Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005 n. 304
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
II Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti nn. 1351/97, 183/2001, 846/2001 e 429/2002 proposti da
ACS DOBFAR S.p.a.,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Pierluigi Varischi, Simona Viola, Mario
Bucello, Rosaria Daniela Stella e Maria Gabriella Bertoli, con domicilio eletto
presso lo studio di quest’ultima in Brescia, Via Aleardo Aleardi, 1/b;
a) n. 1351/97:
contro
PROVINCIA DI BERGAMO,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Enrico Codignola e
Mario Spinetti, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Brescia,
Via Romanino n. 16;
e contro
REGIONE LOMBARDIA
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Piera Pujatti, con
domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Malta n. 12;
e nei confronti di
COMUNE DI ALBANO S. ALESSANDRO
MINISTERO DELL’AMBIENTE
non costituitisi in giudizio;
per l’annullamento
del verbale della Conferenza di servizi in data 30/6/1997, recante la
sospensione dell’istruttoria avviata per il rilascio dell’autorizzazione alla
realizzazione e all’esercizio di un impianto di stoccaggio e termodistruzione di
rifiuti liquidi, in ragione del previo esperimento della procedura di
valutazione di impatto ambientale.
n. 183/2001:
contro
MINISTERO DELL’AMBIENTE
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI
costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato ed
elettivamente domiciliati presso i suoi uffici in Brescia, Via S. Caterina n. 6;
e contro
REGIONE LOMBARDIA
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Piera Pujatti e
Marco Cederle, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Donatella Mento
in Brescia, Via Gramsci n. 28;
e contro
PROVINCIA DI BERGAMO
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Giorgio Vavassori
ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Enrico Codignola in
Brescia, via Romanino n. 16;
e nei confronti di
COMUNE DI ALBANO S. ALESSANDRO,
non costituitosi in giudizio;
e nei confronti di
COMUNE DI SAN PAOLO D’ARGON,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Viviani e
Mauro Ballerini ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in
Brescia, via Moretto n. 42/A;
e nei confronti di
IMMOBILIARE GRILLO s.a.s.
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Calvi e
Giovanni Carattoni ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo
in Brescia, Corso Magenta n. 43/D;
per l’annullamento
del provvedimento adottato il 16/11/2000 dal Ministro dell’Ambiente di
concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, contenente un
giudizio positivo condizionato di compatibilità ambientale sul progetto relativo
alla trasformazione di un impianto di post-combustione in un impianto di
termodistruzione di rifiuti speciali e tossico-nocivi da realizzarsi nel Comune
di Albano S. Alessandro, oltre agli atti presupposti e connessi.
e per il risarcimento del danno
subito per effetto dei provvedimenti impugnati.
n. 846/2001
contro
PROVINCIA DI BERGAMO
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Giorgio Vavassori
ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Enrico Codignola in
Brescia, via Romanino n. 16;
e contro
REGIONE LOMBARDIA
non costituitasi in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento del Dirigente del Servizio Rifiuti della Provincia di
Bergamo in data 15/5/2001, recante la diffida dal realizzare ed esercitare
impianti di smaltimento rifiuti in assenza delle necessarie autorizzazioni,
nonchè del rapporto di servizio relativo al sopralluogo del 13/3/2001 e di ogni
altro atto connesso.
n. 429/2002:
contro
REGIONE LOMBARDIA,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Piera Pujatti e
Marco Cederle ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to
Donatella Mento in Brescia, via Gramsci n. 28;
e contro
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato ed
elettivamente domiciliato presso i suoi uffici in Brescia, via S. Caterina n. 6;
per l’annullamento
del provvedimento dirigenziale del 6/11/2001 di diniego della derubricazione
del torrente Zerra per il tratto indicato e della revisione in parte qua
dell’elenco approvato ai sensi dell’art. 1 quater della L. 8/8/1985 n. 431,
oltre ad ogni atto presupposto, connesso e conseguente.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti della causa;
Designato come relatore, alla pubblica udienza del 31/3/2005, il dott. Stefano
Tenca;
Uditi i difensori delle parti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La Società ricorrente – dedita alla produzione di sostanze chimiche per uso
farmaceutico – svolge una parte della propria attività produttiva nello
stabilimento localizzato nel Comune di Albano S. Alessandro.
Poichè l’insediamento industriale è dotato di un impianto di combustione termica
per le sole emissioni gassose, la Società ha concepito un progetto di modifica
per renderlo idoneo alle operazioni di combustione dei rifiuti liquidi, così da
svolgere in piena autonomia l’attività di smaltimento di pressoché tutti i
reflui della produzione, attualmente conferiti a ditte esterne.
In data 28/4/1997 la ricorrente presentava alla Regione Lombardia domanda di
autorizzazione per la modifica della struttura esistente, intendendo trasformare
l’impianto di combustione termica per sfiati gassosi in modo da realizzare ed
esercitare un impianto di stoccaggio e termodistruzione di rifiuti liquidi, ai
sensi degli artt. 27 e 28 del D. Lgs. 5/2/1997 n. 22.
Ricevuta l’istanza, la Regione Lombardia avviava il procedimento finalizzato al
rilascio dell’autorizzazione convocando la Conferenza di servizi la quale –
nella seduta preliminare del 30/6/1997 – disponeva la sospensione
dell’istruttoria prendendo atto della previa necessità di attivare la procedura
di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) ai sensi dell’art. 27 comma 1 del
D. Lgs. 22/97, “poiché il trattamento riguarda rifiuti considerati pericolosi”.
Con ricorso r.g. 1351/97 – ritualmente notificato e tempestivamente depositato
presso la Segreteria della Sezione – la Società ricorrente impugna la
determinazione che ha sospeso l’istruttoria, deducendo i seguenti motivi di
diritto:
a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 2 del D.P.C.M. 10/8/1988 n.
377 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e
difetto di motivazione, in quanto la norma invocata prescriverebbe la procedura
di V.I.A. su un’impianto già funzionante nel solo caso in cui esso subisca
trasformazioni tali da renderlo sostanzialmente diverso, mentre nella
fattispecie l’opera in progetto avrebbe caratteristiche pressoché invariate
rispetto a quella già esistente;
b) Violazione dell’art. 27 del D. Lgs. 22/97, il quale non avrebbe introdotto
alcuna modifica alle categorie di opere da sottoporre a V.I.A., che pertanto
andrebbero individuate aliunde nell’ordinamento vigente;
c) Violazione dell’art. 1 comma 2 della L. 7/8/1990 n. 241 e del principio di
tipicità degli atti amministrativi, avendo la Conferenza di servizi
indebitamente alterato il modello tipico dell’iter autorizzativo stabilito dalla
legge imponendo un sub-procedimento non contemplato dalla disciplina di settore;
d) Illegittima composizione della Conferenza di servizi, la quale avrebbe avuto
luogo malgrado l’assenza del rappresentante del Comune di Albano S. Alessandro.
Questa Sezione, con ordinanza n. 979 emessa nella Camera di consiglio del
21/11/1997, ha respinto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento
impugnato.
Nel frattempo, la Società ACS Dobfar ha comunque attivato la procedura di VIA,
depositando lo studio di impatto ambientale e producendo la documentazione
integrativa richiesta a più riprese sia dal Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, sia dalla Regione Lombardia e dal Ministero dell’Ambiente.
Con nota del 20/7/1999, la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed
Architettonici di Milano esprimeva al Ministero per i Beni e le Attività
Culturali parere favorevole al progetto, “anche a fronte di quanto dichiarato
dalla Società in relazione ad una trasformazione impiantistica che coinvolge
solo le caratteristiche interne di un impianto tecnologico già esistente e
funzionante”. Dopo la nota della Soprintendenza archeologica del 16/8/1999, il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali emetteva – in data 14/1/2000 –
parere favorevole condizionato di compatibilità ambientale, prescrivendo di non
installare nuove unità all’interno dell’attuale parco serbatoi e di predisporre
un “piano di delocalizzazione … al fine di allontanarlo il più possibile
dall’argine del torrente Zerra”.
Con deliberazione n. VII/485 del 14/7/2000, la Giunta Regionale si pronunciava
in senso positivo sul progetto ma confermava le prescrizioni già impartite in
precedenza dal Ministero, dovendo i serbatoi essere costruiti con la “minima
capacità necessaria” e secondo un piano di delocalizzazione che ne contempli lo
spostamento “al di fuori della fascia di 150 metri dal torrente Zerra”, ed
essendo necessario realizzare interventi di difesa spondale lungo il torrente
“in conformità a quanto previsto dal progetto di risistemazione idraulica
complessivo” mentre il rialzo della sommità dovrà essere tale “da garantire
un’adeguata protezione del parco serbatoi da eventuali esondazioni fin tanto che
questi non saranno delocalizzati”. Il parere regionale aveva in particolare
evidenziato che “non si può escludere con ragionevole sicurezza l’esondabilità
dell’area occupata dal parco serbatoi, seppur con modesti tiranti idrici”.
Il 16/11/2000 il Ministero dell’Ambiente ed il Ministero per i Beni e le
Attività Culturali esprimevano un giudizio finale positivo di compatibilità
ambientale, ribadendo le prescrizioni già dettate dall’autorità regionale, fra
le quali quella di delocalizzare l’attuale parco serbatoi “al fine di
allontanarlo il più possibile dall’argine del torrente Zerra”.
Con ricorso r.g. 183/2001 – ritualmente notificato e tempestivamente depositato
presso la Segreteria della Sezione – la Società ACS Dobfar S.p.a. impugna il
citato provvedimento ministeriale deducendo – oltre all’illegittimità derivata
dai vizi già esposti nel gravame precedente – i seguenti motivi di diritto:
e) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 3 del D.P.R. 12/4/1996 e
dell’art. 27 del D. Lgs. 22/97, in quanto la normativa che regola la procedura
di V.I.A. abiliterebbe l’amministrazione ad avanzare una sola richiesta di
chiarimenti sulla documentazione già trasmessa, ricevuta la quale il giudizio
ambientale deve essere reso entro 90 giorni, mentre al contrario la Regione ed i
Ministeri competenti avrebbero abusato del proprio potere reiterando le istanze
di delucidazioni ed integrazioni talvolta in modo non coordinato, in tal modo
dilatando indebitamente lo spazio temporale entro il quale doveva esaurirsi
l’iter procedimentale;
f) Eccesso di potere per contraddittorietà, in quanto il Ministero avrebbe
sollecitato – in data 17/2/1999 – il compimento di azioni di mitigazione e
compensazione ambientale e di riqualificazione del torrente, dando quindi per
presupposto il mantenimento dell’attuale localizzazione del parco serbatoi;
g) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto lo
studio di impatto ambientale rassegnato dalla Società avrebbe messo in luce che
il torrente Zerra – da tempo canalizzato mediante deviazione dal percorso
dell’alveo naturale – è totalmente privo di rilevanza ambientale, poiché scorre
all’interno di insediamenti produttivi ed abitativi con la presenza massiccia di
strutture fisse e addirittura di un grande insediamento commerciale;
h) Eccesso di potere per illogicità, in quanto la prescrizione di rafforzare gli
interventi di difesa delle sponde lungo il torrente non avrebbe alcun senso in
una prospettiva di delocalizzazione; peraltro sarebbe incongrua l’imposizione
del trasferimento del parco serbatoi, la quale non terrebbe conto di un impianto
tecnologico già funzionante e regolarmente autorizzato dall’amministrazione
comunale di Albano S. Alessandro pur in presenza del vincolo ex lege, con ciò
dando conto di un’area priva di rilievo naturalistico;
i) Eccesso di potere per irragionevolezza, dato che lo studio ambientale avrebbe
dimostrato che la quota massima delle acque non sarebbe in grado di interferire
con l’impianto di stoccaggio neppure nel caso di rilevanti fuoruscite di piena
del torrente;
j) Violazione del principio di partecipazione, in quanto gli apporti forniti
dalla ricorrente non sarebbero stati presi in considerazione nel corso
dell’istruttoria procedimentale.
Con nota del 5/4/2002 la Società presentava istanza per la revisione della
prescrizione inerente il Parco serbatoi, ipotizzando sia di utilizzare come siti
di stoccaggio altri serbatoi già esistenti ubicati all’interno dello
stabilimento, sia di potenziare comunque gli argini del torrente in conformità
ai contenuti di un ulteriore progetto predisposto in precedenza ed approvato
dalla Regione Lombardia con atto del 24/12/2001.
Con motivi aggiunti depositati il 17/2/2004, la ricorrente impugna il
provvedimento del Ministero dell’Ambiente in data 2/12/2003 che – pronunciandosi
sulla proposta di variante esecutiva del progetto originario – ha confermato la
prescrizione di delocalizzazione, adducendo la portata sottostimata del
torrente, l’insufficienza degli interventi alle sponde ed i dubbi inerenti alla
corretta valutazione del ponte e delle altre opere idrauliche presenti a valle
dell’area dello stabilimento.
In particolare, vengono sollevate le seguenti censure:
k) Eccesso di potere per travisamento dei presupposti ed erroneità della
motivazione, in quanto se da un lato l’Autorità di Bacino avrebbe ufficialmente
confermato che l’area non può essere interessata da rilevanti fenomeni di
esondazione, dall’altro il progetto di regimazione delle acque – assentito con
nulla-osta regionale del 24/12/2001 – garantirebbe l’assoluta messa in sicurezza
dell’impianto in relazione ad ogni sia pur modesto fenomeno di tracimazione;
l) Violazione della regola procedimentale per la quale la riedizione del potere
amministrativo deve osservare la stessa procedura intrapresa per emettere il
provvedimento originario, nonché dell’art. 3 della L. 241/90, dato che il
Ministero non avrebbe acquisito il parere della Commissione V.I.A. e che
sarebbero chiare le metodologie seguite e le stime effettuate dall’autorità per
giungere alla conferma della prescrizione;
m) Violazione degli artt. 138 e segg. del D. Lgs. 490/99 e del principio
generale di affidamento, dato che l’amministrazione avrebbe tardivamente
esercitato un potere di verifica che si sarebbe dovuto estrinsecare all’epoca
dell’originaria localizzazione del parco serbatoi, e in luogo di esaminare il
nuovo progetto avrebbe rimesso in discussione un assetto preesistente e
consolidato, già oggetto di autorizzazione provinciale per lo stoccaggio
provvisorio;
n) Violazione dell’art. 146 comma 2 del D. Lgs. 490/99 ed eccesso di potere per
contraddittorietà, poiché l’oggettiva conformazione urbanistica dell’area –
inclusa in un comparto già parzialmente interessato da insediamenti produttivi
alla data di introduzione del vincolo paesaggistico – corrisponderebbe alla
definizione di zona omogenea territoriale B secondo la classificazione del D.M.
n. 1444 del 1968 e sarebbe esclusa dalla tutela prevista dalla L. 431/85.
In data 13/3/2001, durante un sopralluogo, la Provincia accertava
l’utilizzazione di 5 serbatoi di rifiuti T18 T19 T20 T21 T23 e l’installazione
di altri 4 serbatoi T22 T24 T25 T26 a completamento del nuovo parco previsto,
cui seguiva la segnalazione alla Procura della Repubblica e la diffida dal
realizzare ed esercitare impianti di smaltimento rifiuti in assenza delle
necessarie autorizzazioni.
Con ricorso r.g. 846/2001 – notificato in data 13/7/2001 e tempestivamente
depositato presso la Segreteria della Sezione – la Società ACS Dobfar S.p.a.
impugna il provvedimento di diffida della Provincia di Bergamo, deducendo le
seguenti censure:
o) Violazione dell’art. 7 della L. 241/90, per non essere stata riconosciuta
alla ricorrente la facoltà di interloquire nella fase istruttoria del
procedimento;
p) Violazione degli artt. 27 e 28 del D. Lgs. 22/97, posto che i serbatoi
contestati – che completerebbero le unità a servizio del termodistruttore in
corso di realizzazione – non verrebbero utilizzati per lo stoccaggio dei rifiuti
ma solo per lo stoccaggio delle acque di lavaggio;
q) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, essendo in itinere un
procedimento per la derubricazione del torrente, ossia per far dichiarare
l’irrilevanza della zona sulla quale insistono i serbatoi sotto il profilo
paesaggistico;
r) Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.P.R. 203/88, in quanto i
serbatoi sarebbero esentati dall’obbligo di autorizzazione.
La deliberazione della Giunta regionale n. IV/12028 in data 10/9/1986 censiva i
corsi d’acqua ai sensi dell’art. 1 quater della L. 431/85 ed il torrente in
questione veniva inserito in elenco al n. 266, risultando vincolato tutto il suo
corso per il suo interesse naturalistico.
In data 22/8/2001 la ricorrente presentava alla Regione istanza di revisione
dell’elenco, adducendo elementi asseritamente sufficienti ad escludere il valore
naturalistico del torrente nel tratto prospiciente lo stabilimento. La Regione
Lombardia – con nota del 6/11/2001 – si esprimeva in senso negativo, ritenendo
che il torrente “conservi caratteristiche in grado di determinare qualità
paesistica ai luoghi attraversati, … che potrebbe essere compromessa se priva
della necessaria tutela di legge, …”.
Con ricorso r.g. 429/2002 – ritualmente notificato e tempestivamente depositato
presso la Segreteria della Sezione – la Società ACS Dobfar S.p.a. impugna il
provvedimento regionale di diniego sull’istanza di derubricazione, deducendo i
seguenti motivi di diritto:
s) Violazione dell’art. 146 commi 1 e 2 del D. Lgs. 490/99 ed eccesso di potere
per travisamento dei presupposti, in quanto l’area interessata avrebbe perduto
ogni carattere di pregio naturalistico e pertanto risulterebbe totalmente priva
di rilevanza ambientale;
t) Eccesso di potere per illogicità, in quanto la Regione avrebbe dovuto
procedere ad un nuovo censimento dei corsi d’acqua pubblici, rinnovando
l’attività di accertamento delle condizioni di permanenza del vincolo compiuta
una sola volta nel lontano 1986;
u) Eccesso di potere per sviamento, avendo la Regione richiamato genericamente
precedenti atti regionali e ministeriali senza esplicitare ulteriormente le
ragioni del diniego.
Resistono in giudizio le amministrazioni intimate, chiedendo la reiezione del
ricorso.
Alla pubblica udienza del 31/3/2005 il gravame è stato chiamato per la
discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
I ricorsi appaiono connessi sotto il profilo soggettivo ed oggettivo e pertanto
se ne dispone la riunione, potendo essere decisi con un’unica sentenza.
La Società ricorrente – interessata a realizzare ed esercitare un impianto di
stoccaggio e termodistruzione di rifiuti liquidi previa trasformazione
dell’impianto di combustione termica per sfiati gassosi già attivo presso lo
stabilimento – censura le determinazioni adottate dalle amministrazioni intimate
che, da un lato, hanno imposto l’attivazione della procedura di V.I.A. e,
dall’altro, hanno subordinato la fattibilità dell’intervento alla
predisposizione di un piano di delocalizzazione del parco serbatoi che ne
preveda l’allontanamento dall’argine del torrente Zerra, sia per assicurare
l’osservanza del vincolo ambientale di 150 metri stabilito dalla L. 431/85, sia
per eliminare il rischio di esondazione nel caso di piena.
1. Passando all’esame del ricorso r.g. 1351/97 – che investe la sospensione
dell’istruttoria sul nuovo progetto motivata dalla necessità di compiere la
procedura di V.I.A. – con il primo ed il secondo motivo la ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 2 del D.P.C.M. 10/8/1988 n.
377 e l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e
difetto di motivazione, in quanto la norma invocata prescriverebbe la procedura
di V.I.A. su un impianto già funzionante nel solo caso in cui esso subisca
trasformazioni tali da renderlo sostanzialmente diverso, mentre nella
fattispecie l’opera in progetto avrebbe caratteristiche pressoché invariate
rispetto a quella già esistente; peraltro l’art. 27 del D. Lgs. 22/97 non
avrebbe introdotto alcuna modifica alle categorie di opere da sottoporre a
V.I.A., che pertanto andrebbero individuate aliunde nell’ordinamento vigente.
Lamenta in particolare la ricorrente il mancato raffronto tra l’assetto attuale
e quello futuro della struttura, il quale avrebbe dimostrato l’insussistenza del
presupposto per l’esperimento della V.I.A., dal momento che il progetto si
limiterebbe a prevedere l’aggiunta – sulla camera di combustione già esistente –
di una camera di post-combustione, mentre sulla parte discendente dell’impianto
verrebbe installato un apparato denominato “jet scrubber”.
Le censure sono prive di pregio.
La Sezione ha già avuto modo di evidenziare che la V.I.A. costituisce uno degli
strumenti più significativi per garantire un corretto assetto del territorio in
quanto – essendo finalizzata a verificare gli effetti indotti di un'opera in
fase di progettazione – consente di risolvere già alla fonte i contrasti tra i
vari interessi concorrenti, attraverso l'adozione di tecniche che permettano di
conciliare le esigenze sottese all'intervento da realizzare con la protezione
dei valori ambientali: la V.I.A., sostanziandosi in un giudizio tecnico di
compatibilità dell'opera sotto tale profilo, assicura, quindi, l'inserimento
dell'interesse ambientale all'interno dei processi decisori (sentenza Sezione
3/4/2001 n. 151).
La procedura è stata introdotta nell'ordinamento comunitario con la Direttiva
CEE n. 85/337, che ha lo scopo di perseguire l'obiettivo della protezione
dell'ambiente e della qualità della vita, e di impedire che – a causa di
legislazioni difformi nei diversi Stati – si possano creare disparità di
condizioni nel mercato, retto dal principio di libera concorrenza. La direttiva
si è comunque limitata a dettare la disciplina minima alla quale gli Stati
devono adeguarsi riconoscendo ampio spazio alla legislazione nazionale di
attuazione, abilitata ad introdurre norme interne più severe per quanto concerne
il raggio di applicazione delle disposizioni e l’articolazione dell’iter
procedimentale.
L'art. 6 della L. 8/7/1986 n. 349 ha dettato una prima disciplina temporanea e
transitoria in materia di V.I.A., sulla base della quale sono stati emanati il
D.P.C.M. 10/8/1988 n. 377 ed il D.P.C.M. 27/12/1988; di seguito, il D.P.R.
12/4/1996 – adottato in attuazione dell'art. 40 comma 1 della L. 22/2/1994 n.
146 (Legge Comunitaria per il 1994) – ha individuato le condizioni, i criteri e
le norme tecniche per sua concreta applicazione.
Per quanto in questa sede interessa, va rilevato che l’art. 1 comma 1 lett. i)
del D.P.C.M. 377/88 ha testualmente previsto la sottoposizione alla procedura di
valutazione di cui all'art. 6 della L. 349/86 dei progetti di opere rientranti
nella categoria degli “impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi
mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra”, peraltro
dando attuazione all’identica statuizione racchiusa nella Direttiva CEE n.
85/337, la quale includeva gli impianti che smaltiscono rifiuti pericolosi
mediante incenerimento nell'allegato I punto 9, ossia nell’elenco delle opere
che – ai sensi dell'art. 4 comma 1 della medesima direttiva – dovevano formare
oggetto di una preventiva valutazione di impatto ambientale.
La giurisprudenza ha del resto già affermato che il progetto relativo
all’installazione di un impianto di eliminazione di rifiuti tossici e nocivi
mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra, va
doverosamente sottoposto alla valutazione di impatto ambientale da parte del
Ministero dell'Ambiente ai sensi dell'art. 6 della L. 349/86 (cfr. T.A.R. Lazio,
sez. I – 24/8/2000 n. 1813).
Va inoltre sottolineato che la Provincia ha puntualmente messo in luce che
l’impianto in attività della ricorrente effettua la combustione termica delle
sole emissioni gassose, ed i gas costituenti una emissione di processo – ossia
sottoposti a depurazione – non sono considerabili rifiuti ai sensi dell’art. 8
comma 1 del D. Lgs. 22/97, per il quale “Sono esclusi dal campo di applicazione
del presente decreto gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera”: la struttura
in progetto è destinata alla diversa funzione del trattamento dei rifiuti
liquidi provenienti dalla lavorazione, i quali sono stati correttamente
qualificati come pericolosi con conseguente assoggettamento del nuovo impianto
alla relativa normativa.
In particolare, al di là dell’analisi delle singole modifiche – pur
esaurientemente descritte dalla Società – previste per i serbatoi già attivi,
risulta evidente la necessità di compiere una valutazione complessiva del
progetto presentato, la quale conduce inevitabilmente a valorizzare la portata
sostanziale degli interventi: essi integrano una reale conversione dell’impianto
per lo svolgimento ex novo di operazioni che contemplano l’incenerimento di
rifiuti pericolosi, le cui conseguenze sull’ambiente sono di gran lunga più
rilevanti rispetto all’impatto provocato da un impianto di combustione termica
per sfiati gassosi che emette effluenti in atmosfera, come del resto si evince
dalla più rigorosa disciplina dettata dal legislatore nazionale e comunitario
per salvaguardare gli effetti della relativa attività sul territorio. In
proposito la Sezione ha affermato – in una vicenda che presenta analogie con
quella esaminata in questa sede – che la sopravvenienza di una variante
sostanziale ad una piattaforma produttiva non permette all’amministrazione di
rinnovare rebus sic stantibus l’autorizzazione in scadenza, trovando
applicazione l’art. 27 comma 8 del D. Lgs. 22/97 il quale “accomuna l’ipotesi
dell’autorizzazione di nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti,
anche pericolosi, a quella della realizzazione di varianti sostanziali in corso
d’esercizio, che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non
siano più conformi all’autorizzazione originariamente rilasciata” (cfr. sentenza
Sezione 9/6/2003 n. 836).
Il primo ricorso deve dunque essere respinto, perdendo a questo punto
consistenza le dedotte censure formali circa l’indebita alterazione del modello
tipico dell’iter autorizzativo stabilito dalla legge e l’illegittima
composizione della Conferenza di servizi, dal momento che la procedura di V.I.A.
doveva essere in ogni caso attivata.
2. Proseguendo secondo un ordine logico, deve essere esaminato il quarto ricorso
(r.g. 429/2002), con il quale è stato impugnato il provvedimento regionale di
diniego sull’istanza di derubricazione del torrente Zerra dall’elenco dei corsi
d’acqua vincolati.
Al riguardo, devono essere preliminarmente esaminate le eccezioni processuali
sollevate dalle amministrazioni intimate.
2.1 La Regione ha anzitutto dedotto il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo, in quanto la derubricazione richiesta avrebbe incidenza diretta
sull’uso delle acque, con conseguente competenza del Tribunale superiore delle
acque pubbliche.
L’eccezione è infondata.
La presente controversia ha per oggetto, in concreto, la verifica della
legittimità della nota regionale di diniego sull’istanza di revisione
dell’elenco dei corsi d’acqua pubblici tutelati ex lege, e quindi essa per un
verso non investe che indirettamente la sponda dell’argine – che entra in
questione esclusivamente quale riferimento per la verifica del rispetto della
distanza di 150 m. prescritta dalla normativa vigente – e dall'altro lato
risulta, invece, del tutto estranea alle problematiche attinenti al regime delle
acque pubbliche.
Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che "La
giurisdizione generale di legittimità del Tribunale superiore delle acque
pubbliche in unico grado ha per oggetto i ricorsi contro provvedimenti
amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla materia di tali acque,
ossia questioni in ordine ad opere che su queste influiscono immediatamente”,
mentre esorbita da tale giurisdizione ed appartiene a quella del giudice
amministrativo l'impugnazione di atti non destinati ad avere riflessi immediati
sul regime delle acque secondo un criterio di efficacia diretta (Corte di
Cassazione, sez. unite civili – 10/12/1993 n. 12167): pertanto, la giurisdizione
di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche ha per oggetto i
ricorsi avverso provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque
pubbliche o sull'esecuzione delle opere idrauliche finalizzate alla migliore
utilizzazione di tali acque, mentre ricorre la giurisdizione generale di
legittimità del giudice amministrativo riguardo ai provvedimenti aventi
un'incidenza strumentale ed indiretta su tale materia (T.A.R. Emilia Romagna
Parma – 6/11/2003 n. 581; Consiglio di Stato, sez. V – 5/8/2003 n. 4506).
Nel caso in esame, la controversia non attiene direttamente al regime delle
acque e nemmeno concerne la realizzazione, modificazione, sospensione od
eliminazione di un'opera idraulica, per cui deve concludersi che il ricorso
risulta legittimamente incardinato innanzi a questo Tribunale.
2.2 Deve parimenti essere respinta l’eccezione di tardività, sollevata dalla
difesa regionale sul presupposto che l’effetto vincolistico si sarebbe prodotto
a seguito dell’inclusione del torrente Zerra nell’elenco approvato con la D.G.R.
n. IV/12028 in data 10/9/1986, e di conseguenza sarebbe ampiamente decorso il
termine di impugnazione.
Osserva il Collegio che la legittimazione ad agire – tradizionale presupposto di
ammissibilità del ricorso giurisdizionale – postula l’esistenza in capo al
ricorrente della titolarità di un interesse sostanziale tutelato
dall’ordinamento, che abbia subìto un pregiudizio immediato, concreto ed attuale
dal provvedimento amministrativo oggetto di censura. Come ha correttamente
evidenziato la Società, il provvedimento gravato ha inciso direttamente nella
propria sfera giuridica, disponendo un diniego sostenuto da rinnovate ed
autonome valutazioni le quali impediscono di qualificarlo come mera
dichiarazione di scienza ovvero come atto meramente confermativo: la
determinazione reca un chiaro contenuto sfavorevole per la ricorrente ed è stata
adottata “a seguito di verifiche in loco documentate …”, le quali hanno
comportato un nuovo esame istruttorio ed un’attività di ponderazione comparativa
degli interessi coinvolti, suscettibili di far assumere al provvedimento i
connotati di novità ed autonomia.
2.3 Deve essere viceversa dichiarato il difetto di legittimazione passiva del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in quanto la competenza a redigere
l’elenco dei corsi d’acqua sottratti al vincolo imposto dalla L. Galasso spetta
in via esclusiva alla Regione, non residuando alcun potere in materia
all’autorità statale.
3. Nel merito, il ricorso è infondato.
3.1 La ricorrente ha anzitutto dedotto l’eccesso di potere per illogicità e per
sviamento, in quanto la Regione avrebbe da un lato indebitamente omesso di
effettuare un nuovo censimento dei corsi d’acqua pubblici, mentre dall’altro
avrebbe richiamato genericamente precedenti atti regionali e ministeriali senza
esplicitare ulteriormente le ragioni del diniego. In aggiunta, ha contestato
l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti, in quanto l’area
interessata avrebbe perduto ogni carattere di pregio naturalistico.
La doglianza è infondata.
La Sezione ha già osservato – nella sentenza n. 1754 del 3/12/2004 che ha
ricostruito il quadro normativo in materia – che il D.M. 21/9/1984 ha sottoposto
a vincolo paesaggistico ai sensi dalla L. 29/6/1939 n. 1497 i fiumi, i torrenti
ed i corsi d’acqua classificabili pubblici ai sensi del Testo unico sulle acque,
per una fascia di 150 metri. Di seguito, il D.L. 27/6/1985 n. 312 convertito
nella L. 8/8/1985 n. 431 – all’art. 1-quater – ha disposto che, in relazione al
vincolo paesaggistico sui corsi d’acqua ai sensi dell’art. 82 comma 5 lett. c)
del D.P.R. 24/7/1977 n. 616 (norma poi riprodotta integralmente dal D.M.
21/9/1984 così come sopra riportato), le Regioni hanno il potere di determinare
quali corsi d’acqua classificabili pubblici “..possono, per la loro irrilevanza
ai fini paesaggistici, essere esclusi, in tutto o in parte, dal predetto
vincolo..”, redigendone e rendendone pubblico apposito elenco.
La Regione Lombardia – con la citata deliberazione della Giunta Regionale n.
4/12028 del 25/7/1996 – ha in effetti adottato siffatto elenco individuando il
corso del torrente Zerra come “tratto vincolato”, con ciò attraendolo nel raggio
di applicazione della norma di salvaguardia paesaggistica.
Osserva il Collegio che il potere esercitato dall’amministrazione in materia si
caratterizza per una discrezionalità particolarmente ampia, rispetto alla quale
il sindacato del giudice può essere esercitato nelle circoscritte ipotesi di
macroscopiche illegittimità e di incongruenze manifeste dovute a vizi logici, ad
errore di fatto, a travisamento dei presupposti ovvero ad un difetto di
istruttoria o ad una cattiva applicazione delle regole tecniche (Consiglio
Stato, sez. VI – 11/2/2004 n. 458): peraltro, è il caso di aggiungere che il
vincolo sulla zona adiacente al torrente Zerra è stato disposto direttamente dal
legislatore, mentre la Regione esercita in materia un’attività di pianificazione
espressamente sottratta ad un onere di puntuale motivazione dall’art. 3 della L.
241/90.
In ogni caso, la Regione ha nella specie sostenuto la risoluzione negativa
osservando che “a seguito di verifiche in loco documentate anche da rilievo di
foto aeree, si ritiene che Torrente Zerra per il tratto in questione conservi
caratteristiche in grado di determinare qualità paesistica ai luoghi
attraversati, qualità che potrebbe essere compromessa se priva della necessaria
tutela di legge, come si può desumere anche dall’attenzione riservata in
precedenti atti regionali e ministeriali”: l’autorità amministrativa risulta
quindi aver dato sufficientemente conto delle valutazioni compiute nella
riedizione del potere amministrativo, e ciò costituisce elemento per sostenere
la correttezza e la legittimità della determinazione negativa la quale – è bene
osservare – non fa che conformarsi alla generale statuizione già introdotta dal
legislatore statale che appone il vincolo per una fascia di 150 m. dai corsi
d’acqua pubblici: i criteri di individuazione delle aree sottoposte a
salvaguardia sono contenuti nella stessa disposizione della L. 431/85 la quale,
qualificando giuridicamente alcune porzioni di territorio, rimette
all’amministrazione competente il limitato compito di effettuare un’operazione
di riscontro delle situazioni da tutelare, senza che sia peraltro rinvenibile
alcun obbligo di revisione periodica degli elenchi.
3.2 Si ritiene a questo punto opportuno rinviare all’esame del successivo
ricorso la trattazione dell’ulteriore motivo circa l’avvenuta violazione
dell’art. 146 commi 1 e 2 del D. Lgs. 490/99 in quanto l’area interessata
sarebbe ricompresa in zona B, non sottoposta al più volte citato vincolo.
4. E’ necessario ora affrontare il secondo gravame in ordine cronologico (r.g.
183/2001), con il quale è stato impugnato il provvedimento adottato il
16/11/2000 dal Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i Beni e
le Attività Culturali, recante un giudizio positivo condizionato di
compatibilità ambientale sul progetto relativo alla trasformazione di un
impianto di post-combustione in un impianto di termodistruzione di rifiuti
speciali e tossico-nocivi. Occorre tenere conto che, con motivi aggiunti, la
ricorrente ha poi censurato il provvedimento del Ministero dell’Ambiente in data
2/12/2003, che ha confermato la prescrizione di delocalizzazione pronunciandosi
sulla proposta di variante esecutiva del progetto originario.
4.1 Deve preventivamente essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva
dell’Immobiliare Grillo – evocata in giudizio dalla ricorrente – non rivestendo
la stessa la qualità di controinteressata in senso tecnico: essa, infatti, è
semplicemente proprietaria di alcuni terreni confinanti con quelli delle Società
ACS Dobfar e si è limitata a segnalare alle competenti autorità le proprie
lamentele per le produzioni pericolose e nocive, senza tuttavia contestare
specificamente il progetto di ampliamento del polo industriale. Non rinvenendosi
pertanto a favore dell’Immobiliare Grillo un vantaggio diretto ed immediato per
effetto del provvedimento impugnato, la stessa deve essere estromessa dal
giudizio.
4.2 Passando all’esame del merito, deve anzitutto essere respinto il primo
motivo, con il quale la ricorrente ha invocato l’eccesso di potere per difetto
di istruttoria e di motivazione, in quanto lo studio di impatto ambientale
prodotto avrebbe messo in luce che il torrente Zerra – da tempo canalizzato
mediante deviazione dal percorso dell’alveo naturale – è totalmente privo di
rilevanza ambientale, poiché scorre all’interno di insediamenti produttivi ed
abitativi con la presenza massiccia di strutture fisse e addirittura di un
grande insediamento commerciale: l’esigua vegetazione non sarebbe in grado di
imprimere un caratteristico timbro paesaggistico di “ambito fluviale”, per cui
nessuna compromissione e/o alterazione del paesaggio sarebbe imputabile
all’attuale localizzazione del parco serbatoi.
Il Collegio ritiene sufficiente, al riguardo, richiamare le considerazioni già
sviluppate con riferimento al ricorso r.g. 429/2002, ribadendo che il vincolo in
questione opera ex lege nella fascia dei 150 metri e che la Regione ha avuto
modo di pronunciarsi nuovamente sul punto, negando una deroga e confermando la
precedente previsione che includeva il torrente Zerra tra i corsi d’acqua
pubblici tutelati sotto il profilo paesaggistico. Inoltre, è bene puntualizzare
che la salvaguardia prevista dalla L. 431/85 è stata confermata dall’art. 146
comma 1 lett. c) del D. Lgs. 164/99 e dall’art. 142 comma 1 lett. c) del D. Lgs.
22/1/2004 n. 42.
4.3 Con un secondo gruppo di motivi, la Società ACS Dobfar invoca l’eccesso di
potere per irragionevolezza, in quanto lo studio prodotto per la V.I.A. avrebbe
dimostrato che la quota massima delle acque non sarebbe in grado di interferire
con l’impianto di stoccaggio neppure nel caso di rilevanti fuoruscite di piena
del torrente; aggiunge poi che lo spostamento imposto sarebbe tecnicamente e
logisticamente impraticabile, oltre che economicamente oneroso, in quanto
l’unica area disponibile non vincolata nel perimetro dello stabilimento sarebbe
quella attualmente adibita a parcheggio, che però è destinata ad accogliere gli
interventi di riqualificazione approvati dal Ministero dell’ambiente nel corso
dell’istruttoria, ed inoltre aumenterebbe in quel punto la pendenza del terreno
e lo spostamento avrebbe un impatto paesaggistico decisamente superiore a quello
attuale.
Nei motivi aggiunti, la ricorrente deduce l’eccesso di potere per travisamento
dei presupposti ed erroneità della motivazione, in quanto se da un lato
l’Autorità di Bacino avrebbe ufficialmente confermato che l’area non può essere
interessata da rilevanti fenomeni di esondazione, dall’altro il progetto di
regimazione delle acque – assentito con nulla-osta regionale del 24/12/2001 –
garantirebbe l’assoluta messa in sicurezza dell’impianto in relazione ad ogni
sia pur modesto fenomeno di tracimazione. In particolare, la Società ricorrente
espone che la cennata conclusione risulta avvalorata dalle previsioni del Piano
stralcio per l’assetto idrogeologico (P.A.I.) – predisposto dall’Autorità di
Bacino del fiume Po con la delibera n. 20 del 26/4/2001 – in quanto la
perimetrazione delle zone 1 “aree a rischio molto elevato” di cui all’allegato
4.1 del Piano escluderebbe tutta l’area occupata dallo stabilimento in quanto
non suscettibile di essere coinvolta da fenomeni idrogeologici di alcun rilievo.
Dobfar S.p.a. ha inoltre affermato che il progetto di regimazione delle acque
mediante allargamento delle sezioni d’alveo – per il quale ha ottenuto il nulla
osta regionale in data 24/12/2001 – permetterebbe al torrente di raggiungere una
capacità di smaltimento per tempi di ritorno di 200 anni.
Le doglianze sono infondate.
L’Avvocatura dello Stato ha rilevato che – dalla lettura del P.A.I. invocato
dalla ricorrente – si evince che nel perimetro della zona 1 è compreso il tratto
del torrente adiacente all’area dello stabilimento, per cui la concreta
ubicazione dei serbatoi nelle immediate vicinanze del corso d’acqua non sarebbe
tale da scongiurare in ogni caso il pericolo di alluvioni. Ha aggiunto poi che
se le norme di attuazione del Piano prevedono per la zona 1 potenziali
inondazioni per eventi di piena con tempo di ritorno inferiore o uguale a
cinquant’anni, la contiguità dell’area in questione con tale zona dovrebbe
mettere in allarme sulla seria possibilità che la stessa sia interessata da
fenomeni più che cinquantennali.
Posto che la Società ricorrente ha prodotto in giudizio due studi altamente
qualificati – che danno conto dell’avvenuta minimizzazione del pericolo di
esondazione del torrente – la questione che il Collegio deve affrontare riguarda
il grado di rischio socialmente accettabile in seguito alla realizzazione di
un’opera come quella in esame, ovvero il margine di tollerabilità di un evento
il cui verificarsi potrebbe comportare gravissimi danni ambientali dovuti
all’inquinamento delle acque, indipendentemente dal periodo in cui potrebbe
accadere.
Ritiene il Collegio di dover richiamare in materia il principio di precauzione.
Dopo che l'art. 174 del Trattato C.E. ha indicato – al paragrafo 1 – la
protezione della salute umana fra gli obiettivi della politica comunitaria in
materia ambientale, il principio di precauzione è espressamente sancito con
forza vincolante al paragrafo 2, il quale dispone che “La politica della
Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo
conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa
è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente,
nonché sul principio «chi inquina paga»”.
L'obbligo giuridico di assicurare un "elevato livello di tutela ambientale" con
l'adozione delle migliori tecnologie disponibili tende a spostare il sistema
giuridico europeo dalla considerazione del danno da riparare (principio "chi
inquina paga"), alla prevenzione (soprattutto mediante la V.I.A.), alla
correzione del danno ambientale alla fonte, alla precauzione ed all’integrazione
degli strumenti giuridici, tecnici, economici e politici per uno sviluppo
economico davvero sostenibile ed uno sviluppo sociale che veda garantita la
qualità della vita e l'ambiente quale valore umano fondamentale di ogni persona
e della società.
Nonostante sia menzionato nel Trattato solamente in relazione alla politica
ambientale, il principio di precauzione ha una sfera di applicazione più ampia,
estendendo la propria portata a tutti gli ambiti di azione della Comunità, al
fine di assicurare un livello elevato di protezione della salute: in
particolare, l'art. 3, par. 1 lett. p) del Trattato prevede, tra le politiche e
le azioni della Comunità, “un contributo al conseguimento di un elevato livello
di protezione della salute”, mentre l'art. 153 mira a un elevato livello di
protezione dei consumatori; inoltre, le esigenze di assicurare tale standard di
salvaguardia dell'ambiente e della salute umana sono rinvenibili nella
definizione e nell'attuazione di tutte le politiche e azioni della Comunità, in
forza, rispettivamente, degli artt. 6 e 152 par. 1 del Trattato CE.
Ne consegue che il principio di precauzione può essere definito come un
principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità
competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni
rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente,
facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli
interessi economici: infatti, essendo le istituzioni comunitarie e nazionali
responsabili – in tutti i loro ambiti d'azione – della tutela della salute,
della sicurezza e dell'ambiente, la regola della precauzione può essere
considerata come un principio autonomo che discende dalle menzionate
disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE – sentenza 26/11/2002 T-132;
Consiglio Stato, sez. VI – 5/12/2002 n. 6657).
Così, per esempio, in materia sanitaria il principio comunitario di precauzione
implica che, nel caso in cui sussistano incertezze quanto all'esistenza o alla
portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono prendere
provvedimenti di tutela senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali
rischi siano pienamente dimostrate, ossia indipendentemente dall'accertamento di
un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli
effetti pregiudizievoli che ne derivano: il principio di precauzione verrebbe
privato del suo effetto utile se occorresse attendere l'esito di tutte le
ricerche necessarie prima dell'adozione di siffatte misure.
Tuttavia, nel caso in cui la valutazione scientifica non consenta di stabilire
con sufficiente certezza l'esistenza del rischio, la scelta di ricorrere al
principio di precauzione dipende generalmente dal livello di protezione scelto
dall'autorità competente nell'esercizio del suo potere discrezionale: tale
decisione deve in ogni caso essere conforme al principio della preminenza della
tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente sugli interessi economici,
nonché ai principi di proporzionalità e di non discriminazione (cfr. Corte
giustizia CE – 5/2/2004 n. 24; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I – 23/1/2003 n. 260).
Se occorre correlare – nel singolo caso di specie – gli interventi connessi alle
misure protettive con il pericolo temuto, la fissazione di un grado di rischio
“tollerabile” per la società costituisce una decisione che implica un’elevata
responsabilità sul piano politico, alla quale si può far fronte soltanto se –
prima di essa – l'incertezza sia stata ridotta al minimo grazie all'impiego
delle migliori risorse scientifiche disponibili: dopo un approfondimento
completo ed esauriente si deve stabilire il grado di rischio di volta in volta
tollerabile, rientrante nell'ambito di potere discrezionale rimesso alle
autorità competenti.
Applicando tali principi al caso che ci occupa, va osservato che – in assenza di
certezze assolute su una possibile esondazione del torrente anche a lungo
termine – l’amministrazione ben può compiere una valutazione che – in via
assolutamente prudenziale – tenda ad eliminare il rischio, non esistendo una
soglia di pericolo di un disastro ecologico che possa ritenersi accettabile,
neppure in misura minima, a fronte della tutela di un valore fondamentale della
persona quale quello della salute umana garantita dall'art. 32 Cost..
E’ pacifico che il progetto rassegnato dalla Società ricorrente – seppur
proponendo soluzioni nel tempo perfezionate e migliorative – non garantisce un
livello di sicurezza assoluta, come emerge dalla stessa ricostruzione della
piena del torrente del 26/27 giugno 1997, ove i livelli idrici raggiunti
determinavano un rigurgito dello scarico delle acque meteoriche con allagamento
temporaneo della zona più depressa del piazzale della Società ricorrente: se è
vero che il parco serbatoi è posto a monte rispetto al corso d’acqua, è
altrettanto indiscusso che l’area in questione sia contigua con la zona del
torrente classificata ad alto rischio idrogeologico, e che la stessa si
inserisca in un contesto fortemente antropizzato. Le stesse contraddizioni
rilevate dall’Avvocatura dello Stato sulla portata limite del ponte e sul
rischio connesso a piene con tempi di ritorno di 200 anni, benché opinabili,
introducono uno scenario – quello di un’esondazione di grandi proporzioni – del
tutto plausibile e verosimile, anche se associato ad un grado di probabilità
molto basso e il cui impatto sarebbe certamente attenuato dalle misure di
sicurezza descritte nella relazione allegata alla V.I.A.
In questo quadro di circostanze di fatto ed in coerenza con il principio di
precauzione, osserva il Collegio che l’amministrazione competente deve assumersi
la responsabilità della decisione, sia pur nel rispetto dei canoni di
ragionevolezza e proporzionalità e dando adeguatamente conto del giudizio
compiuto nell’esternazione del proprio potere. I provvedimenti adottati dopo la
conclusione della procedura di V.I.A. attivata dalla Società ricorrente
rispettano i principi esposti, in quanto hanno correttamente evidenziato il
possibile rischio di tracimazione delle acque e le inevitabili conseguenze
gravemente negative di tale ipotesi, che il Ministero ha ritenuto necessario
scongiurare in ogni caso. Per questo, la determinazione conclusiva – sia pur
favorevole – si accompagna alla prescrizione di delocalizzazione, la quale
appare indispensabile di fronte alla concreta articolazione del territorio e
dell’ubicazione delle strutture che costituiscono fonte di rischio.
In conclusione le censure anzidette sono infondate e vanno respinte.
4.4 Con un secondo gruppo di motivi, la ricorrente deduce l’eccesso di potere
per illogicità, in quanto la prescrizione di rafforzare gli interventi di difesa
delle sponde lungo il torrente non avrebbe alcun senso in una prospettiva di
delocalizzazione e perché sarebbe incongrua l’imposizione del trasferimento del
parco serbatoi, la quale non terrebbe conto di un impianto tecnologico già
funzionante e regolarmente autorizzato dall’amministrazione comunale di Albano
S. Alessandro pur in presenza del vincolo ex lege, con ciò dando conto di
un’area priva di rilievo naturalistico. Nei motivi aggiunti, la Società ha
invocato il principio generale di affidamento, dato che l’amministrazione
avrebbe tardivamente esercitato un potere di verifica che si sarebbe dovuto
estrinsecare all’epoca dell’originaria localizzazione del parco serbatoi, ed in
luogo di esaminare il nuovo progetto avrebbe rimesso in discussione un assetto
preesistente e consolidato, già oggetto di autorizzazione provinciale per lo
stoccaggio provvisorio.
I motivi sono infondati.
Osserva il Collegio che non è rinvenibile alcuna contraddizione nelle due
contestuali prescrizioni, posto che l’adeguamento delle difese delle sponde del
torrente e le azioni di mitigazione delle conseguenze ambientali hanno efficacia
nel breve termine in cui il parco serbatoi può rimanere nella sua attuale sede,
mentre la tutela idraulica e paesaggistica dei luoghi impone di predisporre nel
medio-lungo termine la sua delocalizzazione. Quanto alla dedotta omessa
valorizzazione dell’impianto esistente – nel richiamare le considerazioni già
sviluppate nel ricorso r.g. 1351/97 sulle differenze sostanziali del nuovo
impianto rispetto a quello originario – si rileva che in ogni caso l’impatto
ambientale della modificazione di un’opera esistente non può essere unicamente
esaminato con riferimento alle innovazioni introdotte, considerate separatamente
dall’opera complessiva, ma occorre prendere in considerazione l’impatto
potenziale che l’infrastruttura produrrà sul territorio in conseguenza delle
modifiche. Del resto, la Provincia ha evidenziato in giudizio che la Società
ricorrente ha già realizzato i nuovi serbatoi di progetto, per cui la
valutazione deve necessariamente essere condotta sulla struttura nella sua
globalità ed unitarietà.
4.5 Non possono essere a questo punto valorizzate le censure formali, con le
quali la ricorrente ha anzitutto invocato la violazione e falsa applicazione
dell’art. 5 comma 3 del D.P.R. 12/4/1996 e dell’art. 27 del D. Lgs. 22/97, in
quanto la normativa che regola la procedura di V.I.A. abiliterebbe
l’amministrazione ad avanzare una sola richiesta di chiarimenti sulla
documentazione già trasmessa, ricevuta la quale il giudizio ambientale deve
essere reso entro 90 giorni, mentre al contrario la Regione ed i Ministeri
competenti avrebbero abusato del proprio potere reiterando le istanze di
delucidazioni ed integrazioni talvolta in modo non coordinato, in tal modo
dilatando indebitamente lo spazio temporale entro il quale doveva esaurirsi
l’iter procedimentale; ha poi dedotto l’eccesso di potere per contraddittorietà,
in quanto il Ministero avrebbe sollecitato il compimento di azioni di
mitigazione e compensazione ambientale e di riqualificazione del torrente, dando
quindi per presupposto il mantenimento dell’attuale localizzazione del parco
serbatoi; ha infine contestato la violazione del principio di partecipazione, in
quanto gli apporti forniti non sarebbero stati valorizzati nel corso
dell’istruttoria procedimentale, mentre in sede di esame della variante di
progetto non sarebbe stata riconosciuta la facoltà di interloquire nella fase
istruttoria. Sempre in quest’ultima sede sarebbero stati violati sia la regola
procedimentale per la quale la riedizione del potere amministrativo deve
osservare la stessa procedura intrapresa per emettere il provvedimento
originario, sia l’art. 3 della L. 241/90, dato che il Ministero non avrebbe
acquisito il parere della Commissione V.I.A. e che non sarebbero chiare le
metodologie seguite e le stime effettuate dall’autorità per giungere alla
conferma della prescrizione.
Osserva il Collegio che, da un lato, le anzidette censure appaiono comunque
infondate, posto che il termine per la conclusione della procedura di V.I.A. –
in difetto di diversa statuizione normativa – assume carattere meramente
ordinatorio e non perentorio, rientrando nella potestà discrezionale delle
amministrazioni competenti la richiesta di maggiori dettagli ed approfondimenti,
anche in ragione della delicatezza degli interventi progettati. In secondo luogo
le indicazioni eventualmente espresse nel corso di un’articolata e complessa
istruttoria non possono impedire di trarre diverse e più rigorose conclusioni,
naturalmente motivate, in sede di valutazione conclusiva. Si rileva inoltre che
le regole del contraddittorio possono dirsi rispettate, in quanto la ricorrente
ha in ogni caso effettuato un’ampia produzione di documenti, ha presentato
osservazioni ed ha partecipato alle Conferenze di servizi indette nel corso
dell’iter procedimentale, mentre la determinazione gravata con motivi aggiunti
risulta comunque preceduta dalla formulazione di un parere di due esperti
dell’apparato ministeriale. Infine la questione della sufficienza della
motivazione è stata affrontata al punto 4.3 della sentenza.
In ogni caso, anche a prescindere dalle considerazioni esposte, i dedotti
rilievi formali appaiono di dubbia consistenza rispetto all’accertata
infondatezza degli argomenti sostanziali già oggetto di precedente esame, nel
corso del quale si è evidenziato che le amministrazioni hanno comunque assunto
le rispettive determinazioni con sufficiente cognizione di causa.
4.6 Con ulteriore motivo, la ricorrente ha invocato la violazione dell’art. 146
comma 2 del D. Lgs. 490/99 e l’eccesso di potere per contraddittorietà, poiché
l’oggettiva conformazione urbanistica dell’area – inclusa in un comparto già
parzialmente interessato da insediamenti produttivi alla data di introduzione
del vincolo paesaggistico – corrisponderebbe alla definizione di zona omogenea
territoriale B secondo la classificazione del D.M. n. 1444 del 1968 e sarebbe
esclusa dalla tutela prevista dalla L. Galasso, essendo tra l’altro compresa nel
perimetro del Centro abitato.
Se da un lato l’Avvocatura dello Stato ha puntualmente dimostrato che il P.R.G.
del 1976 classificava la zona come D1, dall’altro la censura esposta appare
inammissibile, in quanto è stata formulata soltanto con i motivi aggiunti quando
era ampiamente scaduto il termine per sollevare censure avverso il provvedimento
finale sulla V.I.A. del 16/11/2000.
5. Passando all’esame del terzo ricorso in ordine cronologico (r.g. 846/2001) –
avente ad oggetto il provvedimento del Dirigente del Servizio Rifiuti della
Provincia di Bergamo in data 15/5/2001 recante la diffida dal realizzare ed
esercitare impianti di smaltimento rifiuti in assenza delle necessarie
autorizzazioni – la ricorrente deduce la violazione degli artt. 27 e 28 del D.
Lgs. 22/97 e dell’art. 6 del D.P.R. 203/88 e dell’allegato 1 punto 22 del D.P.R.
25/7/1991, posto che i serbatoi contestati – che completerebbero le unità a
servizio del termodistruttore in corso di realizzazione – non verrebbero
utilizzati per lo stoccaggio dei rifiuti ma solo per lo stoccaggio di acque di
lavaggio, ed in ogni caso sarebbero esentati dall’obbligo di autorizzazione
secondo la normativa invocata.
Anche questo ricorso è infondato e deve essere respinto.
La stessa ricorrente ha ammesso che i nuovi serbatoi realizzati sono a servizio
del nuovo impianto di termodistruzione, per il quale non si è perfezionato
l’iter autorizzativo. Peraltro, non è comunque pertinente il richiamo alla
presunta esenzione dell’obbligo di autorizzazione, in quanto il D.P.R. 25/7/1991
allegato 1 punto 22 sulla disciplina delle cd. “emissioni poco significative”,
si riferisce testualmente allo “Stoccaggio e movimentazione di prodotti
petrolchimici ed idrocarburi naturali estratti da giacimento, stoccati e
movimentati a ciclo chiuso o protetti da gas inerte”. Peraltro la Provincia ha
sottolineato che, in seguito al sopralluogo del 13/3/2001, è stata predisposta
una relazione che attesta la presenza dei serbatoi non autorizzati, i quali non
possono essere neppure utilizzati per il deposito temporaneo di rifiuti
pericolosi in quanto anche lo stoccaggio dei rifiuti è soggetto ad
autorizzazione, costituendo un “deposito preliminare” ed integrando l’operazione
D15 di cui all’allegato B del D. Lgs. 22/97.
In conclusione i quattro ricorsi devono essere respinti, unitamente ai motivi
aggiunti del gravame r.g. 183/2001.
La complessità di alcune questioni affrontate suggerisce di compensare
integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di
Brescia – previa riunione dei ricorsi in epigrafe, li dichiara in parte
inammissibili ed in parte infondati, e definitivamente pronunciando li respinge.
Spese compensate.
Così deciso, in Brescia, il 31/3/2005, dal Tribunale Amministrativo Regionale
per la Lombardia con l'intervento dei Signori:
Francesco MARIUZZO - Presidente
Mauro PEDRON - Giudice
Stefano TENCA - Giudice relatore ed estensore
NUMERO SENTENZA 304 / 2005
DATA PUBBLICAZIONE 11 - 04 - 2005
1) V.I.A. - Opere assoggettate a V.I.A. - Impianto di eliminazione di rifuti tossici e nocivi mediante incenerimento - Rientra - Art. 6 L. 349/86. Il progetto relativo all’installazione di un impianto di eliminazione di rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra, va doverosamente sottoposto alla valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'Ambiente ai sensi dell'art. 6 della L. 349/86. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304
2) Acqua - Tribunale superiore delle acque pubbliche - Giurisdizione - Limiti. La giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche o sull'esecuzione delle opere idrauliche finalizzate alla migliore utilizzazione di tali acque, mentre ricorre la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo riguardo ai provvedimenti aventi un'incidenza strumentale ed indiretta su tale materia (T.A.R. Emilia Romagna Parma – 6/11/2003 n. 581; Consiglio di Stato, sez. V – 5/8/2003 n. 4506). Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304
3) Acqua - Fiumi e corsi d'acqua - Vincolo paesaggistico - Regione - Potere di escludere determinati corsi d'acqua dal vincolo - Natura - Sindacato del giudice amministrativo - Limiti - L. 431/85 - D.M. 21/9/1984. Il potere esercitato dalle Regioni ai sensi dell'art. 1 quater della L. 431/85 (determinazione dei corsi d'acqua pubblici che possono essere esclusi dal vincolo paesaggistico di cui al D.M. 21/9/1984) si caratterizza per una discrezionalità particolarmente ampia, rispetto alla quale il sindacato del giudice può essere esercitato nelle circoscritte ipotesi di macroscopiche illegittimità e di incongruenze manifeste dovute a vizi logici, ad errore di fatto, a travisamento dei presupposti ovvero ad un difetto di istruttoria o ad una cattiva applicazione delle regole tecniche. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304
4) Inquinamento - Principio di precauzione - Tutela della salute e dell'ambiente - Prevalenza rispetto alla tutela economica - Valutazioen scientifica incerta - Amministrazione - Prescrizioni prudenziali dirette ad eliminare il rischio - Legittimità. Il "principio di precauzione" è principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare tutti i provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici. Nel caso in cui la valutazione scientifica non consenta di stabilire con sufficiente certezza l'esistenza del rischio, la scelta di ricorrere al principio di precauzione dipende generalmente dal livello di protezione scelto dall'autorità competente nell'esercizio del suo potere discrezionale: tale decisione deve in ogni caso essere conforme al principio della preminenza della tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente sugli interessi economici, nonché ai principi di proporzionalità e di non discriminazione. Sicchè, l’amministrazione ben può compiere una valutazione che – in via assolutamente prudenziale – tenda ad eliminare il rischio, non esistendo una soglia di pericolo di un disastro ecologico che possa ritenersi accettabile, neppure in misura minima, a fronte della tutela di un valore fondamentale della persona quale quello della salute umana garantita dall'art. 32 Cost.. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304
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