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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180

 

Pubblica Amministrazione - Appalto di opere pubbliche comunali - Omicidio colposo - Sindaco e Assessore - Responsabilità - Presupposti - Reati omissivi impropri. In tema di opere pubbliche da eseguire nel Comune, il Sindaco assume, la posizione di committente, e tre presupposti costituiscono la sua fonte di responsabilità collegata ad una posizione di garanzia, per così dire limitata dalla presenza dell'appaltatore, ma non certamente esclusa. Tali fonti di responsabilità sono la conoscenza del pericolo, l’evitabilità dell'evento lesivo, e l'omesso intervento di eliminazione del pericolo, trattandosi di reati omissivi impropri (Cass. 18.11.1997 n. 478). Ne consegue che il Sindaco e l'Assessore competente assumono, nei reati colposi, una posizione di garanzia nel caso che non adottino alcun provvedimento urgente atto ad eliminare una situazione di pericolo di cui sono consapevoli. Essendo infatti dotati di poteri autoritativi sia per allestire un intervento atto ad eliminare il pericolo, ovvero per disporre le cautele necessarie, non si ravvisa la colpa omissiva impropria ex art. 40, 2° comma, c.p., solo nei casi in cui non si abbia conoscenza di tale situazione di pericolo, ovvero non si abbia la possibilità concreta, anche con la normale diligenza, di porre in atto i rimedi utili per sanare la fonte del medesimo pericolo. Presidente M. Battisti, Relatore S. Visconti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180

Appalti - Appalto di opere pubbliche comunali - Omicidio colposo - Pericolo sui luoghi dei lavori - Veste di committente assunta dal sindaco - Posizione di garanzia - Responsabilità - Sussistenza - Condotta omissiva - Poteri autoritativi. Nel caso di affidamento in appalto dell’esecuzione di opere pubbliche comunali, la veste di committente assunta dal sindaco non è incompatibile col mantenimento della posizione di garanzia in riguardo alle situazioni di pericolo, da lui conosciute, esistenti nell’area interessata dai lavori dati in appalto e temporaneamente sospesi dall’impresa appaltatrice, perché egli è titolare di poteri autoritativi che gli consentono di supplire all’eventuale inerzia o all’impossibilità concreta di agire sollecitamente da parte dell’appaltatore. Va dunque affermata l’esistenza del nesso causale, materiale e psichico, tra la condotta omissiva del sindaco, che non interviene per eliminare la fonte del pericolo o per apprestare adeguate protezioni, ripari, cautele e le opportune segnalazioni in modo da impedire l’uso dell’area da parte di privati, e la morte del soggetto che, inconsapevole del pericolo, rimane esposto alle letali insidie. Presidente M. Battisti, Relatore S. Visconti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180

Appalti - Opere pubbliche comunali - Reati colposi - Responsabilità - Datore di lavoro - Direttore dei lavori - Committente - Qualificazione e responsabilità - Effettività delle mansioni ricoperte. In tema di reati colposi, sussiste la rilevanza dell'effettività delle mansioni ricoperte, ai fini dell'attribuzione della "posizione di garanzia" (Cass. 16.6.2004 n. 40169, - conforme Cass. 7.11.1990 n. 7600). Infatti, sarebbe illogico sancire un principio astratto di responsabilità, almeno esclusiva (ben può esserlo concorrente), in ogni settore del diritto penale, e anche nel campo dei reati colposi, qualora l’individuazione del datore di lavoro, del direttore dei lavori, dell'appaltatore e del committente, oltre eventualmente delle persone, che in modo del tutto "formale", ricoprono tali incarichi, non sia poi estesa a coloro che effettivamente esercitino i poteri inerenti a tali mansioni. La qualificazione e la responsabilità, non competono soltanto ai soggetti forniti di formali investiture, ma a chiunque si trovi in una posizione tale da porlo in condizioni di dirigere l’attività lavorativa, e di renderlo così destinatario sia delle specifiche norme di sicurezza del lavoro, sia dell'obbligo generico di adottare le cautele necessarie (prudenza, diligenza, perizia) per salvaguardare l'incolumità dei dipendenti e anche di terze persone estranee all'attività lavorativa. Presidente M. Battisti, Relatore S. Visconti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180

Procedure e varie - Beneficio della sospensione condizionale della pena - Limiti - Cumulazione di pena patteggiata - Art. 444 c.p.p. Il beneficio della sospensione condizionale della pena, se già concesso per pena patteggiata, non può essere reiterato in relazione a successiva sentenza, anche se di patteggiamento, per fatto anteriormente commesso, dalla quale derivi l'applicazione di una pena detentiva che, cumulata con la precedente, superi i limiti fissati dall'art. 163 c.p.p. (Cass. sentenza n. 31 del 22.11.2000-3.5.2001; conformi Cass. 2.4.2003 n. 25734; Cass. 24.6.2003 n. 35728; Cass. 12.7.2004 n. 35891). Diversamente interpretando, ai già previsti vantaggi derivanti dall'emissione di una sentenza ex art. 444 c.p.p. (riduzione della pena; benefici di cui all'art. 445 c.p.p. in caso di pena inferiore a due anni), si aggiungerebbe quello di una permanente impunità anche in caso di plurime violazioni della legge penale, accertate in procedimenti diversi, che non può certo corrispondere alla volontà del legislatore. Presidente M. Battisti, Relatore S. Visconti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180

Procedure e varie - Rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale - Giudizio d'appello - Presupposti. Nel giudizio d'appello la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 comma primo cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata" (Cass. 5.12.2003 n. 4981; conformi Cass. 19.2.2004 n. 18660; Cass. 2.12.2002 n. 68). Peraltro, le condizioni per ricorrere all'istituto della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, hanno carattere eccezionale da utilizzare solo nel caso che non si possa decidere senza l'assunzione della prova richiesta (Cass. sezioni unite 24.1.1996 n. 2780; Cass. 22.3.1999 n. 9531; Cass. 26.4.2000 n. 8106). Presidente M. Battisti, Relatore S. Visconti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180

Procedure e varie - Principio di correlazione tra accusa e sentenza - Violazione - Nullità a regime intermedio - Disciplina. La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza del grado successivo (Cass. sezioni unite n. 1475 del 24.11.1984, conforme Cass. 9.11.1992 n. 11651). Ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 22.2.2005 n. 10094; e tra le tante conformi Cass. 26.4.1999 n. 8639; Cass. 14.5.1997 n. 7957; Cass. 19.9.1995 n. 10685; Cass. 15.7.1993 n. 8712). Presidente M. Battisti, Relatore S. Visconti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. IV, 21/04/2006 (UD.29/11/2005), Sentenza n. 14180

(Presidente M. Battisti, Relatore S. Visconti)


Omissis


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


In data 9 luglio 1998, nell'isola di Lipari, MERLINO Giovanni, trovandosi nell'area del cantiere per la esecuzione di alcuni lavori di completamento della Piazza S. Onofrio e di sottobanchinamento della Salita S. Giuseppe, si appoggiava ad una ringhiera in ghisa, apparentemente collocata a protezione dello strapiombo sulla scogliera, ma che, non essendo stati fissati i montanti in modo stabile, cedeva alla sollecitazione dell'appoggio, per cui il MERLINO precipitava sulla scogliera, derivandone la morte.


Il procedimento penale per omicidio colposo (art. 589 c.p.) veniva instaurato nei confronti di: PELLE Antonio, ritenuto il direttore dei lavori; di GIACOMANTONIO Michele, Sindaco del Comune di Lipari; di BARCA GAETANO, Assessore si Lavori pubblici dello stesso Comune; di MANGANO Rosario, condirettore dei lavori; di FONTE Alberto, capo settore ai LL.PP. del Comune di Lipari; di AVENI Giovanni, legale rappresentante dell'Impresa Aveni s.a.s., appaltatrice dei lavori.


Esaurite le indagini preliminari e il giudizio di primo grado, all'esito di quello di appello la Corte territoriale di Messina, confermava le condanne del PELLE a mesi otto di reclusione, e del GIACOMANTONIO e del BARCA a mesi quattro di reclusione, essendo state già concesse le attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., con il beneficio della sospensione condizionale della pena solo agli ultimi due, condannando altresì tutti gli imputati in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili EIKE Lorenz e MERLINO Marco. Per ciò che concerne gli altri tre iniziali indagati, l'AVENI non risulta neppure rinviato a giudizio, il MANGANO stato assolto in primo grado, con conferma in appello, il FONTE è stato assolto dalla Corte di Appello.


Essendo pacifica la dinamica dell'incidente, nei vari gradi del giudizio erano state soprattutto affrontate le posizioni personali degli attuali ricorrenti, questioni procedurali, l'eventuale concorso della vittima, il diniego della concessione della sospensione condizionale della pena al PELLE.


La Corte di Appello non ha accolto i motivi di impugnazione proposti da PELLE Antonio, il primo dei quali riguardava appunto la circostanza che egli, all'epoca dell'evento, aveva cessato di ricoprire, anche di fatto, la carica di direttore dei lavori, per essere stato sostituito nell'incarico dal rappresentante del Genio Civile. La Corte territoriale ha, invece, ritenuto che, pur essendovi un precedente accordo di massima sul punto, nella riunione del 2.6.1998, di poco pia di un mese antecedente al sinistro, si convenne, con l'adesione dell'imputato, che il subentro avrebbe dovuto essere preceduto dalla contabilizzazione dei lavori eseguiti e dalla redazione della perizia di variante, ad opera del PELLE, che continuò a qualificarsi direttore dei lavori, svolgendo i relativi compiti. Pertanto, dovendosi avere riguardo alle funzioni di concreto esercitate piuttosto che alla qualifica formale rivestita, il giudice di appello ha ritenuto di disattendere il motivo di gravame, e così anche il successivo motivo di appello, con il quale era stata richiesta l'assoluzione quanto meno ai sensi dell'art. 530, 2° comma, c.p.p..


In ordine al terzo motivo con il quale si eccepiva la nullità dell'istruttoria dibattimentale per omesso esame dell'imputato, la Corte di merito ha ritenuto non esservi stata alcuna richiesta di tale esame.


Il giudice di appello ha poi disatteso la richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale con l'esame, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., di AVENI Giovanni, essendo la situazione probatoria sufficientemente chiara, e non sussistendo i presupposti di cui all'art. 603 c.p.p..
Infine, è stata respinta l'istanza di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, avendo il PELLE già riportato una condanna ad anni uno e mesi sei di reclusione per vari reati in continuazione, e ritenendosi di non diminuire la condanna a mesi otto di reclusione, tenuto conto della condotta particolarmente riprovevole dell'imputato.

Per ciò che concerne le posizioni del GIACOMANTONIO e del BARCA, rispettivamente Sindaco e Assessore ai LL.PP. del Comune di Lipari, all'epoca del fatto, la Corte di merito ha, in primo luogo, specificato che i predetti imputati non erano stati chiamati a rispondere di omissione di un generico dovere di vigilanza in relazione alle cariche ricoperte, bensì di non essersi attivati malgrado la specifica conoscenza della situazione di pericolo che ha determinato l'evento letale, essendo risultato dalle dichiarazioni del MANGANO e dei MAUGERI (titolare di altra impresa che stava eseguendo lavori nell'isola), che di tale situazione si era parlato il giorno stesso del sinistro, rappresentandosi il pericolo costituito dalla ringhiera.


Esaminando poi il primo motivo di appello, la Corte di Messina ha ritenuto non condivisibile l'argomento difensivo secondo il quale nella citata riunione era stato demandato all'impresa appaltatrice dei lavori di provvedere tempestivamente ad eliminare la situazione di pericolo, ed era imprevedibile che gli incaricati avessero rinviato l'intervento al giorno successivo.


Il giudice di appello ha rilevato che era ben noto che i lavori erano sospesi da alcuni giorni, il cantiere era chiuso, e gli operai non si trovavano in loco, per cui era prevedibile il rinvio al giorno successivo. Sul punto si precisa che dalla sentenza di appello risulta che la riunione fu tenuta nel pomeriggio, ed il MERLINO precipitò sulla scogliera poche ore dopo. La sentenza impugnata ha citato, poi, una serie di provvedimenti autoritativi che l'Autorità Comunale avrebbe potuto adottare, come l'immediata chiusura della piazza, il transennamento della zona pericolosa, il piantonamento della stessa, o quanto meno assicurarsi che l'impresa e il direttore dei lavori avessero adempiuto all'incarico affidato. Il completo disinteresse della situazione configura, pertanto, ad avviso del giudice di merito, evidente manifestazione di negligenza ed imprudenza, ed una chiara violazione degli obblighi inerenti alle cariche ricoperte.


La Corte territoriale ha anche disatteso il secondo motivo di appello, inerente all'evitabilità dell'incidente se il MERLINO, usando una normale diligenza, avesse evitato di appoggiarsi alla ringhiera, munita di un nastro bicolore, indicativo di una situazione di precarietà, rilevando che era ignota la causa dell'appoggio, che poteva anche essere un malore o altra causa sconosciuta, e soprattutto che l'eventuale colpa concorrente della vittima non vale ad escludere la responsabilità di chi ha omesso di adottare le misure idonee ad evitare l'incidente.


PELLE Antonio ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento della citata sentenza di appello, e, in subordine, la riduzione della pena, con concessione del beneficio della sospensione condizionale.


Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto il difetto di motivazione in relazione all'art. 589 c.p., assumendo che, con delibera del 14.5.1998, la Giunta Comunale gli aveva revocato l'incarico di direttore dei lavori, affidato al Genio Civile, conferendogli quello di consulente della D.L.. Pertanto, da tale data il ricorrente non ricopriva l'incarico né formale né sostanziale di direttore dei lavori, e gli atti amministrativi contabili relativi all'attività svolta fino alla revoca dell'incarico, ivi compresa la perizia tecnico contabile affidatagli alla riunione del 2.6.1998, erano proprio la prova della cessazione dall'incarico.


Con il secondo motivo di gravame, il ricorrente ha dedotto la violazione di norma sostanziale e il difetto di motivazione in ordine al diniego di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non essendo mai stato condannato in precedenza, ed essendo frutto di un patteggiamento l'applicazione della pena concordata di anni uno e mesi sei di reclusione per reati societari. Inoltre, era eccessiva la definizione di una "condotta particolarmente riprovevole" per un omesso controllo, che egli non aveva potere di esercitare, ed essendo stato richiesto l'intervento della società appaltante.


Con il terzo motivo di ricorso è stata contestata la decisione di negare la riapertura dell'istruttoria dibattimentale, non essendo affatto chiare le risultanze processuali.

Con il quarto ed ultimo motivo é stata rinnovata l'eccezione di nullità dell'istruttoria dibattimentale per omesso esame dell'imputato.


Il GIACOMANTONIO e il BARCA hanno proposto ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata per i seguenti motivi.


Con il primo è stata dedotta la violazione degli artt. 521, 522, 604, 178, 179 e 180 c.p.p. in relazione all'art. 24 Cost. per non avere il giudice di appello rilevato di ufficio la mancanza di correlazione tra contestazione e sentenza. I ricorrenti hanno dedotto che nel capo di imputazione era contestato un profilo di colpa specifico, e cioè il non essersi attivati dopo la segnalazione di pericolo del 20.3.1998 da parte di FONTE Alberto. Già nella sentenza di primo grado la responsabilità era stata ritenuta sia per colpa generica, per il mancato intervento, sia per colpa specifica, ma relativamente ai fatti del 9.7.1998, per essersi limitati ad indire una riunione.


Secondo i ricorrenti tale violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. andava rilevata di ufficio, costituendo nullità assoluta ed insanabile, non condividendosi la giurisprudenza prevalente di questa Corte che la ha ritenuta una nullità di ordine intermedio ex art. 180 c.p.p., con precisi termini di impugnazione, violandosi sia il principio del contraddittorio che Part. 24 Cost..


I ricorrenti hanno anche eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 180 c.p.p., in relazione agli arti. 521, 522 e 604 c.p.p., nella parte in cui, pur prevedendo l'obbligo del giudice di appello di rilevare anche di ufficio la violazione del contraddittorio in ordine alla mancata correlazione tra accusa contestata e sentenza, non prevede la possibilità che l'imputato possa censurare con il ricorso per cassazione l'omissione di tale obbligo da parte del giudice.


Con il secondo motivo di impugnazione, i ricorrenti hanno eccepito la mancanza di motivazione in relazione agli arti 40 e 589 c.p..


Il GIACOMANTONIO e il BARCA hanno assunto di non essere stati mai a conoscenza del pericolo specifico, e di non essere rilevanti le dichiarazioni del MAUGERI e del MANGANO, e che di quest'ultimo non era stata comunque valutata dal giudice di appello la dedotta inattendibilità, per essere coimputato, nonché la contraddittorietà delle dichiarazioni rese.


Con il terzo motivo di gravame, i ricorrenti hanno rilevato la violazione degli arti. 40 e 589 c.p., in relazione all'art. 38 legge 8.6.1990 n. 142, nonché sul punto la mancanza di motivazione ovvero la sua manifesta illogicità.


In sintesi, i ricorrenti hanno assunto che l'avere appaltato i lavori, con consegna delle opere, trasmetteva gli obblighi di custodia e di vigilanza sull'appaltatore, esonerando dal controllo il pubblico committente. Ciò è confermato dai testi legislativi succedutisi in materia di appalto di opere pubbliche e riportati a pag. 12 del ricorso. Al Sindaco rimane solo il potere di urgenza, ma non quello di intervenire in sostituzione, qualora l'appaltatore ometta di ottemperare all'ordine impartitogli.


Secondo i ricorrenti, l'avere ottemperato, pur verbalmente, alla legislazione vigente, incaricandosi l'appaltatore di eseguire le opere necessarie, e non spettando loro (in particolare nel ricorso si parla del Sindaco) né di intervenire direttamente, né di verificare l'adempimento della disposizione, nessuna colpa si poteva attribuire ai pubblici amministratori.


Ma, secondo i ricorrenti, anche a volere ritenere che gli amministratori si dovevano porre il problema dell'idoneità dei mezzi a disposizione del titolare dell'impresa, l'aggiudicazione di un importante appalto in un grosso centro, quale Lipari, faceva sicuramente presupporre la capacità di eliminare la situazione di pericolo.


Con il quarto ed ultimo motivo di impugnazione, i ricorrenti hanno eccepito la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione agli arti. 40, 41 e 589 c.p., avendo il giudice di appello ritenuto che l'eventuale concorso di colpa della vittima non escludesse la responsabilità degli amministratori. I ricorrenti hanno invece sostenuto che la situazione di pericolo era percepibile con estrema facilità, chiarezza e prevedibilità, per cui la condotta del MERLINO si era posta non come concausa dell'evento, e dovendosi invece ritenere interrotto il nesso di causalità tra la causa remota e l'accaduto.


Motivi della decisione


Il ricorso di PELLE Antonio é infondato e va rigettato, trattandosi, peraltro, prevalentemente di mera reiterazione dei motivi di appello, in ordine ai quali la Corte territoriale ha correttamente motivato le ragioni per le quali non meritavano accoglimento.


Con il primo motivo, infatti, il ricorrente ha riproposto l'eccezione secondo la quale egli non era più direttore dei lavori all'epoca dell'incidente in cui morì il MERLINO. Va subito precisato che il ricorrente non contesta che il direttore dei lavori sia penalmente responsabile, ma elenca una serie di circostanze di fatto, dalle quali si dedurrebbe che egli non ricopriva più tale qualifica, né formalmente, né sostanzialmente, in data 9.7.1998, allorché la vittima cadde dall'alto sulla scogliera.


La Corte di merito ha, invece, rilevato che la designazione del rappresentante del Genio Civile era un accordo di massima intervenuto tra quest'ultimo ente ed il Sindaco, e che la delibera del 14.5.1998 di revoca dell'incarico al PELLE, nominato consulente della direzione dei lavori, non era stata seguita dall'intervenuta accettazione da parte del Genio Civile. In particolare, poi, il PELLE continuò ad esercitare le funzioni di direttore dei lavori, e, alla riunione del 2.6.1998, si convenne, con l'adesione esplicita del PELLE, che il subentro del nuovo direttore sarebbe stato preceduto dalla contabilizzazione dei lavori precedenti e dalla redazione di una perizia di variante. Il ricorrente continuò, pertanto, ad esercitare le funzioni almeno sino all' 11.9.1998, allorché fu usata l'equivoca espressione "Dl in deroga alla revoca del 14.5.1998", ritenuta dal giudice di merito strumentale, come si evince dalla circostanza che fu impiegata per la prima volta in epoca successiva al sinistro mortale.


Né va taciuto che il PELLE partecipò alla riunione del 9.7.1998, di poche ore antecedente rispetto all'evento letale.


Di fronte a tale logica e adeguata motivazione sul permanere dell'esercizio della funzioni di direttore dei lavori, almeno sostanzialmente, da parte del PELLE, non ha alcun rilievo la diversa interpretazione del ricorrente delle circostanze di fatto e delle risultanze processuali, attenendo ad una differente valutazione, non sindacabile in sede di legittimità, in presenza di motivazione congrua e logica (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997), e cioè che proprio l'incarico di contabilizzare i lavori eseguiti sarebbe - secondo il ricorrente - prova della cessazione dell'incarico. Invece, tale contraria interpretazione delle risultanze processuali è anche non convincente, in quanto la presenza ad una riunione in cui si trattava delle ripresa dei lavori e di condizioni di sicurezza, non ha alcuna attinenza con la mera contabilizzazione delle opere eseguite.


La giurisprudenza di legittimità ha peraltro costantemente ritenuto, in tema di reati colposi, la rilevanza dell'effettività delle mansioni ricoperte, ai fini dell'attribuzione della "posizione di garanzia" (Cass. 16.6.2004 n. 40169,- conforme Cass. 7.11.1990 n. 7600). Infatti, sarebbe illogico sancire un principio astratto di responsabilità, almeno esclusiva (ben può esserlo concorrente), in ogni settore del diritto penale, e anche nel campo dei reati colposi, qualora la individuazione del datore di lavoro, del direttore dei lavori, dell'appaltatore e del committente, oltre eventualmente delle persone, che in modo del tutto "formale", ricoprono tali incarichi, non sia poi estesa a coloro che effettivamente esercitino i poteri inerenti a tali mansioni. La qualificazione e la responsabilità, non competono soltanto ai soggetti forniti di formali investiture, ma a chiunque si trovi in una posizione tale da porlo in condizioni di dirigere la attività lavorativa, e di renderlo così destinatario sia delle specifiche norme di sicurezza del lavoro, sia dell'obbligo generico di adottare le cautele necessarie (prudenza, diligenza, perizia) per salvaguardare l' incolumità dei dipendenti e anche di terze persone estranee all'attività lavorativa.


Con il secondo motivo di ricorso, il PELLE ha dedotto la violazione di legge per essergli stata negata la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo stato ritenuto riprovevole il suo comportamento, ed avendo riportato in passato una sentenza di condanna, mentre invece si trattava di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.).


Va precisato che la pena concordata in passato è stata di anni uno e mesi sei di reclusione per reati di natura societaria e fallimentare, come ammesso dallo stesso ricorrente, per cui, sommando la pena precedente con quella attuale di mesi otto di reclusione, si supera il limite di due anni, previsto per la concessione del beneficio, a norma dell'art. 164, 4° comma, c.p., in relazione all'art. 163, 1° comma, c.p..


Va, pertanto, esaminato preliminarmente se, trattandosi di precedente sentenza di "patteggiamento", e non di condanna, la pena patteggiata vada calcolata ai fini del computo per la determinazione del limite massimo per la concessione del beneficio. Ritiene questo Collegio di aderire all'orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, conforme a quello espresso dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 31 del 22.11.2000-3.5.2001, con la quale - nel formulare varie soluzioni per diverse fattispecie - è stato ritenuto che il beneficio della sospensione condizionale della pena, se già concesso per pena patteggiata, non può essere reiterato in relazione a successiva sentenza, anche se di patteggiamento, per fatto anteriormente commesso, dalla quale derivi l'applicazione di una pena detentiva che, cumulata con la precedente, superi i limiti fissati dall'art. 163 c.p.p. (conformi Cass. 2.4.2003 n. 25734; Cass. 24.6.2003 n. 35728; Cass. 12.7.2004 n. 35891).


Diversamente interpretando, ai già previsti vantaggi derivanti dall'emissione di una sentenza ex art. 444 c.p.p. (riduzione della pena; benefici di cui all'art. 445 c.p.p. in caso di pena inferiore a due anni), si aggiungerebbe quello di una permanente impunità anche in caso di plurime violazioni della legge penale, accertate in procedimenti diversi, che non può certo corrispondere alla volontà del legislatore.


Si osserva, poi, che il giudizio di riprorevolezza della condotta del PELLE, altro motivo ritenuto ostativo dal giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità, essendo stato adeguatamente e logicamente motivato con il totale disinteresse per la situazione di grave pericolo, della quale il PELLE era perfettamente consapevole.


Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente ha eccepito la violazione dell'art. 606 lett. d) c.p.p. per non avere la Corte territoriale disposto, su richiesta dell'appellante, la riapertura dell'istruttoria dibattimentale con l'esame, ex art. 507 c.p.p., di AVENI Giovanni, titolare dell'impresa esecutrice dei lavori, per accertare chi svolgeva effettivamente le mansioni di direttore dei lavori. Sul punto la Corte ha ineccepibilmente motivato il rigetto dell' istanza con la "chiarezza" della situazione probatoria, che non necessitava di alcuna integrazione istruttoria (pag. 8 sentenza impugnata).


Sul punto, va ricordato che "nel giudizio d'appello la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 comma primo cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata" (Cass. 5.12.2003 n. 4981; conformi Cass. 19.2.2004 n. 18660; Cass. 2.12.2002 n. 68).


Nella specie, il giudice di merito ha concluso sulla responsabilità del PELLE in termini di assoluta certezza sul punto qualificante, dedotto non solo da argomentazioni logiche, ma soprattutto da prove scritte, quali la partecipazione alle riunioni del 2.6.2998 e del 9.7.1998, e dalle stesse parziali ammissioni dell'imputato di avere proseguito alcune attività, ritenute dal giudice di appello specifiche del direttore dei lavori.

E' da escludere quindi che vi fossero le condizioni per ricorrere all'istituto della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ritenuto, peraltro, di carattere eccezionale, e da utilizzare solo nel caso che non si possa decidere senza l'assunzione della prova richiesta (Cass. sezioni unite 24.1.1996 n. 2780; Cass. 22.3.1999 n. 9531; Cass. 26.4.2000 n. 8106).


Con il quarto ed ultimo motivo di gravame, il PELLE ha - in modo del tutto generico, in violazione dell'art. 581 lett. c) c.p.p. - eccepito la "violazione dell'art. 606 lett. b - c - d" in quanto i giudici di primo e secondo grado non avevano dichiarato la nullità dell'istruttoria dibattimentale per il mancato esame dell'imputato, seppur ritualmente richiesto.


La Corte di merito ha già specificato che "non vi è prova di detta richiesta, che non risulta riportata a verbale". Nell'atto di appello, il ricorrente aveva già precisato che la richiesta non era stata riportata a verbale, ma è evidente che l'impugnazione su un fatto assolutamente non documentato avrebbe richiesto l'indicazione specifica della situazione dedotta, e non un genericissimo richiamo del motivo di appello, esso stesso del tutto generico, per cui il motivo di ricorso sul punto della decisione è addirittura inammissibile.


GIACOMANTONIO Michele e BARCA Gaetano, rispettivamente Sindaco e Assessore ai lavori pubblici del Comune di Lipari, hanno proposto i rispettivi ricorsi per cassazione con unico atto, per cui gli stessi vanno trattati congiuntamente.


Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti hanno dedotto la violazione degli artt. 521, 522, 604, 178, 179 e 180 c.p.p., per non avere il giudice di appello rilevato di ufficio la mancata correlazione tra contestazione e sentenza, che sarebbe consistita, anche da parte del giudice di prime cure, nell'attribuire ad essi, oltre il profilo di colpa specifico, riguardante il non essersi attivati dopo la segnalazione di pericolo del 20.3.1998 da parte di FONTE Alberto, anche altri profili di colpa generica, e quello specifico, di essersi limitato ad indire una riunione il 9.7.1998, senza adottare alcun provvedimento operativo.


Il motivo è infondato per più ragioni.


In primo luogo, dopo la remota sentenza a sezioni unite n. 1475 del 24.11.1984, con la quale era stata ritenuta la nullità assoluta e insanabile, e quindi rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, della violazione di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p. (conforme Cass. 9.11.1992 n. 11651), la giurisprudenza di legittimità si è orientata in modo univoco, tanto da non richiedere alcun altro intervento delle SS.UU., nel diverso senso, secondo il quale "la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza del grado successivo. Ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità" (Cass. 22.2.2005 n. 10094; e tra le tante conformi Cass. 26.4.1999 n. 8639; Cass. 14.5.1997 n. 7957; Cass. 19.9.1995 n. 10685; Cass. 15.7.1993 n. 8712).


Ne consegue che i ricorrenti non possono legittimamente lamentarsi della circostanze che il giudice di appello non ha rilevato "di ufficio" la nullità sancita dall'art. 522 c.p.p.. D'altronde, va dato atto che nell'atto di impugnazione i ricorrenti hanno precisato di essere consapevoli che la giurisprudenza predominante (e va aggiunto, più recente) è orientata nel ritenere che si tratti di nullità a regime intermedio.


Inoltre, la dedotta nullità - quand'anche fosse stata tempestivamente dedotta - non si ravvisa affatto per due motivi.


Il primo è che il riferimento alla riunione del 9.7.1998 costituisce una mera precisazione dello svolgimento dei fatti e ulteriore prova a carico degli imputati per dimostrare la consapevolezza e la prevedibilità del pericolo; non si tratta quindi di una nuova e diversa contestazione, ma di una ulteriore risultanza istruttoria.

Il secondo motivo è che gli imputati hanno potuto ben difendersi da tale circostanza, essendo stata portata a loro conoscenza fin dall'inizio del procedimento. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso espresso dalle sezioni unite con la sentenza n. 16 del 19.6.1996, e cioè che "per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa: ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (conformi Cass. 22.3.1999 n. 2642; Cass. 19.11.1999 n. 13267; e recentemente Cass. 10.12.2003 n. 2443; Cass. 25.2.2004 n. 21094).


Da tali considerazioni consegue altresì l'irrilevanza nel presente giudizio della eccezione di incostituzionalità proposta per contrasto con l'art. 24 Cost., in quanto, non essendovi stata alcuna violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., la decisione del Giudice delle Leggi non avrebbe comunque influenza nel procedimento.


Del tutto infondato è poi il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta inattendibilità delle dichiarazioni rese dal MANGANO e dal MAUGERI. I ricorrenti hanno formulato una serie di valutazioni del tutto superflue sulla loro credibilità ai fini della decisione, in quanto nella sentenza impugnata la rilevanza delle dichiarazioni dei predetti MANGANO e MAUGERI è stata valorizzata esclusivamente per accertare che "nella riunione tenuta in municipio il giorno stesso in cui si verificò l'incidente si era rappresentata la situazione di pericolo costituita dalla ringhiera". I ricorrenti non indicano nessun motivo specifico che mini la credibilità dei dichiaranti, che al contrario vanno ritenuti attendibili, soprattutto il MANGANO, il quale era stato assolto solo all'esito del giudizio di primo grado, ed il cui provvedimento liberatorio era l'oggetto degli appelli da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Messina e del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gatto.


Come è facile valutare, l'affermazione che nella riunione del 9.7.1998 si parlò specificamente del pericolo rappresentato dalla ringhiera avrebbe potuto essere valutato anche negativamente per il MANGANO, presente alla riunione, per cui non si comprende in alcun modo quale sia l'interesse che avrebbe mosso il coimputato a fornire una dichiarazione mendace e compromettente per lui stesso, né la ragione della presunta inattendibilità viene chiarita dai ricorrenti.


Anche il terzo motivo di gravame è infondato. I ricorrenti hanno assunto la violazione degli artt. 40 e 589 c.p., in relazione all'art. 38 legge 8.6.1990 n. 142, nonché la mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto, assumendo che nei contratti di appalto, con la consegna delle opere, gli obblighi di custodia e di vigilanza sono trasmessi all'appaltatore, esonerando dal controllo il pubblico committente.


Ritiene il Collegio, in primo luogo, che la citata norma disciplina le I competenze del Sindaco come "ufficiale di governo", e cioè come rappresentante dello Stato nel Comune, e che non ha alcuna relazione con la fattispecie in esame, che va invece risolta, tenendo conto di situazioni concrete.


Non vi è dubbio che il Sindaco assumi, in tema di opere pubbliche da eseguire nel Comune, la posizione di committente, e che tre presupposti costituiscano la sua fonte di responsabilità collegata ad una posizione di garanzia, per così dire limitata dalla presenza dell'appaltatore, ma non certamente esclusa, tanto meno dalla norma indicata dal ricorrente. Tali fonti di responsabilità sono la conoscenza del pericolo, la evitabilità dell'evento lesivo, e l'omesso intervento di eliminazione del pericolo, trattandosi di reati omissivi impropri (Cass. 18.11.1997 n. 478).

Che il GIACOMANTONIO e il BARCA fossero a conoscenza sia di un pericolo generale derivante dallo stato di abbandono dell'area, sia della specifica pericolosità della ringhiera, è circostanza pacifica, risultando dalla sentenza di appello che i lavori erano sospesi fin dal 30.6.1998, e cioè ben nove giorni prima dell'incidente mortale, e che nel pomeriggio dello stesso 9.7.1998, poche ora prima della morte del MERLINO, si era tenuta una riunione in cui tali situazioni erano state evidenziate. Proprio la sospensione dei lavori da alcuni giorni lasciava intuire che l'impresa aveva abbandonato l'area, e che non avrebbe potuto provvedere a riprenderne il controllo prima del giorno successivo alla riunione del 9.7.1998, dovendo ovviamente reperire gli operai, rilevato altresì che la sospensione dei lavori era prevista per la durata di tre mesi, e cioè dal 30.6.1998 al 30.9.1998.


A ciò va aggiunto - sempre in relazione alla cognizione del pericolo, ma anche in ordine alla necessità dell'intervento - che la zona di pericolo era situata in una zona centrale dell'isola di Lipari, e che il 9 luglio è periodo di alta stagione per i turisti, oltre a valutare che Lipari è di gran lunga la più grande isola delle Eolie, per cui era evidente anche il pericolo per gli abitanti.


Da tutte tali circostanze si evince la piena cognizione da parte dei due imputati (anche se il ricorso tratta principalmente la posizione del Sindaco) del grave pericolo, e, trattandosi di pubblici amministratori, essi non possono assumere una posizione di esonero da responsabilità addirittura superiore a quella del privato committente, essendo peraltro dotati di poteri autoritativi che consentono loro di supplire I all'eventuale inerzia ovvero alla impossibilità concreta di agire sollecitamente da parte dell'appaltatore.


Premessa, pertanto, la conoscenza del pericolo, il pubblico amministratore non può assumere alcun atteggiamento omissivo, ma deve o intervenire direttamente,( tramite personale da lui incaricato per eliminare la fonte del pericolo stesso, ovvero apprestare adeguate protezioni, ripari, cautele ed opportune segnalazioni, in modo da impedire l'uso dell'area da parte di privati.

La Corte territoriale, con motivazione logica e adeguata, ha individuato la colpa omissiva, proprio nel non avere attuato a mezzo del personale amministrativo e della polizia municipale, provvedimenti come l'immediata chiusura dell'intera piazza, o il transennamento della zona pericolosa, o ancora il piantonamento della stessa, tutte misure facilmente realizzabili e idonee ad evitare con certezza il verificarsi di un incidente come quello occorso al MERLINO.


D'altronde, gli stessi ricorrenti ammettono che il Sindaco aveva comunque un potere di intervento di urgenza, e quale situazione, se non quella in esame, avrebbe meritato l'adozione di un tale potere, peraltro limitato nel tempo, in quanto, come risulta dalla sentenza impugnata, alla riunione del 9.7.1998, i presenti "convennero sugli interventi da eseguire e ne rinviarono l'esecuzione al giorno successivo". Anche sotto tale profilo, la Corte di merito ha individuato un ulteriore profilo di colpa, ritenendo che, quanto meno, i due amministratori avrebbero dovuto accertarsi che l'impresa e il direttore dei lavori si attivassero per adempiere all'incarico a loro affidato.


Sapendosi invece che questo intervento dell'appaltatore non veniva attuato immediatamente, spettava proprio a chi aveva i poteri autoritativi di adottare sull'area le misure autoritative indicate, e cioè in via decrescente la chiusura, il transennamento o il piantonamento della zona, tutti provvedimenti che avrebbero impedito al MERLINO di appoggiarsi alla ringhiera e poi precipitare nel vuoto.


Ne consegue che il Sindaco e l'Assessore competente assumono, nei reati colposi, una posizione di garanzia nel caso che non adottino alcun provvedimento urgente atto ad eliminare una situazione di pericolo di cui sono consapevoli. Essendo infatti dotati di poteri autoritativi sia per allestire un intervento atto ad eliminare il pericolo, ovvero per disporre le cautele necessarie, non si ravvisa la colpa omissiva impropria ex art. 40, 2° comma, c.p., solo nei casi in cui non si abbia conoscenza di tale situazione di pericolo, ovvero non si abbia la possibilità concreta, anche con la normale diligenza, di porre in atto i rimedi utili per sanare la fonte del medesimo pericolo.


Tale principio non è in contrasto con quanto affermato recentemente da questa stessa sezione della Suprema Corte con la sentenza n. 24030 del 27.2.2004, con la quale è stato ritenuto non responsabile un Sindaco per l'incidente mortale occorso ad un giovane caduto da un pennone della bandiera, sul quale si era arrampicato nel corso di una manifestazione nella piazza del Comune. In tale caso la presenza del pennone non costituiva di per sé alcuna fonte di pericolo prevedibile, e l'incauta condotta del giovane si è posta come causa unica dell'evento letale, essendo comportamento imprevedibile l'arrampicarsi su di esso.


Al contrario l'appoggiarsi ad una ringhiera rientra in un comportamento del tutto ordinario e prevedibile, per cui la sua conosciuta instabilità, unita peraltro alla cognizione di una insicurezza di tutta l'area, costituisce comportamento omissivo, causa dell'evento mortale, da parte di chi, pur potendolo fare, non ha adottato le cautele necessarie per impedire l'evento.


Da quanto esposto risulta infondato anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso, secondo il quale l'evento sarebbe conseguenza esclusiva di una condotta altamente imprudente ed imprevedibile della vittima, che avrebbe dovuto facilmente individuare lo stato di pericolo, e non appoggiarsi alla ringhiera. Invero, i ricorrenti non indicano neppure specificamente quali fossero gli elementi idonei a fare riconoscere la situazione, ma si evince dalla lettura della sentenza impugnata che dovrebbe trattarsi di un nastro bicolore appoggiato sulla ringhiera.


Correttamente la Corte di merito ha ritenuto che l'eventuale concorso di colpa del danneggiato non esclude la responsabilità di chi ha omesso di adottare le misure di sicurezza. Indipendentemente da quanto sostenuto nella sentenza di appello sulla possibilità di un malore improvviso o di altra causa sconosciuta, anche il compimento di un atto consapevole ed imprudente della vittima non consente di configurare l'ipotesi di cui all'art. 41, 2° comma, c.p., secondo il quale "le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento".


E' giurisprudenza costante di legittimità che tale causa debba configurarsi come del tutto imprevedibile e opinabile e tale, dunque, da presentare i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza, e in assenza dell'adozione di idonee misure di sicurezza (Cass. 3.11.2004 n. 3455; Cass. 9.4.2005 n. 23279). Tale principio giurisprudenziale, pur applicato solitamente per gli infortuni sul lavoro, si estende ai casi di colpa omissiva impropria, in quanto il mancato impiego delle cautele necessarie per impedire l'evento mantiene la sua efficacia causale pur in presenza di una condotta concorrente imprudente della vittima, rilevandosi peraltro nella specie che con l'adozione delle semplici misure di sicurezza più volte indicate, il MERLINO non avrebbe avuto la possibilità di appoggiarsi alla ringhiera instabile.


Al rigetto dei ricorsi consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna in solido di tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute per questo grado di giudizio dalle costituite parti civili, che vengono liquidate come da dispositivo.


P. O. M.


La Corte rigetta i ricorsi e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione alle parti civili EIKE Lorenz e MERLINO Marco delle spese sostenute in questo grado, che si liquidano in E 2.688,00, di cui E 2.240,00 per onorario, oltre NA e CPA.
 

Cosi deciso in Roma il 29 novembre 2005


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