguono.


Per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, deve rilevarsi che si tratta di sostanza presente nell’atmosfera e non dannosa alla salute, la cui produzione su scala mondiale va peraltro limitata, in base al protocollo di Kyoto, in quanto responsabile del c.d. “effetto serra”. Appare, quindi, non illogico che si sia stabilito che tali emissioni debbano essere contenute entro valori antecedenti alla riconversione della centrale, sino ad un nuovo accordo tra l’ENEL e il Ministero dell’ambiente finalizzato al raggiungimento degli obiettivi comunitari e nazionali in materia di riduzione delle emissioni di gas serra.


Circa le emissioni di mercurio e di nichel , i ricorrenti non denunciano la violazione dei limiti prescritti dalla normativa vigente in materia e comunque, su richiesta del Ministero della salute, in sede di conferenza di servizi del 29.10.2003 presso il Ministero delle attività produttive, così come riportato nell’autorizzazione unica finale del detto Ministero, sono stati fissati limiti di emissione, in modo ancora più restrittivo di quanto previsto in sede di parere di compatibilità ambientale.


Quanto alla asserita insufficienza dei controlli sulle emissioni e sull’inquinamento atmosferico, in disparte la considerazione che si tratta di censura attinente al merito di valutazioni tecnico-discrezionali riservate alla competenza dell’Amministrazione e, pertanto, inammissibile, è stata prevista la costituzione di un apposito Comitato di controllo presso il Ministero dell’ambiente, “ con la funzione di verificare, entro due mesi dalla ricezione della documentazione, l’adeguatezza degli elaborati presentati e di stabilire le ulteriori modalità di controllo in corso di opera”.


E’ stata, altresì, prevista anche una serie complementare di prescrizioni relative al monitoraggio della nuova centrale in esercizio, consistente in strumenti di misura in continuo delle emissioni installati sui camini dei singoli gruppi con una rete di rilevamento composta da 12 postazioni installate fino a 12 KM. dalla centrale, con la conseguente trasmissione in tempo reale dei relativi dati e con ulteriore potenziamento dell’esistente strumentazione di monitoraggio e rilevamento della qualità dell’aria.


Anche tale motivo va, in conclusione, respinto.

3) Motivi aggiunti avverso il decreto del Ministero delle attività produttive n. 55/02/2003 del 24.12.2003 di autorizzazione all’ENEL s.p.a. alla riconversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia.

3.1- Illegittimità in via principale e derivata per le medesime ragioni di cui al ricorso introduttivo ed al primo ricorso per motivi aggiunti.


Il motivo è infondato per le considerazioni già esposte in sede di esame dei predetti ricorsi.


3.2.- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 1, del D.L. n. 7 del 7.2.2002.


In particolare l’autorizzazione unica prevista dalla predetta norma non sarebbe stata preceduta dalla necessaria intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, richiesta ai fini dell’attribuzione dell’eccezionale potere de quo al Ministero.


La previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni non costituisce una fase interna al singolo procedimento autorizzatorio e pertanto non deve essere acquisita relativamente ad ogni singolo progetto di costruzione o di ammodernamento delle centrali elettriche di cui al citato D.L. n. 7 del 7.2.2002, ma ha la funzione esclusiva di fissare i criteri generali di valutazione dei progetti presentati ai sensi della citata normativa.


Né la formulazione sintattica della citata norma consente di ritenere necessaria la predetta intesa per ogni singolo e specifico, seppure minimo, progetto inerente le detti centrali elettriche.


Detta intesa, in particolare, è stata raggiunta con l’accordo in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni, Città ed autonomie locali del 5.9.2002, pubblicato nella G.U. n. 220 del 19.9.2002- “Accordo tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane per l’esercizio dei compiti e delle funzioni di rispettiva competenza in materia di produzione dell’energia elettrica”- che, nell’Allegato A, ha stabilito i criteri generali di valutazione dei progetti in questione da utilizzare al fine di verificare la maggiore o minore corrispondenza delle singole richieste di autorizzazione delle centrali elettriche alle esigenze di uno sviluppo omogeneo e compatibile del sistema elettrico nazionale, assicurando il coordinamento dell’esercizio delle rispettive competenze amministrative nella materia della produzione dell’energia elettrica ai fini di un ottimale svolgimento dei relativi compiti istituzionali, stabilendo, peraltro, che le amministrazioni procedano all’esame delle richieste di autorizzazione secondo l’ordine di presentazione.


Peraltro il riconoscimento dei due distinti livelli del raccordo tra il Governo centrale e le autonomie - il primo relativo alla previa determinazione dei criteri che presiedono la programmazione di interventi in materia di modifica e ripotenziamento di impianti di produzione di energia elettrica su tutto il territorio nazionale, per la quale è richiesta la previa intesa in sede di Conferenza permanente, ed il secondo, invece, relativo al singolo procedimento amministrativo finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica del singolo impianto, per il quale è sufficiente l’intesa con la Regione interessata, ossia con la regione nel cui territorio deve essere realizzato l’impianto-, è stato espressamente effettuato nell’ambito della più volte citata sentenza della Corte Costituzionale n. 6/2004, nella parte in cui ha ritenuto l’adeguatezza dei detti due livelli di partecipazione delle Regioni, di cui, il primo, all’art. 1, co. 1, ed il secondo, all’art. 1, co. 2.


La Conferenza Unificata, pur essendo indubbiamente un organo distinto ed autonomo rispetto alla Conferenza permanente Stato-Regioni cui fa espresso e specifico riferimento la norma di legge invocata, tuttavia, è un organo che, ai sensi degli artt. 8 e 9 del D.Lgs. n. 281 del 28.8.1997, che ne ha disciplinato e definito composizione, compiti e modalità organizzative ed operative, riunisce in sé sia la Conferenza Stato-regioni che la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, ed in quanto tale si manifesta come un tavolo più ampio di confronto e decisione per le materie di interesse comune delle regioni e degli enti locali.


La circostanza che, pertanto, l’accordo sia stato raggiunto tra le parti previste dalla legge, in una sede che comprende anche la Conferenza Stato-Regioni, rende irrilevante, ai fini della legittimità del decreto impugnato, il fatto che ciò sia avvenuto in una sede istituzionale non perfettamente corrispondente a quella individuata nella normativa speciale sulla materia.


L’individuazione della Conferenza unificata come la sede istituzionalmente deputata al confronto sui detti temi è stata, peraltro, espressamente effettuata in sede di “ Accordo recante intesa interistituzionale tra stato, regioni ed enti locali , ai sensi dell’art. 9, co. 2, lett. c, del D.Lgs. n. 281 del 28.8.1997”, di cui al P.C.M. att. Rep. n. 576 del 20.6.2002, a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche introdotte sul Titolo V della Costituzione da parte della L. Cost. n. 3/2001, che ha determinato un ampliamento del ruolo delle autonomie.



3.3.- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del citato D.L. n. 7 del 7.2.2002, nella parte in cui prevede che l’autorizzazione unica viene rilasciata “a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241”, atteso che, appunto, il coinvolgimento in seno al relativo procedimento amministrativo degli enti territoriali interessati sarebbe non solo obbligatorio ma anche da attuarsi su specifica e puntuale iniziativa da parte dell’amministrazione procedente; nella specie non potrebbe ritenersi che il Ministero vi abbia correttamente provveduto con la sola convocazione del Comune di Civitavecchia, nel cui territorio l’impianto deve essere realizzato, atteso che deve ritenersi che, tra le amministrazioni interessate da convocare obbligatoriamente, andassero computati anche i Comuni ricorrenti, in quanto addirittura maggiormente interessati dello stesso Comune di Civitavecchia in ordine alle possibili ricadute sull’ambiente e sulla salute umana conseguenti all’emissione di polveri inquinanti pericolose trasportate lontano dall’altissimo camino della centrale ( di oltre 250 mt. proprio al fine di diluire le emissioni nella area più vasta possibile).

Si premette che al fine del rilascio della autorizzazione alla costruzione di una centrale elettrica , l’art. 1 del d.l. 7 febbraio 2002 n. 7, conv. dalla l. 9 aprile 2002 n. 55, prevede la convocazione di una conferenza di servizi di natura istruttoria, essendo il rilascio della autorizzazione di competenza del ministero delle attività produttive. ( Consiglio Stato, sez. VI, 4 giugno 2004, n. 3505).


Le disposizioni di cui al richiamato art. 1, del D.L. n. 7 del 7.2.2002, nel testo modificato in sede di conversione con la L. n. 55/2002, introducono una normativa speciale derogatoria delle ordinarie competenze amministrative nella materia, che riserva un ruolo particolare esclusivamente al Comune nel cui territorio devono essere realizzate le opere previste in progetto; detto ruolo si concretizza nell’espressione di un parere obbligatorio motivato da acquisirsi nel corso della relativa istruttoria per il rilascio dell’autorizzazione unica da parte del Ministero delle attività produttive.


La previsione del detto parere motivato non solo da parte del Comune di cui sopra ma anche da parte della singola Provincia interessata, individuata sulla base del medesimo criterio territoriale di cui sopra, assicura in modo indubbio un sufficiente coinvolgimento degli enti locali in relazione agli interessi dei quali gli stessi siano portatori ed alle funzioni amministrative relative ai medesimi affidati dalle norme di legge in materia ( come, peraltro, testualmente riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la già citata recente sentenza n. 6/2004 del 16.1.2004, di cui si dirà anche di seguito); gli interessi delle popolazioni residenti nei territori dei Comuni limitrofi a quello nel cui territorio ricadono le opere sono stati, pertanto, ritenuti, ai sensi della richiamata normativa, adeguatamente tutelati dalla partecipazione al procedimento della Provincia e della Regione.


La locuzione “ amministrazioni interessate” di cui all’art. 1, comma 2 non può, pertanto, legittimamente estendersi anche ai Comuni ricorrenti, in quanto, al di fuori del criterio strettamente territoriale, di cui il successivo comma 3 ha fatto applicazione nel riconoscere la partecipazione necessaria del Comune nel cui territorio debbono sorgere le opere in oggetto, l’applicazione delle regole sulla partecipazione procedimentale dipenderebbe,diversamente opinando da criteri non certi e predeterminati con le conseguenti necessarie incertezze di tipo applicativo in ordine all’individuazione dei soggetti da coinvolgere nell’espletamento della Conferenza di servizi, di cui al citato art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002, propedeutica alla decisione finale in ordine all’autorizzazione unica alla realizzazione di detti impianti.


In particolare, nel caso in esame, l’individuazione delle amministrazioni locali da convocare obbligatoriamente ai fini del legittimo svolgimento della detta conferenza di servizi dipenderebbe da alcune circostanze, quali appunto quella in concreto dedotta dell’altezza eccessiva del camino della nuova centrale e dunque dell’area di ricaduta delle emissioni inquinanti della stessa, di mero fatto che si presentano estranee alla logica giuridica sottesa della norma invocata; la quale, peraltro, in modo estremamente chiaro, come in precedenza evidenziato, individua, all’art. 1, co. 3, tra i pareri da acquisire obbligatoriamente in sede di conferenza di servizi soltanto quelli della Provincia e del Comune nel cui territorio ricadono le opere, limitandosi a statuire al successivo comma 3, che la regione competente possa promuovere accordi tra il proponente il progetto e gli enti locali interessati dagli interventi realizzativi per la sola individuazione di misure di compensazione e di riequilibrio ambientale.
L’interpretazione prospettata in questa sede è conforme all’orientamento espresso in precedenza dalla giurisprudenza amministrativa sul punto, sebbene su di una fattispecie disciplinata da una norma diversa, ossia dal D.P.R. 11 febbraio 1998, n. 53, contenente il “ Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi alla autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti convenzionali a norma dell’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59” –che regolamenta l'articolata procedura autorizzatoria per le centrali elettriche non appartenenti all'ENEL- al cui riguardo detta giurisprudenza ha avuto modo di specificare che la qualità di "comuni interessati" di cui agli artt. 2 comma 4 e 3 comma 2 del d.p.r. n. 53/1998 va interpretata con riferimento al comune in cui è localizzata la centrale elettrica, non a quelli comunque esposti potenzialmente alle emissioni provenienti dall'impianto e che ove si interpretasse la locuzione “comuni interessati” al di fuori del riferimento territoriale al comune in cui ha sede l'impianto ne deriverebbe una incertezza sui soggetti da coinvolgere nelle conferenze di servizi propedeutiche alla decisione. ( Consiglio Stato, sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316).

3.4.- in via subordinata, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 2, del D.L. n. 7 del 7.2.2002, come definitivamente modificato in sede di conversione, se interpretato nel senso di limitare l’amministrazione locale interessata al solo Comune presso il cui territorio dovrà essere effettuato l’intervento in questione, per violazione dell’assetto delle competenze istituzionale degli enti territoriali di base che impone la leale collaborazione tra gli stessi nell’esercizio in forma congiunta dei poteri spettanti.

Il criterio di individuazione delle “ amministrazioni locali interessate” di cui all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002, propugnato dai Comuni ricorrenti, e basato sul tipo di provvedimento da adottare e sugli effetti che lo stesso è destinato a produrre in capo alle popolazioni, e non invece sull’unico criterio del luogo in cui materialmente deve essere realizzato l’impianto, non risponde all’interpretazione letterale e logico-giuridica della norma citata e comunque, è stato sconfessato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 6/2004, nella parte in cui ha ritenuto che l’intesa con la Regione interessata assicuri il necessario coinvolgimento delle stesse nell’ambito del procedimento in oggetto, caratterizzato, peraltro, nell’assetto delle competenze amministrative nello stesso stabilito in deroga alle norme ordinarie, in modo significativo dalla finalità specifica di assicurare la necessaria celerità al fine di evitare l’interruzione della fornitura dell’energia elettrica su tutto il territorio nazionale.

3.5.- violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, del citato D.L. n. 7 del 7.2.2002, nella parte in cui statuisce che “ l’istruttoria si conclude una volta acquisita la VIA” e che l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero delle attività produttive “ d’intesa con la Regione interessata”, atteso che l’intesa con la Regione Lazio sarebbe stata raggiunta con la deliberazione della Giunta regionale del Lazio del 17.10.2003, acquisita nella riunione conclusiva della Conferenza di servizi del 29.10.2003 e, pertanto, precedentemente all’emanazione del decreto ministeriale di VIA del 6.11.2003, e, dunque, prima della formale chiusura dell’istruttoria relativa, mentre l’intesa attiene, invece, alla successiva fase decisionale, che presuppone, pertanto, proprio la conclusione di detta fase istruttoria.


Non si tratterebbe, pertanto, di una vera e propria intesa definitiva, anche in considerazione delle perplessità anche successivamente manifestate da parte della Regione alla realizzazione del progetto in questione, come da verbale dell’ordine del giorno del Consiglio regionale del 10.12.2003, e perciò appunto in data successiva, da valutarsi alla stregua di provvedimento di revoca della predetta intesa.

E’ irrilevante la circostanza che il decreto ministeriale di compatibilità ambientale sia stato formalmente adottato alla data del 6.11.2003, successiva allo svolgimento della conferenza di servizi (29.10.2003), atteso che erano stati acquisiti agli atti dell’istruttoria della detta conferenza sia il parere della Commissione VIA n. 545 del 24.7.2003 sia la dichiarazione del rappresentante del Ministero dell’ambiente della Direzione VIA che dava atto della circostanza che il detto decreto si trovava alla firma del Ministro ( come si evince testualmente dal resoconto verbale della riunione conclusiva della conferenza di servizi del 29.10.2003), sia il parere del Ministro dei beni culturali che ha confermato e ribadito il parere favorevole della competente Sovrintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale- dovendosi, pertanto, ritenere conclusa la istruttoria relativa al subprocedimento di VIA in epoca antecedente alla data di convocazione della conferenza di servizi conclusiva.
Va considerato, inoltre, che il decreto ha, nella sua definitiva stesura sottoposta alla sottoscrizione dei Ministri competenti in data 6.11.2003, pedissequamente riprodotto il richiamato parere della Commissione VIA, cui, pertanto, non sono state apportate in alcun modo modificazioni di sorta, come da specifica dichiarazione resa dal rappresentante del Ministero dell’ambiente, ossia dal Direttore generale del Dipartimento per la protezione ambientale- Direzione VIA in sede di conferenza di servizi in data 29.10.2003.


La Regione Lazio, poi, è intervenuta nel procedimento in due diversi momenti, essendo, in primo luogo, tenuta al rilascio del parere di compatibilità ambientale di competenza in sede di procedimento di VIA presso il Ministero dell’ambiente ( in concreto emesso, a seguito di una propria istruttoria, con deliberazione dirigenziale prot. n. B1058 in data 27.5.2003, trasmessa al Ministero con la nota di accompagnamento del 5.6.2003) e, quindi, dovendo esprimere la propria intesa, che assume valore vincolante ai fini della realizzazione concreta del progetto, in sede di conferenza di servizi presso il Ministero delle attività produttive.


Con riferimento a questa seconda fase, deve rilevarsi che il parere della Commissione VIA n. 545 del 24.7.2003 è stato trasmesso alla Regione in data 10.9.2003 a cura della stessa direzione VIA del Ministero, con nota di accompagnamento prot. n. 10302/VIA/2003, che comunicava l’esito favorevole della relativa procedura nonché l’avviata predisposizione del decreto ministeriale di concerto ai fini del completamento del procedimento di competenza.


Da quanto precede emerge con certezza che l’intesa espressa dalla Regione Lazio in sede di riunione finale della conferenza dei servizi in data 29.10.2003, in base alla relativa autorizzazione di cui alla delibera regionale del 17.10.2003, è sopraggiunta a conclusione dell’istruttoria, le cui risultanze definitive erano già pienamente conosciute dalla Regione stessa.


Quanto all’ordine del giorno del Consiglio regionale del Lazio del 10.12.2003, nella parte in cui impegna la Giunta regionale a continuare il confronto con i Comuni, rappresenta un mero impegno sul piano politico o comunque rientra tra le attività di controllo dell’ente sui risultati dell’attività autorizzata, concretizzandosi nella garanzia del diritto alla salute ed alla salubrità dell’ambiente dei cittadini realizzata attraverso la verifica degli esiti dell’attività di costante monitoraggio delle emissioni inquinanti; esso, pertanto, non avendo valenza prescrittiva, non assume valenza indicativa della contraddittorietà del comportamento tenuto dalla Regione nella vicenda di cui trattasi, non riscontrandosi nello stesso le caratteristiche formali e sostanziali necessarie a concretizzare la revoca della precedente deliberazione consiliare contenente l’autorizzazione al rappresentante della Regione di esprimere in sede di conferenza di servizi l’intesa della stessa ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002.

3.6.- illegittimità per eccesso di potere dell’art. 2 dell’impugnato decreto ministeriale, nella parte in cui specifica che “ la costruzione della centrale e delle opere connesse dovrà avvenire in conformità al progetto preliminare approvato nel corso dell’istruttoria. La presente autorizzazione è, altresì, subordinata al rispetto delle prescrizioni formulate dalle Amministrazioni interessate”.


Le prescrizioni apposte in sede di Via, infatti, illegittimamente riguarderebbero non correttivi da apportare al progetto, bensì correttivi inerenti alle modalità di esercizio della nuova centrale, in attesa di trovare la mancante soluzione tecnica al fine di evitare che i paventati rischi per la salute umana conseguenti alle emissioni inquinanti si concretizzino.


Il motivo ripropone doglianze già dedotte nei confronti del giudizio di compatibilità ambientale emesso dal Ministero dell’ambiente e già esaminate e respinte al punto 2.5.


A quanto già osservato può aggiungersi che l’autorizzazione unica di cui all’art. 1 del D.L. n. 7 del 7.2.2002 riguarda non solo la realizzazione e quindi la costruzione della nuova centrale elettrica ma anche il suo esercizio, avendo ad oggetto l’attività di produzione dell’energia elettrica, pertanto, legittimamente sono state apposte prescrizioni condizionanti l’autorizzazione inerenti non solamente alla fase della realizzazione e pertanto della costruzione della centrale ma anche a quella successiva del suo esercizio, in quanto l’autorizzazione unica che viene rilasciata a conclusione del procedimento complesso attiene proprio all’attività di produzione di energia elettrica rispetto alla quale deve essere valutata la compatibilità ambientale, assicurando, peraltro, anche un costante adeguamento ai progressi della tecnologia in materia di controllo delle emissioni inquinanti.


4) Ulteriori motivi aggiunti avverso il decreto del Ministero delle attività produttive n. 55/02/2003 del 24.12.2003 di autorizzazione all’ENEL s.p.a. alla riconversione a carbone della centrale elettrica di Torrevaldiga Nord a Civitavecchia.


- Illegittimità derivata dalla carenza istruttoria del decreto di compatibilità ambientale n. 680 del 6.11.2003, nella parte in cui ha pedissequamente seguito quanto dedotto nella stima presentata dall’ENEL sp.a., ossia dall’ente proponente il progetto, senza alcun controllo o verifica sull’esattezza dei relativi dati, alla luce della CTU disposta dal Tribunale di Civitavecchia, adito dal Comune di Ladispoli, ai sensi dell’art. 700 c.p.c..


Questi ultimi motivi aggiunti, notificati in data 28 dicembre 2004 sono volti a denunciare asserite carenze istruttorie della valutazione di impatto ambientale e traggono ragione da una CTU disposta nel corso del sopramenzionato giudizio civile al fine di stabilire se “i valori di emissione e i valori di concentrazione al suolo (qualità dell’aria) previsti siano superiori a quelli stabiliti dalle normative statale o comunitarie”.


Tali motivi ripropongono in buona sostanza questioni già proposte con i precedenti mezzi di gravame e che sono state già ritenute infondate.


Il Collegio ritiene che anche questi ulteriori rilievi non possano essere condivisi.


Va in primo luogo rilevato che il giudizio conclusivo dei consulenti, pur critico nei confronti del procedimento e dell’istruttoria svolta e pur evidenziando l’esistenza di inaccettabili livelli (attuali) di inquinamento, afferma che “gli elementi disponibili per la valutazione dell’impatto del progetto sulla qualità dell’aria e sulla salute della popolazione non sono sufficienti per un giudizio di non nocività” e che “ non è possibile stabilire se effettivamente la riconversione della centrale di Torre Valdaliga Nord possa determinare o meno un danno alla salubrità ambientale”.


Risulta, pertanto evidente che i rilievi formulati dai consulenti e proposti in questa sede come motivi aggiunti non sono tali da inficiare la legittimità delle valutazioni tecnico-discrezionali compiute dall’Amministrazione.


Trattasi infatti di questioni o già esaminate in relazione a precedenti motivi (emissioni di mercurio e anidride carbonica; inattendibilità di dati forniti dall’ENEL) o di scarso rilievo in questa sede (dati sanitari e rilevamenti dell’inquinamento relativi alla precedente configurazione dell’impianto) o basate su affermazioni generiche o non dimostrate (obsolescenza dei parametri indicati dall’ENEL per il rilevamento delle polveri sospese; aumento della emissione di polveri; compromissione per il futuro della situazione sanitaria della popolazione).


E) Domanda di pronuncia dichiarativa del diritto dei Comuni ricorrenti a non subire immissioni eccedenti la normale tollerabilità, ai fini della protezione della salute dei propri cittadini.


Tale domanda è stata proposta col ricorso introduttivo nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia introdotta dall’art. 34 del D.Lvo 31.31998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lett. a) della legge 21.7.2000, n. 205 ed è stata poi confermata nella memoria conclusiva, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 6.7.2004, n. 204, in base al comma 552 della legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), che ha ristabilito detta giurisdizione esclusiva nella materia “de qua”, disponendo che “le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2003, n. 55, e le relative questioni risarcitorie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.


Trattasi in sostanza, non della richiesta di una sentenza meramente dichiarativa bensì di una vera e propria azione inibitoria dell’attività di costruzione della nuova centrale a tutela del diritto alla salute dei cittadini residenti nei Comuni limitrofi, come si desume dal richiamo ai “parametri normalmente impiegati nell’interpretazione dell’art. 844 c.c.”, contenuto nella memoria conclusiva.


La domanda non può essere accolta, poiché, a parte ogni questione relativa alla natura dell’azione ex art. 844 c.c., pacificamente rientrante fra le azioni negatorie di natura reale a tutela della proprietà, esperibile dal proprietario del fondo danneggiato (cfr., ex multis, Cass. S.S.U.U. 9.4.1973, n. 999; Sez. II, 23.3.1996, n. 2598; Sez. II, 4.8.1995, n. 8602), essa risulta proposta in base al generico assunto che le emissioni della nuova centrale supereranno la normale tollerabilità, senza fornire alcun principio d prova in ordine alla eventuale violazione di limiti stabiliti dalle vigenti norme statali o comunitarie, tenendo conto delle prescrizioni e delle condizioni imposte dal Ministro delle Attività Produttive in sede di autorizzazione.


Né, in proposito, risulta significativa la CTU presentata al Tribunale Civile di Civitavecchia, di cui si è trattato in relazione agli ultimi motivi aggiunti, che, come si è visto, non ha ritenuto di poter pervenire a conclusioni certe in ordine ad eventuali danni alla salubrità dell’ambiente.


Per le esposte considerazioni i ricorsi, con i successivi motivi aggiunti, devono essere respinti.


Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda bis, riuniti i ricorsi in epigrafe, li respinge.


Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.


Così deciso in Roma il 14.4.2005, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei signori magistrati:


- Patrizio Giulia, Presidente
- Renzo Conti, Consigliere
- Maria Cristina Quiligotti, Primo Referendario estensore

Presidente

Estensore
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

1) Inquinamento – Impianto industriale – Progetto – Impugnazione – Legittimazione – Dimostrazione della concreta pericolosità dell’impianto – Necessità – Esclusione. La legittimazione processuale attiva del Comune avverso gli atti autorizzativi della realizzazione di un impianto industriale, non si può subordinare alla dimostrazione della concreta pericolosità dell'impianto stesso, dovendosi reputare sufficiente la prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle vicinanze (cfr. Cons. Stato, VI, 5.12.2002, n. 6657). Ciò, in quanto la questione della concreta pericolosità dell'impianto, valutata alla luce dei parametri normativi, è questione di merito, mentre, al fine di radicare la legittimazione e l'interesse ad impugnare è sufficiente la prospettazione di temuti effetti nocivi sul territorio. Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481

2) V.I.A. – Procedimento di V.I.A. – Comunicazione personale dell’avvio del procedimento – Art. 7 L. 241/90 – Applicabilità – Esclusione. L’art. 7 della L. n. 241/1990, nella parte in cui prevede l’obbligo per l’amministrazione procedente di dare previa comunicazione personale dell’avvio procedimentale al diretto interessato, non si applica alla procedimento di VIA, attesa la specialità della disposizione di cui all’art. 6, co. 3, della l. n. 349/1986. Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481

3) V.I.A. – Progetti di opere soggette a V.I.A. – Osservazioni – Rigetto – Analitica confutazione – Necessità – Esclusione. Le osservazioni sui progetti di opere soggette a V.I.A., configurandosi come un apporto collaborativo fornito all’Amministrazione da chiunque vi abbia interesse (cfr. art. 6, comma 9, l. n. 349/86), non richiedono, in caso di rigetto, una dettagliata confutazione, essendo sufficiente che dagli atti del procedimento risulti che sono state valutate e una sintetica motivazione della valutazione negativa, che non deve necessariamente investire ogni singola argomentazione del proponente. Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481

4) V.I.A. – Sindacato del giudice amministrativo – Limiti. In tema di V.I.A., il sindacato del giudice amministrativo è circoscritto da limiti particolarmente rigorosi, dal momento che le decisioni degli enti competenti rientrano tra le valutazioni tecniche riservate all’Amministrazione, in quanto titolare di una specifica competenza legata alla tutela di particolari valori costituzionali, come si desume dall’art. 17, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, che dispone la non surrogabilità delle valutazioni tecniche spettanti alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5.3.2001, n. 1207). Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481

5) Inquinamento – Energia – D.L: 7/2/2002 – Previa intesa in sede di conferenza Stato-Regioni – Acquisizione relativamente ad ogni singolo progetto – Non è richiesta. La previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni non costituisce una fase interna al singolo procedimento autorizzatorio e pertanto non deve essere acquisita relativamente ad ogni singolo progetto di costruzione o di ammodernamento delle centrali elettriche di cui al D.L. n. 7 del 7.2.2002, ma ha la funzione esclusiva di fissare i criteri generali di valutazione dei progetti presentati ai sensi della citata normativa. Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481

6) Inquinamento – Energia – D.L. 7/2/2002 – Interventi di modifica degli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW – Procedimento autorizzatorio - Amministrazioni interessate – Comuni limitrofi – Non rientrano – Fattispecie: conversione a carbone centrale ENEL di Civitavecchia. Il D.L. n. 7 del 7.2.2002, nel testo modificato in sede di conversione con la L. n. 55/2002, ha introdotto una normativa speciale derogatoria delle ordinarie competenze amministrative nella materia. Esso, all’art. 1, c. 3, ha individuato, tra i soggetti da coinvolgere nell’espletamento della Conferenza di servizi, il Comune nel cui territorio devono essere realizzate le opere previste in progetto, nonché la provincia interessata, individuata sulla base del medesimo criterio territoriale. Gli interessi delle popolazioni residenti nei territori dei Comuni limitrofi a quello nel cui territorio ricadono le opere, sono stati ritenuti adeguatamente tutelati dalla partecipazione di Provincia e Regione. La locuzione “Amministrazioni interessate” di cui all’articolo 1, comma 2, non può pertanto legittimamente estendersi ai comuni limitrofi. (Fattispecie relativa alla conversione a carbone della centrale elettrica ENEL di Civitavecchia, la cui ricaduta di emissioni inquinanti, secondo la prospettazione attorea, avrebbe inevitabilmente interessato il territorio dei comuni limitrofi) Pres. Giulia, Est. Quiligotti – Comuni di Tolfa, Allumiere, Santa Marinella e Tarquinia (avv. Stella Richter) c. Comune di Civitavecchia (Avv. Urbani) riun. ad altro – T.A.R. LAZIO, Sez. II bis – 5 luglio 2005, n. 5481
 

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