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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. I, 03/05/2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 15346
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. I, 03/05/2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 15346
(Pres. Fazzioli E..; Est. Corradini G; Imp. Caruso)
CAMERA DI CONSIGLIO
del 19/04/2006
SENTENZA
N. 1432/2006
REGISTRO GENERALE
006894/2006
Composta dagli Ill.ml Sigg.:
Dott. FAZZIOLI EDOARDO - PRESIDENTE
1.Dott.MOCALI PIERO - CONSIGLIERE
2.Dott.BARDOVAGNI PAOLO - CONSIGLIERE
3.Dott.CORRADINI GRAZIA - CONSIGLIERE
4.Dott.URBAN GIANCARLO - CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da :
1) CARUSO ANGELO N. IL 01/01/1953
avverso ORDINANZA del 18/01/2006 TRIB. LIBERTA' di NAPOLI
Sentita la relazione fatta dal Consigliere CORRADINI GRAZIA
Lette/Sentite le conclusioni del P.G. Dott. Giuseppe Febbraro che ha chiesto il rigetto del ricorso;
OSSERVA
Con ordinanza in data 18.1.2006 il Tribunale del riesame di Napoli ha respinto
il ricorso proposto da Caruso Angelo contro il decreto 21.12.2005 del GIP in
sede che, su richiesta del Pubblico Ministero, aveva disposto il sequestro
preventivo dei locali denominati "Farinella", "Le Chandelier" e "Bar 66"
ravvisando il fumus del reato di cui all'art. 659 C.P. con riferimento alle
emissioni musicali ed agli schiamazzi dei clienti e ritenendo altresì
sussistenti le esigenze cautelari di cui all'art. 321 C.P.P.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto corretta la riconducibilità al reato
contravvenzionale di cui all'art. 659, comma 1, C.P. dei fatti denunciati da un
comitato di residenti nel quartiere Chiaja di Napoli, che avevano lamentato
intollerabili disturbi alla tranquillità ed al riposo originati sia dalla
diffusione di musica ad elevatissimo volume, protratta fino alle 4 della mattina
da parte degli impianti hi-fi in dotazione a tali locali, sia dagli schiamazzi
prodotti dalla calca di persone che, nei medesimi orari, stazionavano nei tratti
stradali antistanti gli esercizi, in quanto, pur trattandosi di rumori
connaturali al legittimo esercizio di una attività, le emissioni sonore, per la
loro eccessività ed esorbitanza rispetto al normale esercizio di dette attività,
risultavano, anche per la conformazione dei luoghi e per il loro protrarsi nella
notte, concretamente idonee a disturbare il riposo e le occupazioni di una
pluralità indeterminata di persone che vivevano nelle vicinanze, con conseguente
irrilevanza del superamento o meno dei livelli di rumorosità indicati nelle
tabelle predeterminate dalla legge; pur se doveva rilevarsi che la polizia
giudiziaria aveva riscontrato pure la violazione delle prescrizioni fissate
nella licenza ex art. 68 TULPS, poiché la porta di ingresso dei locali veniva
lasciata comunemente aperta e la musica, specie nel locale Bar 66 - che era
molto angusto, appena di dieci metri quadrati, nonostante il notevolissimo
afflusso di clienti - veniva emessa in corrispondenza di una finestra che si
affacciava sulla strada con impianti di amplificazione spinti al massimo onde
consentirne la fruibilità agli avventori che stavano all'esterno nel raggio di
svariate decine di metri, dove si formava un tappeto di frammenti di bottiglie e
bicchieri in vetro stante la consuetudine dei gestori di consentire il consumo
al di fuori del locale, nonostante la prescrizione di tenere gli impianti a
basso volume, di tenere le porte chiuse e di assumere ogni idonea iniziativa per
evitare che i frequentatori dei locali potessero recare disturbo alla quiete
pubblica. Inoltre i rilievi fonometrici relativi al locale "66 Fusion Bar"
pervenuti al Tribunale del riesame prima dell'udienza e messi a disposizione
della difesa, eseguiti presso la camera da letto di tale Calò Bruno, dotata di
infissi in alluminio con vetrocamera, alle 22,30 della sera, avevano accertato
che i livelli di rumore ambientale abitativo, misurati sia a finestre chiuse che
aperte, superavano in entrambi i casi il rumore differenziale abitativo in
violazione dell'ordinanza sindacale n. 50/04 con cui era stato ordinato al
Caruso di realizzare gli interventi necessari per la riduzione della rumorosità,
mentre non rilevava, ad avviso del Tribunale del riesame, la circostanza che un
consulente tecnico nominato dalla difesa avesse accertato in data 17.5.2004 che
non veniva superato il limite differenziale notturno poiché lo stesso consulente
tecnico aveva fatto presente che la porta di ingresso doveva essere tenuta
chiusa, mentre era sistematicamente aperta, come accertato attraverso le
indagini e non aveva comunque dato contezza degli schiamazzi dei frequentatori
dei locali, che si aggiungevano a quelli delle fonti musicali e che erano
riconducibili a responsabilità dell'indagato.
Quanto poi alle esigenze, cautelaci il Tribunale del riesame ha ritenuto che il
sequestro preventivo fosse l'unico rimedio idoneo a scongiurare la reiterazione
delle condotte lesive in considerazione della relazione specifica e stabile fra
le modalità di gestione del "Bar 66" e l'illecito penale contestato, considerato
che il solo sequestro amministrativo degli impianti di diffusione sonora non
avrebbe impedito la loro immediata sostituzione, visto che il gestore aveva
reiteratamente violato le ordinanze 4.12.2003 e 8.3.2004, nonché l'art. 68 del TULPS, venendo reiteratamente denunciato per tali violazione, senza alcun
risultato.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa del Caruso lamentando violazione
degli artt. 321 C.P.P. e 659 C.P. poiché era da ritenere illegittimo il
sequestro preventivo del locale che era estraneo al reato e non costituiva il
mezzo indispensabile per la attuazione e la protrazione della condotta
criminosa, rappresentando invece soltanto il luogo in cui lo stesso era stato
commesso e non sussisteva comunque neppure il "fumus commissi delicti" non
risultando per quali motivi fosse stata esclusa la sussistenza dell'illecito,
ormai depenalizzato, di cui all'art. 659 cpv. C.P., né come il gestore del
locale, che era titolare di una specifica licenza avrebbe potuto allontanare gli
avventori che sostavano all'esterno, senza considerare comunque la possibilità
di ovviare alla condotta illecita con altre precauzioni meno afflittive.
Il ricorso è infondato e deve essere, come tale, respinto.
Quanto al fumus commissi delicti, occorre rilevare che la contestazione ha
riguardato il comma 1 dell'art. 659 C.P. ed in effetti tale contestazione era
corretta poiché l'abuso che si concretizza nella emissione di rumori eccedenti
la normale tollerabilità ed idonei a disturbare le occupazioni ed il riposo
delle persone rientra nella previsione del comma 1 dell'art. 659 C.P.,
indipendentemente dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono e quindi
anche se derivano dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumoroso,
come nel caso in esame in cui la denuncia era partita da persone che abitavano a
breve distanza dai locali notturni e che avevano lamentato la insopportabilità
dei rumori notturni provenienti dalle emissioni musicali che rendevano loro la
vita e soprattutto il riposo impossibile.
Di tale reato è stata correttamente ritenuta la sussistenza in base alle
emergenze processuali, quali la sussistenza di rumori intollerabili nei
confronti di una pluralità indeterminata di persone che abitavano nei pressi
della discoteca, che si erano specificamente lamentate e cui cagionavano disagi
e disturbi della sfera fisica e psichica valutabili secondo un criterio di media
sensibilità, in relazione all'ambiente ed all'ora specialmente notturna in
cui avvenivano, a prescindere dalla natura della fonte sonora e dalla
provenienza o meno da un mestiere rumoroso e quindi indipendentemente dalla
osservanza o meno della specifica disciplina (v. Cass. 14.1.2000, Piccioni;
Cass. 19.1.2001, Piccoli; Cass. 12.11.2004, Flamini).
La tesi del ricorrente
per cui il fatto contestato dovrebbe essere qualificato come illecito
amministrativo ai sensi del comma 2 dell'art. 659 C.P., sotto il profilo del
mero superamento dei limiti di emissione dei rumori stabiliti dal DPCM 1 marzo
1991, nonché circa la depenalizzazione del reato di cui al comma 2 dell'art. 659
C.P., è infondata essendo del tutto pacifico che la depenalizzazione non
riguarda il reato di cui al comma 1 della suddetta norma e che ai fini di tale reato
non hanno ugualmente rilievo i limiti delle immissioni o emissioni sonore di
cui all'art. 10 della legge n. 447 del 1995.
Ugualmente infondato appare il
rilievo che i rumori prodotti dagli avventori esterni non sarebbero riferibili
alla attività del gestore dei locali, poiché correttamente il Tribunale ha
rilevato che la attività del Bar 66, cui era adibito un locale di appena 10
metri quadrati, era organizzata in modo che si svolgesse all'esterno tanto che
gli amplificatori erano posti praticamente su una finestra in modo che si
propagassero nello spazio stradale circostante per decine di metri, cosicché il
rumore sia degli impianti musicali che quello provocato sulla strada dagli
avventori era direttamente imputabile alla organizzazione della attività e quindi
a specifica responsabilità del gestore.
D'altronde, in base alla
giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, il controllo nel merito
relativo ad un provvedimento di sequestro non esige la cognizione della
sussistenza del reato e dei reati ipotizzati, essendo sufficiente la delibazione
prima facie che il fatto, per cui si procede, sia preveduto dalla legge come
reato. Questo in quanto il controllo del giudice, in tema di misure cautelari
reali ed al contrario di quanto avviene per le misure cautelari personali, non
può investire la concreta fondatezza dell'accusa, ma deve limitarsi alla
astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto ad una determinata
ipotesi di reato. Ed a tali limitati effetti appare innegabile la sussistenza
del reato contestato anche se in ipotesi le emissione sonore non avessero
superato i limiti di legge mentre il ricorso è infondato poiché si limita a sostenere
apoditticamente che non sussisterebbero i presupposti di cui al primo comma
dell'art. 659 C.P., senza
tenere conto delle argomentazioni esposte dal Tribunale.
Quanto al "periculum in mora" che, ai sensi dell'art. 321, comma 1, C.P.P. legittima il sequestro
preventivo, la nozione di "cosa pertinente al reato" a tali fini è in effetti
riferibile alla cosa che ha un nesso strumentale con il reato. Questo legame,
però, è astrattamente possibile in un numero indefinito di casi, sicché, onde
evitare di incidere in modo estremamente gravoso sul delitto di proprietà e d'uso del
bene, si deve accertare che la individuata relazione non sia meramente occasionale, ma
abbia i caratteri della specificità, della stabilità ed indissolubilità
strumentale e che
nel contempo il sequestro sia diretto alla finalità di impedire che la disponibilità
della cosa da partire dell'imputato o dell'indagato costituisca pericolo di aggravamento o
protrazione delle conseguenze del reato (per tutte, Cass. sez. 3, 6.8.1995 n. 2734, Rv.
202292; Cass. sez. VI, 21.2.2004 n. 5302, Rv. 227096; Cass. VI, 9.2.2000 n. 632; Rv.
215737).
Ne deriva che è incensurabile l'apprezzamento del giudice di merito qualora il
provvedimento impugnato sia congruamente motivato con riferimento alla specifica, stabile ed
organica strumentalità della cosa sottoposta a sequestro rispetto alla attività
illecita e purchè risulti che venga reiterata - in caso di disponibilità della
cosa - la condotta vietata. Il che sicuramente sussiste nel caso in esame poiché è
stato correttamente rilevato che l'esercizio della attività, in base alla
organizzazione data dal gestore, non è possibile in modo diverso, né il gestore
ha intenzione di mutare la organizzazione, avendo ripetutamente violato le numerose ordinanze
che si sono succedute nel tempo al fine di indurlo a modificare la
organizzazione. Ciò giustifica la misura adottata, anche alla stregua delle
precedente violazioni di tutte le prescrizioni impartite sia dell'autorità comunale che di
pubblica sicurezza, mentre non appare possibile una diversa misura, meno
affittiva che,
fra il ricorrente non ha neppure indicato quale potrebbe essere.
Non rileva in proposito un passato orientamento giurisprudenziale (Cass. sez. 1. n. 4684/1993),
molto lontano nel tempo, citato dal ricorrente, per cui è stata esclusa la
sussistenza della correlazione del locale di pubblico esercizio con la
commissione del reato di cui all'art. 659 C.P. in relazione, peraltro, più che ad
attività svolte all'interno di detti locali, al comportamento che, all'esterno era tenuto da numerosi
avventori, poiché la situazione nel caso in esame è comunque diversa ed è
aggravata dal persistente comportamento dell'indagato che ha ripetutamente
rifiutato qualsiasi comportamento diretto ad evitare la protrazione
della condotta criminosa.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali a norma dell'art. 616 C.P.P.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali. Cosi deciso in Roma il 19
aprile 2006.
1) Inquinamento acustico - Rumore provocati da schiamazzi di avventori di un bar - Sequestro dei locali - Art. 659 c. 1° c.p.. La violazione dell'articolo 659, comma primo c.p. si configura attraverso qualsiasi attività idonea ad arrecare disturbo al riposo ed alle occupazioni delle persone indipendentemente dalla fonte sonora che può consistere anche nell'esercizio di un mestiere rumoroso (v. Cass. 14.1.2000, Piccioni; Cass. 19.1.2001, Piccoli; Cass. 12.11.2004, Flamini) (nella fattispecie, esercizio di un bar all'esterno del quale gli avventori provocavano rumori molesti). In tal caso è legittimo il provvedimento di sequestro preventivo dei locali qualora il provvedimento sia congruamente motivato con riferimento alla specifica, stabile ed organica strumentalità della cosa sottoposta a sequestro rispetto alla attività illecita e purché risulti che venga reiterata - in caso di disponibilità della cosa - la condotta vietata. (Pres. Fazzioli E..; Est. Corradini G; Imp. Caruso) CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. I, 03/05/2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 15346
2) Inquinamento acustico - Procedure e varie - Esercizio di un bar - Rumori molesti - Sequestro preventivo - "Periculum in mora" - Nozione di: cosa pertinente al reato - Fondamento - Ripetuta violazione di ordinanze. Quanto al "periculum in mora" che, ai sensi dell'art. 321, comma 1, C.P.P. legittima il sequestro preventivo, la nozione di "cosa pertinente al reato" a tali fini è in effetti riferibile alla cosa che ha un nesso strumentale con il reato. Questo legame, però, è astrattamente possibile in un numero indefinito di casi, sicché, onde evitare di incidere in modo estremamente gravoso sul delitto di proprietà e d'uso del bene, si deve accertare che la individuata relazione non sia meramente occasionale, ma abbia i caratteri della specificità, della stabilità ed indissolubilità strumentale e che nel contempo il sequestro sia diretto alla finalità di impedire che la disponibilità della cosa da partire dell'imputato o dell'indagato costituisca pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato (per tutte, Cass. sez. 3, 6.8.1995 n. 2734, Rv. 202292; Cass. sez. VI, 21.2.2004 n. 5302, Rv. 227096; Cass. VI, 9.2.2000 n. 632; Rv. 215737). Ne deriva che è incensurabile l'apprezzamento del giudice di merito qualora il provvedimento impugnato sia congruamente motivato con riferimento alla specifica, stabile ed organica strumentalità della cosa sottoposta a sequestro rispetto alla attività illecita e purchè risulti che venga reiterata - in caso di disponibilità della cosa - la condotta vietata. Il che sicuramente sussiste nel caso in esame poiché è stato correttamente rilevato che l'esercizio della attività, in base alla organizzazione data dal gestore, non è possibile in modo diverso, né il gestore ha intenzione di mutare la organizzazione, avendo ripetutamente violato le numerose ordinanze che si sono succedute nel tempo al fine di indurlo a modificare la organizzazione. Ciò giustifica la misura adottata, anche alla stregua delle precedente violazioni di tutte le prescrizioni impartite sia dell'autorità comunale che di pubblica sicurezza, mentre non appare possibile una diversa misura, meno affittiva che, fra il ricorrente non ha neppure indicato quale potrebbe essere. (Pres. Fazzioli E..; Est. Corradini G; Imp. Caruso) CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. I, 03/05/2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 15346
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