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 Massime della sentenza

 

 

 

T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005 n. 304

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
 

II Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia -

 

 

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

 

sui ricorsi riuniti nn. 1351/97, 183/2001, 846/2001 e 429/2002 proposti da


ACS DOBFAR S.p.a.,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Pierluigi Varischi, Simona Viola, Mario Bucello, Rosaria Daniela Stella e Maria Gabriella Bertoli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Brescia, Via Aleardo Aleardi, 1/b;


a) n. 1351/97:


contro
PROVINCIA DI BERGAMO,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Enrico Codignola e Mario Spinetti, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Brescia, Via Romanino n. 16;
e contro
REGIONE LOMBARDIA
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Piera Pujatti, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Malta n. 12;
e nei confronti di
COMUNE DI ALBANO S. ALESSANDRO
MINISTERO DELL’AMBIENTE
non costituitisi in giudizio;


per l’annullamento
del verbale della Conferenza di servizi in data 30/6/1997, recante la sospensione dell’istruttoria avviata per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio di un impianto di stoccaggio e termodistruzione di rifiuti liquidi, in ragione del previo esperimento della procedura di valutazione di impatto ambientale.
 

n. 183/2001:


contro
MINISTERO DELL’AMBIENTE
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI
costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato ed elettivamente domiciliati presso i suoi uffici in Brescia, Via S. Caterina n. 6;
e contro
REGIONE LOMBARDIA
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Piera Pujatti e Marco Cederle, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Donatella Mento in Brescia, Via Gramsci n. 28;
e contro
PROVINCIA DI BERGAMO
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Giorgio Vavassori ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Enrico Codignola in Brescia, via Romanino n. 16;
e nei confronti di
COMUNE DI ALBANO S. ALESSANDRO,
non costituitosi in giudizio;
e nei confronti di
COMUNE DI SAN PAOLO D’ARGON,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Viviani e Mauro Ballerini ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Brescia, via Moretto n. 42/A;
e nei confronti di
IMMOBILIARE GRILLO s.a.s.
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Calvi e Giovanni Carattoni ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Brescia, Corso Magenta n. 43/D;
 

per l’annullamento
del provvedimento adottato il 16/11/2000 dal Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, contenente un giudizio positivo condizionato di compatibilità ambientale sul progetto relativo alla trasformazione di un impianto di post-combustione in un impianto di termodistruzione di rifiuti speciali e tossico-nocivi da realizzarsi nel Comune di Albano S. Alessandro, oltre agli atti presupposti e connessi.
e per il risarcimento del danno
subito per effetto dei provvedimenti impugnati.
 

n. 846/2001


contro
PROVINCIA DI BERGAMO
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Giorgio Vavassori ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Enrico Codignola in Brescia, via Romanino n. 16;
e contro
REGIONE LOMBARDIA
non costituitasi in giudizio;


per l’annullamento
del provvedimento del Dirigente del Servizio Rifiuti della Provincia di Bergamo in data 15/5/2001, recante la diffida dal realizzare ed esercitare impianti di smaltimento rifiuti in assenza delle necessarie autorizzazioni, nonchè del rapporto di servizio relativo al sopralluogo del 13/3/2001 e di ogni altro atto connesso.


n. 429/2002:


contro
REGIONE LOMBARDIA,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Piera Pujatti e Marco Cederle ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Donatella Mento in Brescia, via Gramsci n. 28;
e contro
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato ed elettivamente domiciliato presso i suoi uffici in Brescia, via S. Caterina n. 6;


per l’annullamento
del provvedimento dirigenziale del 6/11/2001 di diniego della derubricazione del torrente Zerra per il tratto indicato e della revisione in parte qua dell’elenco approvato ai sensi dell’art. 1 quater della L. 8/8/1985 n. 431, oltre ad ogni atto presupposto, connesso e conseguente.


Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti della causa;
Designato come relatore, alla pubblica udienza del 31/3/2005, il dott. Stefano Tenca;
Uditi i difensori delle parti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


La Società ricorrente – dedita alla produzione di sostanze chimiche per uso farmaceutico – svolge una parte della propria attività produttiva nello stabilimento localizzato nel Comune di Albano S. Alessandro.


Poichè l’insediamento industriale è dotato di un impianto di combustione termica per le sole emissioni gassose, la Società ha concepito un progetto di modifica per renderlo idoneo alle operazioni di combustione dei rifiuti liquidi, così da svolgere in piena autonomia l’attività di smaltimento di pressoché tutti i reflui della produzione, attualmente conferiti a ditte esterne.


In data 28/4/1997 la ricorrente presentava alla Regione Lombardia domanda di autorizzazione per la modifica della struttura esistente, intendendo trasformare l’impianto di combustione termica per sfiati gassosi in modo da realizzare ed esercitare un impianto di stoccaggio e termodistruzione di rifiuti liquidi, ai sensi degli artt. 27 e 28 del D. Lgs. 5/2/1997 n. 22.


Ricevuta l’istanza, la Regione Lombardia avviava il procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione convocando la Conferenza di servizi la quale – nella seduta preliminare del 30/6/1997 – disponeva la sospensione dell’istruttoria prendendo atto della previa necessità di attivare la procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) ai sensi dell’art. 27 comma 1 del D. Lgs. 22/97, “poiché il trattamento riguarda rifiuti considerati pericolosi”.


Con ricorso r.g. 1351/97 – ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione – la Società ricorrente impugna la determinazione che ha sospeso l’istruttoria, deducendo i seguenti motivi di diritto:


a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 2 del D.P.C.M. 10/8/1988 n. 377 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, in quanto la norma invocata prescriverebbe la procedura di V.I.A. su un’impianto già funzionante nel solo caso in cui esso subisca trasformazioni tali da renderlo sostanzialmente diverso, mentre nella fattispecie l’opera in progetto avrebbe caratteristiche pressoché invariate rispetto a quella già esistente;


b) Violazione dell’art. 27 del D. Lgs. 22/97, il quale non avrebbe introdotto alcuna modifica alle categorie di opere da sottoporre a V.I.A., che pertanto andrebbero individuate aliunde nell’ordinamento vigente;


c) Violazione dell’art. 1 comma 2 della L. 7/8/1990 n. 241 e del principio di tipicità degli atti amministrativi, avendo la Conferenza di servizi indebitamente alterato il modello tipico dell’iter autorizzativo stabilito dalla legge imponendo un sub-procedimento non contemplato dalla disciplina di settore;


d) Illegittima composizione della Conferenza di servizi, la quale avrebbe avuto luogo malgrado l’assenza del rappresentante del Comune di Albano S. Alessandro.


Questa Sezione, con ordinanza n. 979 emessa nella Camera di consiglio del 21/11/1997, ha respinto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.


Nel frattempo, la Società ACS Dobfar ha comunque attivato la procedura di VIA, depositando lo studio di impatto ambientale e producendo la documentazione integrativa richiesta a più riprese sia dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, sia dalla Regione Lombardia e dal Ministero dell’Ambiente.


Con nota del 20/7/1999, la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici di Milano esprimeva al Ministero per i Beni e le Attività Culturali parere favorevole al progetto, “anche a fronte di quanto dichiarato dalla Società in relazione ad una trasformazione impiantistica che coinvolge solo le caratteristiche interne di un impianto tecnologico già esistente e funzionante”. Dopo la nota della Soprintendenza archeologica del 16/8/1999, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali emetteva – in data 14/1/2000 – parere favorevole condizionato di compatibilità ambientale, prescrivendo di non installare nuove unità all’interno dell’attuale parco serbatoi e di predisporre un “piano di delocalizzazione … al fine di allontanarlo il più possibile dall’argine del torrente Zerra”.


Con deliberazione n. VII/485 del 14/7/2000, la Giunta Regionale si pronunciava in senso positivo sul progetto ma confermava le prescrizioni già impartite in precedenza dal Ministero, dovendo i serbatoi essere costruiti con la “minima capacità necessaria” e secondo un piano di delocalizzazione che ne contempli lo spostamento “al di fuori della fascia di 150 metri dal torrente Zerra”, ed essendo necessario realizzare interventi di difesa spondale lungo il torrente “in conformità a quanto previsto dal progetto di risistemazione idraulica complessivo” mentre il rialzo della sommità dovrà essere tale “da garantire un’adeguata protezione del parco serbatoi da eventuali esondazioni fin tanto che questi non saranno delocalizzati”. Il parere regionale aveva in particolare evidenziato che “non si può escludere con ragionevole sicurezza l’esondabilità dell’area occupata dal parco serbatoi, seppur con modesti tiranti idrici”.


Il 16/11/2000 il Ministero dell’Ambiente ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali esprimevano un giudizio finale positivo di compatibilità ambientale, ribadendo le prescrizioni già dettate dall’autorità regionale, fra le quali quella di delocalizzare l’attuale parco serbatoi “al fine di allontanarlo il più possibile dall’argine del torrente Zerra”.


Con ricorso r.g. 183/2001 – ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione – la Società ACS Dobfar S.p.a. impugna il citato provvedimento ministeriale deducendo – oltre all’illegittimità derivata dai vizi già esposti nel gravame precedente – i seguenti motivi di diritto:


e) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 3 del D.P.R. 12/4/1996 e dell’art. 27 del D. Lgs. 22/97, in quanto la normativa che regola la procedura di V.I.A. abiliterebbe l’amministrazione ad avanzare una sola richiesta di chiarimenti sulla documentazione già trasmessa, ricevuta la quale il giudizio ambientale deve essere reso entro 90 giorni, mentre al contrario la Regione ed i Ministeri competenti avrebbero abusato del proprio potere reiterando le istanze di delucidazioni ed integrazioni talvolta in modo non coordinato, in tal modo dilatando indebitamente lo spazio temporale entro il quale doveva esaurirsi l’iter procedimentale;


f) Eccesso di potere per contraddittorietà, in quanto il Ministero avrebbe sollecitato – in data 17/2/1999 – il compimento di azioni di mitigazione e compensazione ambientale e di riqualificazione del torrente, dando quindi per presupposto il mantenimento dell’attuale localizzazione del parco serbatoi;


g) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto lo studio di impatto ambientale rassegnato dalla Società avrebbe messo in luce che il torrente Zerra – da tempo canalizzato mediante deviazione dal percorso dell’alveo naturale – è totalmente privo di rilevanza ambientale, poiché scorre all’interno di insediamenti produttivi ed abitativi con la presenza massiccia di strutture fisse e addirittura di un grande insediamento commerciale;


h) Eccesso di potere per illogicità, in quanto la prescrizione di rafforzare gli interventi di difesa delle sponde lungo il torrente non avrebbe alcun senso in una prospettiva di delocalizzazione; peraltro sarebbe incongrua l’imposizione del trasferimento del parco serbatoi, la quale non terrebbe conto di un impianto tecnologico già funzionante e regolarmente autorizzato dall’amministrazione comunale di Albano S. Alessandro pur in presenza del vincolo ex lege, con ciò dando conto di un’area priva di rilievo naturalistico;


i) Eccesso di potere per irragionevolezza, dato che lo studio ambientale avrebbe dimostrato che la quota massima delle acque non sarebbe in grado di interferire con l’impianto di stoccaggio neppure nel caso di rilevanti fuoruscite di piena del torrente;


j) Violazione del principio di partecipazione, in quanto gli apporti forniti dalla ricorrente non sarebbero stati presi in considerazione nel corso dell’istruttoria procedimentale.


Con nota del 5/4/2002 la Società presentava istanza per la revisione della prescrizione inerente il Parco serbatoi, ipotizzando sia di utilizzare come siti di stoccaggio altri serbatoi già esistenti ubicati all’interno dello stabilimento, sia di potenziare comunque gli argini del torrente in conformità ai contenuti di un ulteriore progetto predisposto in precedenza ed approvato dalla Regione Lombardia con atto del 24/12/2001.


Con motivi aggiunti depositati il 17/2/2004, la ricorrente impugna il provvedimento del Ministero dell’Ambiente in data 2/12/2003 che – pronunciandosi sulla proposta di variante esecutiva del progetto originario – ha confermato la prescrizione di delocalizzazione, adducendo la portata sottostimata del torrente, l’insufficienza degli interventi alle sponde ed i dubbi inerenti alla corretta valutazione del ponte e delle altre opere idrauliche presenti a valle dell’area dello stabilimento.


In particolare, vengono sollevate le seguenti censure:


k) Eccesso di potere per travisamento dei presupposti ed erroneità della motivazione, in quanto se da un lato l’Autorità di Bacino avrebbe ufficialmente confermato che l’area non può essere interessata da rilevanti fenomeni di esondazione, dall’altro il progetto di regimazione delle acque – assentito con nulla-osta regionale del 24/12/2001 – garantirebbe l’assoluta messa in sicurezza dell’impianto in relazione ad ogni sia pur modesto fenomeno di tracimazione;


l) Violazione della regola procedimentale per la quale la riedizione del potere amministrativo deve osservare la stessa procedura intrapresa per emettere il provvedimento originario, nonché dell’art. 3 della L. 241/90, dato che il Ministero non avrebbe acquisito il parere della Commissione V.I.A. e che sarebbero chiare le metodologie seguite e le stime effettuate dall’autorità per giungere alla conferma della prescrizione;


m) Violazione degli artt. 138 e segg. del D. Lgs. 490/99 e del principio generale di affidamento, dato che l’amministrazione avrebbe tardivamente esercitato un potere di verifica che si sarebbe dovuto estrinsecare all’epoca dell’originaria localizzazione del parco serbatoi, e in luogo di esaminare il nuovo progetto avrebbe rimesso in discussione un assetto preesistente e consolidato, già oggetto di autorizzazione provinciale per lo stoccaggio provvisorio;


n) Violazione dell’art. 146 comma 2 del D. Lgs. 490/99 ed eccesso di potere per contraddittorietà, poiché l’oggettiva conformazione urbanistica dell’area – inclusa in un comparto già parzialmente interessato da insediamenti produttivi alla data di introduzione del vincolo paesaggistico – corrisponderebbe alla definizione di zona omogenea territoriale B secondo la classificazione del D.M. n. 1444 del 1968 e sarebbe esclusa dalla tutela prevista dalla L. 431/85.


In data 13/3/2001, durante un sopralluogo, la Provincia accertava l’utilizzazione di 5 serbatoi di rifiuti T18 T19 T20 T21 T23 e l’installazione di altri 4 serbatoi T22 T24 T25 T26 a completamento del nuovo parco previsto, cui seguiva la segnalazione alla Procura della Repubblica e la diffida dal realizzare ed esercitare impianti di smaltimento rifiuti in assenza delle necessarie autorizzazioni.


Con ricorso r.g. 846/2001 – notificato in data 13/7/2001 e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione – la Società ACS Dobfar S.p.a. impugna il provvedimento di diffida della Provincia di Bergamo, deducendo le seguenti censure:


o) Violazione dell’art. 7 della L. 241/90, per non essere stata riconosciuta alla ricorrente la facoltà di interloquire nella fase istruttoria del procedimento;


p) Violazione degli artt. 27 e 28 del D. Lgs. 22/97, posto che i serbatoi contestati – che completerebbero le unità a servizio del termodistruttore in corso di realizzazione – non verrebbero utilizzati per lo stoccaggio dei rifiuti ma solo per lo stoccaggio delle acque di lavaggio;


q) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, essendo in itinere un procedimento per la derubricazione del torrente, ossia per far dichiarare l’irrilevanza della zona sulla quale insistono i serbatoi sotto il profilo paesaggistico;


r) Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.P.R. 203/88, in quanto i serbatoi sarebbero esentati dall’obbligo di autorizzazione.


La deliberazione della Giunta regionale n. IV/12028 in data 10/9/1986 censiva i corsi d’acqua ai sensi dell’art. 1 quater della L. 431/85 ed il torrente in questione veniva inserito in elenco al n. 266, risultando vincolato tutto il suo corso per il suo interesse naturalistico.


In data 22/8/2001 la ricorrente presentava alla Regione istanza di revisione dell’elenco, adducendo elementi asseritamente sufficienti ad escludere il valore naturalistico del torrente nel tratto prospiciente lo stabilimento. La Regione Lombardia – con nota del 6/11/2001 – si esprimeva in senso negativo, ritenendo che il torrente “conservi caratteristiche in grado di determinare qualità paesistica ai luoghi attraversati, … che potrebbe essere compromessa se priva della necessaria tutela di legge, …”.


Con ricorso r.g. 429/2002 – ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione – la Società ACS Dobfar S.p.a. impugna il provvedimento regionale di diniego sull’istanza di derubricazione, deducendo i seguenti motivi di diritto:


s) Violazione dell’art. 146 commi 1 e 2 del D. Lgs. 490/99 ed eccesso di potere per travisamento dei presupposti, in quanto l’area interessata avrebbe perduto ogni carattere di pregio naturalistico e pertanto risulterebbe totalmente priva di rilevanza ambientale;


t) Eccesso di potere per illogicità, in quanto la Regione avrebbe dovuto procedere ad un nuovo censimento dei corsi d’acqua pubblici, rinnovando l’attività di accertamento delle condizioni di permanenza del vincolo compiuta una sola volta nel lontano 1986;


u) Eccesso di potere per sviamento, avendo la Regione richiamato genericamente precedenti atti regionali e ministeriali senza esplicitare ulteriormente le ragioni del diniego.


Resistono in giudizio le amministrazioni intimate, chiedendo la reiezione del ricorso.


Alla pubblica udienza del 31/3/2005 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.


DIRITTO


I ricorsi appaiono connessi sotto il profilo soggettivo ed oggettivo e pertanto se ne dispone la riunione, potendo essere decisi con un’unica sentenza.


La Società ricorrente – interessata a realizzare ed esercitare un impianto di stoccaggio e termodistruzione di rifiuti liquidi previa trasformazione dell’impianto di combustione termica per sfiati gassosi già attivo presso lo stabilimento – censura le determinazioni adottate dalle amministrazioni intimate che, da un lato, hanno imposto l’attivazione della procedura di V.I.A. e, dall’altro, hanno subordinato la fattibilità dell’intervento alla predisposizione di un piano di delocalizzazione del parco serbatoi che ne preveda l’allontanamento dall’argine del torrente Zerra, sia per assicurare l’osservanza del vincolo ambientale di 150 metri stabilito dalla L. 431/85, sia per eliminare il rischio di esondazione nel caso di piena.


1. Passando all’esame del ricorso r.g. 1351/97 – che investe la sospensione dell’istruttoria sul nuovo progetto motivata dalla necessità di compiere la procedura di V.I.A. – con il primo ed il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 2 del D.P.C.M. 10/8/1988 n. 377 e l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, in quanto la norma invocata prescriverebbe la procedura di V.I.A. su un impianto già funzionante nel solo caso in cui esso subisca trasformazioni tali da renderlo sostanzialmente diverso, mentre nella fattispecie l’opera in progetto avrebbe caratteristiche pressoché invariate rispetto a quella già esistente; peraltro l’art. 27 del D. Lgs. 22/97 non avrebbe introdotto alcuna modifica alle categorie di opere da sottoporre a V.I.A., che pertanto andrebbero individuate aliunde nell’ordinamento vigente. Lamenta in particolare la ricorrente il mancato raffronto tra l’assetto attuale e quello futuro della struttura, il quale avrebbe dimostrato l’insussistenza del presupposto per l’esperimento della V.I.A., dal momento che il progetto si limiterebbe a prevedere l’aggiunta – sulla camera di combustione già esistente – di una camera di post-combustione, mentre sulla parte discendente dell’impianto verrebbe installato un apparato denominato “jet scrubber”.


Le censure sono prive di pregio.


La Sezione ha già avuto modo di evidenziare che la V.I.A. costituisce uno degli strumenti più significativi per garantire un corretto assetto del territorio in quanto – essendo finalizzata a verificare gli effetti indotti di un'opera in fase di progettazione – consente di risolvere già alla fonte i contrasti tra i vari interessi concorrenti, attraverso l'adozione di tecniche che permettano di conciliare le esigenze sottese all'intervento da realizzare con la protezione dei valori ambientali: la V.I.A., sostanziandosi in un giudizio tecnico di compatibilità dell'opera sotto tale profilo, assicura, quindi, l'inserimento dell'interesse ambientale all'interno dei processi decisori (sentenza Sezione 3/4/2001 n. 151).


La procedura è stata introdotta nell'ordinamento comunitario con la Direttiva CEE n. 85/337, che ha lo scopo di perseguire l'obiettivo della protezione dell'ambiente e della qualità della vita, e di impedire che – a causa di legislazioni difformi nei diversi Stati – si possano creare disparità di condizioni nel mercato, retto dal principio di libera concorrenza. La direttiva si è comunque limitata a dettare la disciplina minima alla quale gli Stati devono adeguarsi riconoscendo ampio spazio alla legislazione nazionale di attuazione, abilitata ad introdurre norme interne più severe per quanto concerne il raggio di applicazione delle disposizioni e l’articolazione dell’iter procedimentale.


L'art. 6 della L. 8/7/1986 n. 349 ha dettato una prima disciplina temporanea e transitoria in materia di V.I.A., sulla base della quale sono stati emanati il D.P.C.M. 10/8/1988 n. 377 ed il D.P.C.M. 27/12/1988; di seguito, il D.P.R. 12/4/1996 – adottato in attuazione dell'art. 40 comma 1 della L. 22/2/1994 n. 146 (Legge Comunitaria per il 1994) – ha individuato le condizioni, i criteri e le norme tecniche per sua concreta applicazione.


Per quanto in questa sede interessa, va rilevato che l’art. 1 comma 1 lett. i) del D.P.C.M. 377/88 ha testualmente previsto la sottoposizione alla procedura di valutazione di cui all'art. 6 della L. 349/86 dei progetti di opere rientranti nella categoria degli “impianti di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra”, peraltro dando attuazione all’identica statuizione racchiusa nella Direttiva CEE n. 85/337, la quale includeva gli impianti che smaltiscono rifiuti pericolosi mediante incenerimento nell'allegato I punto 9, ossia nell’elenco delle opere che – ai sensi dell'art. 4 comma 1 della medesima direttiva – dovevano formare oggetto di una preventiva valutazione di impatto ambientale.


La giurisprudenza ha del resto già affermato che il progetto relativo all’installazione di un impianto di eliminazione di rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra, va doverosamente sottoposto alla valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'Ambiente ai sensi dell'art. 6 della L. 349/86 (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I – 24/8/2000 n. 1813).


Va inoltre sottolineato che la Provincia ha puntualmente messo in luce che l’impianto in attività della ricorrente effettua la combustione termica delle sole emissioni gassose, ed i gas costituenti una emissione di processo – ossia sottoposti a depurazione – non sono considerabili rifiuti ai sensi dell’art. 8 comma 1 del D. Lgs. 22/97, per il quale “Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera”: la struttura in progetto è destinata alla diversa funzione del trattamento dei rifiuti liquidi provenienti dalla lavorazione, i quali sono stati correttamente qualificati come pericolosi con conseguente assoggettamento del nuovo impianto alla relativa normativa.


In particolare, al di là dell’analisi delle singole modifiche – pur esaurientemente descritte dalla Società – previste per i serbatoi già attivi, risulta evidente la necessità di compiere una valutazione complessiva del progetto presentato, la quale conduce inevitabilmente a valorizzare la portata sostanziale degli interventi: essi integrano una reale conversione dell’impianto per lo svolgimento ex novo di operazioni che contemplano l’incenerimento di rifiuti pericolosi, le cui conseguenze sull’ambiente sono di gran lunga più rilevanti rispetto all’impatto provocato da un impianto di combustione termica per sfiati gassosi che emette effluenti in atmosfera, come del resto si evince dalla più rigorosa disciplina dettata dal legislatore nazionale e comunitario per salvaguardare gli effetti della relativa attività sul territorio. In proposito la Sezione ha affermato – in una vicenda che presenta analogie con quella esaminata in questa sede – che la sopravvenienza di una variante sostanziale ad una piattaforma produttiva non permette all’amministrazione di rinnovare rebus sic stantibus l’autorizzazione in scadenza, trovando applicazione l’art. 27 comma 8 del D. Lgs. 22/97 il quale “accomuna l’ipotesi dell’autorizzazione di nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, a quella della realizzazione di varianti sostanziali in corso d’esercizio, che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non siano più conformi all’autorizzazione originariamente rilasciata” (cfr. sentenza Sezione 9/6/2003 n. 836).


Il primo ricorso deve dunque essere respinto, perdendo a questo punto consistenza le dedotte censure formali circa l’indebita alterazione del modello tipico dell’iter autorizzativo stabilito dalla legge e l’illegittima composizione della Conferenza di servizi, dal momento che la procedura di V.I.A. doveva essere in ogni caso attivata.


2. Proseguendo secondo un ordine logico, deve essere esaminato il quarto ricorso (r.g. 429/2002), con il quale è stato impugnato il provvedimento regionale di diniego sull’istanza di derubricazione del torrente Zerra dall’elenco dei corsi d’acqua vincolati.


Al riguardo, devono essere preliminarmente esaminate le eccezioni processuali sollevate dalle amministrazioni intimate.


2.1 La Regione ha anzitutto dedotto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la derubricazione richiesta avrebbe incidenza diretta sull’uso delle acque, con conseguente competenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche.


L’eccezione è infondata.


La presente controversia ha per oggetto, in concreto, la verifica della legittimità della nota regionale di diniego sull’istanza di revisione dell’elenco dei corsi d’acqua pubblici tutelati ex lege, e quindi essa per un verso non investe che indirettamente la sponda dell’argine – che entra in questione esclusivamente quale riferimento per la verifica del rispetto della distanza di 150 m. prescritta dalla normativa vigente – e dall'altro lato risulta, invece, del tutto estranea alle problematiche attinenti al regime delle acque pubbliche.


Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che "La giurisdizione generale di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado ha per oggetto i ricorsi contro provvedimenti amministrativi caratterizzati da incidenza diretta sulla materia di tali acque, ossia questioni in ordine ad opere che su queste influiscono immediatamente”, mentre esorbita da tale giurisdizione ed appartiene a quella del giudice amministrativo l'impugnazione di atti non destinati ad avere riflessi immediati sul regime delle acque secondo un criterio di efficacia diretta (Corte di Cassazione, sez. unite civili – 10/12/1993 n. 12167): pertanto, la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche o sull'esecuzione delle opere idrauliche finalizzate alla migliore utilizzazione di tali acque, mentre ricorre la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo riguardo ai provvedimenti aventi un'incidenza strumentale ed indiretta su tale materia (T.A.R. Emilia Romagna Parma – 6/11/2003 n. 581; Consiglio di Stato, sez. V – 5/8/2003 n. 4506).
Nel caso in esame, la controversia non attiene direttamente al regime delle acque e nemmeno concerne la realizzazione, modificazione, sospensione od eliminazione di un'opera idraulica, per cui deve concludersi che il ricorso risulta legittimamente incardinato innanzi a questo Tribunale.


2.2 Deve parimenti essere respinta l’eccezione di tardività, sollevata dalla difesa regionale sul presupposto che l’effetto vincolistico si sarebbe prodotto a seguito dell’inclusione del torrente Zerra nell’elenco approvato con la D.G.R. n. IV/12028 in data 10/9/1986, e di conseguenza sarebbe ampiamente decorso il termine di impugnazione.


Osserva il Collegio che la legittimazione ad agire – tradizionale presupposto di ammissibilità del ricorso giurisdizionale – postula l’esistenza in capo al ricorrente della titolarità di un interesse sostanziale tutelato dall’ordinamento, che abbia subìto un pregiudizio immediato, concreto ed attuale dal provvedimento amministrativo oggetto di censura. Come ha correttamente evidenziato la Società, il provvedimento gravato ha inciso direttamente nella propria sfera giuridica, disponendo un diniego sostenuto da rinnovate ed autonome valutazioni le quali impediscono di qualificarlo come mera dichiarazione di scienza ovvero come atto meramente confermativo: la determinazione reca un chiaro contenuto sfavorevole per la ricorrente ed è stata adottata “a seguito di verifiche in loco documentate …”, le quali hanno comportato un nuovo esame istruttorio ed un’attività di ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, suscettibili di far assumere al provvedimento i connotati di novità ed autonomia.


2.3 Deve essere viceversa dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in quanto la competenza a redigere l’elenco dei corsi d’acqua sottratti al vincolo imposto dalla L. Galasso spetta in via esclusiva alla Regione, non residuando alcun potere in materia all’autorità statale.


3. Nel merito, il ricorso è infondato.


3.1 La ricorrente ha anzitutto dedotto l’eccesso di potere per illogicità e per sviamento, in quanto la Regione avrebbe da un lato indebitamente omesso di effettuare un nuovo censimento dei corsi d’acqua pubblici, mentre dall’altro avrebbe richiamato genericamente precedenti atti regionali e ministeriali senza esplicitare ulteriormente le ragioni del diniego. In aggiunta, ha contestato l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti, in quanto l’area interessata avrebbe perduto ogni carattere di pregio naturalistico.


La doglianza è infondata.


La Sezione ha già osservato – nella sentenza n. 1754 del 3/12/2004 che ha ricostruito il quadro normativo in materia – che il D.M. 21/9/1984 ha sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi dalla L. 29/6/1939 n. 1497 i fiumi, i torrenti ed i corsi d’acqua classificabili pubblici ai sensi del Testo unico sulle acque, per una fascia di 150 metri. Di seguito, il D.L. 27/6/1985 n. 312 convertito nella L. 8/8/1985 n. 431 – all’art. 1-quater – ha disposto che, in relazione al vincolo paesaggistico sui corsi d’acqua ai sensi dell’art. 82 comma 5 lett. c) del D.P.R. 24/7/1977 n. 616 (norma poi riprodotta integralmente dal D.M. 21/9/1984 così come sopra riportato), le Regioni hanno il potere di determinare quali corsi d’acqua classificabili pubblici “..possono, per la loro irrilevanza ai fini paesaggistici, essere esclusi, in tutto o in parte, dal predetto vincolo..”, redigendone e rendendone pubblico apposito elenco.


La Regione Lombardia – con la citata deliberazione della Giunta Regionale n. 4/12028 del 25/7/1996 – ha in effetti adottato siffatto elenco individuando il corso del torrente Zerra come “tratto vincolato”, con ciò attraendolo nel raggio di applicazione della norma di salvaguardia paesaggistica.


Osserva il Collegio che il potere esercitato dall’amministrazione in materia si caratterizza per una discrezionalità particolarmente ampia, rispetto alla quale il sindacato del giudice può essere esercitato nelle circoscritte ipotesi di macroscopiche illegittimità e di incongruenze manifeste dovute a vizi logici, ad errore di fatto, a travisamento dei presupposti ovvero ad un difetto di istruttoria o ad una cattiva applicazione delle regole tecniche (Consiglio Stato, sez. VI – 11/2/2004 n. 458): peraltro, è il caso di aggiungere che il vincolo sulla zona adiacente al torrente Zerra è stato disposto direttamente dal legislatore, mentre la Regione esercita in materia un’attività di pianificazione espressamente sottratta ad un onere di puntuale motivazione dall’art. 3 della L. 241/90.


In ogni caso, la Regione ha nella specie sostenuto la risoluzione negativa osservando che “a seguito di verifiche in loco documentate anche da rilievo di foto aeree, si ritiene che Torrente Zerra per il tratto in questione conservi caratteristiche in grado di determinare qualità paesistica ai luoghi attraversati, qualità che potrebbe essere compromessa se priva della necessaria tutela di legge, come si può desumere anche dall’attenzione riservata in precedenti atti regionali e ministeriali”: l’autorità amministrativa risulta quindi aver dato sufficientemente conto delle valutazioni compiute nella riedizione del potere amministrativo, e ciò costituisce elemento per sostenere la correttezza e la legittimità della determinazione negativa la quale – è bene osservare – non fa che conformarsi alla generale statuizione già introdotta dal legislatore statale che appone il vincolo per una fascia di 150 m. dai corsi d’acqua pubblici: i criteri di individuazione delle aree sottoposte a salvaguardia sono contenuti nella stessa disposizione della L. 431/85 la quale, qualificando giuridicamente alcune porzioni di territorio, rimette all’amministrazione competente il limitato compito di effettuare un’operazione di riscontro delle situazioni da tutelare, senza che sia peraltro rinvenibile alcun obbligo di revisione periodica degli elenchi.


3.2 Si ritiene a questo punto opportuno rinviare all’esame del successivo ricorso la trattazione dell’ulteriore motivo circa l’avvenuta violazione dell’art. 146 commi 1 e 2 del D. Lgs. 490/99 in quanto l’area interessata sarebbe ricompresa in zona B, non sottoposta al più volte citato vincolo.


4. E’ necessario ora affrontare il secondo gravame in ordine cronologico (r.g. 183/2001), con il quale è stato impugnato il provvedimento adottato il 16/11/2000 dal Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, recante un giudizio positivo condizionato di compatibilità ambientale sul progetto relativo alla trasformazione di un impianto di post-combustione in un impianto di termodistruzione di rifiuti speciali e tossico-nocivi. Occorre tenere conto che, con motivi aggiunti, la ricorrente ha poi censurato il provvedimento del Ministero dell’Ambiente in data 2/12/2003, che ha confermato la prescrizione di delocalizzazione pronunciandosi sulla proposta di variante esecutiva del progetto originario.


4.1 Deve preventivamente essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Immobiliare Grillo – evocata in giudizio dalla ricorrente – non rivestendo la stessa la qualità di controinteressata in senso tecnico: essa, infatti, è semplicemente proprietaria di alcuni terreni confinanti con quelli delle Società ACS Dobfar e si è limitata a segnalare alle competenti autorità le proprie lamentele per le produzioni pericolose e nocive, senza tuttavia contestare specificamente il progetto di ampliamento del polo industriale. Non rinvenendosi pertanto a favore dell’Immobiliare Grillo un vantaggio diretto ed immediato per effetto del provvedimento impugnato, la stessa deve essere estromessa dal giudizio.


4.2 Passando all’esame del merito, deve anzitutto essere respinto il primo motivo, con il quale la ricorrente ha invocato l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto lo studio di impatto ambientale prodotto avrebbe messo in luce che il torrente Zerra – da tempo canalizzato mediante deviazione dal percorso dell’alveo naturale – è totalmente privo di rilevanza ambientale, poiché scorre all’interno di insediamenti produttivi ed abitativi con la presenza massiccia di strutture fisse e addirittura di un grande insediamento commerciale: l’esigua vegetazione non sarebbe in grado di imprimere un caratteristico timbro paesaggistico di “ambito fluviale”, per cui nessuna compromissione e/o alterazione del paesaggio sarebbe imputabile all’attuale localizzazione del parco serbatoi.
Il Collegio ritiene sufficiente, al riguardo, richiamare le considerazioni già sviluppate con riferimento al ricorso r.g. 429/2002, ribadendo che il vincolo in questione opera ex lege nella fascia dei 150 metri e che la Regione ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente sul punto, negando una deroga e confermando la precedente previsione che includeva il torrente Zerra tra i corsi d’acqua pubblici tutelati sotto il profilo paesaggistico. Inoltre, è bene puntualizzare che la salvaguardia prevista dalla L. 431/85 è stata confermata dall’art. 146 comma 1 lett. c) del D. Lgs. 164/99 e dall’art. 142 comma 1 lett. c) del D. Lgs. 22/1/2004 n. 42.


4.3 Con un secondo gruppo di motivi, la Società ACS Dobfar invoca l’eccesso di potere per irragionevolezza, in quanto lo studio prodotto per la V.I.A. avrebbe dimostrato che la quota massima delle acque non sarebbe in grado di interferire con l’impianto di stoccaggio neppure nel caso di rilevanti fuoruscite di piena del torrente; aggiunge poi che lo spostamento imposto sarebbe tecnicamente e logisticamente impraticabile, oltre che economicamente oneroso, in quanto l’unica area disponibile non vincolata nel perimetro dello stabilimento sarebbe quella attualmente adibita a parcheggio, che però è destinata ad accogliere gli interventi di riqualificazione approvati dal Ministero dell’ambiente nel corso dell’istruttoria, ed inoltre aumenterebbe in quel punto la pendenza del terreno e lo spostamento avrebbe un impatto paesaggistico decisamente superiore a quello attuale.


Nei motivi aggiunti, la ricorrente deduce l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti ed erroneità della motivazione, in quanto se da un lato l’Autorità di Bacino avrebbe ufficialmente confermato che l’area non può essere interessata da rilevanti fenomeni di esondazione, dall’altro il progetto di regimazione delle acque – assentito con nulla-osta regionale del 24/12/2001 – garantirebbe l’assoluta messa in sicurezza dell’impianto in relazione ad ogni sia pur modesto fenomeno di tracimazione. In particolare, la Società ricorrente espone che la cennata conclusione risulta avvalorata dalle previsioni del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico (P.A.I.) – predisposto dall’Autorità di Bacino del fiume Po con la delibera n. 20 del 26/4/2001 – in quanto la perimetrazione delle zone 1 “aree a rischio molto elevato” di cui all’allegato 4.1 del Piano escluderebbe tutta l’area occupata dallo stabilimento in quanto non suscettibile di essere coinvolta da fenomeni idrogeologici di alcun rilievo. Dobfar S.p.a. ha inoltre affermato che il progetto di regimazione delle acque mediante allargamento delle sezioni d’alveo – per il quale ha ottenuto il nulla osta regionale in data 24/12/2001 – permetterebbe al torrente di raggiungere una capacità di smaltimento per tempi di ritorno di 200 anni.


Le doglianze sono infondate.


L’Avvocatura dello Stato ha rilevato che – dalla lettura del P.A.I. invocato dalla ricorrente – si evince che nel perimetro della zona 1 è compreso il tratto del torrente adiacente all’area dello stabilimento, per cui la concreta ubicazione dei serbatoi nelle immediate vicinanze del corso d’acqua non sarebbe tale da scongiurare in ogni caso il pericolo di alluvioni. Ha aggiunto poi che se le norme di attuazione del Piano prevedono per la zona 1 potenziali inondazioni per eventi di piena con tempo di ritorno inferiore o uguale a cinquant’anni, la contiguità dell’area in questione con tale zona dovrebbe mettere in allarme sulla seria possibilità che la stessa sia interessata da fenomeni più che cinquantennali.


Posto che la Società ricorrente ha prodotto in giudizio due studi altamente qualificati – che danno conto dell’avvenuta minimizzazione del pericolo di esondazione del torrente – la questione che il Collegio deve affrontare riguarda il grado di rischio socialmente accettabile in seguito alla realizzazione di un’opera come quella in esame, ovvero il margine di tollerabilità di un evento il cui verificarsi potrebbe comportare gravissimi danni ambientali dovuti all’inquinamento delle acque, indipendentemente dal periodo in cui potrebbe accadere.


Ritiene il Collegio di dover richiamare in materia il principio di precauzione.


Dopo che l'art. 174 del Trattato C.E. ha indicato – al paragrafo 1 – la protezione della salute umana fra gli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale, il principio di precauzione è espressamente sancito con forza vincolante al paragrafo 2, il quale dispone che “La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.


L'obbligo giuridico di assicurare un "elevato livello di tutela ambientale" con l'adozione delle migliori tecnologie disponibili tende a spostare il sistema giuridico europeo dalla considerazione del danno da riparare (principio "chi inquina paga"), alla prevenzione (soprattutto mediante la V.I.A.), alla correzione del danno ambientale alla fonte, alla precauzione ed all’integrazione degli strumenti giuridici, tecnici, economici e politici per uno sviluppo economico davvero sostenibile ed uno sviluppo sociale che veda garantita la qualità della vita e l'ambiente quale valore umano fondamentale di ogni persona e della società.


Nonostante sia menzionato nel Trattato solamente in relazione alla politica ambientale, il principio di precauzione ha una sfera di applicazione più ampia, estendendo la propria portata a tutti gli ambiti di azione della Comunità, al fine di assicurare un livello elevato di protezione della salute: in particolare, l'art. 3, par. 1 lett. p) del Trattato prevede, tra le politiche e le azioni della Comunità, “un contributo al conseguimento di un elevato livello di protezione della salute”, mentre l'art. 153 mira a un elevato livello di protezione dei consumatori; inoltre, le esigenze di assicurare tale standard di salvaguardia dell'ambiente e della salute umana sono rinvenibili nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche e azioni della Comunità, in forza, rispettivamente, degli artt. 6 e 152 par. 1 del Trattato CE.


Ne consegue che il principio di precauzione può essere definito come un principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici: infatti, essendo le istituzioni comunitarie e nazionali responsabili – in tutti i loro ambiti d'azione – della tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente, la regola della precauzione può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle menzionate disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE – sentenza 26/11/2002 T-132; Consiglio Stato, sez. VI – 5/12/2002 n. 6657).


Così, per esempio, in materia sanitaria il principio comunitario di precauzione implica che, nel caso in cui sussistano incertezze quanto all'esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono prendere provvedimenti di tutela senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi siano pienamente dimostrate, ossia indipendentemente dall'accertamento di un effettivo nesso causale tra il fatto dannoso o potenzialmente tale e gli effetti pregiudizievoli che ne derivano: il principio di precauzione verrebbe privato del suo effetto utile se occorresse attendere l'esito di tutte le ricerche necessarie prima dell'adozione di siffatte misure.


Tuttavia, nel caso in cui la valutazione scientifica non consenta di stabilire con sufficiente certezza l'esistenza del rischio, la scelta di ricorrere al principio di precauzione dipende generalmente dal livello di protezione scelto dall'autorità competente nell'esercizio del suo potere discrezionale: tale decisione deve in ogni caso essere conforme al principio della preminenza della tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente sugli interessi economici, nonché ai principi di proporzionalità e di non discriminazione (cfr. Corte giustizia CE – 5/2/2004 n. 24; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I – 23/1/2003 n. 260).


Se occorre correlare – nel singolo caso di specie – gli interventi connessi alle misure protettive con il pericolo temuto, la fissazione di un grado di rischio “tollerabile” per la società costituisce una decisione che implica un’elevata responsabilità sul piano politico, alla quale si può far fronte soltanto se – prima di essa – l'incertezza sia stata ridotta al minimo grazie all'impiego delle migliori risorse scientifiche disponibili: dopo un approfondimento completo ed esauriente si deve stabilire il grado di rischio di volta in volta tollerabile, rientrante nell'ambito di potere discrezionale rimesso alle autorità competenti.


Applicando tali principi al caso che ci occupa, va osservato che – in assenza di certezze assolute su una possibile esondazione del torrente anche a lungo termine – l’amministrazione ben può compiere una valutazione che – in via assolutamente prudenziale – tenda ad eliminare il rischio, non esistendo una soglia di pericolo di un disastro ecologico che possa ritenersi accettabile, neppure in misura minima, a fronte della tutela di un valore fondamentale della persona quale quello della salute umana garantita dall'art. 32 Cost..


E’ pacifico che il progetto rassegnato dalla Società ricorrente – seppur proponendo soluzioni nel tempo perfezionate e migliorative – non garantisce un livello di sicurezza assoluta, come emerge dalla stessa ricostruzione della piena del torrente del 26/27 giugno 1997, ove i livelli idrici raggiunti determinavano un rigurgito dello scarico delle acque meteoriche con allagamento temporaneo della zona più depressa del piazzale della Società ricorrente: se è vero che il parco serbatoi è posto a monte rispetto al corso d’acqua, è altrettanto indiscusso che l’area in questione sia contigua con la zona del torrente classificata ad alto rischio idrogeologico, e che la stessa si inserisca in un contesto fortemente antropizzato. Le stesse contraddizioni rilevate dall’Avvocatura dello Stato sulla portata limite del ponte e sul rischio connesso a piene con tempi di ritorno di 200 anni, benché opinabili, introducono uno scenario – quello di un’esondazione di grandi proporzioni – del tutto plausibile e verosimile, anche se associato ad un grado di probabilità molto basso e il cui impatto sarebbe certamente attenuato dalle misure di sicurezza descritte nella relazione allegata alla V.I.A.


In questo quadro di circostanze di fatto ed in coerenza con il principio di precauzione, osserva il Collegio che l’amministrazione competente deve assumersi la responsabilità della decisione, sia pur nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità e dando adeguatamente conto del giudizio compiuto nell’esternazione del proprio potere. I provvedimenti adottati dopo la conclusione della procedura di V.I.A. attivata dalla Società ricorrente rispettano i principi esposti, in quanto hanno correttamente evidenziato il possibile rischio di tracimazione delle acque e le inevitabili conseguenze gravemente negative di tale ipotesi, che il Ministero ha ritenuto necessario scongiurare in ogni caso. Per questo, la determinazione conclusiva – sia pur favorevole – si accompagna alla prescrizione di delocalizzazione, la quale appare indispensabile di fronte alla concreta articolazione del territorio e dell’ubicazione delle strutture che costituiscono fonte di rischio.


In conclusione le censure anzidette sono infondate e vanno respinte.


4.4 Con un secondo gruppo di motivi, la ricorrente deduce l’eccesso di potere per illogicità, in quanto la prescrizione di rafforzare gli interventi di difesa delle sponde lungo il torrente non avrebbe alcun senso in una prospettiva di delocalizzazione e perché sarebbe incongrua l’imposizione del trasferimento del parco serbatoi, la quale non terrebbe conto di un impianto tecnologico già funzionante e regolarmente autorizzato dall’amministrazione comunale di Albano S. Alessandro pur in presenza del vincolo ex lege, con ciò dando conto di un’area priva di rilievo naturalistico. Nei motivi aggiunti, la Società ha invocato il principio generale di affidamento, dato che l’amministrazione avrebbe tardivamente esercitato un potere di verifica che si sarebbe dovuto estrinsecare all’epoca dell’originaria localizzazione del parco serbatoi, ed in luogo di esaminare il nuovo progetto avrebbe rimesso in discussione un assetto preesistente e consolidato, già oggetto di autorizzazione provinciale per lo stoccaggio provvisorio.


I motivi sono infondati.


Osserva il Collegio che non è rinvenibile alcuna contraddizione nelle due contestuali prescrizioni, posto che l’adeguamento delle difese delle sponde del torrente e le azioni di mitigazione delle conseguenze ambientali hanno efficacia nel breve termine in cui il parco serbatoi può rimanere nella sua attuale sede, mentre la tutela idraulica e paesaggistica dei luoghi impone di predisporre nel medio-lungo termine la sua delocalizzazione. Quanto alla dedotta omessa valorizzazione dell’impianto esistente – nel richiamare le considerazioni già sviluppate nel ricorso r.g. 1351/97 sulle differenze sostanziali del nuovo impianto rispetto a quello originario – si rileva che in ogni caso l’impatto ambientale della modificazione di un’opera esistente non può essere unicamente esaminato con riferimento alle innovazioni introdotte, considerate separatamente dall’opera complessiva, ma occorre prendere in considerazione l’impatto potenziale che l’infrastruttura produrrà sul territorio in conseguenza delle modifiche. Del resto, la Provincia ha evidenziato in giudizio che la Società ricorrente ha già realizzato i nuovi serbatoi di progetto, per cui la valutazione deve necessariamente essere condotta sulla struttura nella sua globalità ed unitarietà.


4.5 Non possono essere a questo punto valorizzate le censure formali, con le quali la ricorrente ha anzitutto invocato la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 3 del D.P.R. 12/4/1996 e dell’art. 27 del D. Lgs. 22/97, in quanto la normativa che regola la procedura di V.I.A. abiliterebbe l’amministrazione ad avanzare una sola richiesta di chiarimenti sulla documentazione già trasmessa, ricevuta la quale il giudizio ambientale deve essere reso entro 90 giorni, mentre al contrario la Regione ed i Ministeri competenti avrebbero abusato del proprio potere reiterando le istanze di delucidazioni ed integrazioni talvolta in modo non coordinato, in tal modo dilatando indebitamente lo spazio temporale entro il quale doveva esaurirsi l’iter procedimentale; ha poi dedotto l’eccesso di potere per contraddittorietà, in quanto il Ministero avrebbe sollecitato il compimento di azioni di mitigazione e compensazione ambientale e di riqualificazione del torrente, dando quindi per presupposto il mantenimento dell’attuale localizzazione del parco serbatoi; ha infine contestato la violazione del principio di partecipazione, in quanto gli apporti forniti non sarebbero stati valorizzati nel corso dell’istruttoria procedimentale, mentre in sede di esame della variante di progetto non sarebbe stata riconosciuta la facoltà di interloquire nella fase istruttoria. Sempre in quest’ultima sede sarebbero stati violati sia la regola procedimentale per la quale la riedizione del potere amministrativo deve osservare la stessa procedura intrapresa per emettere il provvedimento originario, sia l’art. 3 della L. 241/90, dato che il Ministero non avrebbe acquisito il parere della Commissione V.I.A. e che non sarebbero chiare le metodologie seguite e le stime effettuate dall’autorità per giungere alla conferma della prescrizione.


Osserva il Collegio che, da un lato, le anzidette censure appaiono comunque infondate, posto che il termine per la conclusione della procedura di V.I.A. – in difetto di diversa statuizione normativa – assume carattere meramente ordinatorio e non perentorio, rientrando nella potestà discrezionale delle amministrazioni competenti la richiesta di maggiori dettagli ed approfondimenti, anche in ragione della delicatezza degli interventi progettati. In secondo luogo le indicazioni eventualmente espresse nel corso di un’articolata e complessa istruttoria non possono impedire di trarre diverse e più rigorose conclusioni, naturalmente motivate, in sede di valutazione conclusiva. Si rileva inoltre che le regole del contraddittorio possono dirsi rispettate, in quanto la ricorrente ha in ogni caso effettuato un’ampia produzione di documenti, ha presentato osservazioni ed ha partecipato alle Conferenze di servizi indette nel corso dell’iter procedimentale, mentre la determinazione gravata con motivi aggiunti risulta comunque preceduta dalla formulazione di un parere di due esperti dell’apparato ministeriale. Infine la questione della sufficienza della motivazione è stata affrontata al punto 4.3 della sentenza.


In ogni caso, anche a prescindere dalle considerazioni esposte, i dedotti rilievi formali appaiono di dubbia consistenza rispetto all’accertata infondatezza degli argomenti sostanziali già oggetto di precedente esame, nel corso del quale si è evidenziato che le amministrazioni hanno comunque assunto le rispettive determinazioni con sufficiente cognizione di causa.


4.6 Con ulteriore motivo, la ricorrente ha invocato la violazione dell’art. 146 comma 2 del D. Lgs. 490/99 e l’eccesso di potere per contraddittorietà, poiché l’oggettiva conformazione urbanistica dell’area – inclusa in un comparto già parzialmente interessato da insediamenti produttivi alla data di introduzione del vincolo paesaggistico – corrisponderebbe alla definizione di zona omogenea territoriale B secondo la classificazione del D.M. n. 1444 del 1968 e sarebbe esclusa dalla tutela prevista dalla L. Galasso, essendo tra l’altro compresa nel perimetro del Centro abitato.


Se da un lato l’Avvocatura dello Stato ha puntualmente dimostrato che il P.R.G. del 1976 classificava la zona come D1, dall’altro la censura esposta appare inammissibile, in quanto è stata formulata soltanto con i motivi aggiunti quando era ampiamente scaduto il termine per sollevare censure avverso il provvedimento finale sulla V.I.A. del 16/11/2000.


5. Passando all’esame del terzo ricorso in ordine cronologico (r.g. 846/2001) – avente ad oggetto il provvedimento del Dirigente del Servizio Rifiuti della Provincia di Bergamo in data 15/5/2001 recante la diffida dal realizzare ed esercitare impianti di smaltimento rifiuti in assenza delle necessarie autorizzazioni – la ricorrente deduce la violazione degli artt. 27 e 28 del D. Lgs. 22/97 e dell’art. 6 del D.P.R. 203/88 e dell’allegato 1 punto 22 del D.P.R. 25/7/1991, posto che i serbatoi contestati – che completerebbero le unità a servizio del termodistruttore in corso di realizzazione – non verrebbero utilizzati per lo stoccaggio dei rifiuti ma solo per lo stoccaggio di acque di lavaggio, ed in ogni caso sarebbero esentati dall’obbligo di autorizzazione secondo la normativa invocata.


Anche questo ricorso è infondato e deve essere respinto.


La stessa ricorrente ha ammesso che i nuovi serbatoi realizzati sono a servizio del nuovo impianto di termodistruzione, per il quale non si è perfezionato l’iter autorizzativo. Peraltro, non è comunque pertinente il richiamo alla presunta esenzione dell’obbligo di autorizzazione, in quanto il D.P.R. 25/7/1991 allegato 1 punto 22 sulla disciplina delle cd. “emissioni poco significative”, si riferisce testualmente allo “Stoccaggio e movimentazione di prodotti petrolchimici ed idrocarburi naturali estratti da giacimento, stoccati e movimentati a ciclo chiuso o protetti da gas inerte”. Peraltro la Provincia ha sottolineato che, in seguito al sopralluogo del 13/3/2001, è stata predisposta una relazione che attesta la presenza dei serbatoi non autorizzati, i quali non possono essere neppure utilizzati per il deposito temporaneo di rifiuti pericolosi in quanto anche lo stoccaggio dei rifiuti è soggetto ad autorizzazione, costituendo un “deposito preliminare” ed integrando l’operazione D15 di cui all’allegato B del D. Lgs. 22/97.


In conclusione i quattro ricorsi devono essere respinti, unitamente ai motivi aggiunti del gravame r.g. 183/2001.


La complessità di alcune questioni affrontate suggerisce di compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia – previa riunione dei ricorsi in epigrafe, li dichiara in parte inammissibili ed in parte infondati, e definitivamente pronunciando li respinge.


Spese compensate.


Così deciso, in Brescia, il 31/3/2005, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con l'intervento dei Signori:


Francesco MARIUZZO - Presidente
Mauro PEDRON - Giudice
Stefano TENCA - Giudice relatore ed estensore

NUMERO SENTENZA 304 / 2005
DATA PUBBLICAZIONE 11 - 04 - 2005


 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

 

 

1) V.I.A. - Opere assoggettate a V.I.A. - Impianto di eliminazione di rifuti tossici e nocivi mediante incenerimento - Rientra - Art. 6 L. 349/86. Il progetto relativo all’installazione di un impianto di eliminazione di rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra, va doverosamente sottoposto alla valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'Ambiente ai sensi dell'art. 6 della L. 349/86. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304

2) Acqua - Tribunale superiore delle acque pubbliche - Giurisdizione - Limiti. La giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti che incidono direttamente sul regime delle acque pubbliche o sull'esecuzione delle opere idrauliche finalizzate alla migliore utilizzazione di tali acque, mentre ricorre la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo riguardo ai provvedimenti aventi un'incidenza strumentale ed indiretta su tale materia (T.A.R. Emilia Romagna Parma – 6/11/2003 n. 581; Consiglio di Stato, sez. V – 5/8/2003 n. 4506). Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304

3) Acqua - Fiumi e corsi d'acqua - Vincolo paesaggistico - Regione - Potere di escludere determinati corsi d'acqua dal vincolo - Natura - Sindacato del giudice amministrativo - Limiti - L. 431/85 - D.M. 21/9/1984. Il potere esercitato dalle Regioni ai sensi dell'art. 1 quater della L. 431/85 (determinazione dei corsi d'acqua pubblici che possono essere esclusi dal vincolo paesaggistico di cui al D.M. 21/9/1984) si caratterizza per una discrezionalità particolarmente ampia, rispetto alla quale il sindacato del giudice può essere esercitato nelle circoscritte ipotesi di macroscopiche illegittimità e di incongruenze manifeste dovute a vizi logici, ad errore di fatto, a travisamento dei presupposti ovvero ad un difetto di istruttoria o ad una cattiva applicazione delle regole tecniche. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304

4) Inquinamento - Principio di precauzione - Tutela della salute e dell'ambiente - Prevalenza rispetto alla tutela economica - Valutazioen scientifica incerta - Amministrazione - Prescrizioni prudenziali dirette ad eliminare il rischio - Legittimità. Il "principio di precauzione" è principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare tutti i provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici. Nel caso in cui la valutazione scientifica non consenta di stabilire con sufficiente certezza l'esistenza del rischio, la scelta di ricorrere al principio di precauzione dipende generalmente dal livello di protezione scelto dall'autorità competente nell'esercizio del suo potere discrezionale: tale decisione deve in ogni caso essere conforme al principio della preminenza della tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente sugli interessi economici, nonché ai principi di proporzionalità e di non discriminazione. Sicchè, l’amministrazione ben può compiere una valutazione che – in via assolutamente prudenziale – tenda ad eliminare il rischio, non esistendo una soglia di pericolo di un disastro ecologico che possa ritenersi accettabile, neppure in misura minima, a fronte della tutela di un valore fondamentale della persona quale quello della salute umana garantita dall'art. 32 Cost.. Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - A.D. s.p.a. (Avv.ti Varischi, Viola, Bucello, Stella e Bertoli) c. Provincia di Bergamo (Avv.ti Codignola e Spinetti) e Regione Lombardia (Avv. Pujatti), riun. ad altri - T.A.R. LOMBARDIA, Brescia - 11 aprile 2005, n. 304

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