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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 04/04/2006 (Ud. 22/02/2006), Sentenza n. 11909
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III,
04/04/2006 (Ud. 22/02/2006), Sentenza n. 11909
Pres. Grassi A. Est. Ianniello
A. Rel. Ianniello A. Imp. Mastromartino. P.M. Passacantando G. (Conf.),
(Rigetta, Trib. Salerno, 13 Maggio 2004).
del 22/02/2006
SENTENZA N.00309
REGISTRO GENERALE
N.034828/2004
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: udienza pubblica
Dott. GRASSI Aldo - Presidente -
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) MASTROMARTINO ROSANNA, N. IL 22/10/1962;
avverso SENTENZA del 13/05/2004 TRIBUNALE di SALERNO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. IANNIELLO
ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. PASSACANTANDO G., che ha
concluso per rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. GIANI Marcello (Salerno).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 13 maggio 2004, il Tribunale di Salerno, in composizione
monocratica, ha riconosciuto Rosanna Matromartino colpevole della
contravvenzione di cui all'art. 81 cpv. c.p. e L. 30 aprile 1962, n. 283,
art. 5, lett. b), per avere posto in vendita, in data 2 novembre 2001, in
qualità di legale rappresentante del supermercato Cosm Fiduciaria s.r.l.
sito in Salerno alla via Acquasanta, tre confezioni di vino da tavola marca
"Tavernello" con scadenza di validità nel 2000 e all'inizio del 2001, in
cattivo stato di conservazione, condannandola alla pena di Euro 300,00 di
ammenda.
Al riguardo, il giudice dichiara di aderire all'orientamento delle S.U. di
questa Corte (sentenza del 4 gennaio 1996 n. 1) che esclude l'equiparazione
tra la situazione di validità scaduta di un determinato prodotto e quella di
cattiva conservazione dello stesso, ma osserva che nel caso di specie vi era
stata una modificazione organolettica del sapore e del colore dovuta a
cattivo stato di conservazione delle confezioni di vino: era infatti
risultato che era in corso una ristrutturazione del supermercato per cui la
merce era stata ripetutamente spostata e rimessa sui banchi e inoltre il
perito aveva attribuito il deterioramento ad una probabile cattiva
conservazione della merce.
Da ciò la valutazione di sussistenza dell'elemento oggettivo del reato
contestato nonché della colpevolezza dell'imputata, per violazione del
dovere di diligenza.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputata, a mezzo del
proprio difensore, lamentando il mancato rilievo da parte del giudice di
merito della nullità del decreto di citazione a giudizio, eccepita dalla
difesa all'udienza del 9 febbraio 2004, deducendo la mancanza di requisiti
di cui all'art. 552 c.p.p., lett. d), che avrebbero impedito alla imputata
di partecipare all'udienza. In particolare, deduce che nel decreto non era
stato indicato in quale dei quattro piani e in quale aula si sarebbe tenuta
l'udienza;
e non ritiene soddisfacente la risposta del giudice, secondo la quale l'aula
dell'udienza era indicata in un foglio affisso presso la cancelleria della
sezione, in quanto ella non era tenuta a conoscere la circostanza, recandosi
in cancelleria.
Con altro motivo l'imputata lamenta la mancata sospensione del processo ai
sensi della L. n. 134 del 2003, art. 5, motivata col fatto che l'udienza in
cui questa era stata richiesta, il 9 febbraio 2004, non sarebbe stata la
prima utile dopo l'entrata in vigore della suddetta legge; al riguardo,
l'imputata deduce l'erroneità di tale motivazione, in quanto prima
dell'udienza del 9 febbraio 2004 c'era stata un'udienza di mero rinvio per
la disposta nuova notifica all'imputato del relativo avviso e una
successiva, ancora di mero rinvio, da parte del G.O.T., in quanto il giudice
titolare del processo era a tale data impedito.
Con un ulteriore motivo, la ricorrente censura il fatto che il giudice non
abbia tenuto conto della sua estraneità al fatto, quantomeno quanto
all'elemento soggettivo, poiché, essendo amministratrice e legale
rappresentante della società che gestisce un supermercato di 26 dipendenti,
non era certamente addetta alla sistemazione degli scaffali ne' poteva
seguire personalmente l'esecuzione dei relativi lavori.
Infine, la ricorrente deduce che, non essendo risultata dall'istruttoria
alcuna alterazione di natura chimica dei prodotti in questione, ma solo una
modificazione organolettica del gusto e del colore, senza implicazioni di
tipo nocivo, la conclusione che la sostanza sarebbe stata tenuta in cattivo
stato di conservazione sarebbe del tutto illogica.
L'imputata conclude pertanto chiedendo l'annullamento, in principalità senza
rinvio e in subordine con rinvio, della sentenza impugnata.
In estremo subordine chiede la riduzione della pena e la concessione del
beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziario.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso, l'imputata censura la sentenza impugnata per
non aver rilevato la nullità per indeterminatezza del decreto di citazione a
giudizio, il quale non aveva indicato il piano e l'aula in cui si sarebbe
tenuta l'udienza.
Il motivo è infondato.
La norma del codice di rito invocata dalla difesa della ricorrente
stabilisce infatti (art. 552 c.p.p., comma 2) che il decreto è nullo se
manca o è insufficiente l'indicazione, tra gli altri, dell'elemento indicato
alla lett. d) del comma precedente, in particolare "del luogo, del giorno e
dell'ora della comparizione". Poiché nel caso in esame il decreto indicava
oltre al giorno a all'ora dell'udienza, anche la sezione del Tribunale di
Salerno che avrebbe celebrato il processo, ciò appare, contrariamente a
quanto sostenuto dalla ricorrente, del tutto sufficiente per
l'individuazione della relativa aula in un edificio di soli quattro piani e
con la possibilità, menzionata anche dalla sentenza impugnata, di assumere,
su di un piano di normale diligenza, informazioni presso la cancelleria
della sezione ove per giunta era affisso un avviso contenente l'indicazione
dell'aula. Col secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
in quanto avrebbe irragionevolmente respinto l'istanza di sospensione del
processo, formulata dal difensore all'udienza del 9 febbraio 2004 ai sensi
della L. n. 134 del 2003, art. 5, per consentire all'imputata di valutare
l'opportunità di accedere al c.d. patteggiamento.
Anche tale motivo è infondato, avendo il giudice di merito adeguatamente
motivato in proposito, rilevando come la prima udienza successiva
all'entrata in vigore della L. 12 giugno 2003, n. 134, entro la quale era
diritto dell'imputato di chiedere e ottenere, ai sensi della legge, art. 5,
comma 2, la sospensione del processo per valutare l'opportunità di formulare
la richiesta di cui all'art. 444 c.p.p., non era quella del 9 febbraio 2004,
ma quella precedente del 18 dicembre 2003, in ragione del fatto che si era
trattato di una udienza effettiva in cui, prima di disporre il rinvio, il
G.O.T. aveva proceduto alle attività preliminari al dibattimento, con la
dichiarazione della contumacia dell'imputata, per cui in tale sede avrebbe
dovuto trovare ingresso l'istanza in parola. Col terzo motivo, la ricorrente
censura la sentenza in quanto non avrebbe adeguatamente valutato la propria
estraneità al fatto di reato, in ragione della posizione di vertice
rivestita e quindi dell'impossibilità di seguire personalmente l'esecuzione
delle singole operazioni del supermercato, a maggior ragione le più banali,
come quella relativa alla sistemazione della merce sugli scaffali.
In proposito, si rileva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il
tema dell'eventuale delega di funzioni, espressa (cfr., ad es. Cass. sez. 3^
26 maggio 2003 n. 22931) o implicita (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^ 28
aprile 2003 n. 19642), all'interno delle aziende, dai vertici verso le
strutture intermedie e periferiche, assume normalmente rilievo sul piano
della individuazione della responsabilità penale unicamente all'interno di
strutture complesse, corrispondendo allora alla necessità di decentrare, in
funzione partecipativa di professionalità ed esperienze differenziate,
l'esercizio dei poteri di direzione e controllo dell'attività produttiva
(così, implicitamente, anche le sentenze citate; come espressa condizione di
legittimità della delega, cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^ 17 gennaio 2000
n. 422 e sez. 6^ 29 ottobre 1997 n. 9715).
Nel caso in esame, l'imputata non deduce neppure l'esistenza di una delega
esplicita o implicita, ma si limita a rilevare che non rientrava tra i suoi
compiti la movimentazione della merce sugli scaffali del supermercato
(ritenuta, come vedremo, all'origine della accertata cattiva conservazione
delle confezioni di vino), dimenticando peraltro che rientra nei compiti
dell'amministratore di una società l'organizzazione dell'impresa e la
vigilanza sull'intero andamento aziendale (Cass. sez. 3^ 9 luglio 2004 n.
36055), di cui è praticamente impossibile ipotizzare una delega anche solo
parziale all'interno di una struttura semplice come appare essere il
supermercato gestito dalla società di cui la ricorrente è amministratrice,
alla stregua del resto delle indicazioni contenute nello stesso ricorso
(supermercato con 24 dipendenti, di cui non è specificata l'eventuale
organizzazione in del resto improbabili articolazioni complesse).
Il motivo appare pertanto infondato.
Col quarto motivo di ricorso l'imputata deduce la contraddittorietà della
sentenza, laddove pur dando atto, sulla scia della relazione del chimico che
aveva eseguito le analisi del prodotto, dell'assenza di mutamenti di natura
chimica, aveva ritenuto provato che la sostanza era stata tenuta in cattivo
stato di conservazione. Anche tale motivo è infondato.
Al riguardo va premesso che secondo la giurisprudenza delle S.U. di questa
Corte (Cass. S.U. 9 gennaio 2002 n. 443), la contravvenzione prevista dalla
L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l'impiego nella
produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o
comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo
stato di conservazione, non è reato di pericolo presunto, ma di danno, in
quanto persegue il fine di benessere, consistente nell'assicurare una
protezione immediata all'interesse del consumatore a che il prodotto giunga
al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura. In altri termini,
l'interesse protetto dalla norma e leso dal comportamento punito va
individuato nel rispetto di quello che è stato definito "ordine alimentare",
ovvero quello del consumatore a che la sostanza alimentare giunga al consumo
con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass. sez. 3^, 2
settembre 2004 n. 35828). Ciò premesso sull'argomento, va rilevato che la
sentenza impugnata, dopo aver rilevato l'alterazione organolettica del gusto
e del colore del vino sequestrato e quindi la lesione del c.d. "ordine
alimentare", con l'avvio di un processo degenerativo della bevanda, ne ha
attribuito la causa al cattivo stato di conservazione del prodotto,
ipotizzato come probabile dato causale anche dal perito chimico esaminato in
giudizio e confermato dal fatto, emerso in giudizio, che il prodotto aveva
subito nel passato una movimentazione anomala, in occasione di lavori di
ristrutturazione che avevano interessato il supermercato.
Infine appare manifestamente infondata la richiesta di riduzione della pena,
che il giudice ha contenuto in prossimità del minimo edittale e
genericamente motivata quella di concessione del beneficio della non
menzione.
Concludendo, il ricorso va pertanto rigettato, con le normali conseguenze in
ordine al regolamento delle spese processuali, operato in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2006
1) Lavoro - Salute - Responsabilità del titolare dell'azienda - Delega di funzioni - In azienda a struttura semplice - Legittimità - Esclusione - Fattispecie. In tema di operatività della delega di funzioni in azienda, rientra tra i compiti dell'amministratore della società l'organizzazione dell'impresa e la vigilanza sull'intero andamento aziendale all'interno di una struttura semplice, atteso che in tali ipotesi non sussiste la necessità di decentrare, in funzione partecipativa di professionalità ed esperienze differenziate, l'esercizio dei poteri di direzione e controllo dell'attività produttiva. (Nella specie la Corte ha ritenuto la responsabilità dell'amministratore di un supermercato con 24 dipendenti per la violazione della L. n. 283 del 1962 per avere detenuto alimenti in cattivo stato di conservazione in quanto con termine di validità già scaduto). Pres. Grassi A. Est. Ianniello A. Rel. Ianniello A. Imp. Mastromartino. P.M. Passacantando G. (Conf.), (Rigetta, Trib. Salerno, 13 Maggio 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 04/04/2006 (Ud. 22/02/2006), Sentenza n. 11909
2) Lavoro - Responsabilità del titolare dell'azienda - Delega di funzioni - In azienda a struttura complessa. In materia di delega di funzioni, espressa (cfr., ad es. Cass. sez. 3^ 26 maggio 2003 n. 22931) o implicita (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^ 28 aprile 2003 n. 19642), all'interno delle aziende, dai vertici verso le strutture intermedie e periferiche, assume normalmente rilievo sul piano della individuazione della responsabilità penale unicamente all'interno di strutture complesse, corrispondendo allora alla necessità di decentrare, in funzione partecipativa di professionalità ed esperienze differenziate, l'esercizio dei poteri di direzione e controllo dell'attività produttiva (così, implicitamente, anche le sentenze citate; come espressa condizione di legittimità della delega, cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^ 17 gennaio 2000 n. 422 e sez. 6^ 29 ottobre 1997 n. 9715). Pres. Grassi A. Est. Ianniello A. Rel. Ianniello A. Imp. Mastromartino. P.M. Passacantando G. (Conf.), (Rigetta, Trib. Salerno, 13 Maggio 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 04/04/2006 (Ud. 22/02/2006), Sentenza n. 11909
3) Consumatori - Salute - Sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione - Lesione del c.d. "ordine alimentare" - Fattispecie: alterazione organolettica del gusto e del colore del vino. In materia di alimenti, la contravvenzione prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l'impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è reato di pericolo presunto, ma di danno, in quanto persegue il fine di benessere, consistente nell'assicurare una protezione immediata all'interesse del consumatore a che il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura (Cass. S.U. 9 gennaio 2002 n. 443). In altri termini, l'interesse protetto dalla norma e leso dal comportamento punito va individuato nel rispetto di quello che è stato definito "ordine alimentare", ovvero quello del consumatore a che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass. sez. 3^, 2 settembre 2004 n. 35828). Ciò premesso sull'argomento, va rilevato che la sentenza impugnata, dopo aver rilevato l'alterazione organolettica del gusto e del colore del vino sequestrato e quindi la lesione del c.d. "ordine alimentare", con l'avvio di un processo degenerativo della bevanda, ne ha attribuito la causa al cattivo stato di conservazione del prodotto, ipotizzato come probabile dato causale anche dal perito chimico esaminato in giudizio e confermato dal fatto, emerso in giudizio, che il prodotto aveva subito nel passato una movimentazione anomala, in occasione di lavori di ristrutturazione che avevano interessato il supermercato. Pres. Grassi A. Est. Ianniello A. Rel. Ianniello A. Imp. Mastromartino. P.M. Passacantando G. (Conf.), (Rigetta, Trib. Salerno, 13 Maggio 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 04/04/2006 (Ud. 22/02/2006), Sentenza n. 11909
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