Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21/06/2006 (Ud. 21/03/2006), Sentenza n. 21487
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21/06/2006 (Ud. 21/03/2006), Sentenza n. 21487
(Pres. Postiglione Est. Fiale Ric. Tantillo ed altro)
UDIENZA PUBBLICA
DEL 21/03/2006
SENTENZA
N. 345
REGISTRO GENERALE
47618/05
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Amedeo POSTIGLIONE
1.Dott. Guido DE MAIO
2.Dott. Alfredo TERESI
3.Dott. Mario GENTILE
4.Dott. Aldo FIALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore nella Repubblica presso il Tribunale di
Siracusa
avverso l'ordinanza di Siracusa nei confronti di:
1- TANTILLO Cesare, n. in Libia il 20-2-1941
2- DI MAURO Francesca, n. a Catania
il 14.4.1941
Sentita la relazione fatta dal
Consigliere dott.. Aldo FIALE
Udito il pubblico ministero nella persona del dott. A. DI POPOLO
che ha concluso per l'annullamento
con rinvio
della
ordinanza impugnata
Udito il difensore, Avv.to Massimo CIARDULLO, il quale ha concluso chiedendo la
declaratoria di inammissibilità del ricorso del P.M.
osserva:
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 21.11.2005 il
Tribunale di Siracusa - in accoglimento dell' istanza di riesame proposta
nell'interesse di Di Mauro Francesca (amministratore della s.n.c. "TA.DI.CO.
& C.") e Tantillo Cesare (assuntore dei lavori) — annullava il decreto
26.10.2005 con cui il G.I.P, di quello stesso Tribunale aveva disposto il
sequestro preventivo di un'erigenda costruzione (adottato in relazione
all'ipotizzato reato di costruzione abusiva, ex art. 44, lett. b, D.P.R. n.
380/2001) e revocava il sequestro medesimo.
Rilevava il Tribunale che la misura di cautela reale era stata applicata sul
presupposto che le opere edilizie fossero state approvate con permesso di
costruire illegittimo, affermava però che, in una situazione siffatta, compete
al giudice del riesame verificare se trattasi di "un provvedimento
microscopicamente illegittimo" o meno (sul punto faceva riferimento alle
sentenze di questa Sezione della Corte Suprema n. 1756 del 12.5.1995 e n. 54
dell' 11.1.1996).
Argomentava che - in relazione alle caratteristiche strutturali del giudizio di
riesame e soprattutto delle funzionalità del medesimo - detta verifica sulla
macroscopicità della contestata illegittimità del provvedimento amministrativo
deve ritenersi "necessariamente destinata ad assumere un carattere assorbente
rispetto alla verifica di mera illegittimità o meno dell'atto stesso", sicché
essa deve "essere operata in via prioritaria, benché astrattamente afferente non
al piano di valutazione della tipicità del reato ma a quello della
colpevolezza".
Escludeva, quindi, nella specie, la sussistenza di una situazione di
macroscopica violazione della disciplina urbanistica per un duplice ordine di
ragioni:
- la evidente complessità della questione amministrativa ritenuta sottostante
alla validità dei provvedimento (applicabilità delle misure di salvaguardia ad
un nuovo regolamento edilizio comunale);
- la circostanza che, in ordine a tale questione, il dirigente dell'ufficio
comunale competente — non coinvolto penalmente nella vicenda — avesse,
anteriormente al rilascio del provvedimento "de quo", adottato una
circolare di contenuto generale, destinata ad orientare la definizione di tutte
le domande di rilascio di titoli edificatori dipendenti dalla medesima questione
(circolare alla quale, nella specie, vi era stata piena conformazione).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Siracusa, il quale ha eccepito che:
- la "macroscopica illegittimità" del provvedimento amministrativo non è
condizione essenziale per la configurabilità del reato edilizio ipotizzato,
potendo influire soltanto sulla valutazione dell'elemento soggettivo in sede di
giudizio dei merito (valutazione che nella specie, invece, sarebbe stata
indebitamente effettuata dal giudice del riesame);
- il permesso di costruire "de quo" sarebbe comunque viziato da
illegittimità macroscopica, tenuto conto che il fabbricato già oggetto di
sequestro verrebbe ad essere edificato, con compromissione di scelte
pianificatone, solo a metri 1,33 da una sede stradale prevista dal nuovo piano
regolatore generale del Comune di Siracusa, sia pure soltanto adottato;
- le disposizioni di salvaguardia devono ritenersi pacificamente applicabili anche alle prescrizioni dei nuovo regolamento edilizio comunale, poiché ad esse fanno continuo ed espresso rinvio le norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico adottato.
I difensori degli indagati hanno depositato memoria, prospettando
l'inammissibilità del proposto ricorso, che si riferirebbe a vizi di motivazione
del provvedimento impugnato, laddove il sindacato di legittimità sulle ordinanze
emesse dal Tribunale del riesame, a norma degli artt. 322 bis e 324 c.p.p.,
è limitato dal comma 1° dell'art. 325 c.p.p. all'esclusivo vizio della
violazione di legge.
***********
Il ricorso del P.M. è fondato e merita accoglimento.
1. L'ammissibilità del ricorso
Ai sensi dell'art. 325 c.p.p., contro le ordinanze emesse dal Tribunale del
riesame investito della verifica di legittimità del sequestro, i soggetti
legittimati possono proporre ricorso per cassazione soltanto per "violazione
di legge".
Secondo l'indirizzo giurisprudenziale ormai costante di questa Corte Suprema
(vedi Sez. Unite, 28.1.2004, n. 5876; Sez, III, 15.7.2004, n. 36160), alla
violazione di legge vanno ricondotte la mancanza assoluta e la mera apparenza
della motivazione (e questa deve considerarsi "meramente apparente" quando sia
del tutto priva di requisiti minimi di coerenza e completezza: Sez. Unite,
28.5.2003, n. 12), ma non anche il vizio di manifesta illogicità della stessa ex
art. 606, comma 1°, lett. e), c.p.p.
Nella specie il P.M. ricorrente non sovrappone una interpretazione propria a
quella effettuata da Tribunale, ma lamenta l'incoerenza della decisione
impugnata conseguente all'applicazione di erronei principi di diritto.
2. I termini fattuali della vicenda
Il Comune di Siracusa ha rilasciato la concessione edilizia n. 32 del
22.2.2005 in ordine ad un progetto di demolizione e realizzazione di un nuovo
fabbricato per civile abitazione a quattro piani fuori terra.
Secondo la prospettazione accusatoria, detto titolo abilitante deve considerarsi
illegittimo poiché si porrebbe in contrasto con i nuovi strumenti urbanistici
(piano regolatore generale, relative norme tecniche di attuazione e regolamento
edilizio) adottati dal Consiglio comunale di Siracusa con delibera n. 92 del
27.4.2004 e sarebbe stato rilasciato senza la doverosa applicazione delle misure
di salvaguardia pure prescritte dall'art. 19 della legge regionale siciliana n.
71 del 1978.
In particolare:
- la superficie complessivamente autorizzata (di mq. 598,01) supererebbe di mq.
38,42 quella massima ammissibile per la zona B3.2 secondo le previsioni delle
norme di tecniche di attuazione del nuovo P.R.G. e del nuovo regolamento
edilizio;
- non sarebbero rispettati parametri di altezze e distanze prescritti dal nuovo
regolamento edilizio, maggiormente con riferimento al previsto allargamento
della sede stradale di via Grottasanta, posta al lato sud dell'erigendo edificio
(solo mt. 1,33 di distanza dalla nuova sede, a fronte dei 5 metri prescritti,
per cui i balconi, della larghezza di mt. 1,90, finiscono per incidere in parte
sull'area di ampliamento della strada);
- non sarebbe rispettata l'altezza sul livello del marciapiede, riguardo ai
balconi aggettanti sullo stesso, prevista sia dal vecchio sia dal nuovo
regolamento edilizio.
3. Il reato di costruzione abusiva a fronte dell'illegittimità del permesso di
costruire
Fu la giurisprudenza pretorile, negli anni '70, a ricondurre alla carenza di
concessione edilizia le ipotesi di lavori eseguiti sulla base di concessione
illegittima: cioè viziata, o per inosservanza dei presupposti formali di
legittimità, o in violazione del vincolo di inedificabilità stabilito dalla
legge in assenza di strumenti urbanistici, ovvero in contrasto con i limiti
imposti dalla pianificazione vigente.
Venne affermato che, in ipotesi siffatte, il giudice penale - avvalendosi dei
poteri attribuiti al giudice ordinario dall'art. 5 della legge 20.3.1865, n.
2248, all. E) - può compiere una valutazione del titolo abilitativo, al fine di
verificarne la legalità.
Qualora egli riscontri eventuali vizi di illegittimità, può disapplicare l'atto
amministrativo illegittimo, considerando ad ogni effetto i lavori come eseguiti
in assenza di titolo abilitante.
Questa Corte Suprema non assunse, al riguardo, un orientamento uniforme, in
quanto:
- talune decisioni affermarono che l'illegittimità della concessione
fosse assimilabile alla mancanza della stessa;
- altre distinsero tra concessione illegittima e concessione illecita,
escludendo - nel primo caso - la sussistenza di un presupposto essenziale del
reato;
- altre ancora ravvisarono, nell'ipotesi di concessione illegittima, la
violazione dell'art. 17, lett. a), della legge n. 10/1977 e non quella più grave
di cui alla lett. b).
La tesi della "disapplicazione" venne confutata da autorevole dottrina,
sull'assunto che l'art. 5 della legge n. 2248/1985 non può spiegare alcuna
efficacia nell'ambito del processo penale, in quanto questo non è rivolto alla
tutela di diritti soggettivi, bensì all'accertamento della corrispondenza di un
fatto alla fattispecie incriminatrice.
Non vi è, insomma, una parte che possa chiedere al giudice il disconoscimento di
una disciplina imposta da un provvedimento amministrativo illegittimo, con
sacrificio di relazioni giuridiche alle quali esso partecipa; il provvedimento
illegittimo, invece, potrebbe costituire soltanto il presupposto di un reato.
Alcuni Autori asserirono, al riguardo, che la disapplicazione si risolverebbe,
agli effetti penali, in una forma di retroattività "in malam partem", dal
momento che, con essa, si qualificherebbe postumamente illecita una condotta
posta in essere in conformità ad un titolo assistito dalla presunzione di
legittimità degli atti amministrativi, che è principio generale del nostro
ordinamento.
Un notevole contributo alla configurazione della questione venne fornito da
questa III Sezione penale con l'ordinanza 13.3.1985 (ric. Meraviglia), ove si
affermò perentoriamente che la norma incriminatrice all'epoca posta dall'art.
17, lett. b), della legge n. 10/1977 ricollegava la sanzione penale alla
"insussistenza" del provvedimento amministrativo e non anche alla sua
"illegalità".
In decisioni successive questa Sezione ribadì che il giudice penale deve
controllare soltanto l'esistenza dell'atto sulla base dell'esteriorità formale e
della sua provenienza dall'organo legittimato ad emetterlo, ulteriormente
precisando che deve parlarsi di assenza dell'atto non solo qualora esso sia
stato emesso da un organo assolutamente privo del potere di provvedere, ma anche
qualora il provvedimento sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico
che lo rilascia e del soggetto privato che lo consegue e, quindi, non sia
riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è
dato operare ai pubblici poteri (cfr. Cass., Sez. III, 31.3.1986, ric. Ainora).
Il contrasto giurisprudenziale rese opportuno l'intervento delle Sezioni Unite e
queste — con decisione del 31.1.1987, ric. Giordano — statuirono che "il potere
del giudice penale di conoscere della illegittimità della concessione edilizia
non è riconducibile al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo
illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della legge n. 2248 del 1865, all.
E), ma deve trovare fondamento o giustificazione o in esplicita previsione
legislativa ovvero nell'ambito della interpretazione ermeneutica della norma
penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si presenti, essa stessa,
come elemento essenziale della fattispecie criminosa".
Le Sezioni Unite affermarono, nella sentenza Giordano, che – dalla lettura
congiunta degli artt. 4 e 5 della legge del 1865 – "si evince chiaramente che le
norme in questione non introducono affatto un principio generalizzato di disapplicazione di atti amministrativi illegittimi da parte del giudice
ordinario (sia esso civile o penale) per esigenze di diritto oggettivo, ma che,
al contrario, il controllo sulla legittimità dell'atto amministrativo è stato
rigorosamente limitato dal legislatore ai soli atti incidenti negativamente sui
diritti soggettivi ed alla specifica condizione che si tratti di accertamento
incidentale, che lasci persistere gli effetti che l'alto medesimo è capace di
produrre all'esterno del giudizio.
Ne consegue, pertanto, che la normativa in questione non può trovare
applicazione per quegli atti amministrativi che, lungi da comportare lesione di
un diritto soggettivo, rimuovono invece un ostacolo al loro libero esercizio
(nulla-osta, autorizzazioni) o addirittura li costituiscono (concessioni).
Opinare diversamente non solo comporta l'estensione al diritto oggettivo di una
regola dettata unicamente a tutela dei diritti soggettivi, ma comporta altresì –
con violazione del principio della divisione dei poteri – l'attribuzione al
giudice penale di un potere di controllo e d'ingerenza esterna sull'attività
amministrativa e, quindi, l'esercizio di un'attività gestionale che dalla legge
è, invece, demandata in esclusiva ad altro potere dello Stato.
Ciò, peraltro, non esclude che, in determinati casi, il giudice penale non possa
egualmente conoscere della illegittimità dell'atto amministrativo.
Tale possibilità, tuttavia, non è riconducibile al potere di disapplicazione
dell'atto amministrativo illegittimo riconosciutogli dagli artt. 4 e 5 della
legge del 1865, ma deve, invece, trovare fondamento e giustificazione o in una
esplicita previsione legislativa (come, ad esempio, avviene con il disposto
dell'art. 650 cod, pen.) ovvero, nell'ambito dell'interpretazione ermeneutica
della norma penale, qualora l'illegittimità dell'atto amministrativo si
presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa".
Sulla base di tali principi affermarono le Sezioni Unite che la disposizione di
cui all'art. 17, lett. b), della legge n. 10/1977 non poteva considerarsi
"funzionale alla tutela dell'interesse all'osservanza delle norme di diritto
sostanziale che disciplinano l'attività edilizia", poiché "l'interesse tutelato
da tale norma è quello pubblico di sottoporre l'attività edilizia al preventivo
controllo della P.A., con conseguente imposizione, a chi voglia edificare,
dell'obbligo di richiedere l'apposita autorizzazione amministrativa".
Un netto dissenso dall'anzidetto orientamento venne espresso in una successiva
sentenza (Cass., Sez. III, 9.1.1989, n. 2766, ric. Bisceglia), ove si affermò
che la questione doveva essere riesaminata alla stregua dei principi informatori
della legge n. 47/1985, avendo tale legge profondamente mutato l'oggetto stesso
della tutela penale, incentrata ormai sul criterio sostanziale della conformità
delle opere alla normativa urbanistica. Al giudice penale venne riconosciuta
così la potestà di non tenere conto dell'atto amministrativo illegittimo,
essendo divenuta la illegittimità dell'atto essa stessa un elemento essenziale
della fattispecie criminosa.
La Corte Costituzionale – con ordinanza 11/14 giugno 1990, n. 288 – confermò
l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza
Giordano (ritenendolo espressamente non superato dall'anzidetta decisione)
secondo il quale il giudice penale non può disapplicare il provvedimento
amministrativo, salvo i casi di lesione di diritti soggettivi o di illiceità
penale, soggiungendo però che "l'illiceità penale di una concessione non
deriva
soltanto dalla collusione (tra richiedente ed autorità amministrativa), ma da
qualsiasi violazione della legge penale che abbia a viziare il momento formativo
della volontà della Pubblica Amministrazione".
Seguirono ulteriori oscillazioni giurisprudenziali per cui le Sezioni Unite
hanno avuto occasione di pronunciarsi nuovamente sulla questione e – con la
sentenza 12.11.1993, ric. Borgia - hanno affermato che "al giudice penale non è
affidato, in definitiva, alcun sindacato sull'atto amministrativo, ma questi,
nell'esercizio della potestà penale, è tenuto ad accertare la conformità ira
ipotesi di fallo (opera esegue o eseguita) e, fattispecie legale (identificata
dalle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia, dalle previsioni degli strumenti urbanistici e dalle
prescrizioni del regolamento edilizio).
Il complesso di tali disposizioni, previsioni e prescrizioni, tutte insieme
considerate, costituisce il parametro organico per l'accertamento della liceità
o dell'illiceità dell'opera edilizia e ciò in quanto l'oggetto della tutela
penale apprestata dall'art. 20 della legge n. 47/1985 [oggi art. 44 del T.U. n.
380/2001] non è più - come nella legge n. 1150 del 1942 - il bene strumentale
del controllo e della disciplina degli usi del territorio, bensì la salvaguardia
degli usi pubblici e sociali del territorio medesimo".
In questa prospettiva, nell'ipotesi di realizzazione di opere di trasformazione
del territorio in violazione dell'anzidetto parametro di legalità urbanistica ed
edilizia, il giudice non deve concludere per la mancanza di illiceità penale
solo perché sia stato rilasciato il permesso di costruire: questo, infatti, "nel
suo contenuto, nonché per le caratteristiche strutturali e formali dell'atto,
non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio
dell'opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli
strumenti urbanistici... Né il limite al potere di accertamento penale del
giudice può essere posto evocando l'enunciato dell'art. 5 della legge 20 marzo
1865, n. 2248, allegato E), in quanto tale potere non è volto ad incidere sulla
sfera dei poteri riservati alla Pubblica Amministrazione, e quindi ad esercitare
un'indebita ingerenza, ma trova fondamento e giustificazione in una esplicita
previsione normativa, la quale postula la potestà del giudice di procedere ad
un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata".
In seguito a quest'ultimo intervento delle Sezioni Unite, alcune decisioni di
questa Corte considerarono il reato di cui all'art. 20, lett. a), della legge n.
47/1985 come l'unica fattispecie penale configurabile nell'ipotesi di
illegittimità dell'atto concessorio, escludendo comunque l'elemento soggettivo
della contravvenzione medesima quando la violazione delle norme urbanistiche
(leggi, strumenti di pianificazione, regolamenti) non fosse «grossolana o
macroscopica» (vedi Cass., sez. III: 19 ottobre 1992, Palmieri e 21 maggio 1993,
P.M. in proc. Tessarolo).
Successivamente, però, questa Corte ha rilevato che il giudizio (ric. Borgia)
conclusosi con la pronunzia delle Sezioni Unite aveva ad oggetto una fattispecie
inquadrabile nella previsione dell'art. 20, lett. a), ma che i principi
affermati con quella pronunzia hanno valore e portata generale in relazione a
tutte e tre le fattispecie attualmente previste dall'art. 44, poiché esse tutte
tutelano il medesimo interesse sostanziale dell'integrità del territorio.
A fronte dell'evoluzione interpretativa dianzi compendiata, ritiene questo
Collegio di dover affermare e ribadire i principi secondo i quali:
a) il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale
del titolo abilitativo edilizio, procede ad un'identificazione in concreto della
fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione"
riconducibile all'enunciato dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248,
allegato E), né incide, con indebita ingerenza; sulla sfera riservata alla
Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e
giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice;
b) la "macroscopica illegittimità" del provvedimento amministrativo non è
condizione essenziale per la configurabilità di un'ipotesi di reato ex art. 44
del T.U. n. 380/2001;
mentre (a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi
dell'amministrazione) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti
di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell'elemento
soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all'apprezzamento
della colpa;
c) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame
di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali
situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.
4. I regolamenti edilizi comunali e le misure di salvaguardia
L'art. 33 della legge n. 1150/1942 (espressamente abrogato dall'art. 136, 2°
comma, lett. b, del T.U. n. 380/2001) attribuiva ai regolamenti edilizi comunali
il compito di dettare norme in una seria di materie specificamente elencate.
L'art. 2, 4° comma, del T.U. n. 380/2001 dispone attualmente che "i Comuni,
nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'art. 3 del
D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia".
Il regolamento edilizio, che i Comuni adottano ai sensi della disposizione
anzidetta, "deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con
particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche,
igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze
degli stessi" (art. 4 del T.U. n. 380/2001).
E' stata così abbandonata la tecnica legislativa precedente, sostituendo
all'elencazione pedissequa di contenuti specifici un riferimento di portata
generale alla "disciplina delle modalità costruttive" ed individuando tre ambiti
normativi che devono essere oggetto di specifica considerazione in sede di
redazione del regolamento edilizio comunale.
Il regolamento edilizio deve contenere dunque, secondo la configurazione
tradizionale, disposizioni riguardanti essenzialmente l'attività edilizia
(alcune legislazioni regionali hanno provveduto, però, ad articolare con
modalità peculiari e differenti il sistema degli strumenti urbanistici,
introducendo una disciplina innovativa e modelli diversi di regolamento
edilizio).
Ritiene comunque il Collegio che, anche alla stregua delle nuove previsioni
normative statuali, al regolamento medesimo ben possa riconoscersi natura di
completamento ed ulteriore specificazione degli strumenti di pianificazione
urbanistica (funzione di determinare le modalità di realizzazione dell'attività
edilizia nelle zone in cui questa sia consentita, con peculiare riferimento alle
norme riguardanti la distanza e l'altezza dei fabbricati, sia in assoluto sia in
rapporto alla larghezza delle strade), pur spettando a detti piani stabilire le
destinazioni d'uso delle varie zone e fissare le prescrizioni di tipologia
edilizia.
Deve ritenersi altresì - nel rispetto del principio dell'autonomia regolamentare
comunale - che nel regolamento edilizio possano tuttora essere contenute norme
di attuazione del piano regolatore generale, qualora esse non siano
integralmente definite nella parte normativa di quello strumento, secondo quanto
in precedenza previsto dall'art. 33, 2° comma, della legge n. 1150/1942.
In ipotesi siffatte il regolamento assume una funzione non soltanto ausiliaria
allo strumento urbanistico generale, presentando invece contenuti integrativi
dello stesso e, qualora ciò si verifichi, si pone quale conseguenza necessaria
l'applicazione delle misure di salvaguardia connesse all'adozione del piano
regolatore medesimo.
Ciò si è verificato nella specie, ove il nuovo regolamento edilizio della città
di Siracusa (che espressamente richiama l'applicazione delle misure di
salvaguardia) è stato adottato non con il procedimento di formazione suo proprio
(delibera di adozione del Consiglio comunale e trasmissione alla Regione per
l'approvazione, che deve intervenire nei successivi 180 giorni) bensì
contestualmente al piano urbanistico e con la medesima
procedura (assoggettato, quindi, alle osservazioni dei soggetti legittimati ed
alla pubblicazione prodromica ad esse), in un complessivo contesto di
determinazione dell'assetto urbanistico edilizio del territorio caratterizzato
da plurimi rinvii delle norme tecniche di attuazione del piano alle disposizioni
regolamentari.
E' vero che la disciplina delle misure di salvaguardia - attualmente posta
dall'art. 12, 3° e 4° comma, del T.U. n. 380/2001 - non fa riferimento ai
regolamenti edilizi, e che, a norma dell'art. 19, 3° comma, della legge
regionale siciliana 27.12.1978, n. 71, "in pendenza dell'approvazione degli
strumenti urbanistici generali o particolareggiati l'applicazione delle misure
di salvaguardia di cui alla legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive
modifiche, e alla legge regionale 5 agosto 1958, n. 22, è obbligatoria".
La relativa disciplina statale, però, è stata considerata suscettibile di
applicazione in via analogica dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (C.
Stato, Sez. V, 26.4.1972, n. 297) e la "ratio" stessa della salvaguardia deve
rapportarsi al modello concreto dello strumento regolamentare.
5. Nella vicenda che ci occupa, inoltre, il Tribunale ha omesso di indicare se -
in occasione del rilascio del permesso di costruire - le distanze siano state
calcolate in virtù delle prescrizioni del vecchio regolamento edilizio ma
tenendo comunque conto dell'allargamento della sede stradale, ovvero detto
allargamento non sia stato proprio considerato: nel capo di imputazione si fa
riferimento, infatti, all'incidenza parziale dei costruendi balconi, nel
progetto approvato, sull'area di ampliamento della sede stradale.
E' evidente che, qualora le misurazioni avessero trascurato la previsione
ampliativa, l'omissione della salvaguardia non riguarderebbe il regolamento
edilizio ma si porrebbe in eclatante violazione delle previsioni dello stesso
piano adottato.
6. Per tutte le considerazioni dianzi svolte, l'ordinanza impugnata deve essere
annullata con rinvio al Tribunale di Siracusa, il quale si atterrà, in sede di
nuovo esame della vicenda, ai principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli ant. 127 e 325 c.p.p.,
annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Siracusa.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 21.3.2006.
1) Urbanistica e edilizia - Permesso di costruire illegittimo - Regolamenti comunali - Evoluzione giurisprudenziale. A fronte dell'evoluzione giurisprudenziale sono ribaditi in materia urbanistica i principi secondo i quali: 1. Il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo edilizio procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna “disapplicazione” né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla P.A. poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice; 2. La “macroscopica illegittimità” del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un’ipotesi di reato ex art. 44 T.U. 380/2001 mentre, prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell’amministrazione) l’accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all’apprezzamento della colpa; 3. Spetta al giudice di merito e non a quello del riesame di provvedimenti di sequestro la individuazione in concreto di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole; 4. Al regolamento edilizio può riconoscersi natura di completamento ed ulteriore specificazione degli strumenti di pianificazione urbanistica. Pres. Postiglione - Est. Fiale - Ric. Tantillo ed altro (annulla l'ordinanza del 21.11.2005 il Tribunale di Siracusa con rinvio al Tribunale di Siracusa). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 giugno 2006 (Ud. 21/03/2006), Sentenza n. 21487
2) Urbanistica e edilizia – Attività edilizia - Realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione - Oggetto della tutela penale - Parametro di legalità urbanistica ed edilizia - Art. 44 del T.U. n. 380/2001. L'oggetto della tutela penale apprestata dall'art. 20 della legge n. 47/1985 [oggi art. 44 del T.U. n. 380/2001] non è più - come nella legge n. 1150 del 1942 - il bene strumentale del controllo e della disciplina degli usi del territorio, bensì la salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio medesimo". In questa prospettiva, nell'ipotesi di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione dell'anzidetto parametro di legalità urbanistica ed edilizia, il giudice non deve concludere per la mancanza di illiceità penale solo perché sia stato rilasciato il permesso di costruire: questo, infatti, "nel suo contenuto, nonché per le caratteristiche strutturali e formali dell'atto, non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici... Né il limite al potere di accertamento penale del giudice può essere posto evocando l'enunciato dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), in quanto tale potere non è volto ad incidere sulla sfera dei poteri riservati alla Pubblica Amministrazione, e quindi ad esercitare un'indebita ingerenza, ma trova fondamento e giustificazione in una esplicita previsione normativa, la quale postula la potestà del giudice di procedere ad un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata". Pres. Postiglione - Est. Fiale - Ric. Tantillo ed altro (annulla l'ordinanza del 21.11.2005 il Tribunale di Siracusa con rinvio al Tribunale di Siracusa). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 giugno 2006 (Ud. 21/03/2006), Sentenza n. 21487
3) Urbanistica e edilizia – Comuni - Autonomia statutaria e normativa in materia urbanistica - Strumenti di pianificazione urbanistica - Regolamento edilizio – Natura. In materia urbanistica, l'art. 2, 4° comma, del T.U. n. 380/2001 dispone che "i Comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'art. 3 del D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia". Il regolamento edilizio, che i Comuni adottano ai sensi della disposizione anzidetta, "deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi" (art. 4 del T.U. n. 380/2001). Alla stregua delle nuove previsioni normative statuali, al regolamento medesimo ben possa riconoscersi natura di completamento ed ulteriore specificazione degli strumenti di pianificazione urbanistica (funzione di determinare le modalità di realizzazione dell'attività edilizia nelle zone in cui questa sia consentita, con peculiare riferimento alle norme riguardanti la distanza e l'altezza dei fabbricati, sia in assoluto sia in rapporto alla larghezza delle strade), pur spettando a detti piani stabilire le destinazioni d'uso delle varie zone e fissare le prescrizioni di tipologia edilizia. Pres. Postiglione - Est. Fiale - Ric. Tantillo ed altro (annulla l'ordinanza del 21.11.2005 il Tribunale di Siracusa con rinvio al Tribunale di Siracusa). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 giugno 2006 (Ud. 21/03/2006), Sentenza n. 21487
4) Procedure e varie - Mancanza assoluta o mera apparenza della motivazione - Requisiti minimi di coerenza e completezza - Violazione di legge - Vizio di manifesta illogicità. Alla violazione di legge vanno ricondotte la mancanza assoluta e la mera apparenza della motivazione (e questa deve considerarsi "meramente apparente" quando sia del tutto priva di requisiti minimi di coerenza e completezza: Sez. Unite, 28.5.2003, n. 12), ma non anche il vizio di manifesta illogicità della stessa ex art. 606, comma 1°, lett. e), c.p.p. (vedi: Cass. Sez. Unite, 28.1.2004, n. 5876; Sez, III, 15.7.2004, n. 36160). Pres. Postiglione - Est. Fiale - Ric. Tantillo ed altro (annulla l'ordinanza del 21.11.2005 il Tribunale di Siracusa con rinvio al Tribunale di Siracusa). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 21 giugno 2006 (Ud. 21/03/2006), Sentenza n. 21487
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