Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 21/06/2006 (Ud. 20/04/2006), Sentenza n. 21471
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 21/06/2006 (Ud.
20/04/2006),
Sentenza n. 21471
(Pres. De Grazia - Est. Marzano - Imp. Clemente ed altro)
Omissis
Osserva:
1. Il 16 marzo 2005 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza in data
10 marzo 2003 del Tribunale della stessa città, con la quale Marcello Clemente e
Giuseppe Pezzella, riconosciute loro le attenuanti generiche equivalenti
all'aggravante contestata, erano stati condannati a pene ritenute di giustizia,
nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, per
imputazione di cui all'art. 590, 1° e 3 c., c.p..
Si contestava a tali imputati, il primo quale titolare della impresa di
costruzioni "C2 Costruzioni" ed il secondo quale socio responsabile del cantiere
edile, di aver cagionato al lavoratore Vincenzo Acconcia Iesioni gravi per
colpa, generica e specifica, quest'ultima, in particolare, per violazione
dell'art. 27 D.P.R. n. 547/1955.
Per come accertato dai giudici del merito, i lavori in questione, per i quali
Giuseppe Pezzella aveva avuto ricevuto delega per la sicurezza, erano stati
appaltati dalla ditta Edil Mayor ed alcuni specifici lavori, quali
l'intonacatura degli ambienti da effettuare con una intonacatrice elettrica,
erano stati oggetto di contratto di sub-appalto tra il titolare della ditta
appaltatrice e Marcello Clemente, titolare della impresa "C2 Costruzioni". Quel
giorno Acconcia, dipendente di quest'ultima impresa, che lavorava presso il
cantiere edile, nello scendere le scale che collegavano il quarto al terzo piano
dell'immobile, inciampava e, impattando contro le traverse di legno che
proteggevano il varco del vano ascensore, a causa della inidoneità di tale
barriera ad evitare il pericolo di caduta dall'alto, precipitava verso il basso
riportando le lesioni di cui al capo di imputazione.
2.0 Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi gli imputati, Clemente
personalmente, Pezzella per mezzo del difensore.
Clemente denunzia il vizio di violazione di legge. Assume che egli aveva
accettato l'incarico di dare indicazioni al personale della Edilmayor
sull'utilizzo delle attrezzature e, in tale contesto, "la manutenzione del
cantiere, la difesa ai varchi e ai posti di passaggio non potevano e non possono
rientrare nei precetti che deve osservare il sub-appaltatore...". Soggiunge che
"l'istruttoria dibattimentale non ha affatto dimostrato che la chiusura dei
varchi fosse insufficiente e/o mancante..." e che "solo il caso fortuito ed
imprevedibile ha dato luogo all'evento...
Pezzella, dal canto suo,
denunzia vizi di violazione di legge e di motivazione, e "mancata acquisizione
di una prova decisiva".
Premesso che egli era stato ritenuto responsabile "non quale legale
rappresentante della società che stava svolgendo i lavori, bensì quale
responsabile della sicurezza del cantiere", assume che "integra il vizio della
mancata acquisizione di una prova decisiva il rifiuto... di rinnovare il
dibattimento sulla scorta de Ila acquisizione documentale..." (che avrebbe
dovuto comprovare la dismissione di quelle funzioni); che la sentenza di secondo
grado "risolve la propria motivazione... nella stucchevole... reiterazione degli
elementi di responsabilità già ritenuti dal primo giudice..."; che da entrambi i
giudici del merito era stato operato "il malgoverno interpretativo... quanto
alla disposizione antinfortunistica ex art. 10, comma 2, D.P.R. 547/45 (rectius:
'55), contestato in rubrica erroneamente sub art. 27 stesso D.P.R.".
Tale ricorrente ha prodotto, per mezzo del difensore, "motivi nuovi", con i
quali, in sostanza, ribadisce le ragioni del ricorso. In particolare, quanto,
alla "mancata assunzione di una prova decisiva", rileva che "la difesa
dell'imputato é venuta in possesso della controdichiarazione (recante comunque
data precedente ai fatti per cui è processo) solo dopo il decorso anche
addirittura del termine di deposito dei motivi di appello; la ha pertanto
prodotta e ne ha chiesto l'acquisizione nel dibattimento di secondo grado ai
fini di una ulteriore rinnovazione dello stesso...".
3.0 Il ricorso di Clemente è infondato.
Hanno dato atto, invero, i giudici del merito (con accertamento di fatto
sottratto a sindacabilità in sede di legittimità) che alcuni dei lavori in
questione ("quali l'intonacatura degli ambienti da effettuare con una macchina
speciale, detta intonacatrice elettrica", come specifica il giudice di prime
cure) erano stati dati in sub-appalto dalla ditta "Edil Mayor" alla ditta "C2
Costruzioni", della quale era titolare il ricorrente.. La persona offesa,
Vincenzo Acconcia, "era dipendente del Clemente e lavorava anche quel giorno
sotto sua direzione azionando la macchina", "addetto ad impastare le sostanze
per l'intonaco nella macchina intonacatrice" (ibid.): il sinistro si
verificò perché, "scendendo le scale tra il terzo ed il secondo livello fuori
terra, I'operaio era inciampato in prossimità del pianerottolo nel quale si
apriva il vano del cunicolo in cui doveva essere posto l'ascensore e, impattando
col peso del suo corpo una traversa di legno che delimitava l'apertura, era
precipitato per molti metri...", tale dinamica del fatto rimanendo confermata
anche dalle dichiarazioni del teste Montefusco (ibid.).
In siffatto contesto fattuale, deve ritenersi privo di consistenza l'assunto del
ricorrente, secondo il quale, premesso che "il 'lavoro' della ditta Clemente
Marcello doveva consistere nella preparazione dell'intonaco e sul suo 'getto'
alle pareti", "la manutenzione del cantiere, la difesa ai varchi e ai posti di
passaggio non potevano e non possono rientrare nei precetti che deve osservare
il sub-appaltatore in quanto la sua attività deve estrinsecarsi nell'opera che
deve svolgere (intonacare le pareti) e non già quello di verificare se tutto il
cantiere fosse o meno a norma di legge...". In tema di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, difatti, all'obbligo della osservanza delle norme di legge
sono tenuti tutti coloro che esercitano tali lavori, ai sensi dell'art. 4 D.P.R.
n. 547/1995 e, quanto ai lavori nelle costruzioni, del combinato disposto degli
artt. 1 e 3 D.P.R. n. 164/1956, quindi anche il subappaltatore, che ha l'onere
di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, ancorché la sua
attività si svolga concomitantemente ad altra, prestata da altri soggetti: né
egli può esimersi da responsabilità facendo affidamento sull'opera preventiva di
questi ultimi. In tema di rapporto di causalità, difatti, non può parlarsi di
affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate
norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte, confidando che altri
rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a
prevenirlo: in tal caso, difatti, l'omessa attivazione del terzo o la mancata
attuazione di idonei comportamenti da parte del lavoratore tutelato dalla
posizione di garanzia non si configurano affatto come fatto eccezionale ed
imprevedibile, sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento, e questo
avrà, semmai, più antecedenti causali, dovuti all'inerzia di quanti avrebbero,
tutti, dovuto attivarsi e non si siano attivati.
Nel precitato caso, quindi di subappalto di lavori, ove questi si svolgano nello
stesso cantiere predisposto dall'appaltatore, in esso inserendosi anche
l'attività del subappaltatore per la esecuzione di un'opera parziale e
specialistica, ancorché possa non venir meno la ingerenza dell'appaltatore e la
diretta riconducibilità (anche) a lui della organizzazione del (comune) cantiere
- non cessando egli di essere investito dei poteri direttivi generali inerenti
alla propria predetta qualità -, sussiste la responsabilità di entrambi tali
soggetti in relazione agli obblighi della predisposizione delle misure
antinfortunistiche, della loro osservanza e dovuta sorveglianza al riguardo
(cfr., da ultimo, Cass., Sez. IV, n. 32943/2004; id., Sez. IV, n.. 2748/1998; id.,
Sez. IV, n. 12652/1988; per un risalente caso di specie, in tema di lesioni
patite da un lavoratore dipendente da altro imprenditore che aveva assunto in
subappalto l'obbligo di tinteggiare il fabbricato, cfr. Cass., Sez. IV, n.
8321/1981).
E, in siffatte situazioni, neppure eventuali clausole di trasferimento di
rischio e responsabilità tra i due, appaltatore e subappaltatore, possono avere
rilevanza operativa, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono
essere derogate da determinazioni pattizie (cfr. Cass., Sez. IV, n. 14429/1990).
Quanto, poi, all'assunto che "l'istruttoria dibattimentale non ha affatto
dimostrato che la chiusura dei varchi fosse insufficiente e/o mancante",
richiamato che il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità ex
art. 606.1, lett. e), c.p.p., deve, per espressa disposizione normativa,
risultare dal testo del provvedimento impugnato (al di fuori della ipotesi
introdotta dalla modifica normativa di cui all'art. 8 L. n. 46/2006), nella
specie i giudici del merito hanno dato esaustiva contezza della situazione dei
luoghi di lavoro, in riferimento all'addebito contestato (pagg. 9 e ss. della
sentenza impugnata; pagg. 6 e ss. della sentenza di primo grado) e dalla congrue
considerazioni ivi svolte hanno logicamente tratto il convincimento della
violazione della regola cautelare imposta al datore di lavoro: a fronte di tale
apparato argomentativo (che dà anche contezza della insussistenza di addotte
ipotesi di "caso fortuito ed imprevedibile"), i rilievi gravatori del ricorrente
si sostanziano, in definitiva, in una diversa prospettazione valutativa delle
circostanze logicamente delibate dai giudici del merito.
3.1 Infondato è anche il ricorso di Pezzella.
Secondo quanto accertato dai giudici del merito, questi era "uno dei soci della
Edilmayor" ed è "certo che l'imputato abbia assunto in concreto la gestione del
cantiere", al riguardo richiamando "anche", quindi non solo, la circostanza che
egli "fu presente al momento del sopraluogo" (pag. 14 della sentenza impugnata),
essendo risultato egli essere "il responsabile della sicurezza per i lavori...,
vista la delega acquisita all'ultima delle udienze di trattazione". E proprio
per la ritenuta assunzione in concreto della gestione del cantiere, la sentenza
impugnata ha ritenuto superflua la rinnovazione del dibattimento in riferimento
alla "lettera esibita dalla difesa"; per la quale pure può rilevarsi che
trattasi di missiva recante la data dell'11.6.1999 (come chiarisce il
ricorrente: v. verbale di udienza del 16.3.2005), del tutto prossima a quella
del fatto in delibazione (18.6.1999), senza attestazione di inoltro e ricezione
della stessa e, soprattutto, di formalizzata accettazione e comunque di concreta
operatività di quelle dimissioni; e rimanendo significativa la considerazione
che in sede di sopraluogo tale circostanza non venne affatto rappresentata dal
ricorrente, né venne rappresentata nel corso del giudizio di primo grado,
venendo quella lettera prodotta solo nel corso del giudizio di appello; né
chiarisce il ricorrente le ragioni per cui "la difesa dell'imputato è venuta in
possesso della controdichiarazione...solo dopo il decorso anche addirittura del
termine di deposito dei motivi di appello", e quindi di tale mancata tempestiva
rappresentazione di siffatta circostanza, che avrebbe dovuto essere ben nota e
ben presente al ricorrente e pur da lui ritenuta decisiva in tema di "esoner(o)
in toto (del) Pezzella da qualsivoglia protagonismo soggettivo nella
vicenda che occupa".
Non illegittimamente, dunque, i giudici del merito hanno disatteso la richiesta
di rinnovazione della istruzione dibattimentale in specifico riferimento a
quella lettera, dando atto della, comunque, ritenuta assunzione in concreto
della gestione del cantiere. E ai sensi dell'art. 603.1 c.p.p., il giudice
dell'appello è tenuto a disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale
solo se "ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti"; il
positivo esercizio di tale potere, dunque, è vincolato alla condizione della
riscontrata incompletezza dell'indagine dibattimentale, alla ritenuta
impossibilità, cioè, di poter decidere in mancanza di tale rinnovazione
istruttoria: tale giudizio è rimesso alla valutazione del giudice del merito ed
è incensurabile, se correttamente motivata, in sede di legittimità.
Quanto al rilievo, poi, circa "il malgoverno interpretativo... quanto alla
disposizione antinfortunistica", anche al riguardo non ha mancato di
congruamente motivare la sentenza impugnata (pagg. 11-12), rilevando che "anche
per il vano ascensore dovevano esserci le protezioni strutturali per evitare la
caduta di un addetto ai lavori", e che, in ogni caso, per la configurabilità de
l'aggravante di cui all'art. 590.3 c.p. è sufficiente "che l'evento dannoso si
sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti
imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ...". D'altra parte, ove ricorresse
l'ipotesi di cui all'art. 10 D.P.R. n. 547/1955, le rappresentate e contestate
(non rilevando il nomen iuris delle stesse) circostanze fattuali del caso
confermerebbero la violazione di tale norma cautelare, la quale prescrive che
"le aperture esistenti nel suolo o nel pavimento dei luoghi o degli ambienti di
lavoro o di passaggio... devono essere provviste di solide coperture o di
parapetti normali, atti ad impedire la caduta di persone..."; e "le aperture
nelle pareti, che permettono il passaggio di una persona e che presentano
pericolo di caduta per dislivelli superiori ad un metro, devono essere provviste
di solida barriera o munite di parapetto normale".
Nei motivi nuovi, infine, rassegnati dal ricorrente, si deduce che "il ricorso
principale risulta già corredato dalle specifiche allegazioni degli atti
processuali in ragione dei quali — oltre ovviamente che della sentenza gravata -
riscontrare i vizi di carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità già
eccepiti con riferimento anche ad essi prima della riforma introdotta dalla L.
46/2006".
Tale rilievo è del tutto generico, non chiarendosi affatto quali siano ulteriori
tematiche rilevanti oltre quelle di già esaminate, per le quali possa rilevare
la novella normativa introdotta dall'art. 8 L. n. 46/2006.
4. I ricorsi vanno, dunque, rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti
al pagamento in solido delle spese processuali, nonché alla rifusione delle
spese processuali in favore della costituita parte civile, che si liquidano come
in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali, nonché al rimborso delle spese in favore della costituita
parte civile, Acconcia Vincenzo, in questo grado del giudizio, che liquida in
complessivi €. 1.687,00, di cui € 1.500,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A.
nelle misure di legge.
Roma, 20 aprile 2006.
Lavoro sicurezza - Appalti - Urbanistica - Prevenzione infortuni - Obblighi di prevenzione - Cantiere edile - Opere in subappalto - Individuazione dei destinatari. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all’esecuzione di lavori in subappalto all’interno di un unico cantiere edile predisposto dall’appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione di un’opera parziale e specialistica, che ha l’onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, pur se la sua attività si svolga contestualmente ad altra, prestata da altri soggetti, e sebbene l’organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all’appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali. (Pres. De Grazia - Est. Marzano - Imp. Clemente ed altro). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 21/06/2006 (Ud. 20/04/2006), Sentenza n. 21471
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza