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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. II - 8 febbraio 2005, n. 484

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
 

Umberto Zuballi Presidente
Angelo Gabbricci Consigliere - relatore
Riccardo Savoia Consigliere
ha pronunciato la seguente
 

SENTENZA


sul ricorso n.3686/1998, proposto da G.R.L. Stevenato S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Zanchettin e Bottari, con domicilio eletto presso l’avv. Pinello in Venezia, San Polo 3080/L,
contro
il Comune di Roncade, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’ avv. L. Pellicani, con domicilio eletto presso il suo studio, in Venezia Mestre, via Tasso 48,
e contro
la Regione Veneto, in persona del presidente della giunta pro tempore, non costituita in giudizio,
per l’annullamento:
a) dell’ art. 38.4 delle norme tecniche d’attuazione del piano regolatore generale del Comune di Roncade, nella parte in cui impone l’insediamento delle industrie insalubri di prima classe esclusivamente nelle zone D2 e D3 del territorio comunale;
b) dell’art. 49.2.1., lett. f), delle stesse norme tecniche, che esclude tra le destinazioni d’uso ammesse in zona agricola “le industrie nocive di prima e seconda classe, salvo le attività ivi elencate ma espressamente richiamate ai punti precedenti (...)”;
c) della nota 30 settembre 1998, n. 11519, con la quale è stata rigettata l’istanza per la realizzazione di un impianto di produzione, deposito e vendita di fuochi d’artificio, presentata dalla ricorrente il 23 settembre 1998, prot. n. 11519;
d) degli atti antecedenti, presupposti, preordinati, preparatori, consequenziali ovvero comunque connessi.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’ atto di costituzione in giudizio del Comune di Roncade;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 17 febbraio 2005 - relatore il consigliere avv. Angelo Gabbricci - l’avv. Pinello in sostituzione di Zanchettin per la ricorrente e l’avv.Pellicani per il Comune resistente;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
 

FATTO


La G.R.L. Stevenato S.n.c. presentò al Comune di Roncade, il 24 marzo 1998, una domanda di parere preventivo “sulla assentibilità alla realizzazione di un impianto per la fabbricazione e deposito di fuochi di artificio di 4° e 5° categoria e deposito di 1° categoria (polvere nera)”, da realizzarsi sul territorio comunale su di una superficie di mq. 53.594, già nella disponibilità della stessa società, ed interamente inclusa in z.t.o. agricola E3.


L’ufficio edilizia privata dell’Ente, con nota 19 giugno 1998, n. 4482, comunicò che, a seguito dell’avviso della commissione edilizia, espresso nella seduta del precedente 26 maggio, l’istanza era stata respinta (o, più correttamente, che il parere preventivo richiesto era sfavorevole) perché «il tipo di attività richiesta non rientra nel novero delle attività compatibili con la zona agricola, come attualmente disciplinate dalle vigenti norme di attuazione del P.R.G.».


B. Il successivo 23 luglio 1998 la Stevenato presentò al Comune una richiesta di riesame della decisione assunta, che, peraltro, non ebbe esito favorevole.


Infatti, lo stesso ufficio edilizia privata, nella nota 30 settembre 1998, n. 11519, richiamando la nuova determinazione assunta dalla commissione edilizia, così si esprimeva: «si riconferma il parere espresso nella seduta n. 10 del 26.05.1998 e riportato nell’istanza del 19.06.1998, prot. 4482. Pur riconoscendo la fondatezza delle motivazioni edotte [sic] circa le opportunità che siffatti impianti/depositi trovino collocazione in “campagna”, si ribadisce che le vigenti norme di attuazione del P.R.G. escludono espressamente l’insediamento in zona agricola dei “depositi permanenti di materiali” e delle industrie nocive di prima e seconda classe».


C. Nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di tale atto, la Stevenato ha proposto il ricorso in esame, impugnando, oltre alla comunicazione 30 settembre 1998, anche le disposizioni, contenute nelle norme tecniche d’attuazione su cui si fonderebbe l’atto di diniego: e, cioè, l’art. 38.4., laddove impone l’insediamento delle industrie insalubri di prima classe – come quella che la ricorrente vorrebbe costruire - esclusivamente nelle z.t.o. D2 e D3, nonché l’art. 49.2.1., lett. f), il quale esclude, tra le destinazioni d’uso ammesse in zona agricola, “le industrie nocive di prima e seconda classe”.


D. Si è costituito in giudizio il Comune di Roncade, che ha eccepito l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso sotto svariati profili, ed ha comunque concluso per la reiezione.


DIRITTO


1. Si può prescindere da un esame delle eccezioni preliminari di rito proposte dall’ Amministrazione resistente, poiché il ricorso è comunque infondato nel merito.


2.1. Nel primo motivo si afferma l’invalidità delle norme tecniche impugnate, per violazione dell’art. 216, II comma, del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, e dell’ art. 52 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, nonché per eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità.


Rappresenta anzitutto la ricorrente come il citato art. 216 stabilisca che le industrie insalubri di prima classe – come l’impianto per fuochi d’artificio, che essa vorrebbe realizzare - devono essere “isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni”, e ciò, a suo avviso, per garantire condizioni minime di sicurezza con riguardo a quelle industrie che, per i loro caratteri inquinanti o di pericolosità, possono variamente arrecare pregiudizio alle persone; inoltre, quanto allo specifico settore della fabbricazione di sostanze esplosive, l’art. 52 del r.d. 773/1931 subordina ancora il rilascio della licenza di pubblica sicurezza all’esistenza delle necessarie garanzie per la vita delle persone e per la proprietà.


2.2. Orbene, prosegue la Stevenato, le norme tecniche d’attuazione in esame, nel loro combinato disposto, di fatto violerebbero le predette disposizioni.


Anzitutto, l’art. 49.2.1. delle n.t.a. esclude senz’altro che si possa costruire un qualsiasi impianto insalubre di prima classe in zona agricola, e ciò, secondo la ricorrente, contrasterebbe con quanto previsto dall’art. 216 cit..


A sua volta, l’art. 38 delle stesse n.t.a. prescrive l’ubicazione delle industrie insalubri di I classe nelle z.t.o. D2 e D3, senza considerare che, secondo la normativa di settore, alcune di tali attività, come quella d’interesse per la Stevenato, debbono essere poste a tale distanza da altri insediamenti da non poter essere collocate in zone urbanizzate.


Le specifiche prescrizioni per le industrie di materie esplodenti, poi, impedirebbero di realizzare tali attività in aree comunque destinate ad altri insediamenti umani, anche se si tratta di zone industriali, in cui la presenza umana è pur sempre considerevole, date anche le limitate distanze tra insediamenti costì prescritte: in specie, invero, per le zone D2 e D3 si prevede per i fabbricati, una distanza di m. 5,00 dai confini, di m. 8,00 dalle strade e dagli altri fabbricati di m. 10,00 (artt. 12 e 13 delle n.t.a.), a dimostrazione che si tratterebbe di zone in cui è prevista una edificazione tutt’altro che rada; e, anzi, le zone D3 sono qualificate come parti del territorio già totalmente o parzialmente edificate per cui «si tratta di aree in cui difficilmente saranno reperibili spazi così ampi da consentire, in concreto, il rispetto delle distanze di sicurezza previste dall’ordinamento per l’attività della ditta ricorrente».


Ne seguirebbe, allora, che non sarebbe stata soltanto violata la normativa speciale prima citata, ma si sarebbe dato altresì corso ad una illogica scelta pianificatoria, in quanto il Comune, vietando qualunque attività insalubre di prima classe in zona agricola, in concreto le escluderebbe senz’altro su tutto il proprio territorio, poiché le stesse, a causa della specifica normativa di sicurezza, possono essere ubicate soltanto in aree inedificate di ampie dimensioni.


2.3. Infine, la ricorrente sottolinea come la sua attività non pregiudicherebbe in alcun modo le finalità produttive della z.t.o. agricola: la realizzazione dei depositi non impedirebbe “la conservazione della vocazione agricola dell’area, con possibilità della messa a coltura del terreno non strettamente sottostante ai depositi di esplosivi” (anche se non è chiaro chi si impegnerebbe nei necessari lavori agricoli in loco).


3. Ancora, secondo la Stevenato – II motivo: violazione dell’art. 41 Cost. e degli artt. 1 a 7 della l. 1150/1942; eccesso di potere per violazione dei principi generali della pianificazione; violazione di legge ed eccesso di potere per carenza di motivazione - il sistema di pianificazione del territorio seguito dal Comune di Roncade, non limiterebbe i propri effetti alla sfera urbanistica ed edilizia, ma inciderebbe sullo svolgimento di determinate attività e, dunque, sul diritto di iniziativa economica ex art. 41 Cost.


Infatti, per il combinato disposto delle disposizioni regolamentari impugnate, ed in particolare del divieto assoluto di realizzazione di industrie insalubri di prima classe in zona agricola, in concreto la ricorrente non potrà aprire alcuna attività in Comune di Roncade: laddove la giurisprudenza avrebbe stabilito che determinate attività, di particolare impatto, possono essere vietate dalle previsioni urbanistiche solamente per esigenze di salvaguardia ambientale e paesistica, da indicarsi con congrua motivazione.


Sebbene la giurisprudenza citata si riferisca espressamente all’attività di cava, l’assunto si applicherebbe anche ad altre attività, ogni qual volta l’Amministrazione comunale intenda escluderle dal proprio territorio.
Poiché si tratta di decisioni, le quali che incidono cospicuamente sulla libertà di iniziativa economica e sulla proprietà privata, esse dovrebbero “essere assunte con idonee garanzie, rappresentate appunto dall’esistenza di specifiche esigenze di interesse pubblico”, di cui l’Amministrazione dovrebbe dare conto attraverso adeguata istruttoria e compiuta motivazione, ciò che, in specie non sarebbe affatto avvenuto.


4. Nel motivo seguente - eccesso di potere per sviamento – si sostiene come sarebbero evidenti gli scopi che il Comune intende perseguire con le previsioni gravate, e, cioè, di escludere definitivamente dal proprio territorio le attività che, per il loro impatto urbanistico-edilizio e ambientale, appaiono particolarmente problematiche: l’art. 49.2 della n.t.a., infatti, vieta la realizzazione in zona agricola anche delle cave, discariche, attività estrattive e così via.


Ora, rappresenta la ricorrente, per il Comune che rifiuti l’insediamento sul proprio territorio di siffatti tipologie d’imprese, sarebbe facile ottenere tale risultato vietandone l’insediamento in zona agricola, dato che, per le altre zone del territorio comunale, il divieto conseguirebbe, di fatto, per l’impossibilità concreta di rispettare le normative speciali in materia di sicurezza di cui si è detto: peraltro, una tale modalità d’esercizio del potere di pianificazione sarebbe illegittimo, perché contrasterebbe con le finalità specifiche in funzione delle quali tale potere è attribuito all’Amministrazione.
5. La nota comunale 30 settembre 1998, n. 11519, impugnata sub c) e con la quale è stata rigettata l’istanza della Stevenato, è anzitutto censurata per illegittimità derivata, e, direttamente, per eccesso di potere per perplessità e contraddittorieta della motivazione.


Rileva infatti la ricorrente come, nell’ atto in questione, l’Amministrazione premetta di riconoscere la fondatezza delle motivazioni addotte circa l’opportunità che siffatti impianti/depositi trovino collocazione “in campagna”: in tal modo, invero, verrebbe riconosciuta l’illogicità della disciplina vigente e l’opportunità di ubicare tali impianti in zona agricola, salvo poi negare l’ammissibilità dell’intervento.


6.1. Orbene, è anzitutto opportuno sottolineare nuovamente come il Comune, con due successivi pareri preventivi, abbia escluso che possa essere realizzata un’industria insalubre di prima classe sull’ area nella disponibilità della Stevenato, inclusa in z.t.o. E - agricola, e ciò in quanto le norme tecniche d’attuazione, e segnatamente l’ art. 49, punto 2.1., lo vietano espressamente: il principale thema decidendum, allora, consiste nello stabilire se tale disposizione sia legittima, alla stregua delle censure proposte.


6.2. Invero, secondo la consolidata e condivisibile giurisprudenza, la classificazione di area come agricola non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario genere (cfr., tra le ultime, C.d.S., V, 18 marzo 2002, n. 1557; id. 15 giugno 2001, n. 3178).


Ciò, peraltro, sul presupposto che lo strumento urbanistico non definisca puntualmente gli utilizzi ammessi e vietati in tale zona; in quest’ultimo caso, allora, la verifica di legittimità si sposta sulla coerenza di tali prescrizioni con la destinazione medesima, e, in generale, con l’insieme delle norme sulla pianificazione locale.


Ora, fermo che, nella formazione dello strumento urbanistico generale, l’Amministrazione ha un’ampia potestà discrezionale per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio (ex multis, C.d.S., IV, 30 giugno 2004, n. 4804), il Collegio ritiene pienamente legittima la scelta di escludere dalla zona agricola insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati.


Il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, infatti, nel definire le zone territoriali omogenee, prevede per quegli impianti (art. 2, lett. d) la collocazione in altra z.t.o. - la “D”, appunto – distinta dalla “E”, ed entrambe sono previste dal piano regolatore di Roncade: in parole semplici, cioè, non ci si può legittimamente dolere che le prescrizioni urbanistiche generali vietino di realizzare un’attività industriale in zona agricola, rispondendo ciò alla ripartizione stabilita con il citato regolamento.


6.3. La Stevenato sostiene, per vero, che in concreto, nelle z.t.o. D del Comune di Roncade non potrebbe essere realizzato un impianto per la fabbricazione di fuochi pirotecnici.


Ora, va antitutto rimarcato che si tratta di affermazione reiteratamente presentata nel ricorso, ma priva di qualsiasi supporto probatorio; nulla cioè dimostra che non sia astrattamente possibile individuare un’area in zona D, la quale risponda ai necessari criteri di sicurezza (che poi l’assetto proprietario non permetta in concreto di utilizzarla è ovviamente irrilevante ai fini di causa).


Comunque, la circostanza è, infine, del tutto irrilevante, perché, anche ammesso che l’affermazione della ricorrente fosse fondata, ciò, anzitutto, indicherebbe, piuttosto, una carenza in astratto delle norme tecniche che disciplinano la z.t.o. D: ma la Stevenato, non disponendo di terreni in tale zona, non è legittimata a gravare le relative disposizioni, sicché il ricorso va dichiarato inammissibile per la parte in cui impugna l’art. 38 delle n.t.a..


6.4. Ancora, la suddetta preclusione potrebbe dipendere dalla concreta delimitazione che lo strumento urbanistico avesse stabilito per le aree destinate ad impieghi industriali: ma, in questo caso, sarebbe illegittimo il piano per la parte in cui individua le aree D, e, come nell’altra ipotesi appena considerata, ciò non inciderebbe comunque sulla legittimità né dell’ art. 49.2.1. delle n.t.a., né del diniego gravato, che su questo si fonda.


È peraltro da aggiungere che l’Ente locale non è tenuto ad improntare la propria attività pianificatoria in modo da assicurare lo svolgimento di qualsiasi attività industriale, ma deve soltanto garantire un razionale impiego del territorio anche a finalità produttive, non potendo ritenersi che il vincolo, discendente dall’invocato principio costituzionale di cui all’ art. 41 Cost., abbia un contenuto più stringente, quale affermato nel secondo motivo di ricorso.


Né, vale soggiungere, un siffatto obbligo può desumersi da norme di grado primario, considerato, in particolare, che l’art. 64 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, si limita a disporre come le manifatture di materie insalubri o pericolose possono essere impiantati ed esercitati soltanto nei luoghi e con le condizioni determinate dai regolamenti locali- compreso perciò il piano regolatore - lasciando così ampia autonomia al Comune in materia.


6.5. Ancora, non è rilevante in senso opposto quanto stabilito dall’ art. 216 del r.d. 1265/34: questo stabilisce bensì al II comma che le industrie insalubri di prima classe debbono essere “isolate nelle campagne”, ma ciò non s’intende evidentemente fare riferimento alle aree incluse nella z.t.o. E, volendosi soltanto indicare una contrapposizione con “l’abitato”, e cioè con le zone residenziali.


Tanto si desume, del resto, dalla successiva prescrizione, di cui al V comma, secondo la quale un’industria inscritta nella prima classe, “può essere permessa nell’abitato, quante volte l’industriale che l’esercita provi che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”: e va sottolineato come quest’ultima prescrizione affievolisca ulteriormente la tesi della ricorrente per cui la previsione, di cui all’art. 49 delle n.t.a., precluderebbe la realizzazione nel territorio comunale di industrie insalubri di I classe.


6.6. Per quanto infine concerne la censura di un presunto sviamento di potere, vale rimarcare che questa, di fatto, non fa che riproporre in termini diversi le stesse questioni sollevate nei due precedenti motivi, e non può dunque avere esito diverso.


L’affermazione per cui, vietando le industrie insalubri in zona agricola, il Comune le estrometterebbe dall’intero territorio comunale è affatto indimostrata.


Al contrario, è certo che il piano regolatore generale prevede la destinazione di parte del territorio comunale ad aree destinate ad attività industriali, e ciò smentisce l’assunto della ricorrente: questa, in ogni caso, ha interesse a contestare il concreto provvedimento negativo che la concerne attualmente, e non a dolersi di un’esclusione dal resto del territorio comunale, con cui non ha alcuna diretta relazione.


Peraltro, anche a considerare le sole industrie per la produzione di materie esplodenti, non per questo si può ritenere raggiunta la prova adeguata di uno specifico intento dell’Amministrazione comunale, anche ammesso che non rientri nei poteri dell’Ente di escludere determinate attività dal proprio territorio.


7. Per quanto concerne infine i due motivi proposti avverso il parere comunale impugnato – la nuova istruttoria comporta un riesame ed esclude si tratti di atto meramente confermativo (ex multis C.d.S., IV, 29 ottobre 2002, n. 5947) – il vizio d’invalidità derivata è certamente insussistente.


Infondata è, peraltro, anche la censura di contraddittorietà: l’Amministrazione riconosce che la collocazione proposta dalla ricorrente è conforme alle prescrizioni di cui all’ art. 216 r.d. 1265/34, per poi concludere che ciò non è di alcun concreto rilievo, stante la prescrizione di piano, per tale prevalente: e non è dato ravvisare in ciò alcuna irragionevolezza.


8. Il ricorso va, in conclusione, interamente respinto: le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.


Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di causa a favore del Comune di Roncade , liquidandole in €. 4.000,00, di cui €. 500,00 per spese e la parte residua per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a. .


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 17 febbraio 2005.
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

 

1) Urbanistica e edilizia - Inquinamento - Industrie insalubri – P.r.g. – Esclusione dalla zona agricola degli impiantii industriali – Legittmità. E’ legittima l’esclusione dalla zona agricola degli insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati, prevista dalle n.t.a. del piano regolatore generale. Difatti, se è vero che la classificazione di area come agricola non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario genere, è altrettanto vero che ciò vale sul presupposto che lo strumento urbanistico non definisca puntualmente gli utilizzi ammessi e vietati in tale zona. D’altra parte, ferma restando l’ampia potestà discrezionale dell’amministrazione per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio, l’esclusione degli impianti industriali dalle zone agricole risponde alle prescrizioni del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, il quale, nel definire le zone territoriali omogenee, prevede per detti impianti (art. 2, lett. d) la collocazione in z.t.o. “D”, distinta dalla “E” (agricola). Pres. Zuballi, Est. Gabricci - G. s.n.c. (Avv.ti Zanchettin e Bottari) c. Comune di Roncade (Avv. Pellicani) – T.A.R. VENETO, Sez. III, 23 marzo 2005, n. 1117

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